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Autore: Ayleen    10/10/2008    7 recensioni
"L'amore è malvagio. L'amore è crudele. L'amore è meschino.  Sfugge al nostro controllo e noi non possiamo fare altro che piegarci alla sua volontà."
Dedicata a chi crede che l'amore sia soprattutto sofferenza ...
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOLO UN PAIO DALI

 

 

CAPITOLO UNO

Una bambola

 

Caro Diario,

Il solo pensiero mi fa sorridere, ma ricordo ancora i tempi in cui persino una come me credeva alle favole!
Mamma me le raccontava tutte le sere prima di andare a dormire e io non vedevo l'ora che arrivasse quel momento della giornata. Era l'unico in cui mamma stava un po' con me.
Principesse, principi azzurri, streghe cattive, draghi feroci... i protagonisti erano sempre gli stessi. S'iniziava con un "c'era una volta" e si finiva con "... e vissero per sempre felici e contenti". Per quanto spaventosi e terrificanti potessero essere i cattivi, io non mi preoccupavo mai perchè sapevo che tutto sarebbe finito nel migliore dei modi : con il principe che salva e sposa la bella principessa.
Nelle favole, contro ogni logica, il bene prevale sempre sul male. Ma la realtà non è così! S'inizia male e si finisce ancora peggio!
Si viene crudelmente strappati dal sicuro e confortevole grembo materno, per poi finire sottoterra a fare da nutrimento ai vermi.  Tuttavia, sono fermamente convinta che quest'ultima fase sia la migliore. Morire è un processo naturale della propria esistenza; è il nostro unico, vero ed autentico scopo. Perciò, alla domanda "Qual è il senso della vita?", io rispondo "la morte". Non esiste un’altra risposta possibile.
Se gli uomini non avessero la prospettiva della morte davanti a se’, cosa mai potrebbero fare della loro vita? Il detto “vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”, perderebbe ogni suo significato.
Nelle favole che mi raccontava mamma, ricordo che spesso e volentieri s’incontravano creature cosiddette “immortali”. A me non sono mai piaciute un granché. Le trovavo completamente inutili. Ed è esattamente così che sarebbe la vita senza la morte. inutile e vuota!
A volte provo ad immaginare come sarà la mia di morte. Chissà in che modo uscirò di scena? Chissà se ci sarà l’applauso dopo che il sipario verrà calato. Una cosa è certa; niente repliche!
Non so per quale motivo, ma non riesco assolutamente ad immaginarmi vecchia. Ci ho provato innumerevoli volte, ma è qualcosa che la mia mente non riesce proprio ad accettare. Per questo ho sempre la costante sensazione che morirò giovane. Non che questo sia un problema per me. L’idea di morire vecchia, devastata dal tempo, in un letto d’ospedale, circondata da parenti avidi e ingordi, non mi alletta per niente.
Morire presto non mi spaventa, anche perché io non vivo in una favola. La mia storia potrebbe iniziare con “C’era una volta …”, ma dubito fortemente che arriverà il principe azzurro a salvarmi. Sono una principessa senza castello e senza corona. A chi importa se vivrò mai felice e contenta?

 

Eleanor

 

