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Autore: _Lalli    19/10/2014    4 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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18. Spie e spionaggio

Dovetti darmi parecchio da fare per convincere l'oste che non mangiavo carne non perché non la volessi ma perché lo speziale mi aveva detto di moderarla a causa del “bambino” che ipoteticamente portavo in grembo.
Era una sciocchezza, ovviamente, e stava in piedi a stento, ma l'uomo finì per stringersi nelle spalle e borbottare un: «Ognuno ha il mestiere suo, sicuramente lo speziale sa quello che fa».
Gli sorrisi candidamente, annuendo con convinzione.
Ma perché gli uomini consideravano la carne una tale prelibatezza? Mangiarla significava fare festa per loro, non capivano quanto fosse terribilmente disgustoso?
E non avevo ancora visto il peggio, perché Durza sembrava condividere quella passione con gli esseri umani e quando la sua porzione arrivò vi si gettò sopra con voracità.
Mentre sorbivo la mia zuppa di verdure, osservai lo Spettro con un moto di disgusto. Stava mangiando con le mani un pezzo di carne untuosa, aveva le dita lorde e il grasso gli gocciolava dal mento. L’odore di cadavere cucinato mi pizzicava il naso fino a darmi la nausea.
«Che schifo!» sibilai. «Ti auguro di morire di gotta».
Durza mi guardò con divertita perplessità. «Mi guarirei, principessa» rispose ridendo. Allungò un pezzo di carne nella mia direzione. «Dovresti assaggiarla, invece».
Indietreggiai, raspando con la sedia sul pavimento e attirando un paio di sguardi di avventori spaventati dal rumore.
«In teoria dovremmo evitare di attirare l'attenzione, Bitr» bisbigliò Durza pianissimo.
Annuii e tornai al mio piatto in silenzio.
            Il proprietario della locanda volle essere pagato in anticipo e lo Spettro gli consegnò il denaro sufficiente a tenere la stanza per una settimana.
Rimasi un po' turbata quando Durza mi spiegò che il nome del locale -
L'Avvoltoio- altro non era che un soprannome popolare per i sacerdoti della religione dell'Helgrind, dovuto alla loro abitudine di vestire sempre di nero.
Più tardi, quando era ormai ora di pranzo, noi avevamo già mangiato da un pezzo e, i pugnali nascosti sotto i mantelli, ci avviammo in direzione opposta alla cattedrale, verso il lago Leona.
Avevamo deciso di cominciare cercando l'uscita di emergenza costituita dalle fognature. Non che l'idea mi entusiasmasse, ma andare direttamente alla cattedrale mi entusiasmava ancora meno, fui anzi felice di averla alle mie spalle.
«Dovremmo trovare una botola per calarci» osservai.
«Già! E la troveremo nei quartieri più malfamati della città» fu l'allegra risposta.
«Credevo che non conoscessi Dras-Leona».
«La conosco molto bene, invece. Diciamo che non ho mai dovuto prendere l'uscita di servizio per andarmene di qui. Ma del resto non ho mai avuto nulla da discutere con i Sacerdoti, mentre questa volta il rischio è molto più alto».
«Eppure sai da dove possiamo entrare nelle fogne».
Sbuffò, si portò una mano al petto ed estrasse una pergamena ripiegata da sotto il mantello.
«Da' un'occhiata» disse porgendomela.
Era una mappa di Dras-Leona, ma decisamente non una mappa convenzionale. In inchiostro rosso erano vergate sottili linee che attraversavano disordinatamente quasi tutta la parte centrale della città, creando una griglia, mentre un'altra più spessa la tagliava in due. Le fognature.
«Come l'hai avuta?» domandai restituendola e nascondendo immediatamente le mani sotto i vestiti. Si gelava.
«Sono pieno di risorse» rispose sorridendo e nascondendola nuovamente.
«Fammi capire: hai la mappa, hai la magia per aprire qualsiasi botola quindi non ti serve una chiave.. che cosa andiamo a fare?»
Schioccò la lingua contro il palato. «Purtroppo sei intelligente. Andiamo ad incontrare una persona che ci spiegherà qualcosa sui Sacerdoti».
«E non potevi dirmelo subito?» La mia voce aveva un'inflessione gelida.
Non mi piaceva che mi si prendesse in giro e Durza lo faceva continuamente.
«Volevo evitare le domande che da qui fino alla meta mi farai» rispose con tono falsamente addolorato.
«Qualcosa del tipo: chi è la persona che andiamo a incontrare? Perché ti aiuta? È l'unica spia che hai qui dentro..?»
«Sì, direi che può bastare».
Passammo per un'ampia piazza, quasi totalmente deserta, occupata al centro da quella che sembrava una grande gogna, ma senza l'albero per le impiccagioni.
«Qui ogni secondo e quarto giorno della settimana si svolge il mercato degli schiavi. Quello che vedi è il palco dove espongono la mercanzia» disse lo Spettro in tono piatto.
