SOLO
UN PAIO D’ALI
CAPITOLO
UNO
Una
bambola
Caro
Diario,
Il solo pensiero mi fa
sorridere,
ma ricordo ancora i tempi in cui persino una come me credeva alle
favole!
Mamma me le raccontava tutte le
sere prima di andare a dormire e io non vedevo l'ora che arrivasse quel
momento
della giornata. Era l'unico in cui mamma stava un po' con me.
Principesse, principi azzurri,
streghe cattive, draghi feroci... i protagonisti erano sempre gli
stessi.
S'iniziava con un "c'era una volta" e si finiva con "... e vissero
per sempre felici e contenti". Per quanto spaventosi e terrificanti
potessero essere i cattivi, io non mi preoccupavo mai perchè
sapevo che tutto
sarebbe finito nel migliore dei modi : con il principe che salva e
sposa la
bella principessa.
Nelle favole, contro ogni logica,
il bene prevale sempre sul male. Ma la realtà non
è così! S'inizia male e si
finisce ancora peggio!
Si viene crudelmente strappati
dal sicuro e confortevole grembo materno, per poi finire sottoterra a
fare da
nutrimento ai vermi. Tuttavia,
sono
fermamente convinta che quest'ultima fase sia la migliore. Morire
è un processo
naturale della propria esistenza; è il nostro unico, vero ed
autentico scopo.
Perciò, alla domanda "Qual è il senso della
vita?", io rispondo
"la morte". Non esiste un’altra risposta possibile.
Se gli uomini non avessero la
prospettiva della morte davanti a se’, cosa mai potrebbero
fare della loro
vita? Il detto “vivi ogni giorno come se fosse
l’ultimo”, perderebbe ogni suo
significato.
Nelle favole che mi raccontava
mamma, ricordo che spesso e volentieri s’incontravano
creature cosiddette
“immortali”. A me non sono mai piaciute un
granché. Le trovavo completamente
inutili. Ed è esattamente così che sarebbe la
vita senza la morte. inutile e
vuota!
A volte provo ad immaginare come
sarà la mia di morte. Chissà in che modo
uscirò di scena? Chissà se ci sarà
l’applauso dopo che il sipario verrà calato. Una
cosa è certa; niente repliche!
Non so per quale motivo, ma non
riesco assolutamente ad immaginarmi vecchia. Ci ho provato innumerevoli
volte,
ma è qualcosa che la mia mente non riesce proprio ad
accettare. Per questo ho
sempre la costante sensazione che morirò giovane. Non che
questo sia un
problema per me. L’idea di morire vecchia, devastata dal
tempo, in un letto d’ospedale,
circondata da parenti avidi e ingordi, non mi alletta per niente.
Morire presto non mi spaventa,
anche perché io non vivo in una favola. La mia storia
potrebbe iniziare con “C’era
una volta …”, ma dubito fortemente che
arriverà il principe azzurro a salvarmi.
Sono una principessa senza castello e senza corona. A chi importa se
vivrò mai
felice e contenta?
Eleanor
Eleanor
chiuse il suo diario e lo
infilò dentro alla borsa a tracolla. Rimase ancora qualche
secondo seduta su
quella scomoda e fredda panchina di metallo, chiudendo gli occhi per un
attimo.
Lanciò svogliatamente un’occhiata
all’orologio davanti all’ingresso della
metropolitana. Segnava le due e mezza di notte.
Era in ritardo.
Probabilmente, la
concorrenza l'aveva già
preceduta da un bel pezzo, ma doveva lo stesso andare.
Benché non volesse.
Nonostante preferisse affogare tutta la notte nel proprio dolore.
Sebbene la
sola idea le desse il voltastomaco. Non aveva scelta. Doveva andare!
Si alzò in piedi e, con gli occhi
fissi a terra, varcò i cancelli del parco. A quell'ora di
notte era deserto,
cupo, isolato dal mondo; per questo a lei piaceva tanto.
