CAPITOLO
DUE
Un
amico
Caro Diario,
Mamma
mi ha insegnato a non fidarmi di Dio! Mi ha sempre lasciato libera di
scegliere
se credere o meno, ma mi ha sempre messo in guardia sul suo modo di
agire. “Se
decidi di credere, non sperare nei miracoli. Potresti avere grosse
delusioni. “
Diceva sempre così e la cosa non mi ha affatto aiutato ad
avere fede in un
qualche Essere Supremo e Onnipotente. Ma forse le divinità
esistono sul serio e
oggi ne ho avuto la conferma…Ho visto un angelo!
Forse è
stata mamma a mandarmelo. Avrà pensato che mi sentissi sola
quaggiù e lo ha
spinto a tradimento giù dal paradiso. Si, mamma sarebbe
proprio capace di un
gesto del genere, anche se dubito molto che lei si trovi in
paradiso… Ho letto
da qualche parte che il suicidio è considerato un peccato
mortale e che si
sconta all’inferno, ma mamma sarebbe capace di evadere anche
da là.
Indosserebbe una tunica bianca, delle ali finte e un’aureola
di plastica e
riuscirebbe ad infiltrarsi in paradiso. Sarebbe proprio da lei!
Ma
adesso mi tornano in mente le sue raccomandazioni. Forse, non
è stata lei a far
si che io incontrassi quell’angelo… è
stato Dio! Ha qualcosa in serbo per me e
la cosa m ’inquieta. Credo non mi abbia ancora perdonato il
fatto di non
essermi arruolata nel suo esercito di fedeli … vuole farmela
pagare facendomi
soffrire per qualcosa che non potrò mai avere. Ma se questa
è una sfida, io
l’accetto molto volentieri!
sei
stato tu a metterti sul mio cammino non il contrario, quindi spero non
ti
dispiaccia che io scelga deliberatamente di scansarti. Non avercela a
male. Io
lo so che ci sei, semplicemente non credo in quello che fai.
Bisognerebbe che
qualcuno ti licenziasse! Detto tra noi, non stai facendo un buon
lavoro! Il
mondo va a rotoli! La mia vita va a rotoli, quindi credo che un piccolo
premio
di sopportazione mi spetti. Io lo troverò!
Troverò quell’angelo e non lo farò
mai più tornare da te! Hai commesso un grosso errore a
mandarlo quaggiù e fossi
in te non mi aspetterei di vederlo tornare a svolazzare
lassù nel tuo regno.
Non pensare a me. Non te l’ho mai chiesto e mai te lo
chiederò! Occupati di
quella parte del mondo che riesce ad avere ancora fiducia in te, ma
dimenticati
di questa piccola ed inutile pecorella smarrita! Lascia che sia il tuo
angelo
ad occuparsi di me… Abbandonami!
Oh
giusto, dimenticavo. Amen!
Eleanor
Un
colpo alla porta seguito da una voce aggressiva e innervosita, la fece
trasalire.
“ Apri
questa porta, ragazzina! Lo so che ci sei! “
Eleanor
si alzò in fretta dal letto e si precipitò dalle
sue scarpe gettate in un
angolo nel lato opposto della stanza. Con foga, afferrò le
banconote che erano
ancora nascoste all’interno.
“Non
costringermi ad usare la forza Eleanor! Apri immediatamente!”
I
colpi alla porta si fecero sempre più forti
e violenti. Per un attimo, Eleanor temette davvero che il vecchio uscio
non
reggesse.
“
Arrivo! Solo un secondo!” invocò, cercando di
prendere tempo.
“Un secondo
è troppo! Subito! “
Eleanor
lasciò nella scarpa cinquanta degli oltre duecento dollari
che era riuscita a
guadagnare. Il resto lo tenne stretto in mano mentre, prendendo
coraggio, si alzava
in piedi e si dirigeva alla porta.