Eleanor chiuse il suo diario e lo infilò dentro alla borsa a tracolla. Rimase ancora qualche secondo seduta su quella scomoda e fredda panchina di metallo, chiudendo gli occhi per un attimo. Lanciò svogliatamente un’occhiata all’orologio davanti all’ingresso della metropolitana. Segnava le due e mezza di notte.
Era in ritardo. Probabilmente,  la concorrenza l'aveva già preceduta da un bel pezzo, ma doveva lo stesso andare. Benché non volesse. Nonostante preferisse affogare tutta la notte nel proprio dolore. Sebbene la sola idea le desse il voltastomaco. Non aveva scelta. Doveva andare!
Si alzò in piedi e, con gli occhi fissi a terra, varcò i cancelli del parco. A quell'ora di notte era deserto, cupo, isolato dal mondo; per questo a lei piaceva tanto.
Adorava rifugiarsi lì. Era l’unico luogo in cui riusciva a rilassarsi. Ogni tanto qualche tizio non proprio affidabile cercava di abbordarla, ma lei riusciva sempre a cavarsela semplicemente con le parole.
Qualche volta si sentivano dei gemiti provenienti da dietro i cespugli o dalle auto parcheggiate tra gli alberi che, assieme ai versi dei grilli e delle civette, davano vita ad un armonioso concerto notturno. Una sorta di colonna sonora. 
Eleanor attraversò il parco più velocemente di quanto in realtà volesse e, una volta uscita, continuò lungo un marciapiede, diretta ad una fermata dell'autobus poco distante.
Incontrò alcune sue colleghe  lungo il cammino che si limitarono a guardarla con disprezzo  dall'alto in basso.
Farsi delle amiche era impossibile facendo il suo mestiere, ma la cosa non la toccava minimamente. In fondo, la solitudine era l’ultimo dei suoi problemi.
Eleanor aveva diciannove anni da poco compiuti. Da circa tre viveva da sola, completamente abbandonata a se stessa. Aveva i capelli neri che le toccavano le spalle lisci come la seta. La sua pelle era candida, un po' troppo per i suoi gusti.
I suoi occhi erano spenti ed inespressivi, a lei piaceva paragonarli al colore dell’oceano, anche se il mare non lo aveva mai visto. Era alta, slanciata, con le forme giuste. Piaceva molto agli uomini... agli uomini di tutte le età. Per questo non aveva amiche.
Si vestiva sempre di nero. Odiava i colori e quella sera non era certamente in vena di cambiamenti:
Corsetto nero eccessivamente scollato, una minigonna dello stesso colore, delle vecchie calze a rete strappate un po' ovunque, un paio di anfibi decisamente poco femminili e guanti di lana senza dita, anch'essi neri. Anche la sua inseparabile borsa era nera.  Così come il suo umore.
Quel colore aveva sempre fatto parte di lei e la gente la giudicava per questo.
Le signore anziane, quando la vedevano passare, si facevano immediatamente il segno della croce, quasi vedessero il demonio. I bambini la guardavano incuriositi, le mamme li allontanavano. I ragazzi e gli uomini adulti la osservavano, lasciandosi andare ad ogni più perversa fantasia. Le ragazze d'altro canto, la fissavano con astio. Le parlavano alle spalle, appioppandole quel nomignolo che nessuna donna vorrebbe mai sentirsi dire.
Ma ad Eleanor non importavano i pregiudizi della gente. Lei sapeva come scappare agli sguardi sentenziosi che tutti le riservavano. La musica era la sua arma, la sua unica difesa. Si metteva a cantare. Non si faceva dei problemi. Lo faceva a voce alta, in mezzo alla strada, senza curarsi dei pensieri degli altri.
La bella voce era forse la sua unica qualità e le piaceva mostrarla a tutti.
Lo fece anche quella notte, quando sentì una delle sue colleghe chiederle acidamente che aria tirasse nell'oltre tomba. Eleanor chiuse gli occhi e iniziò a cantare:

“A love struck Romeo sings a street suss serenade.
Laying everybody low  with a love song that he made…”

Sentì alcune ragazze ridacchiare al suo passaggio, compresa quella che le aveva rivolto la parola, ma non si fermò.
Per lei, la musica aveva il potere di abbattere le barriere temporali e di farla tornare indietro negli anni, quando ancora la sua vita non era un vero e proprio inferno. Ogni canzone aveva acclusa un’immagine ben precisa appartenente ad un periodo ormai passato.
Quando cantava, Eleanor si distaccava dal mondo reale e si rifugiava nei propri ricordi. In quel momento, c’era una sola immagine che le riempiva la mente. Quella di sua madre, seduta sul divano della loro vecchia casa che rattoppava per l’ennesima volta i suoi pantaloni, intonando quella stessa canzone. Si rivide bambina, accovacciata sul tappeto del salotto mentre la fissava con occhi adoranti. Forse immeritatamente adoranti …

"… Finds a convenient streetlight steps out of the shade.
Says something like you and me babe how about it? ”