Adorava rifugiarsi lì. Era
l’unico luogo in cui riusciva a rilassarsi. Ogni tanto
qualche tizio non
proprio affidabile cercava di abbordarla, ma lei riusciva sempre a
cavarsela
semplicemente con le parole.
Qualche volta si sentivano dei
gemiti provenienti da dietro i cespugli o dalle auto parcheggiate tra
gli
alberi che, assieme ai versi dei grilli e delle civette, davano vita ad
un
armonioso concerto notturno. Una sorta di colonna sonora.
Eleanor attraversò il parco più
velocemente di quanto in realtà volesse e, una volta uscita,
continuò lungo un
marciapiede, diretta ad una fermata dell'autobus poco distante.
Incontrò alcune sue colleghe lungo il cammino che si
limitarono a guardarla
con disprezzo dall'alto
in basso.
Farsi delle amiche era
impossibile facendo il suo mestiere, ma la cosa non la toccava
minimamente. In
fondo, la solitudine era l’ultimo dei suoi problemi.
Eleanor aveva diciannove anni da
poco compiuti. Da circa tre viveva da sola, completamente abbandonata a
se
stessa. Aveva i capelli neri che le toccavano le spalle lisci come la
seta. La
sua pelle era candida, un po' troppo per i suoi gusti.
I suoi occhi erano spenti ed
inespressivi, a lei piaceva paragonarli al colore
dell’oceano, anche se il mare
non lo aveva mai visto. Era alta, slanciata, con le forme giuste.
Piaceva molto
agli uomini... agli uomini di tutte le età. Per questo non
aveva amiche.
Si vestiva sempre di nero. Odiava
i colori e quella sera non era certamente in vena di cambiamenti:
Corsetto nero eccessivamente
scollato, una minigonna dello stesso colore, delle vecchie calze a rete
strappate un po' ovunque, un paio di anfibi decisamente poco femminili
e guanti
di lana senza dita, anch'essi neri. Anche la sua inseparabile borsa era
nera. Così
come il suo umore.
Quel colore aveva sempre fatto
parte di lei e la gente la giudicava per questo.
Le signore anziane, quando la
vedevano passare, si facevano immediatamente il segno della croce,
quasi
vedessero il demonio. I bambini la guardavano incuriositi, le mamme li
allontanavano. I ragazzi e gli uomini adulti la osservavano,
lasciandosi andare
ad ogni più perversa fantasia. Le ragazze d'altro canto, la
fissavano con
astio. Le parlavano alle spalle, appioppandole quel nomignolo che
nessuna donna
vorrebbe mai sentirsi dire.
Ma ad Eleanor non importavano i
pregiudizi della gente. Lei sapeva come scappare agli sguardi
sentenziosi che
tutti le riservavano. La musica era la sua arma, la sua unica difesa.
Si
metteva a cantare. Non si faceva dei problemi. Lo faceva a voce alta,
in mezzo
alla strada, senza curarsi dei pensieri degli altri.
La bella voce era forse la sua
unica qualità e le piaceva mostrarla a tutti.
Lo fece anche quella notte,
quando sentì una delle sue colleghe
chiederle acidamente che aria tirasse nell'oltre tomba. Eleanor chiuse
gli
occhi e iniziò a cantare:
“A love struck Romeo sings a street suss
serenade.
Laying everybody
low with a love
song that he made…”
Sentì
alcune ragazze ridacchiare
al suo passaggio, compresa quella che le aveva rivolto la parola, ma
non si
fermò.
Per lei, la musica aveva il
potere di abbattere le barriere temporali e di farla tornare indietro
negli
anni, quando ancora la sua vita non era un vero e proprio inferno. Ogni
canzone
aveva acclusa un’immagine ben precisa appartenente ad un
periodo ormai passato.