Feci un respiro appena più pesante. Sapevo di quell'usanza barbara. Come sapevo anche che buona parte degli uomini venduti erano o surdani colti fuori dai confini; o abitanti del deserto di Hadarac, dove intere tribù venivano catturate con facilità vista la loro disorganizzazione sociale; o anche criminali, ladruncoli e tagliaborse che i nobili tiravano fuori dalle loro prigioni per ricavarne qualcosa.
Talvolta avveniva anche che un mercante caduto in disgrazia venisse sequestrato e venduto insieme alla sua famiglia per saldare debiti rimasti a lungo fermi presso i propri creditori.
Inutile specificare che ero disgustata da quell'istituzione. L'idea che un essere vivente potesse appartenere totalmente ad un altro, essere sottomesso al suo volere senza poter fare nulla, era agghiacciante e spaventosa.
Senza contare che quella sensazione la sentivo un po' mia ogni volta che pensavo ai mesi di prigionia nelle grinfie di Durza. Potevo essere benissimo paragonata ad una schiava liberata dal proprio padrone e la cosa era atrocemente umiliante.
Gettai un'occhiata all'uomo al mio fianco, che del mio aguzzino aveva mantenuto solo gli irritanti modi di fare e l'indole violenta. Non aveva alzato un dito su di me da quando avevamo stretto quel patto e probabilmente non l'avrebbe fatto mai più, ma in quel momento mi sentii invadere dall'irritazione per i pensieri che avevo appena formulato sulla mia schiavitù quindi tornai a guardare davanti a me con stizza, rinunciando anche alle domande che avevo in serbo per lui.
Lo Spettro probabilmente percepì il cambiamento nel mio stato d'animo perché sentii i suoi occhi pungermi la parte del viso rivolta nella sua direzione, ma scelse saggiamente di fare finta di nulla.
            Dras-Leona era una delle più grandi città dell'Impero e una grande città ha sempre grandi ricchezze e grandi miserie racchiuse nelle sue mura. Dopo aver visto le enormi ricchezze dei quartieri alti quella mattina, riscontrai nuovamente il peggio di cui avevo avuto un assaggio la sera precedente.
Più la zona era povera più le case erano alte, marce e traballanti. I crolli dovevano essere all'ordine del giorno e mi ritrovai a chiedermi cosa sarebbe successo se un abitante distratto avesse lasciato cadere una lanterna accesa sul pavimento di legno, nei mesi più caldi e secchi dell'estate.
Una buona metà della città povera sarebbe andata a fuoco prima ancora di riuscire a rendersene conto. Probabilmente le mura interne avrebbero tagliato fuori le fiamme e il resto della città si sarebbe salvata.
Questo pensavo mentre, con il cappuccio calato sul viso e degli odori terribili nelle narici, superavo mendicanti aggressivi e non, bambini cenciosi dallo sguardo astuto -probabilmente piccoli ladruncoli- , uomini ubriachi già a quell'ora del giorno e persone dall'espressione pensierosa e losca. In mezzo a questi elementi spiccava ovviamente il lavoratore onesto e la donna che portava un secchio d'acqua tirandosi dietro il figlioletto di non più di tre primavere.
Durza si fermò davanti ad una porta così malandata che pareva a malapena adatta a chiudere una stalla. Eravamo ormai in prossimità delle mura, esattamente dalla parte opposta del portone da dove eravamo entrati.
Lo Spettro mormorò una parola di potere e aprì la porta, poi mi fece cenno di entrare e insonorizzò la stanza. L'interno era malmesso come l'esterno, c'era uno sgabello, delle assi di legno, delle corde e degli attrezzi sparsi per terra.
Il pavimento era di terra nuda e un odore ancora più terribile di quello che gravava all'esterno riempiva l'aria. Era il tipico odore di.. fogna!
«Intanto che aspettiamo che il mio amico rincasi ti dico un paio di cose sulle fognature» cominciò Durza, tornando a parlare dopo un'eternità di mutismo. «Oltre a puzzare terribilmente, sappi che sono state costruite parecchio tempo fa, quando la città era al massimo dello splendore. I canali sono alti poco più di due iarde e altrettanto larghi nella zona centrale di Dras-Leona e lungo l'asse che porta dai cancelli fino al lago, per il resto sono molto più piccoli, malmessi e sopratutto, in legno. Quindi se devi scomparire in una fogna, fallo nella zona ricca o non ci entreresti neanche. Pochi edifici hanno una latrina, il resto della popolazione usa dei catini, che poi ribalta per strada. Quando piove le strade si lavano e gli scoli portano tutto nel lago, ma in quel momento rischieresti di annegare perché i canali sono gonfi, quindi è meglio evitare. Gli ingressi sono a terra ma ben custoditi, spesso in casa di altre persone. È un provvedimento abbastanza recente, serve ad impedire che la gente si ammassi lì sotto, sopratutto criminali. Ma ci sono persone che con un paio di monete ti faranno passare per l'ingresso che custodiscono».
