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Autore: silgio    19/10/2014    0 recensioni
Gli aveva sorriso di rimando e poi si era girata, un po’ arrossita in volto, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Comunque, sono Harry» le aveva sussurrato, chinandosi in avanti, tanto che lei sentiva il suo sospiro rinfrangersi contro il suo collo.
Aveva sorriso tra sé e sé, «Amelia».
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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XO
 
In the darkest night I’ll
I’ll search through the crowd
Your face is all that I see
I’ll give you everything
Baby love me lights out
Baby love me lights out
You can turn my light down

 
 
L’aveva conosciuto quasi per caso, in un uggioso pomeriggio di inizio ottobre.
Era arrivato a lezione in ritardo, come lei d’altronde, e si ero seduto in ultima fila, proprio dietro di lei, tanto che riusciva a sentire i suoi piedi sbattere frementi sul pavimento, probabilmente nel vano tentativo di asciugarsi.
L’aveva sentito borbottare parole sconnesse per un po’, poi ero rimasto zitto e lei aveva ripreso a seguire la lezione di diritto internazionale e si era persa nel mare dei suoi appunti.
Stava trascrivendo attentamente le parole che l’anziano professore diceva, quando era stata distratta da un picchiettare leggero sulla sua spalla.
Si era voltata, felice in realtà di avere un pretesto per smettere di ascoltare, e si era scontrata con i suoi occhi verdi.
«Hai un codino?» le aveva chiesto a sottovoce, con la voce roca, mentre strofinava le mani una contro l’altra.
Lei aveva annuito, prima di chinarsi verso la borsa e cercare un elastico da dargli.
Si era voltata di nuovo, «ho solo questo» gli avevo detto imbarazzata, alzando le spalle come a scusarsi, mentre gli mostrava un codino rosa.
Lui l’avevo preso comunque. «Non preoccuparti, è perfetto. Grazie mille» le aveva detto, sfoderando un sorriso a cui lei non era riuscita a resistere.
Gli aveva sorriso di rimando e poi si era girata, un po’ arrossita in volto, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Comunque, sono Harry» le aveva sussurrato, chinandosi in avanti, tanto che lei sentiva il suo sospiro rinfrangersi contro il suo collo.
Aveva sorriso tra sé e sé, «Amelia».
 
 
Amelia si raccolse i capelli, diventati troppo lunghi, in una crocchia sfatta, mentre sfogliava i suoi appunti alla ricerca di una definizione che non riusciva a trovare.
«Ehi» la salutò lui, dandole un bacio sulla testa prima di appoggiare i suoi libri e sedersi di fronte a lei.
«Sei in ritardo» lo ammonì lei, nascondendo tuttavia un sorrisetto.
«Lo so, ma dovevo vedere Jasmyn» si scusò.
Amelia represse uno sbuffo di fastidio. Picchiettò il piede sul pavimento e tornò a guardare i suoi libri, cercando di non pensare a Jasmyn ma quanto più a diritto, che la stava aspettando.
Lottò con i ciuffi fastidiosi che le ricadevano sulla fronte, finendole sugli occhi azzurri.
«Dovrei farmi bionda» mormorò tra sé e sé, rigirandosi una ciocca ribelle tra le mani.
«No, a me piaci così». Harry non alzò nemmeno gli occhi dal suo quaderno, ma il tono era deciso.
«Ma è un castano banale» si lamentò, tentando di non pensare a lui che le aveva detto “mi piaci”.
Doveva tentare di non pensare a troppe cose, non era affatto semplice.
«Non sei banale Mia, lo sai. E il castano ti dona» le disse infine lui, guardandola quindi velocemente negli occhi.
Mia.
Era il soprannome che lui le aveva dato una sera di metà ottobre, tornando dalla festa del campus a cui erano andati insieme, nell’auto malandata di lui.
Ricordava che erano fermi al semaforo appena prima dell’incrocio di casa sua e lui quasi per caso, raccontandole un aneddoto divertente, l’aveva chiamata così. E da allora era diventato il suo soprannome, era l’unico che le si rivolgeva in quel modo.
E lo faceva solo quando erano soli, come se effettivamente fosse una cosa solo loro, solo tra loro due.
Mia.
Tre lettere, un soprannome, che Amelia avrebbe tanto voluto diventasse realtà.
Tuttavia, ormai ci aveva rinunciato. Si erano conosciuti il cinque ottobre, ora era il ventisette dicembre e il loro rapporto non era mutato di molto.
Certo, lui si fermava spesso a dormire da lei, ma rimaneva sul suo divano e al mattino non le faceva trovare la colazione pronta. Quando le andava bene, lo riconosceva ancora immerso nel mondo dei sogni sotto il suo plaid azzurro.
Anche il plaid, l’avevano comprato insieme perché lui si lamentava continuamente del freddo che c’era nel suo salotto. E l’aveva preso azzurro perché le ricordava i suoi occhi, le aveva detto.
Amelia chiuse un attimo gli occhi, ripensando a tutti i momenti che avevano trascorso insieme.
Ricordava mille feste insieme, come quella di Tom Radnor, dove erano rimasti nella sua cucina a bere vino bianco - «perché la principessina non beve birra», la prendeva sempre in giro lui – e a parlare del più e del meno, delle loro aspettative, dei loro sogni.
Lui le aveva rivelato che avrebbe tanto voluto far parte di un gruppo musicale e lei per la prima volta l’aveva sentito cantare, con la sua voce che le provocava la pelle d’oca.
Poi in un gruppo era entrato sul serio e due volte a settimana provava in un vecchio magazzino abbandonato assieme ai suoi compagni.
Ed era grazie a lui che era entrato nel gruppo, grazie a lei che l’aveva spronato e convinto a partecipare al provino.
Era grazie a lei che aveva preso 30 nell’ultimo esame all’università, grazie a lei che aveva trovato anche un lavoro come commesso e grazie a lei che si era cambiato quel taglio orribile di capelli.
Amelia pensò che la maggior parte delle cose positive che gli erano successe erano grazie a lei.
E lei poteva dire lo stesso di lui. Grazie a lui aveva imparato a lasciarsi andare, a sorridere di più e a riallacciare i rapporti con suo padre.
Si completavano. Lui le aveva portato gioia, libertà, lei stabilità e pace.
Ma era stanca di essere stabile, di non lasciarsi andare, di non poter farsi sfuggire a voce alta quanto lui le piacesse, quanto volesse avere un contatto più intimo. Quanto in realtà lei adorasse la pettinatura che definiva “orribile” per scherzo.
Harry, a quel punto, la fissò intensamente negli occhi.
«Tutto bene? Sei distratta» mormorò a bassa voce, accarezzandole leggermente le nocche della mano, provocandole brividi in tutto il corpo.
Amelia si morse leggermente il labbro inferiore, tinto di un rossetto rosso intenso, come sapeva piacere ad Harry.
«No niente» minimizzò lei, cercando di non rompere il contatto fisico, seppur debole, che avevano in quel momento.
«Mia, dimmi». Era stato fermo, deciso, ma la voce lasciava comunque trapelare una nota di dolcezza.
E Amelia a quel punto si sentì crollare, sentì le forze venire meno.
Sentì tremarle di labbro inferiore e si nascose il viso tra le mani, in un vano tentativo di non farsi vedere da lui.
Aveva cominciato a piangere silenziosamente, ma quando sentì che lui l’aveva raggiunta al suo fianco e l’aveva stretto in un abbraccio, cominciò a singhiozzare copiosamente, stringendo il tessuto leggero del suo maglione rosso tra le mani, dandosi della stupida.
«Mi dici che c’è?» le chiese preoccupato lui, alzandole leggermente il viso di modo che i loro occhi si scontrassero. «Vederti così mi distrugge».
A me vedere te distrugge, pensò lei.
«Niente, niente».
«Mia così mi offendi. So che non sono una cima ma stai piangendo davanti a me, mi risulta difficile credere che non ci sia niente.»
Mia rise, prima di rispondere, tornando seria. «È che non piaccio».
Harry la guardò, inclinando le labbra all’insù, in un sorriso lieve. «Come fai a non piacere? Piaci a tutti» l’assicurò fermo.
«Anche a te?» gli chiese, timorosa.
«Soprattutto a me.»
 