Quando cantava, Eleanor si
distaccava dal mondo reale e si rifugiava nei propri ricordi. In quel
momento,
c’era una sola immagine che le riempiva la mente. Quella di
sua madre, seduta
sul divano della loro vecchia casa che rattoppava per
l’ennesima volta i suoi
pantaloni, intonando quella stessa canzone. Si rivide bambina,
accovacciata sul
tappeto del salotto mentre la fissava con occhi adoranti. Forse immeritatamente adoranti
…
"…
Finds a convenient streetlight steps out of the shade.
Says something like you and me babe how about it? ”
Una
volta tornata nel mondo del
presente e allontanatasi dalle altre ragazze, si appoggiò al
lampione posto
accanto alla fermata del bus e attese. Aspettò che qualche
vecchio in preda a
strane voglie si avvicinasse e che rendesse ogni propria più
intima e viziosa fantasticheria
reale.
A lei non importava ciò che le
avrebbero fatto. Non gli interessava sapere a quale immorale gioco
l’avrebbero
costretta a prendere parte. L’importante era che dopo averla
usata ed essersi
soddisfatti, la pagassero.
Eleanor, al contrario delle altre
ragazze come lei, non aveva un prezzo fisso. Tutto dipendeva
dall’uomo che
l’avrebbe scelta. Alzava ed abbassava il costo del proprio
corpo secondo dei
criteri ben precisi. In effetti, aveva una propria classifica:
Gli scapoli erano al primo posto
e a loro, in genere, faceva dei prezzi di favore, accontentandosi di
poco.
Seguivano i vedovi e i divorziati
che se la cavavano con poco più degli scapoli.
Al terzo posto ci stavano i
festeggiati degli addii al celibato.
Il più delle volte venivano obbligati dagli amici, oppure
arrivavano talmente
ubriachi da non riuscire a combinare niente. E con loro il prezzo
cominciava a
salire.
Penultimi c’erano i fidanzati;
quelli che simulavano una qualche malattia o fingevano di avere una
cena di
famiglia per evitare di uscire con la propria ragazza. Eleanor aveva
imparato a
riconoscerli. Portavano quasi sempre un anello d’argento,
probabilmente
identico a quello della loro dolce ed ingenua metà; erano
sempre ben vestiti e
anche le loro auto erano stranamente ordinate e pulite.
Il tocco di una donna si riconosce ovunque pensava sempre Eleanor.
L’ultimo posto in
classifica era riservato ai
padri di famiglia. Uomini sposati con una moglie e dei bambini, che
uscivano di
casa improvvisando un urgente impegno di lavoro e che invece andavano a
divertirsi con lei. Eleanor li odiava. Il suo prezzo si alzava di molto
fino a
raggiungere cifre a due zeri.
Sapeva di non valerli neanche un
po’, ma sentiva l’irrefrenabile impulso di
vendicare quelle povere famiglie.
Nessuno si era comunque mai lamentato per i suoi prezzi, quindi lei
continuava
con il suo metodo. Chi tradiva andava punito, sia pure nella maniera
più
venale.
Eleanor non aveva mai conosciuto
l’amore. Ne’ da parte dei genitori, ne’
tantomeno dai suoi coetanei. Esisteva
una sola persona che si era
guadagnata il suo affetto e l’unico
sentimento che era in grado di riconoscere era l’odio che
provava
indistintamente per ogni cosa.
Era rimasta bambina per troppo
poco tempo. Aveva perso la sua purezza il giorno del suo dodicesimo
compleanno,
nell’istituto dove era cresciuta dopo la morte di sua madre,
tradita da una
delle poche persone di cui aveva imparato a fidarsi dopo anni di
silenzioso
isolamento.
