Dovetti
darmi parecchio da fare per convincere l'oste che non mangiavo carne
non perché non la volessi ma perché lo speziale
mi aveva detto di
moderarla a causa del “bambino” che ipoteticamente
portavo in
grembo.
Era una sciocchezza, ovviamente, e stava in piedi a
stento, ma l'uomo finì per stringersi nelle spalle e
borbottare un:
«Ognuno ha il mestiere suo, sicuramente lo speziale sa quello
che
fa».
Gli sorrisi candidamente, annuendo con convinzione.
Ma
perché gli uomini consideravano la carne una tale
prelibatezza?
Mangiarla significava fare festa per loro, non capivano quanto fosse
terribilmente disgustoso?
E non avevo ancora visto il peggio,
perché Durza sembrava condividere quella passione con gli
esseri
umani e quando la sua porzione arrivò vi si gettò
sopra con
voracità.
Mentre sorbivo la mia zuppa di verdure, osservai lo
Spettro con un moto di disgusto. Stava mangiando con le mani un pezzo
di carne untuosa, aveva le dita lorde e il grasso gli gocciolava dal
mento. L’odore di cadavere cucinato mi pizzicava il naso fino
a
darmi la nausea.
«Che schifo!» sibilai. «Ti auguro di
morire di
gotta».
Durza mi guardò con divertita perplessità.
«Mi
guarirei, principessa» rispose ridendo. Allungò un
pezzo di carne
nella mia direzione. «Dovresti assaggiarla, invece».
Indietreggiai,
raspando con la sedia sul pavimento e attirando un paio di sguardi di
avventori spaventati dal rumore.
«In teoria dovremmo evitare di
attirare l'attenzione, Bitr» bisbigliò Durza
pianissimo.
Annuii
e tornai al mio piatto in silenzio.
Il proprietario della locanda
volle essere pagato in anticipo e lo Spettro gli consegnò il
denaro
sufficiente a tenere la stanza per una settimana.
Rimasi un po'
turbata quando Durza mi spiegò che il nome del locale -L'Avvoltoio-
altro non era che un soprannome popolare per i sacerdoti della
religione dell'Helgrind, dovuto alla loro abitudine di vestire sempre
di nero.
Più tardi, quando era ormai ora di pranzo, noi avevamo
già mangiato da un pezzo e, i pugnali nascosti sotto i
mantelli, ci
avviammo in direzione opposta alla cattedrale, verso il lago
Leona.
Avevamo deciso di cominciare cercando l'uscita di emergenza
costituita dalle fognature. Non che l'idea mi entusiasmasse, ma
andare direttamente alla cattedrale mi entusiasmava ancora meno, fui
anzi felice di averla alle mie spalle.
«Dovremmo trovare una
botola per calarci» osservai.
«Già! E la troveremo nei
quartieri più malfamati della città» fu
l'allegra
risposta.
«Credevo che non conoscessi Dras-Leona».
«La
conosco molto bene, invece. Diciamo che non ho mai dovuto prendere
l'uscita di servizio per andarmene di qui. Ma del resto non ho mai
avuto nulla da discutere con i Sacerdoti, mentre questa volta il
rischio è molto più alto».
«Eppure sai da dove possiamo
entrare nelle fogne».
Sbuffò, si portò una mano al petto ed
estrasse una pergamena ripiegata da sotto il mantello.
«Da'
un'occhiata» disse porgendomela.
Era una mappa di Dras-Leona, ma
decisamente non una mappa convenzionale. In inchiostro rosso erano
vergate sottili linee che attraversavano disordinatamente quasi tutta
la parte centrale della città, creando una griglia, mentre
un'altra
più spessa la tagliava in due. Le fognature.
«Come l'hai avuta?»
domandai restituendola e nascondendo immediatamente le mani sotto i
vestiti. Si gelava.
«Sono pieno di risorse» rispose sorridendo e
nascondendola nuovamente.
«Fammi capire: hai la mappa, hai la
magia per aprire qualsiasi botola quindi non ti serve una chiave..
che cosa andiamo a fare?»
Schioccò la lingua contro il palato.
«Purtroppo sei intelligente. Andiamo ad incontrare una
persona che
ci spiegherà qualcosa sui Sacerdoti».
«E non potevi dirmelo
subito?» La mia voce aveva un'inflessione gelida.
Non mi piaceva
che mi si prendesse in giro e Durza lo faceva continuamente.
«Volevo
evitare le domande che da qui fino alla meta mi farai»
rispose con
tono falsamente addolorato.
«Qualcosa del tipo: chi è la persona
che andiamo a incontrare? Perché ti aiuta? È
l'unica spia che hai
qui dentro..?»
«Sì, direi che può bastare».
Passammo per
un'ampia piazza, quasi totalmente deserta, occupata al centro da
quella che sembrava una grande gogna, ma senza l'albero per le
impiccagioni.
«Qui ogni secondo e quarto giorno della settimana
si svolge il mercato degli schiavi. Quello che vedi è il
palco dove
espongono la mercanzia» disse lo Spettro in tono piatto.
Feci un
respiro appena più pesante. Sapevo di quell'usanza barbara.