«Come il tuo “amico”?» chiesi accennando agli attrezzi sparsi a terra.
Durza si accomodò sullo sgabello. «Già. Questo è l'ultimo ingresso disponibile prima che le tubature sfocino nel lago Leona. Ed è qui che io preferirei buttarmi nel caso le cose si mettessero male. Da qui in poi tutti i canali convogliano in uno unico, più largo e dal breve tragitto.»
«C'è un'uscita che porta dentro alla cattedrale?»
Lo spettro fece un ampio sorriso. «Sì».
«Quindi se non arriveremo alla biblioteca con le buone..»
«Lo faremo con le fogne».
Mi scappò una risatina. «Va bene».
«Era una risata quella?» domandò scrutandomi con malizia.
«Più un singhiozzo direi».
«Dovrei fare battute intelligenti più spesso» affermò, tirando nuovamente fuori la mappa delle fognature. «Vieni qui piuttosto, ti faccio vedere quali sono gli ingressi sicuri».
Erano solo quattro. Sparsi un po' ovunque lungo il canale che tagliava la città in due, ed erano tutti nella zona che andava dalla Cattedrale al lago Leona. A detta di Durza, gli abitanti e proprietari delle rispettive case, taverne e armerie, mi avrebbero aiutata senza problemi se avessi messo loro in mano la giusta somma.
Fummo costretti ad aspettare il nostro ospite per qualche ora. Lo Spettro impiegò quel tempo parlandomi di fatti e curiosità riguardo a Dras-Leona, che effettivamente conosceva molto bene. Mi stava parlando della cava di marmo nero dove buona parte degli abitanti di Dras-Leona trovava impiego quando si interruppe all'improvviso e inclinò lateralmente la testa nella sua maniera buffa di ascoltare meglio i suoni.
«Passi decisi nella nostra direzione. Credo che il nostro uomo stia arrivando».
Si accomodò ancora meglio sul basso sgabello e mi fece cenno di stare vicino a lui.
L'uomo che entrò era sulla quarantina, era secco come un manico di scopa e aveva una barba grigia così folta e annodata che sembrava un nido di uccelli.
«Ehi!» esclamò subito. «Che volete qui voi due?» E alzò le mani in segno di resa.
Gli mancavano tre dita della mano destra. Non sapevo quale fosse il lavoro attuale del nostro amico, ma sicuramente doveva aver tagliato parecchie borse in passato. E dovevano averlo beccato qualche volta di troppo.
«Ditolesto?» domandò lo Spettro accennando alla sua mano. «Non hai scelto un così bel soprannome, amico».
L'uomo parve rilassarsi all'improvviso e chiuse la porta dietro di sé. «Che volete da me?» ripeté grattandosi la testa.
«Lavoro per un uomo che ha già chiesto i tuoi servigi in passato. Si fa chiamare Il Ratto».
Ditolesto, o come diavolo si chiamava, si illuminò. «Ah sì, ma certo! L'ultima volta mi aveva mandato una bella bionda però!» E rise sguaiatamente.
Mi irrigidii e, non so per quale motivo, ma pensai subito ad Alba.
«Oggi dovrai accontentarti di me» fu l'incolore replica.
«Va bene, va bene, se mi paghi non c'è problema, no? Cosa vuole Il Ratto stavolta? Altre informazioni da Aberon?»
Faticai parecchio a contenere una mia reazione di fronte a quelle parole. Sapevo che lo spionaggio era un'attività proficua in quel brutto e pericoloso periodo, ma sentirmelo dire in faccia..
«No» lo interruppe Durza e mi parve quasi agitato. «Voglio sapere qualcosa sugli Avvoltoi».
L'uomo si rabbuiò e incrociò le braccia sul petto. «Non so se posso aiutarti. Quasi tutti qui seguono la loro religione, ma nessuno sa davvero qualcosa su quello che fanno. Se vai alle cerimonie li senti cantare e basta ma non ci capisci nulla del loro rito che fanno all'altare. So che per diventare parte della loro religione devi fare un battesimo col sangue, tipo che te lo fanno bere, roba così..»
«Chi ha accesso agli edifici dietro la cattedrale?»
Ditolesto rise di nuovo. «Dietro dici? Forse non sai che quasi tutta la loro roba è
sotto la chiesa».
Durza fischiò ammirato. «E come lo sai?»
«Lo senti dire dappertutto che a volte vengono degli strani rumori dal di sotto. Quando vedi gli avvoltoi te ne accorgi, sono così bianchi che per forza devono stare sottoterra o così pallidi non sono, no? E poi.. non so se c'entra qualcosa, ma una volta ho fatto entrare un gruppo di tizi dal di là». E annuì in direzione di una botola, quella che sicuramente portava alle fognature. «Per me erano dei ribelli perché parlavano di ammazzare qualcuno. Io gli ho dato la mappa, no? Così non si perdono, ma loro non sono mica tornati sai? E volevano andare sotto alla chiesa. Per me si sono fatti ammazzare» concluse in tono quasi confidenziale.