Di sogni Eleanor ne aveva tanti, non
differenti da quelli di una qualsiasi
ragazza della sua età, ma in cuor suo sapeva che sarebbe
rimasta a vagare per
sempre in quell’oscuro incubo che era la sua vita. Punti di
luce non ce n’erano
e i suoi sogni non erano altro che crudeli illusioni alle quali
raramente si
lasciava andare
Continuò ad attendere in silenzio
appoggiata al lampione, volgendo lo sguardo al cielo alla ricerca della
luna,
occultata da una spessa coltre di smog. Cercò la
rassicurante presenza delle
stelle, ma era estremamente raro riuscire ad individuarle dal momento
che
rimanevano eclissate dalle forti ed invadenti illuminazioni urbane. In
testa
aveva ancora quella vecchia canzone dei Dire Straits che
l’aveva difesa dalle
malignità delle altre ragazze e che continuava ad intonare
sottovoce.
Rimase accecata per qualche
istante da un paio di abbaglianti che si fermarono proprio
davanti a lei. Sospirò con pacata rassegnazione quando
intravide il guidatore
sporgersi fino ad aprire la portiera del passeggero. Una scena a cui
aveva
assistito e preso parte un’infinità di volte, ma
che le procurava sempre una
fastidiosa nausea accompagnata da una crescente sensazione di panico.
Le altre ragazze in genere si
avvicinavano lentamente e stuzzicavano i clienti con parole e mosse ben
studiate. Li riempivano di sorrisi e lusinghe nel tentativo di ottenere
un
piccolo extra in denaro. Funzionava sempre, ma Eleanor era diversa
dalle altre.
Lei non sorrideva mai. Niente
moine o movimenti adescanti del proprio corpo. Lei era fredda,
distaccata e gli
sguardi che riservava agli uomini che la sceglievano non erano
ne’ dolci ne’
suadenti, ma duri e colmi di disgusto.
Probabilmente era proprio per
questo che lei piaceva così tanto ai suoi clienti. Loro
sapevano bene che
dietro agli atteggiamenti gentili e ammalianti delle altre ragazze
c’erano ben
altri fini. Sembrava proprio che la schiettezza di Eleanor li
affascinasse
molto più che tutti quei falsi sorrisi e alla fine, anche
lei otteneva sempre
un extra.
Chiuse gli occhi per il volgere
di un istante sperando ardentemente che, una volta riaperti,
quell’auto non si
trovasse più lì. Pregò che si fosse
trattato della solita allucinazione che la
colpiva anche in pieno giorno, ogni talvolta che una macchina si
fermava vicino
a lei. Il rombo del motore, lo stridio dei freni, i fari accecanti, il
cigolio
di una portiera aperta … immagini e rumori capaci di
mandarla in paranoia. Ne
era perseguitata sia di giorno che di notte. Ma quella,
sfortunatamente, non
era affatto un’allucinazione. Quell’auto era ancora
lì quando Eleanor riaprì
gli occhi e l’uomo alla guida sembrava essersi fatto
piuttosto impaziente.
Suonò il clacson un paio di volte per sollecitarla a
raggiungerlo.
Eleanor sbuffò infastidita e, con
la fronte imperlata di sudore e lo stomaco rivoltato, raggiunse
l’automobile.
Salì in assoluto silenzio, trasformandosi
nell’istante stesso in cui toccò il
sedile, in una bambola. Lei preferiva definirsi un guscio vuoto, ma
l’idea
della bambola rendeva meglio la sua condizione.
Eleanor non saliva sull’auto,
rimaneva al sicuro sul marciapiede, sotto al lampione, con gli occhi
rivolti al
cielo. Era il suo corpo che si allontanava con quell’uomo,
nient’altro. Un
corpo da usare e con cui giocare finchè lui lo avesse
ritenuto necessario. Lei
era il suo giocattolo adesso; era la sua bambola. Ma la vera Eleanor
era ancora
davanti alla fermata del bus, con la mente invasa dal ritornello di una
vecchia
canzone e lo sguardo impegnato a cercare le stelle.
Quella
notte, quattro portiere
d’auto si aprirono per Eleanor. Due scapoli, un fidanzato e
un vecchio vedovo
per un totale di duecentocinquanta dollari. Somma sufficiente per
pagare
l’affitto di casa e comprarsi da mangiare.