Come
sapevo anche che buona parte degli uomini venduti erano o surdani
colti fuori dai confini; o abitanti del deserto di Hadarac, dove
intere tribù venivano catturate con facilità
vista la loro
disorganizzazione sociale; o anche criminali, ladruncoli e
tagliaborse che i nobili tiravano fuori dalle loro prigioni per
ricavarne qualcosa.
Talvolta avveniva anche che un mercante caduto
in disgrazia venisse sequestrato e venduto insieme alla sua famiglia
per saldare debiti rimasti a lungo fermi presso i propri
creditori.
Inutile specificare che ero disgustata da
quell'istituzione. L'idea che un essere vivente potesse appartenere
totalmente ad un altro, essere sottomesso al suo volere senza poter
fare nulla, era agghiacciante e spaventosa.
Senza contare che
quella sensazione la sentivo un po' mia ogni volta che pensavo ai
mesi di prigionia nelle grinfie di Durza. Potevo essere benissimo
paragonata ad una schiava liberata dal proprio padrone e la cosa era
atrocemente umiliante.
Gettai un'occhiata all'uomo al mio fianco,
che del mio aguzzino aveva mantenuto solo gli irritanti modi di fare
e l'indole violenta. Non aveva alzato un dito su di me da quando
avevamo stretto quel patto e probabilmente non l'avrebbe fatto mai
più, ma in quel momento mi sentii invadere dall'irritazione
per i
pensieri che avevo appena formulato sulla mia schiavitù
quindi
tornai a guardare davanti a me con stizza, rinunciando anche alle
domande che avevo in serbo per lui.
Lo Spettro probabilmente
percepì il cambiamento nel mio stato d'animo
perché sentii i suoi
occhi pungermi la parte del viso rivolta nella sua direzione, ma
scelse saggiamente di fare finta di nulla.
Dras-Leona era una
delle più grandi città dell'Impero e una grande
città ha sempre
grandi ricchezze e grandi miserie racchiuse nelle sue mura. Dopo aver
visto le enormi ricchezze dei quartieri alti quella mattina,
riscontrai nuovamente il peggio di cui avevo avuto un assaggio la
sera precedente.
Più la zona era povera più le case erano alte,
marce e traballanti. I crolli dovevano essere all'ordine del giorno e
mi ritrovai a chiedermi cosa sarebbe successo se un abitante
distratto avesse lasciato cadere una lanterna accesa sul pavimento di
legno, nei mesi più caldi e secchi dell'estate.
Una buona metà
della città povera sarebbe andata a fuoco prima ancora di
riuscire a
rendersene conto. Probabilmente le mura interne avrebbero tagliato
fuori le fiamme e il resto della città si sarebbe salvata.
Questo
pensavo mentre, con il cappuccio calato sul viso e degli odori
terribili nelle narici, superavo mendicanti aggressivi e non, bambini
cenciosi dallo sguardo astuto -probabilmente piccoli ladruncoli- ,
uomini ubriachi già a quell'ora del giorno e persone
dall'espressione pensierosa e losca. In mezzo a questi elementi
spiccava ovviamente il lavoratore onesto e la donna che portava un
secchio d'acqua tirandosi dietro il figlioletto di non più
di tre
primavere.
Durza si fermò davanti ad una porta così
malandata
che pareva a malapena adatta a chiudere una stalla. Eravamo ormai in
prossimità delle mura, esattamente dalla parte opposta del
portone
da dove eravamo entrati.
Lo Spettro mormorò una parola di potere
e aprì la porta, poi mi fece cenno di entrare e
insonorizzò la
stanza. L'interno era malmesso come l'esterno, c'era uno sgabello,
delle assi di legno, delle corde e degli attrezzi sparsi per
terra.
Il pavimento era di terra nuda e un odore ancora più
terribile di quello che gravava all'esterno riempiva l'aria. Era il
tipico odore di.. fogna!
«Intanto che aspettiamo che il mio
amico rincasi ti dico un paio di cose sulle fognature»
cominciò
Durza, tornando a parlare dopo un'eternità di mutismo.
«Oltre a
puzzare terribilmente, sappi che sono state costruite parecchio tempo
fa, quando la città era al massimo dello splendore. I canali
sono
alti poco più di due iarde e altrettanto larghi nella zona
centrale
di Dras-Leona e lungo l'asse che porta dai cancelli fino al lago, per
il resto sono molto più piccoli, malmessi e sopratutto, in
legno.
Quindi se devi scomparire in una fogna, fallo nella zona ricca o non
ci entreresti neanche. Pochi edifici hanno una latrina, il resto
della popolazione usa dei catini, che poi ribalta per strada. Quando
piove le strade si lavano e gli scoli portano tutto nel lago, ma in
quel momento rischieresti di annegare perché i canali sono
gonfi,
quindi è meglio evitare. Gli ingressi sono a terra ma ben
custoditi,
spesso in casa di altre persone. È un provvedimento
abbastanza
recente, serve ad impedire che la gente si ammassi lì sotto,
sopratutto criminali. Ma ci sono persone che con un paio di monete ti
faranno passare per l'ingresso che custodiscono».
«Come il tuo
“amico”?» chiesi accennando agli attrezzi
sparsi a terra.