Durza annuì lentamente, composto. «Sai come posso entrare negli edifici sotto la cattedrale senza farmi ammazzare?»
«Mhhh credo che devi diventare uno di loro, no? Così dopo puoi andare dove ti pare. Mi sa che è l'unica cosa che puoi fare».
«Come divento uno di loro?»
«Comincia ad andare alle cerimonie, amico, no? Poi parli con uno dei monaci e chiedi se puoi entrare nel giro».
«Quando ci sono le cerimonie?»
«Tutti i giorni alla mattina presto e alla sera. Tutti possono entrare quindi stai tranquillo».
«Va bene». Durza si alzò in piedi. «Tornerò la prossima settimana, tu raccogli informazioni e se avrai qualche novità saprò come ricompensarti adeguatamente».
Gli posò qualche moneta sul palmo e si avviò alla porta. Lo seguii rapidamente.
«Omaggi al Ratto, amico. Avrò certamente qualche cosa per te la prossima settimana». Con queste parole Ditolesto ci lasciò andare.
«Ratto?» domandai quando fummo a qualche iarda di distanza.
Durza si strinse nelle spalle. «Mi chiamavano così una volta, non mi dispiace come nomignolo. Lo trovo.. azzeccato».
«Così hai delle spie ad Aberon» dissi cambiando bruscamente discorso.
«Tutti hanno spie ad Aberon. I Varden, l'Impero e anche io, sì».
«Se tutte le tue spie sono ridotte così ho paura ad affidarmi alle loro informazioni».
«Sono ridotte così perché non ho una mia catena personale di spie. Vedi l'Impero ha la sua Mano Nera, ad esempio, ma io non posso permettermi che un intero gruppo di persone possa parlare e dire chi è il mandante. Io lavoro nell'ombra, Bitr, ho sempre fatto così e così farò, non sai quanto sia stato
strano avere con me qualcuno che non fossi io, oggi».
Ripensai all'intera conversazione avuta con l'uomo. «Ditolesto ha detto che l'altra volta gli hai mandato una bionda..» mi interruppi, sperando che che Durza terminasse il discorso al posto mio, ma non lo fece. «Era Alba vero?» chiesi alla fine.
Lo Spettro sospirò. «Non era previsto che sentissi quella parte di discorso. Comunque sì, era lei. Ha lavorato anche come spia per me».
«Devo averla sottovalutata parecchio» mi lasciai sfuggire.
Durza si bloccò all'improvviso e gli ero così vicina che urtai contro la sua schiena. Mi guardò da sopra la spalla sinistra e riprese a camminare. «Non credevo che la conoscessi così bene» disse innocentemente, con voce morbida.
La voce suadente da interrogatorio.
Mi costrinsi a non farmi toccare dall'ansia per quello che sarebbe potuto saltare fuori su Alba, lo avrebbe percepito.
«Mi portava i pasti, la vedevo ogni giorno» risposi con calma assoluta. «Però mi sembrava una ragazzina, non mi sarei mai aspettata che facesse la spia per te».
«Ha.. doti nascoste» replicò guardandomi un'ultima volta.
Come l'essere una maga?
«Sa usare molto bene la magia» aggiunse infatti.
Non risposi e per un po' proseguimmo in silenzio.
Fino a quando Durza non si voltò di scatto, mi afferrò per il mantello e mi spinse in uno strettissimo vicolo tra due case.
«Durza che..?»
«Come mai non mi sembri per niente sorpresa dal fatto che Alba sappia usare la magia, piccola Elfa?» ringhiò minacciosamente.
«Lasciami» comandai seccamente, «o mi metto a urlare».
Scoppiò a ridere. «Potrei stuprarti in questo vicolo e nessuno dei grigi passanti che vedi farebbe nulla per fermarmi, anzi, verrebbero probabilmente a reclamare il loro turno. Non siamo tra i bravi Varden o i perfetti elfi, qui siamo nei bassifondi di una città umana, tutto è concesso, fin qui non arriva giustizia».
Non mi dibattei. «Cosa diavolo vuoi?»
«Che tu mi risponda».
Non dovetti fingermi indignata. «Pensi che me ne freghi qualcosa della tua cameriera? Per la miseria Durza, la tua reazione è ridicola».
«Non mentirmi Principessa, non sei abbastanza capace da nascondere la paura».
Strinsi le labbra e guardai un punto indefinito oltre la sua spalla. «Puoi non credermi se vuoi, ma sappiamo entrambi che non sono io quella delle bugie».
Le mie parole parvero non toccarlo affatto. Tuttavia, dopo qualche lungo istante, lasciò andare il mio mantello.
«Sei una mia alleata adesso e non posso farti del male» disse semplicemente.
«Dunque vorresti?» lo provocai aspramente. «Perché se mantenere la parola è un compito troppo difficile per te, me ne farò una ragione e vedrò di trovarmi il più lontano possibile da te quando ti salirà la voglia di uccidermi».