Sperava di riuscire a racimolare
qualcosa di più, dal momento che aveva altri tre mesi
arretrati d’affitto da
pagare e il suo padrone di casa si stava facendo davvero intrattabile.
Ma adesso
la bambola era tornata ad avere un’anima. Per quella notte
Eleanor aveva smesso
di essere un giocattolo. Non le importava cosa sarebbe accaduto. Nessun
corpo
estraneo l’avrebbe più profanata per le successive
ventiquattro ore. Fino ad
allora, tutto sarebbe andato bene. Nulla poteva spaventarla, nemmeno
quel
vecchio, grasso e pervertito del suo padrone di casa.
Mise le ultime banconote
guadagnate nella tasca interna della sua borsa, assieme alle altre, e
si
allontanò dalla fermata dell’autobus, diretta alla
metropolitana.
Stava attraversando nuovamente il
parco quando i primi timidi raggi del sole si stavano facendo largo tra
l’oscurità della notte.
Un elegante orologio in ferro
battuto posto accanto al sentiero che stava percorrendo segnava le
cinque e un
quarto del mattino. Troppo presto per chiunque, molto tardi per lei.
Eleanor preferiva rientrare a
casa prima che la città si svegliasse. Detestava avere
troppa gente intorno e,
se poteva, evitava di uscire di giorno. In genere, rientrava sempre
intorno
alle quattro, ma quella notte aveva iniziato a lavorare tardi e la sua
solita
tabella di marcia era saltata.
S’affrettò a
raggiungere l’uscita del parco e corse fino
alla metropolitana, sperando di non dover incontrare già i
primi pendolari del
mattino. Scese
velocemente le scale e
corse fino al suo binario.
Fortunatamente, la stazione era
deserta. Gli unici esseri viventi presenti erano il solito barbone
ubriaco
steso a terra nell’ angolo accanto al distributore di bibite,
e un piccione che
becchettava minuziosamente il perimetro attorno al cestino
dell’immondizia.
L’attesa fu breve. Il convoglio
arrivò in pochi minuti, accompagnato dal solito rumore
assordante. Il barbone
si destò imprecando con la voce impastata dalla sbornia e
dal brusco risveglio.
Eleanor salì e andò immediatamente a sedersi di
fronte alla porta. Sospirò,
finalmente rilassata. Prese i soldi dalla tasca interna della sua borsa
e se li
infilò dentro alla scarpa destra. Dopodichè
nascose la borsa dietro la schiena.
Un gesto meccanico che compiva ogni volta che
prendeva un mezzo pubblico. I malintenzionati erano attirati da una
ragazza
sola che prendeva la metropolitana a quell’ora del mattino,
quanto api con il
miele, ma di certo non si sarebbero mai sognati di scipparle le scarpe.
Un
semplicissimo ed efficace stratagemma che le aveva suggerito un suo
vecchio
amico all’Istituto. Fatto questo, allungò una mano
dietro alla schiena per
prelevare dalla borsa la sua felpa, ovviamente nera, e la
indossò.
Chiuse gli occhi e si abbandonò
sul sedile con un’agognata serenità.
“ Dovresti guardarti un po’ in giro prima di compiere simili gesti. “
Quella
voce estranea ebbe lo
stesso effetto di una pugnalata al petto per Eleanor. Il suo corpo
s’irrigidì,
gli occhi si spalancarono ed ecco nuovamente l’ansia, la
paura e la tensione
invadere il suo cuore con lo stesso effetto di una macchia
d’olio.
Cercando di non lasciare
trapelare il suo reale stato d’animo, Eleanor si
sforzò di sostenere lo sguardo
dell’individuo che le stava di fronte.
Era un ragazzo dai capelli scuri,
probabilmente più grande di lei di qualche anno. Stava
seduto sul sedile
accanto alla porta ed Eleanor, entrando frettolosamente e pensando
unicamente
ai soldi da nascondere, non si era minimamente accorta della sua
presenza.