Una volta tornata nel mondo del presente e allontanatasi dalle altre ragazze, si appoggiò al lampione posto accanto alla fermata del bus e attese. Aspettò che qualche vecchio in preda a strane voglie si avvicinasse e che rendesse ogni propria più intima e viziosa fantasticheria reale.
A lei non importava ciò che le avrebbero fatto. Non gli interessava sapere a quale immorale gioco l’avrebbero costretta a prendere parte. L’importante era che dopo averla usata ed essersi soddisfatti, la pagassero.
Eleanor, al contrario delle altre ragazze come lei, non aveva un prezzo fisso. Tutto dipendeva dall’uomo che l’avrebbe scelta. Alzava ed abbassava il costo del proprio corpo secondo dei criteri ben precisi. In effetti, aveva una propria classifica:
Gli scapoli erano al primo posto e a loro, in genere, faceva dei prezzi di favore, accontentandosi di poco.
Seguivano i vedovi e i divorziati che se la cavavano con poco più degli scapoli.
Al terzo posto ci stavano i festeggiati degli addii al celibato. Il più delle volte venivano obbligati dagli amici, oppure arrivavano talmente ubriachi da non riuscire a combinare niente. E con loro il prezzo cominciava a salire.
Penultimi c’erano i fidanzati; quelli che simulavano una qualche malattia o fingevano di avere una cena di famiglia per evitare di uscire con la propria ragazza. Eleanor aveva imparato a riconoscerli. Portavano quasi sempre un anello d’argento, probabilmente identico a quello della loro dolce ed ingenua metà; erano sempre ben vestiti e anche le loro auto erano stranamente ordinate e pulite.

Il tocco di una donna si riconosce ovunque pensava sempre Eleanor.

 L’ultimo posto in classifica era riservato ai padri di famiglia. Uomini sposati con una moglie e dei bambini, che uscivano di casa improvvisando un urgente impegno di lavoro e che invece andavano a divertirsi con lei. Eleanor li odiava. Il suo prezzo si alzava di molto fino a raggiungere cifre a due zeri.
Sapeva di non valerli neanche un po’, ma sentiva l’irrefrenabile impulso di vendicare quelle povere famiglie. Nessuno si era comunque mai lamentato per i suoi prezzi, quindi lei continuava con il suo metodo. Chi tradiva andava punito, sia pure nella maniera più venale.
Eleanor non aveva mai conosciuto l’amore. Ne’ da parte dei genitori, ne’ tantomeno dai suoi coetanei.  Esisteva una sola persona che si era guadagnata il suo affetto e  l’unico sentimento che era in grado di riconoscere era l’odio che provava indistintamente per ogni cosa.
Era rimasta bambina per troppo poco tempo. Aveva perso la sua purezza il giorno del suo dodicesimo compleanno, nell’istituto dove era cresciuta dopo la morte di sua madre, tradita da una delle poche persone di cui aveva imparato a fidarsi dopo anni di silenzioso isolamento.
Di sogni Eleanor ne aveva tanti,  non differenti da quelli di una qualsiasi ragazza della sua età, ma in cuor suo sapeva che sarebbe rimasta a vagare per sempre in quell’oscuro incubo che era la sua vita. Punti di luce non ce n’erano e i suoi sogni non erano altro che crudeli illusioni alle quali raramente si lasciava andare
Continuò ad attendere in silenzio appoggiata al lampione, volgendo lo sguardo al cielo alla ricerca della luna, occultata da una spessa coltre di smog. Cercò la rassicurante presenza delle stelle, ma era estremamente raro riuscire ad individuarle dal momento che rimanevano eclissate dalle forti ed invadenti illuminazioni urbane. In testa aveva ancora quella vecchia canzone dei Dire Straits che l’aveva difesa dalle malignità delle altre ragazze e che continuava ad intonare sottovoce.
Rimase accecata per qualche istante da un paio di abbaglianti che si fermarono proprio davanti a lei. Sospirò con pacata rassegnazione quando intravide il guidatore sporgersi fino ad aprire la portiera del passeggero. Una scena a cui aveva assistito e preso parte un’infinità di volte, ma che le procurava sempre una fastidiosa nausea accompagnata da una crescente sensazione di panico.
Le altre ragazze in genere si avvicinavano lentamente e stuzzicavano i clienti con parole e mosse ben studiate. Li riempivano di sorrisi e lusinghe nel tentativo di ottenere un piccolo extra in denaro. Funzionava sempre, ma Eleanor era diversa dalle altre.
Lei non sorrideva mai. Niente moine o movimenti adescanti del proprio corpo. Lei era fredda, distaccata e gli sguardi che riservava agli uomini che la sceglievano non erano ne’ dolci ne’ suadenti, ma duri e colmi di disgusto.
Probabilmente era proprio per questo che lei piaceva così tanto ai suoi clienti. Loro sapevano bene che dietro agli atteggiamenti gentili e ammalianti delle altre ragazze c’erano ben altri fini. Sembrava proprio che la schiettezza di Eleanor li affascinasse molto più che tutti quei falsi sorrisi e alla fine, anche lei otteneva sempre un extra.
Chiuse gli occhi per il volgere di un istante sperando ardentemente che, una volta riaperti, quell’auto non si trovasse più lì. Pregò che si fosse trattato della solita allucinazione che la colpiva anche in pieno giorno, ogni talvolta che una macchina si fermava vicino a lei. Il rombo del motore, lo stridio dei freni, i fari accecanti, il cigolio di una portiera aperta … immagini e rumori capaci di mandarla in paranoia. Ne era perseguitata sia di giorno che di notte. Ma quella, sfortunatamente, non era affatto un’allucinazione. Quell’auto era ancora lì quando Eleanor riaprì gli occhi e l’uomo alla guida sembrava essersi fatto piuttosto impaziente. Suonò il clacson un paio di volte per sollecitarla a raggiungerlo.
Eleanor sbuffò infastidita e, con la fronte imperlata di sudore e lo stomaco rivoltato, raggiunse l’automobile. Salì in assoluto silenzio, trasformandosi nell’istante stesso in cui toccò il sedile, in una bambola. Lei preferiva definirsi un guscio vuoto, ma l’idea della bambola rendeva meglio la sua condizione.
Eleanor non saliva sull’auto, rimaneva al sicuro sul marciapiede, sotto al lampione, con gli occhi rivolti al cielo. Era il suo corpo che si allontanava con quell’uomo, nient’altro. Un corpo da usare e con cui giocare finchè lui lo avesse ritenuto necessario. Lei era il suo giocattolo adesso; era la sua bambola. Ma la vera Eleanor era ancora davanti alla fermata del bus, con la mente invasa dal ritornello di una vecchia canzone e lo sguardo impegnato a cercare le stelle.