La miglior difesa è l'attacco e il ricordo del suo sguardo predatore davanti alla cattedrale, quella stessa mattina, mi aveva suggerito quelle parole.
«Non ti ucciderò Arya, né ti farò del male. Non è questo che voglio. Hai ragione tu, mi sono comportato da idiota, perdonami».
Ebbi un moto di sincero stupore e scossi la testa, confusa.
Non mi aveva mai chiesto scusa e mai e poi mai avrei pensato di sentire uscire una simile frase da quelle labbra sottili.
Con un mezzo sorriso lo Spettro uscì dal vicolo e si avviò nuovamente verso la nostra locanda.
Mentre camminavamo in silenzio mi sovvenne un pensiero ancora più inquietante: forse ciò che avevo detto lo aveva colpito perché era minacciosamente vero.
            Tornati alla locanda consumammo una cena veloce, poi salimmo in camera.
Ma l'aria in quella stanza era troppo pesante e in più non mi sentivo per niente stanca. Ditolesto mi aveva dato parecchie informazioni su cui ragionare e prima avessimo portato a termine quella missione meglio sarebbe stato per entrambi, quello era certo.
Mi sedetti sul letto e infilai gli stivali.
«Vai da qualche parte, Principessa?» domandò lo Spettro, alzando pigramente gli occhi da pugnale che stava affilando.
«A fare una passeggiata» risposi, vaga.
Durza si allarmò. «Arya sei una donna ed è buio lì fuori, non puoi passeggiare sola per la città come se niente fosse».
Alzai il cappuccio del mantello. «Se solo avessi ancora i pantaloni e la camicia potrei benissimo passare per un uomo, ma mi hai costretto a lasciarli a Gil'ead».
«Già, ho fatto un grande errore» sospirò. «Ma ci tenevo molto a vederti con qualcosa di più scollato di un farsetto di pelle».
Mi voltai e uscii dalla stanza sbattendo la porta, poi corsi rapidamente giù dalle scale.
La voce di Durza mi raggiunse quando ero ormai sulla soglia dell'Avvoltoio.
«Bitr, aspettami!»
Esitai, sopratutto perché ormai gli uomini e donne seduti ai tavoli seguivano con interesse la scena. Probabilmente credevano si trattasse di un litigio tra innamorati.
Lo Spettro scese le scale con l'espressione preoccupata da manuale e corse verso di me.
«Vengo anch'io» sussurrò portando il viso a un palmo dal mio, «almeno saremo in due quando cercheranno di aggredirci in un angolo buio» borbottò.
«D'accordo» dissi semplicemente. E sgusciai fuori nella notte.
Non nevicava, ma come al solito era freddissimo.
«Non ti credevo così irresponsabile» mi rimproverò Durza. «Se qualcuno ci attaccasse saremmo costretti a fare quello che dobbiamo per difenderci e la nostra copertura salterebbe se qualcuno ci vedesse farlo».
Mi incamminai in direzione dei pinnacoli della cattedrale, quasi invisibili nel cielo notturno. «Hai per caso paura, Natt?»
«Non ho paura» ringhiò, «ma non voglio buttare tutto all'aria. È da anni che organizzo piani su piani per tirare quel pazzo giù dal suo trono e non voglio fare passi falsi per colpa dei capricci di una..» si interruppe.
«Di una?»
«Stavo per dire donna, ma una donna sarebbe indubbiamente rimasta nella sua calda stanza a riposarsi, quindi le tue azioni ti escludono dalla categoria. Devi essere un demonio».
«Mi sa che non puoi permetterti di chiamarmi demonio» ribattei.
«Purtroppo hai ragione».
«Non volevo fare una semplice passeggiata» lo informai qualche istante dopo.
«Lo avevo immaginato. Che hai in mente?»
Mi strinsi più vicina a lui in modo da poter sussurrare ancora più piano. «I rumori sotto la cattedrale.. voglio sentire con le mie orecchie».
«Sai qualcosa che io non so sui loro riti?»
Scossi la testa. «So solo che adorano l'Helgrind e i suoi abitanti e che la loro religione è crudele e sanguinosa».
«Non più di quanto ne sappia io, allora. Bene, andiamo pure, ma dovremo cercare un buon nascondiglio da dove ascoltare non visti».
Non eravamo i soli a girare per le strade a quell'ora, tuttavia c'era un relativo silenzio. Solo i richiami delle prostitute risuonavano chiari e netti tra le viuzze, ma nessuno si avvicinò a disturbarci.
Quando raggiungemmo lo spiazzo davanti alla cattedrale vedemmo un fiume di gente fuoriuscire dai tre portoni spalancati.
«La funzione della sera..» mormorai.
«Direi che è appena terminata» concluse Durza per me.
«Quindi temo che non passerebbe inosservato il fatto che andiamo in direzione opposta al flusso» dissi mogia.
«Nascondiamoci in un vicolo e aspettiamo che tutti se ne vadano» rispose lo Spettro prontamente.
«Basterà restare qui immobili, è buio».