Riusciva
ad immaginare fin troppo bene come sarebbe andata a finire; esattamente
come
tutte le altre volte. Con lui che con forza la scaraventava sul letto
costringendola a diventare il suo giocattolo fino a che non si fosse
soddisfatto abbastanza. E non era facile soddisfare Roy.
Avrebbe
potuto tenerla in ostaggio per ore senza stancarsi mai, mettendo a
tacere ogni
suo tentativo di ribellione tirando fuori la questione
dell’affitto arretrato.
Eleanor
riteneva quantomeno indecente che quella topaia nella quale era
costretta a vivere
andasse pagata. Una misera stanza con nient’altro che un
letto cigolante al
centro, una vecchia poltrona sulla quale era impossibile sedersi per
non
rischiare di venirne inghiottiti, un fornello a gas non del tutto
affidabile e
un tavolo pericolosamente dondolante. Il bagno era, se possibile,
ancora
peggio: dalla doccia usciva quasi sempre acqua fredda e lo scarico del
water
raramente funzionava. Eleanor era certa che i detenuti nelle prigioni
vivessero
in condizioni migliori delle sue.
E
quando aprì la porta, ne ebbe piena conferma.
Eccolo.
Il suo più grande incubo.
Roy era
un uomo sulla cinquantina. Il suo principale pensiero ero quello di
tracannare
più alcool possibile durante tutto l’arco della
giornata e ciò influiva
pesantemente sulla sua forma fisica. Oltre a non essere
decisamente atletico, non era uno che badava
molto all’igiene
personale. Ovunque
andasse lasciava dietro di se’ una scia maleodorante di
alcool, sudore e Dio
solo sa cos’ altro.
I suoi
untuosi capelli brizzolati gli toccavano le spalle e la barba sfatta
gli
copriva gran parte del viso. Gli occhi, costantemente annebbiati, erano
neri e
inflessibili.
“Cosa
vogliamo fare, Eleanor? “ domandò Roy,
provocandola. “ Io sto ancora aspettando
che tu saldi il tuo debito. “
La
ragazza non rispose, gli mostrò soltanto le banconote che
lui si affrettò ad
afferrare. Sperando
ardentemente che il
peggio fosse passato, Eleanor fece per chiudere la porta, ma Roy la
fermò.
“Dove
pensi di andare? Questi non bastano! “
“E’
l’affitto di questo mese.”
“Si, è
vero, ma gli altri mesi che mi devi?”
Eleanor
sospirò con rassegnazione: “Devi darmi ancora un
po’ di tempo, Roy… Stasera mi
è andata bene, ma non è sempre così.
Io sto facendo il possibile”
“Il
possibile non basta! E sai bene che non sono qui unicamente per i
soldi! “
Un gelo
improvviso si impossessò di Eleanor. “Per favore,
no… “ lo implorò con un filo
di voce.
“Dovresti
ringraziarmi invece di piagnucolare. Al mio posto un altro ti avrebbe
già
sbattuto per strada.”
Fallo!
Pensò Eleanor Ti prego fallo!
Dammi una ragione per andarmene da qui.
“Troverò
quei soldi, te lo giuro! “
“Come
se non te l’avessi già sentito dire”
“Ti
prego! Dammi una settimana, soltanto una settimana.”
“No, ho
aspettato anche troppo e ora voglio qualcosa in cambio. E tu sai
cosa!”
Roy la
spinse via dalla
soglia ed entrò,
chiudendosi la porta alle spalle. Lei rimase immobile, mostrando la
schiena a
Roy che nel frattempo le si era avvicinato pericolosamente. Le sue mani
l’avevano già raggiunta. Una lacrima le scese
silenziosa sul viso nel momento
stesso in cui il suo incubo peggiore si trasformò in una
brutale realtà.
Nella
tarda mattinata, furono
molti quelli a vedere una ragazzina vestita di nero scappare da una
vecchia
palazzina malridotta.