Durza
si accomodò sullo sgabello. «Già.
Questo è l'ultimo ingresso
disponibile prima che le tubature sfocino nel lago Leona. Ed
è qui
che io preferirei buttarmi nel caso le cose si mettessero male. Da
qui in poi tutti i canali convogliano in uno unico, più
largo e dal
breve tragitto.»
«C'è un'uscita che porta dentro alla
cattedrale?»
Lo spettro fece un ampio sorriso. «Sì».
«Quindi
se non arriveremo alla biblioteca con le buone..»
«Lo faremo con
le fogne».
Mi scappò una risatina. «Va bene».
«Era una
risata quella?» domandò scrutandomi con malizia.
«Più un
singhiozzo direi».
«Dovrei fare battute intelligenti più
spesso» affermò, tirando nuovamente fuori la mappa
delle fognature.
«Vieni qui piuttosto, ti faccio vedere quali sono gli
ingressi
sicuri».
Erano solo quattro. Sparsi un po' ovunque lungo il
canale che tagliava la città in due, ed erano tutti nella
zona che
andava dalla Cattedrale al lago Leona. A detta di Durza, gli
abitanti e proprietari delle rispettive case, taverne e armerie, mi
avrebbero aiutata senza problemi se avessi messo loro in mano la
giusta somma.
Fummo costretti ad aspettare il nostro ospite per
qualche ora. Lo Spettro impiegò quel tempo parlandomi di
fatti e
curiosità riguardo a Dras-Leona, che effettivamente
conosceva molto
bene. Mi stava parlando della cava di marmo nero dove buona parte
degli abitanti di Dras-Leona trovava impiego quando si interruppe
all'improvviso e inclinò lateralmente la testa nella sua
maniera
buffa di ascoltare meglio i suoni.
«Passi decisi nella nostra
direzione. Credo che il nostro uomo stia arrivando».
Si accomodò
ancora meglio sul basso sgabello e mi fece cenno di stare vicino a
lui.
L'uomo che entrò era sulla quarantina, era secco come un
manico di scopa e aveva una barba grigia così folta e
annodata che
sembrava un nido di uccelli.
«Ehi!» esclamò subito. «Che
volete qui voi due?» E alzò le mani in segno di
resa.
Gli
mancavano tre dita della mano destra. Non sapevo quale fosse il
lavoro attuale del nostro amico, ma sicuramente doveva aver tagliato
parecchie borse in passato. E dovevano averlo beccato qualche volta
di troppo.
«Ditolesto?» domandò lo Spettro
accennando alla sua
mano. «Non hai scelto un così bel soprannome,
amico».
L'uomo
parve rilassarsi all'improvviso e chiuse la porta dietro di
sé. «Che
volete da me?» ripeté grattandosi la testa.
«Lavoro per un uomo
che ha già chiesto i tuoi servigi in passato. Si fa chiamare
Il
Ratto».
Ditolesto, o come diavolo si chiamava, si illuminò.
«Ah
sì, ma certo! L'ultima volta mi aveva mandato una bella
bionda
però!» E rise sguaiatamente.
Mi irrigidii e, non so per quale
motivo, ma pensai subito ad Alba.
«Oggi dovrai accontentarti di
me» fu l'incolore replica.
«Va bene, va bene, se mi paghi non
c'è problema, no? Cosa vuole Il Ratto stavolta? Altre
informazioni
da Aberon?»
Faticai parecchio a contenere una mia reazione di
fronte a quelle parole. Sapevo che lo spionaggio era
un'attività
proficua in quel brutto e pericoloso periodo, ma sentirmelo dire in
faccia..
«No» lo interruppe Durza e mi parve quasi agitato.
«Voglio sapere qualcosa sugli Avvoltoi».
L'uomo si rabbuiò e
incrociò le braccia sul petto. «Non so se posso
aiutarti. Quasi
tutti qui seguono la loro religione, ma nessuno sa davvero qualcosa
su quello che fanno. Se vai alle cerimonie li senti cantare e basta
ma non ci capisci nulla del loro rito che fanno all'altare. So che
per diventare parte della loro religione devi fare un battesimo col
sangue, tipo che te lo fanno bere, roba così..»
«Chi ha accesso
agli edifici dietro la cattedrale?»
Ditolesto rise di nuovo.
«Dietro dici? Forse non sai che quasi tutta la loro roba
è sotto
la chiesa».
Durza fischiò ammirato. «E come lo sai?»
«Lo
senti dire dappertutto che a volte vengono degli strani rumori dal di
sotto. Quando vedi gli avvoltoi te ne accorgi, sono così
bianchi che
per forza devono stare sottoterra o così pallidi non sono,
no? E
poi.. non so se c'entra qualcosa, ma una volta ho fatto entrare un
gruppo di tizi dal di là». E annuì in
direzione di una botola,
quella che sicuramente portava alle fognature. «Per me erano
dei
ribelli perché parlavano di ammazzare qualcuno. Io gli ho
dato la
mappa, no? Così non si perdono, ma loro non sono mica
tornati sai? E
volevano andare sotto alla chiesa. Per me si sono fatti
ammazzare»
concluse in tono quasi confidenziale.