Durza si appoggiò con le spalle al cancello della ricca casa dietro di noi «Vediamo di passare inosservati, almeno. Avvicinati».
Lo affiancai e assunsi la sua stessa posizione.
Le dita dello Spettro mi sfiorarono la spalla e poi si arrampicarono sul mio viso.
Mi fulminò un pensiero. «Cosa intendevi con “passare inosservati”?»
Ghignò. «Puoi sempre ritirarti» bisbigliò chinandosi su di me.
Mi sfiorò appena le labbra con le sue. Non reagii in alcun modo, non me ne sentivo in grado. Da un lato avrei voluto schiaffeggiarlo con tutte le mie forze, dall'altro.. ero un po' confusa. Non era minimamente necessario fingere un incontro amoroso per non farci notare, di questo ero sicura, ma del resto stare lì a bighellonare con le mani in mano poteva sembrare sospetto..
Tornò a baciarmi, con più convinzione.
Sollevai una mano, forse per fermarlo, ma me la strinse e la abbassò nuovamente. E io non mi ribellai.
Percepii le sue braccia sfiorarmi i fianchi mentre si appoggiava al cancello alle mie spalle, poi gli occhi mi si socchiusero e, presa dal momentaneo trasporto, posai le mani sul suo torace.
Sentii i suoi muscoli tendersi sotto le mie dita e le sue labbra schiudersi per approfondire il bacio. Lo lasciai fare, fino a che non dimenticai la mia reticenza e mi lasciai trascinare da una sensazione calda e piacevole che scivolò dalla gola al petto come una bevanda magica.
Poi l'improvvisa assenza di suoni mi riscosse e mi dibattei piano per liberarmi.
Gli occhi di Durza si spalancarono, selvaggi e divertiti insieme. Si staccò da me con un mugugno.
Schioccò la lingua contro il palato. «Non male, cominciavo a prenderci gusto».
Anche io. «Sono andati via, Spettro».
«Già, te lo avevo detto che saremmo passati inosservati, dovremmo tenerlo presente come metodo futuro».
«Andiamo» lo liquidai, spostandomi silenziosamente verso la cattedrale e scrollandomi violentemente di dosso le impressioni appena ricevute. Lo Spettro mi seguì.
L'edificio era nero, immerso nel nero del cielo e nell'oscurità della terra. Insomma la sua arzigogolata struttura era a malapena distinguibile, tuttavia i portoni di legno che si aprivano sulle tre navate erano chiaramente chiusi.
«Potrebbe ancora uscire qualcuno» bisbigliò Durza, «togliamoci dall'ingresso».
Scivolammo sul fianco sinistro della costruzione, dove trovammo rifugio appiattendoci tra i contrafforti.
«Senti niente?» mi chiese.
«Non finché parli».
Tacque e rallentò il respiro. Feci lo stesso e chiusi gli occhi per concentrarmi al meglio sui suoni.
Dall'interno venivano alcuni rumori che tuttavia non erano particolarmente allarmanti: uno strisciare di panche, il tintinnio di alcuni piccoli oggetti in metallo. Probabilmente stavano mettendo a posto l'occorrente usato per il rito.
Poi sentii le voci.
«Avremo la veglia fino a mezzanotte oggi» disse una voce cavernosa, indubbiamente maschile.
«Un altro novizio?» rispose una più acuta, ma sempre maschile, di un giovane.
«Esattamente. Deve ancora seguire la Purificazione e poi fare la prima Donazione nell'Arca».
«E la prima Rinuncia? La farà all'alba?»
«No, credo che si farà tra un paio di giorni. È un peccato che voglia fare il praticante, era abbastanza forte da entrare nel corpo delle guardie».
«Avete provato a convincerlo?»
«Senza successo purtroppo. Vuole assolutamente essere vicino agli dei».
«Se la Rinuncia è tra un paio di giorni c'è ancora tempo».
«Suppongo di sì! Ora andiamo a prepararci. Tra due ore dovremo essere pronti nella cappella per cominciare le preghiere».
«Abbiamo già officiato il rito e io stamattina ho fatto un'ulteriore Donazione per espiare.. Sono molto stanco».
«È un onore servire gli dei» fu il secco rimprovero.
«Che sciocco, hai ragione tu!»
«Ora dovrai espiare nuovamente per il tuo comportamento inappropriato!»
E continuando il discorso su quel filo, scomparvero lentamente in lontananza. Probabilmente avevano attraversato la sagrestia ed erano entrati negli edifici riservati a loro.
Durza si spostò e sedette a terra, stendendo le gambe di fronte a sé.
«Interessante» osservò.
«Mi fanno venire i brividi» dissi invece.
Avevo sentito solo un breve scambio di battute, eppure parole come Rinuncia e Donazione riecheggiavano inquietanti nella mia testa.
«Se vuoi posso riportarti alla locanda. Io dopo torno qui però, a questo punto sono curioso».
«Non insultarmi, per favore» sibilai. «Ti ricordo che è stata una mia idea».