 ***

Quella notte, quattro portiere d’auto si aprirono per Eleanor. Due scapoli, un fidanzato e un vecchio vedovo per un totale di duecentocinquanta dollari. Somma sufficiente per pagare l’affitto di casa e comprarsi da mangiare.
Sperava di riuscire a racimolare qualcosa di più, dal momento che aveva altri tre mesi arretrati d’affitto da pagare e il suo padrone di casa si stava facendo davvero intrattabile. Ma adesso la bambola era tornata ad avere un’anima. Per quella notte Eleanor aveva smesso di essere un giocattolo. Non le importava cosa sarebbe accaduto. Nessun corpo estraneo l’avrebbe più profanata per le successive ventiquattro ore. Fino ad allora, tutto sarebbe andato bene. Nulla poteva spaventarla, nemmeno quel vecchio, grasso e pervertito del suo padrone di casa.
Mise le ultime banconote guadagnate nella tasca interna della sua borsa, assieme alle altre, e si allontanò dalla fermata dell’autobus, diretta alla metropolitana.
Stava attraversando nuovamente il parco quando i primi timidi raggi del sole si stavano facendo largo tra l’oscurità della notte.
Un elegante orologio in ferro battuto posto accanto al sentiero che stava percorrendo segnava le cinque e un quarto del mattino. Troppo presto per chiunque, molto tardi per lei.
Eleanor preferiva rientrare a casa prima che la città si svegliasse. Detestava avere troppa gente intorno e, se poteva, evitava di uscire di giorno. In genere, rientrava sempre intorno alle quattro, ma quella notte aveva iniziato a lavorare tardi e la sua solita tabella di marcia era saltata.
S’affrettò  a raggiungere l’uscita del parco e corse fino alla metropolitana, sperando di non dover incontrare già i primi pendolari del mattino.  Scese velocemente le scale e corse fino al suo binario.
Fortunatamente, la stazione era deserta. Gli unici esseri viventi presenti erano il solito barbone ubriaco steso a terra nell’ angolo accanto al distributore di bibite, e un piccione che becchettava minuziosamente il perimetro attorno al cestino dell’immondizia.
L’attesa fu breve. Il convoglio arrivò in pochi minuti, accompagnato dal solito rumore assordante. Il barbone si destò imprecando con la voce impastata dalla sbornia e dal brusco risveglio. Eleanor salì e andò immediatamente a sedersi di fronte alla porta. Sospirò, finalmente rilassata. Prese i soldi dalla tasca interna della sua borsa e se li infilò dentro alla scarpa destra. Dopodichè nascose la borsa dietro la schiena.  Un gesto meccanico che compiva ogni volta che prendeva un mezzo pubblico. I malintenzionati erano attirati da una ragazza sola che prendeva la metropolitana a quell’ora del mattino, quanto api con il miele, ma di certo non si sarebbero mai sognati di scipparle le scarpe. Un semplicissimo ed efficace stratagemma che le aveva suggerito un suo vecchio amico all’Istituto. Fatto questo, allungò una mano dietro alla schiena per prelevare dalla borsa la sua felpa, ovviamente nera, e la indossò.
Chiuse gli occhi e si abbandonò sul sedile con un’agognata serenità.