Eleanor correva stringendo al
petto la sua inseparabile borsa contenente i suoi unici effetti
personali : un
vecchio diario, un portafoglio, un piccolo album di fotografie e una
buffa
bambolina di pezza fatta a mano che lei avrebbe dovuto regalare a sua
madre in
terza elementare. Ma a questi oggetti se ne aggiungeva un altro;
qualcosa di
intangibile e astratto: l’immagine di due occhi ultraterreni
che la fissavano
dentro ad un vagone.
Eleanor riprese a camminare
normalmente nel ripensare al ragazzo
della metropolitana. Si asciugò gli occhi col
dorso della mano destra,
rendendosi conto che piangere e pensare a lui al tempo stesso era
impossibile.
La sola cosa che si sentì di fare fu sorridere e
dimenticarsi completamente di
Roy e delle ultime ore trascorse nelle sue grinfie.
Si sentiva sporca e violata come
non mai!
Non appena Roy si era
addormentato, lei si era rivestita in fretta, aveva afferrato la sua
borsa ed
era scappata via, senza sapere se sarebbe mai tornata laggiù.
S’infilò in una cabina telefonica
e rovesciò la borsa sperando di trovare qualche monetina
rimasta dimenticata
sul fondo. La trovò e velocemente la inserì nel
telefono. Compose in fretta un
numero con le lacrime che di nuovo le premevano agli angoli degli occhi.
A rispondere fu la voce assonnata
di un ragazzo.
“Pronto?”
Eleanor rimase in silenzio per qualche istante, il pianto che le soffocava la voce.
“Evan…” mormorò infine.
Il ragazzo parve ridestarsi dal torpore dovuto dal brusco risveglio: “Eleanor? Sei tu?”
“Si… senti, possiamo vederci?”
Pochi attimi di assoluto silenzio e poi la voce di lui si fece preoccupata:“Va tutto bene?”
“No! …Roy…lui… l’ha fatto ancora.”
Il
sole splendeva già alto nel
cielo mentre Eleanor sedeva silenziosa su una panchina del parco; il
capo
chino, lo sguardo a terra, le mani in grembo, un altro frammento di
se’ che se
ne andava.
Quel posto era così diverso alla
luce del giorno. Di notte lo si poteva definire spettrale: soltanto una
spessa
oscurità che occultava delinquenti, spacciatori, drogati,
alcolizzati e,
naturalmente, quelle come lei…
A quell’ora del giorno invece il
parco appariva un luogo sicuro e piacevole: bambini che giocavano,
mamme con i
passeggini, persone che portavano a spasso i cani, sportivi che si
tenevano in
forma correndo, anziani seduti sulle panchine che lanciavano briciole
ai
piccioni e agli uccellini, innamorati che si tenevano per mano.
Tuttavia, lei
continuava a preferirlo alla luce della luna, perché non
esisteva niente di
così orribile da non venire occultato
dall’oscurità. Il buio la faceva sentire
protetta.
In mezzo a tanta serenità, la
presenza di Eleanor non passava di certo inosservata, ma a lei non
interessava.
Aspettava Evan con impazienza tentando di domare l’urlo di
rabbia e dolore che
minacciava di sopraffarla. Lo avrebbe liberato solo in sua presenza,
perché lui
era l’unico che l’avrebbe capita. Spesso si
convinceva di essere del tutto
sola, ma in realtà sapeva che Evan ci sarebbe stato sempre.
E fu proprio nel pensare a ciò
che una voce familiare fece largo tra i suoi pensieri :
“Eleanor! “
Evan
le stava andando
incontro salutandola con il braccio alzato. Non appena lo videro, gli
occhi di
Eleanor si arresero al suo volere di trattenere le lacrime. Lei lo
raggiunse di
corsa e gli gettò le braccia al collo singhiozzando come una
bambina.
Lui, sorpreso e incerto, la
strinse a se’ con dolcezza:
“Stai bene? “ le domandò.