«Hai ragione, sei stata davvero brava, Elfa, ma in ogni caso dovremo aspettare la mezzanotte e mancano più di tre ore. Direi che puoi accomodarti».
Posai la schiena al muro alle mie spalle e scivolai lentamente a terra, pronta a cogliere un qualunque suono proveniente dall'interno.
I minuti scivolarono lentamente via. Tremavo per il gelo e per di più ero costretta a rimanere immobile, quindi mi strinsi nel mantello e mi abbracciai le ginocchia per preservare più tepore possibile. Tuttavia sentivo il freddo della pietra sotto le gambe e ad un certo punto staccai la schiena dal muro per evitare la dispersione di calore.
Dopo un'oretta passata in quella condizione sentii un po' di caldo attraversarmi le membra. Alzai gli occhi sullo Spettro, che era un'ombra nera di fronte a me.
«Grazie» dissi.
Fece un gesto noncurante con la mano, ne intravidi il movimento. «Non mi servi morta assiderata, Principessa».
A mezzanotte suonarono le campane. Un suono cupo, duro e profondo che mi fece sobbalzare sul posto.
Dopo tre rintocchi tacquero e Durza mi posò una mano sul ginocchio per richiamare la mia attenzione.
«Non si sentono i suoni dalla cappella, dovrò fare un incantesimo per ampliare i rumori alle nostre orecchie» mi informò. «Pronta?»
Annuii.
La prima cosa che sentii furono i mormorii supplici: preghiere sussurrate a fior di labbra. Ma c'era qualcosa che non andava..
«Parlano l'antica lingua?» mormorai.
«Ci sono anche parole di lingua urgali e della lingua degli uomini».
«E nanico» aggiunsi.
Durza parve irritato. «Non capisco un'accidente.»
Anche io ero confusa, ma qualcosa percepii lo stesso, tranne le parole in lingua urgali che erano davvero fuori dalla portata delle mie conoscenze.
Stavano implorando e invocando la pietà di un dio. Un dio? Credevo che i Sacerdoti pregassero i Ra'zac, e loro erano decisamente due, quattro con le loro cavalcature, i Lethrblaka.
Poi, dopo le preghiere, passarono a dei lugubri canti, che narravano le vicende di un tale di nome Tosk, che a quanto pareva era il fondatore e teorico della loro religione. Infine conclusero il tutto accennando a diversi meritevoli rappresentanti della loro setta attraverso i secoli.
Erano tutti vaghi accenni, evidentemente davano per scontato che i presenti conoscessero bene ciò di cui parlavano, ma da parte mia le loro parole mi rimanevano oscure.
Poi i canti tacquero e il rumore di passi fece da padrone alla scena. Erano almeno sette persone che camminavano allo stesso lento ritmo in una direzione ben precisa. Poi buona parte del corteo si fermò e solo una persona proseguì, salendo quelle che parevano scale.
«Questa sera» cominciò una voce veemente, «accogliamo tra noi un nuovo fratello. Oggi sei davanti a noi e al nostro Grande e Terribile signore in veste di novizio. Puoi scegliere un nuovo nome per cominciare tra noi la tua nuova vita o mantenere il tuo vecchio, qui non beneficerai del tuo stato sociale, delle tue origini o delle tue ricchezze e nemmeno sarai discriminato per queste».
Una voce tremante si alzò nel silenzio. «Io scelgo Fuilteacha come nuovo nome, spero di essere degno dell'adepto che lo portò in passato».
«Che il Signore supremo ti accolga nella sua famiglia» risposero gli altri in coro.
Il sibilo inequivocabile di una lama piantata nella carne mi fece sobbalzare nuovamente. Dai movimenti indaffarati intuii che qualcuno si stava premurando di raccogliere il sangue sgorgato dalla ferita, probabilmente in un calice, che poi venne portato in direzione del novizio.
«Bevi» disse il sacerdote, «e sarai mondato da ogni colpa, bevi e i tuoi desideri terreni ti saranno strappati in previsione di un più alto compito».
Si sentì un lungo gorgoglio e poi ci fu una lunga attesa.
«Credo che vogliano essere sicuri che non lo vomiti» bisbigliai inorridita.
«Ora» riprese la voce veemente, «è ora di fare la tua prima Donazione, che riconfermerai sotto la dimora terrena del Signore. Questo sarà il tuo primo passo verso la sua immensità».
Si sentii il suono metallico di un pugnale sguainato e poi un improvviso pestare frenetico di piedi.
Durza imprecò oscenamente, poi mi afferrò il gomito e mi trascinò via, giù dallo spiazzo e lungo una delle tante strade che si ramificavano dalla Cattedrale.
«Spettro cosa c'è?» gridai sopra allo scalpiccio del corsa.
«Ho fatto una sciocchezza» rispose. «Ci stanno inseguendo. Corri e basta!»
Lo presi in parola, senza resistere alla tentazione di guardarmi alle spalle qualche volta.