“ Dovresti guardarti un po’ in giro prima di compiere simili gesti. “

Quella voce estranea ebbe lo stesso effetto di una pugnalata al petto per Eleanor. Il suo corpo s’irrigidì, gli occhi si spalancarono ed ecco nuovamente l’ansia, la paura e la tensione invadere il suo cuore con lo stesso effetto di una macchia d’olio.
Cercando di non lasciare trapelare il suo reale stato d’animo, Eleanor si sforzò di sostenere lo sguardo dell’individuo che le stava di fronte.
Era un ragazzo dai capelli scuri, probabilmente più grande di lei di qualche anno. Stava seduto sul sedile accanto alla porta ed Eleanor, entrando frettolosamente e pensando unicamente ai soldi da nascondere, non si era minimamente accorta della sua presenza.

No! No, dannazione! No, no, no!

Eleanor si appiattì più che potè contro il proprio sedile, nell’inutile tentativo di difendere la borsa. Si sedette poi a gambe incrociate per proteggere, per quanto possibile, i suoi vecchi e logori anfibi neri, in quel momento preziosi e vulnerabili quanto una cassaforte aperta.
Il ragazzo continuava a fissarla con un’espressione indecifrabile, ma per quanto Eleanor temesse il contrario, non sembrava avere cattive intenzioni.
Era vestito piuttosto bene e ciò la tranquillizzò molto. Non aveva l’aspetto di un comune delinquente che prova gusto a derubare le ragazze.
Indossava dei jeans neri e scarpe da ginnastica apparentemente nuove. Entrambi i capi d’abbigliamento erano firmati e non sembravano affatto delle imitazioni.  Sopra, portava una felpa grigio scuro con singolari disegni tribali sulle maniche.
No, decisamente non sembrava un delinquente. Era a posto! Perlomeno, era stata questa la prima impressione di Eleanor.
Forse era semplicemente un ragazzo che rientrava a casa dopo una notte di baldoria trascorsa con gli amici o con la sua ragazza . Forse era venerdì sera…o forse, no.
Eleanor provò per un attimo una spiacevole sensazione di smarrimento quando si rese conto di non avere la più pallida idea di che giorno fosse. Non era poi così importante saperlo, ma perdere la cognizione del tempo era un’esperienza tutt’altro che gradevole.
Rinunciò a mettere ordine nella sua mente e tornò a studiare attentamente il ragazzo che le sedeva di fronte, osservando ogni suo movimento. Era chiaro che non riusciva a fidarsi totalmente di lui, nonostante desiderasse ardentemente il contrario. I vestiti firmati in fondo, non dimostravano proprio niente. Poteva anche averli rubati per quello che ne sapeva…
Ma all’improvviso, accadde qualcosa. Eleanor incontrò casualmente il suo sguardo e tutte le sue difese si sbriciolarono in un istante.
La paura l’aveva resa evidentemente cieca, perché fino a quel momento non si era resa davvero conto della creatura che aveva davanti.
Una morsa allo stomaco, una temporanea paralisi in tutto il corpo e il battito cardiaco che accelerava ad ogni secondo. Un improvviso e totalmente sconosciuto senso di calore sulle guance la invase. Eleanor non seppe riconoscere nessuna delle sensazioni che la stavano travolgendo, l’unica cosa che le appariva chiara e cristallina era che quel ragazzo era ciò che di più bello avesse mai visto. 
I suoi capelli erano neri come la notte, volutamente spettinati o forse, vittime del suo presumibile temperamento disordinato.
La sua pelle era candida quasi quanto quella di Eleanor. Le sue labbra erano piene ed invitanti, ma ciò che più la colpì furono i suoi occhi.
Vi si poteva leggere ogni tipo di emozione. Trasmettevano tristezza, ma anche appagamento. Erano freddi, eppure partecipi. Malinconici, ma sereni. Erano due pietre preziose. Due stelle rubate al cielo e incastonate nelle sue orbite.
Sembravano azzurri, ma non lo erano. Un colore indefinibile che fondeva insieme il grigio chiaro, il blu e il verde… sembravano di vetro.  Due specchi d’acqua in cui Eleanor, nonostante i metri che li separavano, riusciva a riflettersi. 
Un pensiero fugace, ma del tutto consapevole le attraversò la mente. Un pensiero di cui per un attimo si vergognò, ma che esprimeva esattamente ciò che in quel momento sentiva e desiderava   