Durza annuì lentamente,
composto. «Sai come posso entrare negli edifici sotto la
cattedrale
senza farmi ammazzare?»
«Mhhh credo che devi diventare uno di
loro, no? Così dopo puoi andare dove ti pare. Mi sa che
è l'unica
cosa che puoi fare».
«Come divento uno di loro?»
«Comincia
ad andare alle cerimonie, amico, no? Poi parli con uno dei monaci e
chiedi se puoi entrare nel giro».
«Quando ci sono le
cerimonie?»
«Tutti i giorni alla mattina presto e alla sera.
Tutti possono entrare quindi stai tranquillo».
«Va bene». Durza
si alzò in piedi. «Tornerò la prossima
settimana, tu raccogli
informazioni e se avrai qualche novità saprò come
ricompensarti
adeguatamente».
Gli posò qualche moneta sul palmo e si avviò
alla porta. Lo seguii rapidamente.
«Omaggi al Ratto, amico. Avrò
certamente qualche cosa per te la prossima settimana». Con
queste
parole Ditolesto ci lasciò andare.
«Ratto?» domandai quando
fummo a qualche iarda di distanza.
Durza si strinse nelle spalle.
«Mi chiamavano così una volta, non mi dispiace
come nomignolo. Lo
trovo.. azzeccato».
«Così hai delle spie ad Aberon» dissi
cambiando bruscamente discorso.
«Tutti hanno spie ad Aberon. I
Varden, l'Impero e anche io, sì».
«Se tutte le tue spie sono
ridotte così ho paura ad affidarmi alle loro
informazioni».
«Sono
ridotte così perché non ho una mia catena
personale di spie. Vedi
l'Impero ha la sua Mano Nera, ad esempio, ma io non posso permettermi
che un intero gruppo di persone possa parlare e dire chi è
il
mandante. Io lavoro nell'ombra, Bitr, ho sempre fatto così e
così
farò, non sai quanto sia stato strano
avere con me qualcuno che non fossi io, oggi».
Ripensai
all'intera conversazione avuta con l'uomo. «Ditolesto ha
detto che
l'altra volta gli hai mandato una bionda..» mi interruppi,
sperando
che che Durza terminasse il discorso al posto mio, ma non lo fece.
«Era Alba vero?» chiesi alla fine.
Lo Spettro sospirò. «Non
era previsto che sentissi quella parte di discorso. Comunque
sì, era
lei. Ha lavorato anche come spia per me».
«Devo averla
sottovalutata parecchio» mi lasciai sfuggire.
Durza si bloccò
all'improvviso e gli ero così vicina che urtai contro la sua
schiena. Mi guardò da sopra la spalla sinistra e riprese a
camminare. «Non credevo che la conoscessi così
bene» disse
innocentemente, con voce morbida.
La voce suadente da
interrogatorio.
Mi costrinsi a non farmi toccare dall'ansia per
quello che sarebbe potuto saltare fuori su Alba, lo avrebbe
percepito.
«Mi portava i pasti, la vedevo ogni giorno» risposi
con calma assoluta. «Però mi sembrava una
ragazzina, non mi sarei
mai aspettata che facesse la spia per te».
«Ha.. doti nascoste»
replicò guardandomi un'ultima volta.
Come
l'essere una maga?
«Sa
usare molto bene la magia» aggiunse infatti.
Non risposi e per un
po' proseguimmo in silenzio.
Fino a quando Durza non si voltò di
scatto, mi afferrò per il mantello e mi spinse in uno
strettissimo
vicolo tra due case.
«Durza che..?»
«Come mai non mi sembri
per niente sorpresa dal fatto che Alba sappia usare la magia, piccola
Elfa?» ringhiò minacciosamente.
«Lasciami» comandai
seccamente, «o mi metto a urlare».
Scoppiò a ridere. «Potrei
stuprarti in questo vicolo e nessuno dei grigi passanti che vedi
farebbe nulla per fermarmi, anzi, verrebbero probabilmente a
reclamare il loro turno. Non siamo tra i bravi Varden o i perfetti
elfi, qui siamo nei bassifondi di una città umana, tutto
è
concesso, fin qui non arriva giustizia».
Non mi dibattei. «Cosa
diavolo vuoi?»
«Che tu mi risponda».
Non dovetti fingermi
indignata. «Pensi che me ne freghi qualcosa della tua
cameriera? Per
la miseria Durza, la tua reazione è ridicola».
«Non mentirmi
Principessa, non sei abbastanza capace da nascondere la
paura».
Strinsi le labbra e guardai un punto indefinito oltre la
sua spalla. «Puoi non credermi se vuoi, ma sappiamo entrambi
che non
sono io quella delle bugie».
Le mie parole parvero non toccarlo
affatto. Tuttavia, dopo qualche lungo istante, lasciò andare
il mio
mantello.
«Sei una mia alleata adesso e non posso farti del
male»
disse semplicemente.
«Dunque vorresti?» lo provocai aspramente.
«Perché se mantenere la parola è un
compito troppo difficile per
te, me ne farò una ragione e vedrò di trovarmi il
più lontano
possibile da te quando ti salirà la voglia di
uccidermi».