“Non chiedermelo! “ rispose lei tra un singhiozzo e l’altro.
Eleanor
ed Evan si erano
conosciuti dieci anni prima nell’istituto dove erano stati
segregati dopo
essere rimasti entrambi orfani. La loro amicizia aveva resistito anche
una
volta usciti e, anche se molto più raramente, avevano
continuato a
vedersi.
Evan era un ragazzo di
bell’aspetto. Era alto, con un fisico piacente. I suoi
capelli erano una
cascata di riccioli bruni che, assieme alla sua carnagione abbronzata,
gli
conferivano un aspetto ribelle e selvaggio, facendolo apparire ancora
più
attraente agli occhi di ogni ragazza che lo incontrava. Le sue iridi
color di
giada spiccavano in maniera incontrollabile sulla sua pelle dorata.
Evan era il primo che avesse
fatto battere forte il cuore di Eleanor, ma era anche stata la sua
prima
autentica delusione d’amore.
Lui era bello, era gentile, era
in gamba, ma c’era un aspetto del suo essere che la faceva
soffrire
terribilmente. Il motivo per cui lei era stata rifiutata.
Eleanor provava quasi pena per
tutte quelle ragazze che si ammassavano nel locale dove lui lavorava
solo per
riuscire a vederlo. Se solo avessero saputo cosa lui davvero cercava in
una
relazione…
Nessuno l’avrebbe mai immaginato.
La sua aria rude e mascolina non lasciava certo spazio a dubbi del
genere, ma
ad Evan le ragazze non interessavano. Eleanor aveva pianto di nascosto
il
giorno che lui le aveva rivelato di essere gay.
Ancora adesso, dopo quasi quattro
anni, lei stentava a crederci. L’unico ragazzo che avesse mai
amato, non
avrebbe mai potuto ricambiarla. E adesso lui era diventato come un
fratello,
anche se il suo cuore ancora si ribellava ad accettare quel tipo di
sentimento.
Evan non disse niente. La lasciò
sfogare, senza permettersi d’interromperla. Non
cercò di calmarla come avrebbe
invece fatto chiunque altro. Sapeva che tenersi tutto dentro non
avrebbe
portato a niente, tranne che ad altre lacrime ancora più
cariche di dolore.
Eleanor odiava farsi vedere in quello stato,
ma per lei Evan era quanto di più vicino ci fosse alla
salvezza. Se lei era il
fiore, lui era il suo stelo.
“Scusami…” farfugliò la ragazza contro il suo petto.
“Di cosa mai dovresti scusarti? “
“Tu hai lavorato tutta la notte e io ti ho costretto a venire a sopportare i miei piagnistei. Dovresti odiarmi per questo!”
“Odiarti? “ ridacchiò lui “Per così poco? Ti odierei se non mi chiamassi affatto.”
Eleanor si staccò lentamente da lui e si asciugò gli occhi.
“Va un po’ meglio?” le chiese Evan, fissandola con apprensione.
“No, ma sono contenta che ora sei qui. “
“ Bene, questo mi fa piacere!”
Eleanor sorrise, andò a recuperare la borsa che aveva lasciato sulla panchina e domandò: “Ti va di fare quattro passi?”
“Certo. “
Camminarono fianco a fianco per ore, parlando di sciocchezze e ridendo di battute che soltanto loro potevano capire. Pranzarono in uno dei chioschi del parco e Evan si offrì di pagare anche per Eleanor. Dopo aver mangiato si sedettero all’ombra di una betulla, osservando con aria assente dei bambini che giocavano a pallone.
“Stanotte, cioè stamattina presto, ho incontrato qualcuno. “ esclamò Eleanor all’improvviso.
“Ah si? “ domandò lui con espressione poco partecipe.
“Già… un ragazzo, a dir la verità.”
Gli occhi di Evan si fecero d’un tratto più interessati. Lo sguardo che le rivolse traboccava di malizia:
“ Davvero?! Ebbene?”