… vorrei essere la sua bambola…

Un sentimento nuovo le stava riempiendo anima e corpo. Era stato sufficiente uno scambio di sguardi durato poco più che una manciata di secondi per ottenebrare tutto ciò che l’aveva sempre contraddistinta in quegli anni di solitudine. Un bisogno irrefrenabile di appartenere a qualcuno. Di appartenere a lui. 

… potrei essere per sempre la sua bambola se solo me lo chiedesse!

Il ragazzo distolse lo sguardo da Eleanor e lei provò quanto di più vicino ci fosse alla sofferenza. Non voleva che quegli occhi così straordinariamente belli osservassero qualcosa che non fosse lei. Era rimasta accecata. Non avrebbe mai più visto nessun’altra stella. Era lui la più luminosa adesso. Nemmeno le luci della città avrebbero mai potuto celarla.
Mille domande le riempivano la mente e le premevano le labbra. Chi era quell’ angelo? Quale era il suo nome? Quanti anni aveva? Dove viveva? Da quale livello del paradiso era caduto?

Perché non me lo chiede? 

Mai in vita sua Eleanor aveva pregato che qualcuno le facesse quella domanda che tanti uomini le avevano posto. Ma adesso, avrebbe dato tutti i soldi guadagnati quella notte per diventare il suo giocattolo. Sarebbe stata disposta ad invertire i ruoli e a pagarlo lei stessa.

Oh, ti prego… chiedimelo!

Ebbe paura dei suoi stessi pensieri. Lui era un angelo. Chi era lei per cercare di sedurre una simile creatura divina? Il Dio a cui lei non aveva mai creduto, si sarebbe di certo arrabbiato.
D’un tratto, l’angelo si alzò in piedi ed Eleanor trattenne il respiro. Il cuore le batteva così forte che per un istante temette che lui potesse sentirlo. 
Era alto. Se lei fosse stata in piedi si sarebbe senz’altro appurato che la superava almeno di una ventina di centimetri. Eleanor si sentì infinitamente piccola raggomitola sul sedile con gli occhi fissi su quell’angelo senza ali. Lo accompagnò con lo sguardo alla porta, prima che una dolorosa consapevolezza ebbe il sopravvento su di lei. Stava andando via.
Pochi istanti e sarebbe sceso alla fermata successiva, sparendo per sempre dalla sua vita.  Eleanor sentì il travolgente impulso di fermarlo, ma l’autocontrollo fu più forte. Pensò che sarebbe stato bello seguirlo e salire con lui al cielo, ma non ne sarebbe mai stata degna.
Il respiro le si mozzò di nuovo non appena lo vide voltarsi verso di lei, un attimo prima che la metropolitana rallentasse fino a fermarsi.

“ La prossima volta controlla che non ci sia nessuno. “

La sua voce era calda e avvolgente, un suono di cui Eleanor avrebbe potuto inebriarsi per il resto della sua esistenza. Si godette i suoi occhi stupendi per quegli ultimi istanti, marchiandoli a fuoco nella sua mente. 