No! No, dannazione! No, no, no!
Eleanor
si appiattì più che potè
contro il proprio sedile, nell’inutile tentativo di difendere
la borsa. Si
sedette poi a gambe incrociate per proteggere, per quanto possibile, i
suoi
vecchi e logori anfibi neri, in quel momento preziosi e vulnerabili
quanto una
cassaforte aperta.
Il ragazzo continuava a fissarla
con un’espressione indecifrabile, ma per quanto Eleanor
temesse il contrario,
non sembrava avere cattive intenzioni.
Era vestito piuttosto bene e ciò
la tranquillizzò molto. Non aveva l’aspetto di un
comune delinquente che prova
gusto a derubare le ragazze.
Indossava dei jeans neri e scarpe
da ginnastica apparentemente nuove. Entrambi i capi
d’abbigliamento erano
firmati e non sembravano affatto delle imitazioni.
Sopra, portava una felpa grigio scuro con
singolari disegni tribali sulle maniche.
No, decisamente non sembrava un
delinquente. Era a posto! Perlomeno, era stata questa la prima
impressione di
Eleanor.
Forse era semplicemente un
ragazzo che rientrava a casa dopo una notte di baldoria trascorsa con
gli amici
o con la sua ragazza . Forse era venerdì sera…o
forse, no.
Eleanor provò per un attimo una
spiacevole sensazione di smarrimento quando si rese conto di non avere
la più
pallida idea di che giorno fosse. Non era poi così
importante saperlo, ma
perdere la cognizione del tempo era un’esperienza
tutt’altro che gradevole.
Rinunciò a mettere ordine nella
sua mente e tornò a studiare attentamente il ragazzo che le
sedeva di fronte,
osservando ogni suo movimento. Era chiaro che non riusciva a fidarsi
totalmente
di lui, nonostante desiderasse ardentemente il contrario. I vestiti
firmati in
fondo, non dimostravano proprio niente. Poteva anche averli rubati per
quello
che ne sapeva…
Ma all’improvviso, accadde
qualcosa. Eleanor incontrò casualmente il suo sguardo e
tutte le sue difese si
sbriciolarono in un istante.
La paura l’aveva resa
evidentemente cieca, perché fino a quel momento non si era
resa davvero conto
della creatura che aveva davanti.
Una morsa allo stomaco, una
temporanea paralisi in tutto il corpo e il battito cardiaco che
accelerava ad
ogni secondo. Un improvviso e totalmente sconosciuto senso di calore
sulle
guance la invase. Eleanor non seppe riconoscere nessuna delle
sensazioni che la
stavano travolgendo, l’unica cosa che le appariva chiara e
cristallina era che
quel ragazzo era ciò che di più bello avesse mai
visto.
I suoi capelli erano neri come la
notte, volutamente spettinati o forse, vittime del suo presumibile
temperamento
disordinato.
La sua pelle era candida quasi
quanto quella di Eleanor. Le sue labbra erano piene ed invitanti, ma
ciò che
più la colpì furono i suoi occhi.
Vi si poteva leggere ogni tipo di
emozione. Trasmettevano tristezza, ma anche appagamento. Erano freddi,
eppure
partecipi. Malinconici, ma sereni. Erano due pietre preziose. Due
stelle rubate
al cielo e incastonate nelle sue orbite.
Sembravano azzurri, ma non lo
erano. Un colore indefinibile che fondeva insieme il grigio chiaro, il
blu e il
verde… sembravano di vetro.
Due specchi
d’acqua in cui Eleanor, nonostante i metri che li separavano,
riusciva a
riflettersi.