“Ebbene cosa? “ disse lei, fingendo noncuranza.
“Racconta! “
Eleanor chiuse gli occhi per qualche istante ripensando al ragazzo della metropolitana. Un senso di appagamento e serenità la travolsero non appena la sua immagine si fece chiara e nitida nella sua mente.
“Dovresti vederlo, Evan. “ sospirò con occhi sognanti “E’ talmente bello da sembrare inumano. “
“Magari è un alieno che ha assunto un aspetto attraente per adescare povere fanciulle indifese! “ scherzò il ragazzo.
“Non m’interessa. Ha il permesso di catturarmi. Per quel che mi riguarda, può fare di me quello che vuole.”
Evan si accigliò dalla sorpresa: “Non è da te dire una cosa del genere! “
“Lo so, ma è esattamente ciò che penso. Tu non puoi neanche lontanamente immaginare cosa mi frullasse per la testa mentre lo guardavo. Spero solo che lui non se ne sia accorto!”
I due ragazzi si guardarono gravemente per qualche istante, ma la serietà di Evan fu la prima a venire meno. Scoppiò a ridere senza ritegno seguito a ruota dall’amica.
“Avrei voluto esserci! Chissà che scena! “ sghignazzò Evan.
“C’è poco da ridere! “ esclamò Eleanor tra le risate “ Ti giuro che mi sono fatta schifo da sola! “
“Non stento a crederlo! “
“Ho fatto una figura pessima, vero?”
“Beh , non si può certo dire che non ti sia fatta notare. Da un certo punto di vista è un bene!”
“Un bene? Starà ridendo di me ancora adesso!”
“Si, è probabile!”
“Dovresti consolarmi, invece di ridere!”
“Ah, davvero!? E cosa dovrei dirti? Che magari, lui non se ne è nemmeno accorto!?”
“Ne dubito molto. Non so bene che espressione avessi, ma probabilmente stavo sbavando!”
Le risate di Evan si fecero ancora più chiassose. Eleanor ne venne immediatamente contagiata.
“Sia chiaro che sto scherzando!” si affrettò ad aggiungere poi, attendendo che le risa del ragazzo si estinguessero.
Rimasero
immersi nel silenzio per
qualche minuto. Evan sembrava essersi addormentato, le mani dietro la
nuca, gli
occhi chiusi, il volto rilassato. Accanto a lui, Eleanor teneva le
gambe
strette al petto, la testa nascosta fra le ginocchia nel tentativo di
liberare
la mente dall’immagine del ragazzo della metropolitana.
La voce di Evan la costrinse a
far riemergere il viso alla luce del sole:
“Gli hai parlato?” domandò il ragazzo, mantenendo la sua posizione di finto addormentato.
“Cosa?” fece Eleanor, presa alla sprovvista.
“Hai parlato a quel tipo?”
“…no.” Mormorò Eleanor nascondendo di nuovo la faccia tra le ginocchia.
“Perché no?”
“E me lo chiedi? A malapena riuscivo a respirare. Tremo al solo pensiero di quali idiozie avrei potuto dirgli.”
“ E lui, invece? Ti ha detto qualcosa? “
Le guance di Eleanor s’imporporarono non appena ricordò la voce di quell’angelo: “Si. “
Evan, ormai tutto preso dal discorso, si mise a sedere di fronte alla ragazza: “Dai e che ti ha detto?”
“Niente di speciale.”
“Come sarebbe a dire? Se un ragazzo si prende la briga di rivolgere la parola ad una sconosciuta è sempre un buon segno!”
“No, non è vero!”
“Ma si che è vero! Se io non ti avessi rivolto la parola quando tu per me eri ancora un’estranea a quest’ora non saremmo qui a parlare! “
“Non è la stessa cosa!”
“Si, invece. Quel ragazzo si ricorderà di aver parlato con te e se per caso ti incontrerà di nuovo, ti riconoscerà. Credimi hai già fatto un primo passo verso la sua conquista!”