“ Sai, a quest'ora si possono fare incontri molto spiacevoli… Stai più attenta! “

Eleanor, incapace di parlare, annuì soltanto. Avrebbe voluto ringraziarlo e scusarsi per averlo scambiato per un comune e volgare ladruncolo, ma la sua paralisi temporanea non era ancora giunta a termine. Ogni suono e ogni parola che avrebbe voluto rivolgergli, moriva nella sua gola prima di riuscire a  raggiungere le labbra.
Lui si voltò, si calò sulla testa il cappuccio della felpa e appena la porta automatica si aprì, scese. 
Eleanor allungò il collo per guardarlo mentre si allontanava dalla banchina del binario, con le mani in tasca e l’andatura lenta. Quasi si aspettava di vedere sul serio un paio di grandi ali bianche levarsi dalla sua schiena, ma sfortunatamente lui sparì troppo in fretta per poterlo accertare.
Il cuore di Eleanor riprese a battere normalmente, il corpo riacquistò sensibilità e il respiro si regolarizzò. Fu un sollievo, ma anche una sofferenza infinita. Per la prima volta, Eleanor conobbe il dolore causato dalla separazione. Lo aveva già testato una volta quando sua madre era morta, ma questo aveva un altro sapore. Era più dolce. Era qualcosa che la faceva sentire completa, ma che allo stesso tempo la lasciava come in sospeso. A sua madre aveva detto addio, invece con lui era stato semplicemente un arrivederci.
La sola idea di avere la possibilità di rivederlo la rendeva elettrizzata ed inquieta al tempo stesso. Era una sensazione forte; un piacevole malessere che non l’avrebbe abbandonata fino al prossimo incontro. Eleanor aveva capito che non era un delinquente, ma nonostante ciò, quell’angelo l’aveva comunque derubata! Si era portato via una parte di lei e l’unico modo per riaverla indietro era ritrovarlo. D’ora in avanti, avrebbe vissuto solo nell’attesa di quel momento.

***

Ok, ok!  Forse a qualcuno questa storia ricorderà qualcosa, soprattutto l'inizio! Ci penso io a chiarirvi le idee! Avevo pubblicato questa fic lo scorso autunno - o la scorsa estate, non ricordo con precisione -  con il titolo "Once Upon a Time... ", ma poi rileggendola non mi convinceva del tutto. Alla fine, non solo ho cambiato titolo, ma ho anche apportato innumerevoli cambiamenti alla trama!  Diciamo che avvenimenti riguardanti la mia vita personale - che si ritorcono inevitabilmente sul mio modo di scrivere - mi hanno convinto all'ennesima ristesura di questa storia. Credo di averla migliorata, anche se è presto per dirlo... non lo so... conoscendomi, la cambierò ogni volta che la rileggerò. E' più forte di me, ragion per cui eviterò con tutte le mie forze di leggerla troppo. Spero quindi che perdoniate gli eventuali - e sempre presenti - errori di battitura e i maledettissimi - e incubi personali della sottoscritta - errori di grammatica. 
E ora la domanda chiave: 
E' il caso che mi dia al giardinaggio anzichè alla scrittura? 
Forse il fatto che nulla di quello che scrivo mi convince è perchè sono negata!
E' solo il primo capitolo, ma a me ancora non piace del tutto... -_-' ... sigh, sono senza speranze... cmq qualche commentino sarebbe gradito, ma lungi da me l'obbligarvi ... però se non sapete cosa fare... se vi annoiate o che so io... U.U

Beh, alla prossima! (speriamo)

Ayleen^^

P.S

Anche l'ippica non sarebbe male! Oppure il combattimento tra galli... si, perchè no!? -.-''' 
O la numismatica! Le collezioni di farfalle, oppure di minerali! L'osservazione degli uccelli (XD oddio!!! qui si cade sul malizioso... la smetto che è meglio!)
Ah! Altra cosa importante!
Chiedo a tutti quelli che per caso hanno letto la mia vecchia "Once Upon a Time" di dimenticarla completamente. I personaggi sono gli stessi, ma la vicenda è un pochino cambiata! ^^ ... potrete mai perdonarmi????? 

P.S.2

Aggiornerò una volta a settimana, quindi evitate di fare commenti del tipo "aggiorna il più presto possibile" e simili, ok?? Lo farò al mercoledì, promesso! Mai mettere fretta ad un'aspirante scrittrice, specie se insicura come me ^^'.

< è Eleanor da cantata canzone>"Romeo and Juliet" dei Dire Straits. >

   
 
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