Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Leiron    19/10/2014    1 recensioni
Il fuoco distrugge, le fiamme cercano bramose combustibile da ardere; le lingue vermiglie portano morte e distruzione, riducendo in cenere quel che incontra il loro cammino. In questa storia però, il fuoco è padre, anima e corpo di una vita che da lui ha ripreso la voglia di toccare il cielo, innalzarsi verso di esso, e di spiccare il volo con le proprie ali di fuoco, verso il destino che l'attende.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Nuovo personaggio, Rhaegar Targaryen, Tyrion Lannister, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di lasciarvi , vorrei fare un piccolo appunto: ho modificato le età di alcuni personaggi, i più giovani, per fare in modo che in futuro alcune situazioni non risultino inappropriate . 
Buona lettura!



Capitolo terzo

 

La timida Luna emanava una fioca ed al contempo costante luce argentea, che illuminava la Fortezza Rossa. Le torri cilindriche, sette come i Regni, si erigevano alte dalle basi del castello, ma anche con la loro imponenza, niente potevano contro le tenebre. Le mura merlate, invece, tentavano di resistere all’oscurità con delle torce, poste dove, in caso d’assedio, gli arcieri avrebbero scoccato le frecce dai loro archi. All’interno delle stanze, regnava il silenzio: tutte le nobili iridi erano coperte da un nero velo, ed il sonno era cadenzato da lievi, involontari respiri. Le guardie continuavano a sorvegliare l’uscio delle camere da letto; alcune erano state vinte dalla stanchezza, seguendo così nei sogni i loro più reconditi desideri.
Una longilinea figura aveva attraversato i corridoi, riuscendo a non farsi notare ed evadendo da quelle mura nelle quali ancora non riusciva a sentirsi al sicuro. Silenziosa come un’ombra, era arrivata nel Parco degli Dei, scegliendo poi un frondoso olmo come punto d’osservazione e riflessione; trovando nel tronco principale un appoggio per la schiena, in un ramo alto e solido un leggero incavo dove sedersi. Credeva che, circondata dalla natura, avrebbe finalmente trovato pace e riposo. Ma non era stato così. Era lì ormai da molte ore, ed il fruscìo delle foglie accompagnava i suoi pensieri, che non trovavano risposta.
Niryssa sciolse la sua treccia, permettendo ai propri capelli vermigli di seguire la strada descritta dall’improvvisa folata di vento. Se li portò ad un lato del collo, passandoli tra le dita affusolate, mente osservava rapita il manto stellato.

Com’era bello quando a Grande Inverno trascorrevo intere notti ad imparare i nomi delle varie stelle, e delle costellazioni… ricordò malinconicamente. Il cielo è sempre lo stesso, ma la terra da cui lo osservo è cambiata.

Indirizzò il suo sguardo verso un apparente caos puntiforme, dove diverse, lontane, fonti di luce cercavano di segnalare la propria presenza.
Cercò di individuare le varie conformazioni luminose, ripetendo ciò che aveva imparato in passato. Sperava di trovare conforto ed allontanare le voci che continuavano a parlarle dall’interno della sua testa.

Ogni costellazione fa riferimento ad una nobile dinastia. Una volta sentii Maestro Luwin dire anche che tutte le stelle sono l’anima di un grande guerriero o di una coraggiosa lady, appartenuti a quella casata… A sinistra regna la costellazione della Lupa, dove Brandon il Costruttore splende incontrastato. Il muso è formato dai suoi successori, così come il corpo e la coda. In una delle due zanne ci sono Rickard e Brandon. Alla sua destra, invece, il Cervo risalta grazie alla stella di Steffon.

Niryssa non ricordava perché Steffon Baratheon avesse un posto nel cielo, ma non se lo chiese a lungo. La sua anima veniva completamente oscurata da Aegon, nella costellazione del Drago, che si collocava dopo quella della Leonessa, appartenente alla nobile Casata dei Lannister. Le altre famiglie di stelle non erano visibili dalla posizione in cui si trovava, ma la Rossa era rimasta così affascinata dal Drago che non avrebbe in ogni caso allontanato i suoi occhi da quella costellazione.
Andavano a formare la testa dell’animale - orientato verso destra, e visibile sul fianco - Aegon, Visenya e Rhaenys, che arricchivano la notte di riflessi rossi, come se fossero in fiamme. Poi vi erano Maegor il Crudele, Jaehaerys I, detto il Saggio, che insieme ad altri Targaryen meno noti, di cui non ricordava il nome, arricchivano di particolari il capo, e costituivano corpo e ali della creatura leggendaria. Questa volta, Niryssa ripercorse a ritroso la figura, cercando un elemento che prima di allora aveva guardato passivamente. Trovò nell’occhio di Drago l’anima di Rhaegar.