Eleanor inarcò le sopracciglia impressionata : “Parli come uno che la sa lunga sull’argomento.”
“Infatti! “
Eleanor lo spinse leggermente, con fare amichevole: “Ma sentilo!”
Lui rise : “Non mi credi? Allora scommettiamo!”
“Cosa?”
“Scommetto che entro un mese ti inviterà ad uscire con lui.”
La ragazza lo guardò scettica: “Hai proprio voglia di perdere soldi, eh?! “
“Non preoccuparti dei miei soldi. Piuttosto temo che sia tu quella che ha paura di perdere!”
“Ma certo che ho paura! Tu stai delirando! Uno come lui non perderebbe mai tempo con …” Eleanor si fermò a metà frase, indecisa su come auto definirsi. “ … beh, con una come me.” Disse infine, rabbuiandosi.
“Definisci ‘una come me ‘ .”
Lo guardò a lungo prima di rispondere : “… lo sai, Evan. Lo sai bene cosa sono. Sono una che è stata usata e riusata più volte. E probabilmente continuerò ad essere usata ancora e ancora… Non sono…insomma, non sono degna di lui. A dir la verità, credo di non essere degna di nessuno.”
“Non dire sciocchezze. A volte ti comporti proprio come una ragazzina!”
“Ti do una notizia bomba! “ esclamò lei alzando gli occhi al cielo esasperata. “Io sono una ragazzina!”
“Sei impossibile! “ ribattè lui. “Non ti capisco! Ti sei sempre offesa ogni volta che ti ho chiamato ragazzina e ora invece ti sei accorta di esserlo! “
“Lo sono! “
“No invece. Hai diciannove anni! “
“Appunto. Tecnicamente sono ancora una teenager, vale a dire un’adolescente, ossia una ragazzina immatura! “
Evan sbuffò e si rimise sdraiato. “Come vuoi! Ne riparleremo fra un anno, quando forse ti renderai conto di essere un’adulta ormai.”
“Ok, andata! “ . Si sdraiò al suo fianco e nessuno parlò più.
Evan
si addormentò sul serio
questa volta. Eleanor sentì il suo respiro farsi
più lento e pesante. Non osò
svegliarlo. Sapeva di essere lei la causa delle sue ore di sonno
mancate e
scelse di non disturbarlo. Almeno questo glielo doveva.
Si accorse che anche le sue
palpebre si erano fatte terribilmente pesanti. Stava per battere il
record
delle ventiquattro ore filate senza dormire. Non era la prima volta, ma
quella
sera era intenzionata a tornare in metropolitana per illudersi di
incontrare
nuovamente quel ragazzo stupendo che tanto la tormentava. Quella notte
non
poteva permettersi di perdere tempo a dormire.
Volse lo sguardo al cielo sereno,
maculato da poche e soffici nuvole candide. Pochi minuti e
l’incoscienza prese
il sopravvento. Un ‘incoscienza resa in qualche modo
consapevole dalla presenza
di due occhi meravigliosi che la fissavano senza battere ciglio.
Persino nel
sonno, Eleanor sorrise.
Qualcuno la scrollò leggermente, chiamandola per nome. Eleanor cercò di alzare una mano per respingere chiunque la stesse conducendo verso quel risveglio forzato, mugugnando qualcosa di molto simile ad un’imprecazione.
“Andiamo, Eleanor! “ era la voce famigliare di Evan “E’ tardi! E’ già buio! “
Bastarono quelle parole a risvegliarla del tutto e far sparire ogni traccia di torpore.
“Già buio!?” esclamò rizzandosi a sedere. “Che ore sono, maledizione!?”
Io devo andare da lui!
“Calmati! “ disse Evan, perplesso dalla reazione dell’amica “Sono quasi le sette e mezza! Abbiamo passato il pomeriggio a dormire! Chissà cos’avranno pensato i passanti!?”