Durza rallentò bruscamente quando passammo di fronte ad un'osteria -ormai nella fascia media della città- raggiungendo un ritmo che almeno apparisse umano.
Sciolsi la presa del gomito dalla stretta ferrea dello Spettro e gli afferrai la spalla. «La nostra locanda è dalla parte opposta!»
«C'è qualcuno dietro di noi?»
«Non mi pare» risposi, spostandomi lontano dalla lanterna che illuminava l'incrocio dove ci eravamo fermati e tirandolo via con me. «Cos'hai combinato?» aggiunsi.
«Te lo spiego quando torniamo all'
Avvoltoio. Se ci torniamo ovviamente».
«Muoviamoci allora».
Cercai con gli occhi le alte guglie della cattedrale per orientarmi e poi mi incamminai per le strade, prevedendo di fare un giro molto ampio intorno ad essa.
Impiegammo quasi un'ora, sussultando ad ogni rumore e cercando di evitare qualunque persona a piedi o a cavallo che incrociasse il nostro cammino.
Quando arrivammo all'
Avvoltoio trovammo la porta chiusa. Lo Spettro si morsicò le labbra e poi bisbigliò una parola per aprirla. Con lo stesso metodo la chiuse alle nostre spalle e mi fece cenno di salire in silenzio le scale.
Solo quando chiudemmo la porta della nostra stanza a chiave e posammo un pannello di legno sulla finestra per sigillarla, cominciai a sentirmi vagamente in salvo, ma la sensazione di inquietudine impiegò parecchio a sparire.
«Non insonorizzo la stanza perché qualcuno potrebbe già rintracciare l'incantesimo che ho fatto sulla porta. Dovremo semplicemente parlare pianissimo» ansimò gettandosi in orizzontale sul letto.
Presi le pietre focaie posate accanto alla stufetta ed accesi una candela, posandola sulla cassettiera accanto al letto. Tutti gesti che servirono a calmarmi e a tirare le somme della situazione.
«Hai fatto qualche incantesimo invasivo e c'erano tra loro dei maghi ti hanno individuato?»
«Non era invasivo» mi assicurò, «ho solo allungato un tentacolo mentale per cercare di percepire il quadro generale della situazione. Mi hanno individuato con una prontezza che non avrei mai creduto possibile. I passi che hai sentito dopo erano di guardie armate, venivano a cercarci».
«Probabilmente saremmo riusciti a cavarcela».
«Non ne avevo la certezza e in ogni caso avremmo attirato parecchia attenzione indesiderata. La fuga era la soluzione migliore, fidati».
«Ci siamo persi il resto del rito, peccato» borbottai sedendomi sul ciglio del materasso.
«Da quello che ho sentito posso provare a dedurre che si trattava probabilmente di privarsi di un arto o di dissanguarsi un braccio o giù di lì».
«Ed è quello che dovremmo fare anche noi per entrare nella loro maledettissima setta?» mi informai allarmata. «Io non vorrei perdere mani, dita o qualunque altra parte del mio corpo. Non è successo in tutti questi anni di battaglie e scaramucce..»
«Ti capisco, non piacerebbe nemmeno a me. Spero che troveremo facilmente un'altra soluzione».
«Dobbiamo almeno osare. Andiamo al loro rito domattina?»
Sospirò. «Sì. Hai ragione tu». Si sfilò gli stivali con un calcio e si tirò a sedere vicino a me.
«Ho un altro dubbio: si sono riferiti ad un dio, ma io credevo che venerassero i Ra'zac, cioè due dei..»
«Credono che sia i Ra'zac sia i loro genitori siano la rappresentazione su questa terra di un'unica divinità e allo stesso tempo sono la divinità stessa. È complicato da spiegare, loro dicono semplicemente che per crederci basta avere fede e allora tutti i sentieri della religione saranno chiari».
«E quale sarebbe questa divinità?»
«La morte».
Ovviamente.
Annuii ma non replicai. «Immagino che il rito non sia molto dopo l'alba».
Si sfilò anche il mantello e lo gettò sugli stivali. «Tanto ci sveglieremo molto prima di tutti gli abitanti. Quando sentiremo il movimento generale verso la cattedrale ci aggregheremo». Fece una pausa. «Adesso vediamo di dormire qualche ora. Io sto sul lato della porta» aggiunse subito.
Gettai un'occhiata critica agli stivali e al mantello abbandonati a terra ai miei piedi e mi alzai per lasciargli la sua metà di materasso. Spensi la candela tra le dita e mi distesi per dormire.
            Quando nel cuore della notte mi riscossi dalla mia visione e trovai gli occhi felini dello Spettro puntati su di me, ebbi l'improvvisa certezza che mi avrebbe costretta a confessargli tutto.
Tuttavia Durza non disse nulla. Mi strinse piano il mento e mi depositò un bacio impercettibile sulle labbra, poi mi lasciò e chiuse gli occhi.
Il battito del mio cuore aumentò ulteriormente, ma dopo qualche minuto si placò.
Forse per quella notte il terrore era finito.

  
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