La
miglior difesa è l'attacco e il ricordo del suo sguardo
predatore
davanti alla cattedrale, quella stessa mattina, mi aveva suggerito
quelle parole.
«Non ti ucciderò Arya, né ti
farò del male. Non
è questo che voglio. Hai ragione tu, mi sono comportato da
idiota,
perdonami».
Ebbi un moto di sincero stupore e scossi la testa,
confusa.
Non mi aveva mai chiesto scusa e mai e poi mai avrei
pensato di sentire uscire una simile frase da quelle labbra
sottili.
Con un mezzo sorriso lo Spettro uscì dal vicolo e si
avviò nuovamente verso la nostra locanda.
Mentre camminavamo in
silenzio mi sovvenne un pensiero ancora più inquietante:
forse ciò
che avevo detto lo aveva colpito perché era minacciosamente
vero.
Tornati alla locanda consumammo una cena
veloce, poi
salimmo in camera.
Ma l'aria in quella stanza era troppo pesante e
in più non mi sentivo per niente stanca. Ditolesto mi aveva
dato
parecchie informazioni su cui ragionare e prima avessimo portato a
termine quella missione meglio sarebbe stato per entrambi, quello era
certo.
Mi sedetti sul letto e infilai gli stivali.
«Vai da
qualche parte, Principessa?» domandò lo Spettro,
alzando pigramente
gli occhi da pugnale che stava affilando.
«A fare una
passeggiata» risposi, vaga.
Durza si allarmò. «Arya sei una
donna ed è buio lì fuori, non puoi passeggiare
sola per la città
come se niente fosse».
Alzai il cappuccio del mantello. «Se solo
avessi ancora i pantaloni e la camicia potrei benissimo passare per
un uomo, ma mi hai costretto a lasciarli a Gil'ead».
«Già, ho
fatto un grande errore» sospirò. «Ma ci
tenevo molto a vederti con
qualcosa di più scollato di un farsetto di pelle».
Mi voltai e
uscii dalla stanza sbattendo la porta, poi corsi rapidamente
giù
dalle scale.
La voce di Durza mi raggiunse quando ero ormai sulla
soglia dell'Avvoltoio.
«Bitr, aspettami!»
Esitai, sopratutto
perché ormai gli uomini e donne seduti ai tavoli seguivano
con
interesse la scena. Probabilmente credevano si trattasse di un
litigio tra innamorati.
Lo Spettro scese le scale con
l'espressione preoccupata da manuale e corse verso di me.
«Vengo
anch'io» sussurrò portando il viso a un palmo dal
mio, «almeno
saremo in due quando cercheranno di aggredirci in un angolo
buio»
borbottò.
«D'accordo» dissi semplicemente. E sgusciai fuori
nella notte.
Non nevicava, ma come al solito era freddissimo.
«Non
ti credevo così irresponsabile» mi
rimproverò Durza. «Se qualcuno
ci attaccasse saremmo costretti a fare quello che dobbiamo per
difenderci e la nostra copertura salterebbe se qualcuno ci vedesse
farlo».
Mi incamminai in direzione dei pinnacoli della
cattedrale, quasi invisibili nel cielo notturno. «Hai per
caso
paura, Natt?»
«Non ho paura» ringhiò, «ma
non voglio buttare
tutto all'aria. È da anni che organizzo piani su piani per
tirare
quel pazzo giù dal suo trono e non voglio fare passi falsi
per colpa
dei capricci di una..» si interruppe.
«Di una?»
«Stavo per
dire donna, ma una donna sarebbe indubbiamente rimasta nella sua
calda stanza a riposarsi, quindi le tue azioni ti escludono dalla
categoria. Devi essere un demonio».
«Mi sa che non puoi
permetterti di chiamarmi demonio» ribattei.
«Purtroppo hai
ragione».
«Non volevo fare una semplice passeggiata» lo
informai qualche istante dopo.
«Lo avevo immaginato. Che hai in
mente?»
Mi strinsi più vicina a lui in modo da poter sussurrare
ancora più piano. «I rumori sotto la cattedrale..
voglio sentire
con le mie orecchie».
«Sai qualcosa che io non so sui loro
riti?»
Scossi la testa. «So solo che adorano l'Helgrind e i suoi
abitanti e che la loro religione è crudele e
sanguinosa».
«Non
più di quanto ne sappia io, allora. Bene, andiamo pure, ma
dovremo
cercare un buon nascondiglio da dove ascoltare non visti».
Non
eravamo i soli a girare per le strade a quell'ora, tuttavia c'era un
relativo silenzio. Solo i richiami delle prostitute risuonavano
chiari e netti tra le viuzze, ma nessuno si avvicinò a
disturbarci.
Quando raggiungemmo lo spiazzo davanti alla
cattedrale vedemmo un fiume di gente fuoriuscire dai tre portoni
spalancati.
«La funzione della sera..» mormorai.
«Direi che
è appena terminata» concluse Durza per me.
«Quindi temo che non
passerebbe inosservato il fatto che andiamo in direzione opposta al
flusso» dissi mogia.
«Nascondiamoci in un vicolo e aspettiamo
che tutti se ne vadano» rispose lo Spettro prontamente.
«Basterà
restare qui immobili, è buio».