Un pensiero fugace, ma del tutto
consapevole le attraversò la mente. Un pensiero di cui per
un attimo si
vergognò, ma che esprimeva esattamente ciò che in
quel momento sentiva e
desiderava
… vorrei essere la sua bambola…
Un sentimento nuovo le stava riempiendo anima e corpo. Era stato sufficiente uno scambio di sguardi durato poco più che una manciata di secondi per ottenebrare tutto ciò che l’aveva sempre contraddistinta in quegli anni di solitudine. Un bisogno irrefrenabile di appartenere a qualcuno. Di appartenere a lui.
… potrei essere per sempre la sua bambola se solo me lo chiedesse!
Il
ragazzo distolse lo sguardo da
Eleanor e lei provò quanto di più vicino ci fosse
alla sofferenza. Non voleva
che quegli occhi così straordinariamente belli osservassero
qualcosa che non
fosse lei. Era rimasta accecata. Non avrebbe mai più visto
nessun’altra stella.
Era lui la più luminosa adesso. Nemmeno le luci della
città avrebbero mai
potuto celarla.
Mille domande le riempivano la
mente e le premevano le labbra. Chi era quell’ angelo? Quale
era il suo nome?
Quanti anni aveva? Dove viveva? Da quale livello del paradiso era
caduto?
Perché non me lo chiede?
Mai in vita sua Eleanor aveva pregato che qualcuno le facesse quella domanda che tanti uomini le avevano posto. Ma adesso, avrebbe dato tutti i soldi guadagnati quella notte per diventare il suo giocattolo. Sarebbe stata disposta ad invertire i ruoli e a pagarlo lei stessa.
Oh, ti prego… chiedimelo!
Ebbe
paura dei suoi stessi
pensieri. Lui era un angelo. Chi era lei per cercare di sedurre una
simile
creatura divina? Il Dio a cui lei non aveva mai creduto, si sarebbe di
certo
arrabbiato.
D’un tratto, l’angelo si alzò in
piedi ed Eleanor trattenne il respiro. Il cuore le batteva
così forte che per
un istante temette che lui potesse sentirlo.
Era alto. Se lei fosse stata in
piedi si sarebbe senz’altro appurato che la superava almeno
di una ventina di
centimetri. Eleanor si sentì infinitamente piccola
raggomitola sul sedile con
gli occhi fissi su quell’angelo senza ali. Lo
accompagnò con lo sguardo alla
porta, prima che una dolorosa consapevolezza ebbe il sopravvento su di
lei.
Stava andando via.
Pochi istanti e sarebbe sceso
alla fermata successiva, sparendo per sempre dalla sua vita. Eleanor sentì
il travolgente impulso di
fermarlo, ma l’autocontrollo fu più forte.
Pensò che sarebbe stato bello
seguirlo e salire con lui al cielo, ma non ne sarebbe mai stata degna.
Il respiro le si mozzò di nuovo
non appena lo vide voltarsi verso di lei, un attimo prima che la
metropolitana
rallentasse fino a fermarsi.
“ La prossima volta controlla che non ci sia nessuno. “
La sua voce era calda e avvolgente, un suono di cui Eleanor avrebbe potuto inebriarsi per il resto della sua esistenza. Si godette i suoi occhi stupendi per quegli ultimi istanti, marchiandoli a fuoco nella sua mente.
“ Sai, a quest'ora si possono fare incontri molto spiacevoli… Stai più attenta! “
Eleanor,
incapace di parlare,
annuì soltanto. Avrebbe voluto ringraziarlo e scusarsi per
averlo scambiato per
un comune e volgare ladruncolo, ma la sua paralisi temporanea non era
ancora
giunta a termine. Ogni suono e ogni parola che avrebbe voluto
rivolgergli,
moriva nella sua gola prima di riuscire a
raggiungere le labbra.
Lui si voltò, si calò sulla testa
il cappuccio della felpa e appena la porta automatica si
aprì, scese.
Eleanor allungò il collo per
guardarlo mentre si allontanava dalla banchina del binario, con le mani
in
tasca e l’andatura lenta. Quasi si aspettava di vedere sul
serio un paio di
grandi ali bianche levarsi dalla sua schiena, ma sfortunatamente lui
sparì
troppo in fretta per poterlo accertare.