Era il trentun dicembre, c’era un grado ed erano alla festa di Kylie Jackson, che, visibilmente ubriaca, stava urlando auguri a tutti gli invitati.
Amelia stava parlando con Adam, del suo corso di diritto. Vennero interrotti da una voce roca giunta in quel momento.
«Mia, vieni un attimo?» le chiese Harry, guardando di sottecchi Adam.
Amelia lo salutò con un sorriso prima di seguire Harry sul terrazzo.
«Si gela, perché siamo qua?» si lamentò, rabbrividendo.
Harry si tolse la giacca e gliela poggiò sulle spalle. «Ti stavi divertendo?» le domandò, e prima che lei potesse effettivamente rispondere, continuò. «Non faccio che pensare all’altro giorno, a quando sei scoppiata a piangere».
Amelia avrebbe voluto sprofondare: lei tentava di dimenticare quel momento di debolezza, in cui stava per rivelargli i suoi sentimenti.
«E continuo a darmi dello stupido.»
Amelia lo guardò inclinando leggermente la testa di lato. «Che intendi?» chiese, dubbiosa.
10
«Che avrei dovuto subito asciugarti le lacrime, invece sono stato lì impalato»
9
«Non sei rimasto fermo, mi hai aiutata»
8
«Avrei dovuto – anzi, voluto – fare di più»
7
«Cioè?»
6
«Cioè assicurarti che tu piaci. E rivelarti che tu mi piaci»
5
«Io ti piaccio?»
4
«Tu mi piaci. Da morire. E francamente non so perché ho aspettato così tanto per dirtelo, e perché ho aspettato così tanto per fare questo»
3
Harry accorciò le distanze tra di loro e intrappolò le loro labbra in quello che ad Amelia sembrò il bacio migliore del mondo.
2
«Credo di amarti, in realtà».
1
Amelia lo baciò di nuovo, con il cuore che sembrava scoppiare dalla felicità.
«Auguri Harry» gli sussurrò, accoccolandosi contro il suo petto.
«Auguri, Mia».
 
 
 
Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa più importante è toccarlo, viverlo,
condividere le malinconie e le inquietudini, arrivare a riconoscersi nello sguardo dell’altro, sentire che non ne puoi più fare a meno…
e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare cinquantatré anni sette mesi e undici giorni notti comprese?

 
 
  
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