Durza si appoggiò con le spalle
al cancello della ricca casa dietro di noi «Vediamo di
passare
inosservati, almeno. Avvicinati».
Lo affiancai e assunsi la sua
stessa posizione.
Le dita dello Spettro mi sfiorarono la spalla e
poi si arrampicarono sul mio viso.
Mi fulminò un pensiero. «Cosa
intendevi con “passare inosservati”?»
Ghignò. «Puoi sempre
ritirarti» bisbigliò chinandosi su di me.
Mi sfiorò appena le
labbra con le sue. Non reagii in alcun modo, non me ne sentivo in
grado. Da un lato avrei voluto schiaffeggiarlo con tutte le mie
forze, dall'altro.. ero un po' confusa. Non era minimamente
necessario fingere un incontro amoroso per non farci notare, di
questo ero sicura, ma del resto stare lì a bighellonare con
le mani
in mano poteva sembrare sospetto..
Tornò a baciarmi, con più
convinzione.
Sollevai una mano, forse per fermarlo, ma me la
strinse e la abbassò nuovamente. E io non mi ribellai.
Percepii
le sue braccia sfiorarmi i fianchi mentre si appoggiava al cancello
alle mie spalle, poi gli occhi mi si socchiusero e, presa dal
momentaneo trasporto, posai le mani sul suo torace.
Sentii i suoi
muscoli tendersi sotto le mie dita e le sue labbra schiudersi per
approfondire il bacio. Lo lasciai fare, fino a che non dimenticai la
mia reticenza e mi lasciai trascinare da una sensazione calda e
piacevole che scivolò dalla gola al petto come una bevanda
magica.
Poi l'improvvisa assenza di suoni mi riscosse e mi
dibattei piano per liberarmi.
Gli occhi di Durza si spalancarono,
selvaggi e divertiti insieme. Si staccò da me con un
mugugno.
Schioccò la lingua contro il palato. «Non male,
cominciavo a prenderci gusto».
Anche
io.
«Sono andati via,
Spettro».
«Già, te lo avevo detto che saremmo passati
inosservati, dovremmo tenerlo presente come metodo futuro».
«Andiamo»
lo liquidai, spostandomi silenziosamente verso la cattedrale e
scrollandomi violentemente di dosso le impressioni appena ricevute.
Lo Spettro mi seguì.
L'edificio era nero, immerso nel nero del
cielo e nell'oscurità della terra. Insomma la sua
arzigogolata
struttura era a malapena distinguibile, tuttavia i portoni di legno
che si aprivano sulle tre navate erano chiaramente chiusi.
«Potrebbe
ancora uscire qualcuno» bisbigliò Durza,
«togliamoci
dall'ingresso».
Scivolammo sul fianco sinistro della costruzione,
dove trovammo rifugio appiattendoci tra i contrafforti.
«Senti
niente?» mi chiese.
«Non finché parli».
Tacque e rallentò
il respiro. Feci lo stesso e chiusi gli occhi per concentrarmi al
meglio sui suoni.
Dall'interno venivano alcuni rumori che tuttavia
non erano particolarmente allarmanti: uno strisciare di panche, il
tintinnio di alcuni piccoli oggetti in metallo. Probabilmente stavano
mettendo a posto l'occorrente usato per il rito.
Poi sentii le
voci.
«Avremo la veglia fino a mezzanotte oggi» disse una
voce
cavernosa, indubbiamente maschile.
«Un altro novizio?» rispose
una più acuta, ma sempre maschile, di un giovane.
«Esattamente.
Deve ancora seguire la Purificazione e poi fare la prima Donazione
nell'Arca».
«E la prima Rinuncia? La farà all'alba?»
«No,
credo che si farà tra un paio di giorni. È un
peccato che voglia
fare il praticante, era abbastanza forte da entrare nel corpo delle
guardie».
«Avete provato a convincerlo?»
«Senza successo
purtroppo. Vuole assolutamente essere vicino agli dei».
«Se la
Rinuncia è tra un paio di giorni c'è ancora
tempo».
«Suppongo
di sì! Ora andiamo a prepararci. Tra due ore dovremo essere
pronti
nella cappella per cominciare le preghiere».
«Abbiamo già
officiato il rito e io stamattina ho fatto un'ulteriore Donazione per
espiare.. Sono molto stanco».
«È un onore servire gli dei» fu
il secco rimprovero.
«Che sciocco, hai ragione tu!»
«Ora
dovrai espiare nuovamente per il tuo comportamento
inappropriato!»
E
continuando il discorso su quel filo, scomparvero lentamente in
lontananza. Probabilmente avevano attraversato la sagrestia ed erano
entrati negli edifici riservati a loro.
Durza si spostò e sedette
a terra, stendendo le gambe di fronte a sé.
«Interessante»
osservò.
«Mi fanno venire i brividi» dissi invece.
Avevo
sentito solo un breve scambio di battute, eppure parole come Rinuncia
e Donazione riecheggiavano inquietanti nella mia testa.
«Se vuoi
posso riportarti alla locanda. Io dopo torno qui però, a
questo
punto sono curioso».
«Non insultarmi, per favore» sibilai. «Ti
ricordo che è stata una mia idea».