Il cuore di Eleanor riprese a
battere normalmente, il corpo riacquistò
sensibilità e il respiro si
regolarizzò. Fu un sollievo, ma anche una sofferenza
infinita. Per la prima
volta, Eleanor conobbe il dolore causato dalla separazione. Lo aveva
già
testato una volta quando sua madre era morta, ma questo aveva un altro
sapore.
Era più dolce. Era qualcosa che la faceva sentire completa,
ma che allo stesso
tempo la lasciava come in sospeso. A sua madre aveva detto addio,
invece con
lui era stato semplicemente un arrivederci.
La sola idea di avere la
possibilità di rivederlo la rendeva elettrizzata ed inquieta
al tempo stesso.
Era una sensazione forte; un piacevole malessere che non
l’avrebbe abbandonata
fino al prossimo incontro. Eleanor aveva capito che non era un
delinquente, ma
nonostante ciò, quell’angelo l’aveva
comunque derubata! Si era portato via una
parte di lei e l’unico modo per riaverla indietro era
ritrovarlo. D’ora in
avanti, avrebbe vissuto solo nell’attesa di quel momento.
***
Ok,
ok! Forse a
qualcuno questa storia ricorderà qualcosa, soprattutto
l'inizio! Ci penso io a chiarirvi le idee! Avevo pubblicato questa fic
lo
scorso autunno - o la scorsa estate, non ricordo con precisione
- con il
titolo "Once Upon a Time... ", ma poi rileggendola non mi convinceva
del tutto. Alla fine, non solo ho cambiato titolo, ma ho anche
apportato
innumerevoli cambiamenti alla trama! Diciamo che avvenimenti
riguardanti
la mia vita personale - che si ritorcono inevitabilmente sul mio modo
di
scrivere - mi hanno convinto all'ennesima ristesura di questa storia.
Credo di averla
migliorata, anche se è presto per dirlo... non lo so...
conoscendomi, la
cambierò ogni volta che la rileggerò. E'
più forte di me, ragion per cui
eviterò con tutte le mie forze di leggerla troppo. Spero
quindi che perdoniate
gli eventuali - e sempre presenti - errori di battitura e i
maledettissimi - e
incubi personali della sottoscritta - errori di grammatica.
E ora la domanda chiave:
E' il caso che mi dia al giardinaggio anzichè alla
scrittura?
Forse il fatto che nulla di quello che scrivo mi convince è
perchè sono negata!
E' solo il primo capitolo, ma a me ancora non piace del tutto... -_-'
... sigh,
sono senza speranze... cmq qualche commentino sarebbe gradito, ma lungi
da me
l'obbligarvi ... però se non sapete cosa fare... se vi
annoiate o che so io... U.U
Beh, alla
prossima! (speriamo)
Ayleen^^
P.S
Anche
l'ippica non sarebbe male! Oppure
il combattimento tra galli... si, perchè no!?
-.-'''
O la numismatica! Le collezioni di farfalle, oppure di minerali!
L'osservazione
degli uccelli (XD oddio!!! qui si cade sul malizioso... la smetto che
è
meglio!)
Ah! Altra cosa importante!
Chiedo a tutti quelli che per caso hanno letto la mia vecchia "Once
Upon a
Time" di dimenticarla completamente. I personaggi sono gli stessi, ma
la
vicenda è un pochino cambiata! ^^ ... potrete mai
perdonarmi?????
P.S.2
Aggiornerò
una volta a settimana, quindi
evitate di fare commenti del tipo "aggiorna il più presto
possibile"
e simili, ok?? Lo farò al mercoledì, promesso!
Mai mettere fretta ad
un'aspirante scrittrice, specie se insicura come me ^^'.
<
è Eleanor da cantata canzone>"Romeo
and Juliet" dei Dire Straits. >