Eleanor si strinse nelle spalle. “Sai che me ne importa! “
Evan si alzò stiracchiandosi. Offrì la mano ad Eleanor per aiutarla a mettersi in piedi.
“Evan, senti… “
“Cosa? “
“Ho bisogno di un favore. “ disse esitante.
“Certo, se posso. “
Eleanor non rispose subito, neanche lo guardò in faccia:
“Non … non me la sento di tornare a casa mia! …Non dopo quello che è successo oggi con Roy. Non mi perdonerà di essere scappata a quel modo e non oso immaginare cosa potrebbe avere intenzione di farmi se mai tornassi da lui…”
Evan capì al volo e sorrise rassicurante : “Non c’è problema! “ disse subito “Puoi venire da me! Non c’è neanche bisogno di chiedermelo! “
Eleanor continuò a rimanere sulla difensiva : “…però…”
“Però? “
“…io… non vorrei… beh, essere di troppo. Voglio dire… hai capito, no? … “
Vedendola così in difficoltà, Evan trattenne a stento una risata, ma conosceva il motivo di tanta incertezza: “Lui non c’è, Eleanor! “ disse per tranquillizzarla.
Lei lo guardò, appena corrucciata dall’incertezza.
“Nathan non c’è.” Spiegò serenamente “E’ andato a trovare sua sorella. Sai, si è laureata e lui non poteva mancare!”
Eleanor parve rasserenarsi. “Sul serio? Non è che ora lo chiami di nascosto e gli dici di trovarsi un albergo perché ci sono io?”
Evan sorrise di nuovo: “Ti sto dicendo la verità. Non c’è, dico sul serio. Tornerà fra una settimana, più o meno. “
La
ragazza sospirò sollevata.
Non era una questione personale,
anzi trovava Nathan molto simpatico, ma non sopportava di vederlo
insieme ad
Evan. Cercava di non pensare mai alla loro relazione, la faceva
soffrire
troppo. Non era il fatto che fossero due ragazzi, avrebbe avuto
difficoltà
anche se Evan avesse convissuto con una ragazza. Era l’idea
di averlo perso che
le dava il tormento e, in qualche modo, riteneva Nathan
l’unico colpevole. Evan
era stato il suo primo ed unico amore, finito ancora prima di avere avuto il
tempo di
sognare un futuro insieme a lui. Si sentiva una stupida a pensarla
così, ma le
riusciva impossibile stare a casa di Evan se in giro c’era
Nathan.
Probabilmente era gelosia, anche se lei si rifiutava con tutte le sue
forza di
crederlo, dal momento che non si sarebbe più dovuto chiamare
amore il
sentimento che la legava ad Evan…
“Chi cucina?!” domandò, lo sguardo improvvisamente acceso dall’entusiasmo.
“La donna sei tu! “ scherzò Evan.
“Bene! Ma non mi fiderei troppo, fossi in te! Sai come sono fatta ai fornelli. Mi piace sperimentare cose nuove!”
Eleanor rise dell’espressione decisamente preoccupata di Evan.
“Pizza?!
“chiese infine, con un
sorriso.
Lui
annuì : “Si, assolutamente!”.
Eccomi, come promesso! Volevo
aggiornare oggi pomeriggio, ma non ce l’ho fatta, sorry^^!
Cmq, ecco qui il secondo
capitolo.
Capitolo abbastanza inutile
devo dire, ma serve per introdurre il personaggio di Evan ( A very
important
character !!) . La prossima volta accadrà qualcosina di
più, giuro. Qualcosa
che avrà a che fare con il misterioso ragazzo della
metropolitana, contenti?!
Mille grazie a Mary3!!!!
Lieta ke ti sia piaciuto, ma ti prego di non tralasciare i compiti per
stare
dietro alla mia storia… non vorrei essere responsabile di
qualche disastro
scolastico^^’’!!
A mercoledì prossimo!
Ayleen