«Hai ragione, sei stata
davvero brava, Elfa, ma in ogni caso dovremo aspettare la mezzanotte
e mancano più di tre ore. Direi che puoi
accomodarti».
Posai la
schiena al muro alle mie spalle e scivolai lentamente a terra, pronta
a cogliere un qualunque suono proveniente dall'interno.
I minuti
scivolarono lentamente via. Tremavo per il gelo e per di più
ero
costretta a rimanere immobile, quindi mi strinsi nel mantello e mi
abbracciai le ginocchia per preservare più tepore possibile.
Tuttavia sentivo il freddo della pietra sotto le gambe e ad un certo
punto staccai la schiena dal muro per evitare la dispersione di
calore.
Dopo un'oretta passata in quella condizione sentii un po'
di caldo attraversarmi le membra. Alzai gli occhi sullo Spettro, che
era un'ombra nera di fronte a me.
«Grazie» dissi.
Fece un
gesto noncurante con la mano, ne intravidi il movimento. «Non
mi
servi morta assiderata, Principessa».
A mezzanotte suonarono le
campane. Un suono cupo, duro e profondo che mi fece sobbalzare sul
posto.
Dopo tre rintocchi tacquero e Durza mi posò una mano sul
ginocchio per richiamare la mia attenzione.
«Non si sentono i
suoni dalla cappella, dovrò fare un incantesimo per ampliare
i
rumori alle nostre orecchie» mi informò.
«Pronta?»
Annuii.
La
prima cosa che sentii furono i mormorii supplici: preghiere
sussurrate a fior di labbra. Ma c'era qualcosa che non
andava..
«Parlano l'antica lingua?» mormorai.
«Ci sono anche
parole di lingua urgali e della lingua degli uomini».
«E nanico»
aggiunsi.
Durza parve irritato. «Non capisco un'accidente.»
Anche
io ero confusa, ma qualcosa percepii lo stesso, tranne le parole in
lingua urgali che erano davvero fuori dalla portata delle mie
conoscenze.
Stavano implorando e invocando la pietà di un dio. Un
dio? Credevo che i Sacerdoti pregassero i Ra'zac, e loro erano
decisamente due, quattro con le loro cavalcature, i Lethrblaka.
Poi,
dopo le preghiere, passarono a dei lugubri canti, che narravano le
vicende di un tale di nome Tosk, che a quanto pareva era il fondatore
e teorico della loro religione. Infine conclusero il tutto accennando
a diversi meritevoli rappresentanti della loro setta attraverso i
secoli.
Erano tutti vaghi accenni, evidentemente davano per
scontato che i presenti conoscessero bene ciò di cui
parlavano, ma
da parte mia le loro parole mi rimanevano oscure.
Poi i canti
tacquero e il rumore di passi fece da padrone alla scena. Erano
almeno sette persone che camminavano allo stesso lento ritmo in una
direzione ben precisa. Poi buona parte del corteo si fermò e
solo
una persona proseguì, salendo quelle che parevano scale.
«Questa
sera» cominciò una voce veemente,
«accogliamo tra noi un nuovo
fratello. Oggi sei davanti a noi e al nostro Grande e Terribile
signore in veste di novizio. Puoi scegliere un nuovo nome per
cominciare tra noi la tua nuova vita o mantenere il tuo vecchio, qui
non beneficerai del tuo stato sociale, delle tue origini o delle tue
ricchezze e nemmeno sarai discriminato per queste».
Una voce
tremante si alzò nel silenzio. «Io scelgo
Fuilteacha come nuovo
nome, spero di essere degno dell'adepto che lo portò in
passato».
«Che il Signore supremo ti accolga nella sua
famiglia»
risposero gli altri in coro.
Il sibilo inequivocabile di una lama
piantata nella carne mi fece sobbalzare nuovamente. Dai movimenti
indaffarati intuii che qualcuno si stava premurando di raccogliere il
sangue sgorgato dalla ferita, probabilmente in un calice, che poi
venne portato in direzione del novizio.
«Bevi» disse il
sacerdote, «e sarai mondato da ogni colpa, bevi e i tuoi
desideri
terreni ti saranno strappati in previsione di un più alto
compito».
Si sentì un lungo gorgoglio e poi ci fu una lunga
attesa.
«Credo che vogliano essere sicuri che non lo
vomiti»
bisbigliai inorridita.
«Ora» riprese la voce veemente,
«è ora
di fare la tua prima Donazione, che riconfermerai sotto la dimora
terrena del Signore. Questo sarà il tuo primo passo verso la
sua
immensità».
Si sentii il suono metallico di un pugnale sguainato
e poi un improvviso pestare frenetico di piedi.
Durza imprecò
oscenamente, poi mi afferrò il gomito e mi
trascinò via, giù dallo
spiazzo e lungo una delle tante strade che si ramificavano dalla
Cattedrale.
«Spettro cosa c'è?» gridai sopra allo
scalpiccio
del corsa.
«Ho fatto una sciocchezza» rispose. «Ci
stanno
inseguendo. Corri e basta!»
Lo presi in parola, senza resistere
alla tentazione di guardarmi alle spalle qualche volta.
Durza
rallentò bruscamente quando passammo di fronte ad un'osteria
-ormai
nella fascia media della città- raggiungendo un ritmo che
almeno
apparisse umano.
Sciolsi la presa del gomito dalla stretta ferrea
dello Spettro e gli afferrai la spalla. «La nostra locanda
è dalla
parte opposta!»
«C'è qualcuno dietro di noi?»
«Non mi
pare» risposi, spostandomi lontano dalla lanterna che
illuminava
l'incrocio dove ci eravamo fermati e tirandolo via con me.
«Cos'hai
combinato?» aggiunsi.
«Te lo spiego quando torniamo
all'Avvoltoio.
Se ci
torniamo ovviamente».
«Muoviamoci allora».
Cercai con gli
occhi le alte guglie della cattedrale per orientarmi e poi mi
incamminai per le strade, prevedendo di fare un giro molto ampio
intorno ad essa.
Impiegammo quasi un'ora, sussultando ad ogni
rumore e cercando di evitare qualunque persona a piedi o a cavallo
che incrociasse il nostro cammino.
Quando arrivammo all'Avvoltoio
trovammo la porta chiusa. Lo Spettro si morsicò le labbra e
poi
bisbigliò una parola per aprirla. Con lo stesso metodo la
chiuse
alle nostre spalle e mi fece cenno di salire in silenzio le
scale.
Solo quando chiudemmo la porta della nostra stanza a chiave
e posammo un pannello di legno sulla finestra per sigillarla,
cominciai a sentirmi vagamente in salvo, ma la sensazione di
inquietudine impiegò parecchio a sparire.
«Non insonorizzo la
stanza perché qualcuno potrebbe già rintracciare
l'incantesimo che
ho fatto sulla porta. Dovremo semplicemente parlare
pianissimo»
ansimò gettandosi in orizzontale sul letto.
Presi le pietre
focaie posate accanto alla stufetta ed accesi una candela, posandola
sulla cassettiera accanto al letto. Tutti gesti che servirono a
calmarmi e a tirare le somme della situazione.
«Hai fatto qualche
incantesimo invasivo e c'erano tra loro dei maghi ti hanno
individuato?»
«Non era invasivo» mi assicurò,
«ho solo
allungato un tentacolo mentale per cercare di percepire il quadro
generale della situazione. Mi hanno individuato con una prontezza che
non avrei mai creduto possibile. I passi che hai sentito dopo erano
di guardie armate, venivano a cercarci».
«Probabilmente saremmo
riusciti a cavarcela».
«Non ne avevo la certezza e in ogni caso
avremmo attirato parecchia attenzione indesiderata. La fuga era la
soluzione migliore, fidati».
«Ci siamo persi il resto del rito,
peccato» borbottai sedendomi sul ciglio del materasso.
«Da
quello che ho sentito posso provare a dedurre che si trattava
probabilmente di privarsi di un arto o di dissanguarsi un braccio o
giù di lì».
«Ed è quello che dovremmo fare anche noi per
entrare nella loro maledettissima setta?» mi informai
allarmata. «Io
non vorrei perdere mani, dita o qualunque altra parte del mio corpo.
Non è successo in tutti questi anni di battaglie e
scaramucce..»
«Ti
capisco, non piacerebbe nemmeno a me. Spero che troveremo facilmente
un'altra soluzione».
«Dobbiamo almeno osare. Andiamo al loro
rito domattina?»
Sospirò. «Sì. Hai ragione
tu». Si sfilò gli
stivali con un calcio e si tirò a sedere vicino a me.
«Ho un
altro dubbio: si sono riferiti ad un dio, ma io credevo che
venerassero i Ra'zac, cioè due dei..»
«Credono che sia i Ra'zac
sia i loro genitori siano la rappresentazione su questa terra di
un'unica divinità e allo stesso tempo sono la
divinità stessa. È
complicato da spiegare, loro dicono semplicemente che per crederci
basta avere fede e allora tutti i sentieri della religione saranno
chiari».
«E quale sarebbe questa divinità?»
«La
morte».
Ovviamente.
Annuii ma non replicai. «Immagino che il rito non sia molto
dopo
l'alba».
Si sfilò anche il mantello e lo gettò sugli
stivali.
«Tanto ci sveglieremo molto prima di tutti gli abitanti.
Quando
sentiremo il movimento generale verso la cattedrale ci
aggregheremo».
Fece una pausa. «Adesso vediamo di dormire qualche ora. Io
sto sul
lato della porta» aggiunse subito.
Gettai un'occhiata critica
agli stivali e al mantello abbandonati a terra ai miei piedi e mi
alzai per lasciargli la sua metà di materasso. Spensi la
candela tra
le dita e mi distesi per dormire.
Quando nel cuore della notte
mi riscossi dalla mia visione e trovai gli occhi felini dello Spettro
puntati su di me, ebbi l'improvvisa certezza che mi avrebbe costretta
a confessargli tutto.
Tuttavia Durza non disse nulla. Mi strinse
piano il mento e mi depositò un bacio impercettibile sulle
labbra,
poi mi lasciò e chiuse gli occhi.
Il battito del mio cuore
aumentò ulteriormente, ma dopo qualche minuto si
placò.
Forse
per quella notte il terrore era finito.