Rhaegar. Eccolo lì. Il principe che risplende timidamente, come se preferisse non essere notato… Cercò sua madre, ma non la trovò. Il principe d’argento era solo, senza nessuna stella nelle vicinanze.
Era a causa sua che trascorreva notti insonni, mentre le parole dell’anziana Annyte echeggiavano nella sua mente. Anche quel giorno, non v’era stata eccezione.

Di Rhaegar non conosceva molto. Sembrava che, esclusa Maice, nessun’altra serva volesse parlarne. Sapeva però che al Tridente aveva perso la sua battaglia più importante contro Robert Baratheon. Il motivo per cui i due si fossero sfidati, le era sconosciuto.
Nella sua testa si rinvigorirono le numerose domande ed ipotesi che aveva assopito. Uno degli interrogativi più frequenti, riguardava sua madre: poteva essere stata lei la causa dello scontro? Dopotutto, erano centinaia le canzoni che narravano duelli mortali per conquistare il cuore di una donna. Se Rhaegar l’amava, non si sarebbe di certo rifiutato di battersi per lei…

Scosse la testa.

Non sarebbe mai potuta andare così. Dopotutto, Robert voleva conquistare il Trono di Spade, ed eliminare il Principe Ereditario era necessario affinché non reclamasse la corona, una volta presa.

E se fossi stata generata dal suo seme? si domandò.

Il Lord di Grande inverno le aveva mentito durante tutti quegli anni, ed iniziava a dubitare che avesse appositamente omesso il nome di colui che l’aveva generata. Se per interesse personale o per salvarle la vita, ancora non le era chiaro. Erano passati sedici anni da quando l’aveva accolta nelle sue mura, ed anche se rimaneva un uomo del Nord, era capace di amare, in particolar modo i propri figli. E lui la riteneva una di loro, fino a prova contraria…

«Fenice…»

Era questo il tuo nome, madre? le sue iridi erano rivolte verso un punto indefinito del manto, privo di stelle.

Lo sussurrò ancora

«Fenice… Fenice… Prima di questo viaggio, non sapevo dove mi avrebbe condotto la mia ricerca. Ora, invece, so come ti chiami… Spero di sapere chi fossi, per renderti ancora più reale.»

Anche se non aveva mai sentito l’abbraccio di sua madre, stringendo il ciondolo e pensando a lei ebbe la sensazione d’averla lì accanto. Sentì le sue dolci labbra sul suo volto, un sospiro caldo all’altezza del collo e lentamente il mondo intorno a lei prendeva altra forma, colore e suono. Stava tornando a Grande Inverno, a casa sua; Spettro correva sotto di lei, mentre librava alta nel cielo, con le ali, rosse come i suoi capelli di fuoco.
                                                                           
***
 
La Sala Grande era arricchita con ricche decorazioni: si potevano notare i colori del Cervo incoronato dei Baratheon, uniti al rosso ed oro dei Lannister. L’ambiente era rettangolare, e su uno dei lati più lunghi, decine di finestre – che si estendevano fino al soffitto – illuminavano ogni dettaglio. Il legno intarsiato sul soffitto, raffigurava una giornata di festa: una montagna di frutta posta su di un tavolo, al centro della scena, mentre ragazzi e fanciulle si godevano seduti le bellezze dell’estate, gustando anche del delizioso vino. La folla che riempiva la Sala, era specchio di ciò che era rappresentato diversi metri sopra le loro nobili teste. Si divertivano ad assaporare quel che il loro re aveva ordinato di servire, danzando al suono di stornelli, accompagnati dal suono di vari strumenti musicali. L’Estate sembrava davvero non avere fine, in quel gaio giorno di festa. Ma il popolo sapeva che l’Inverno sarebbe arrivato, ed il loro malcontento si era già manifestato la sera precedente, quando un gruppo nutrito di uomini si era mosso verso la Fortezza.
Avevano urlato adirati il nome del loro Re, che stava sfruttando l’abbondanza destinata al futuro di magra carestia, riducendo così le riserve e conducendo i propri sudditi verso la morte.
Robert aveva udito le loro richieste, ma non ascoltato. Come ormai era sua abitudine, preferiva evitare ogni situazione a lui poco gradita. Le accuse del suo popolo gli sembravano così assurde e poco fondate. Morte? Quegli straccioni sarebbero periti in ogni caso, pensava. Mangiava tutto quel che era possibile, questo non poteva negarlo, ed il contenuto delle otri di vino era ormai in gran parte nel suo stomaco. Come avrebbe mai potuto apprezzare la delizia nel suo piatto o il nettare nel calice un uomo che non aveva conosciuto altro che carne di cane ed acqua putrida? Tanto valeva usufruire di ciò che gli dei gli stavano concedendo.

Alla destra, sua moglie Cersei sedeva composta, immobile, sorseggiando delicatamente il vino che le era stato versato. Da quando si erano seduti a quel tavolo, nessuno dei due aveva rivolto la parola all’altro. Si poteva dire che fossero perfetti sconosciuti, dal momento che i doveri coniugali venivano assolti una o due volte l’anno.

E’ più facile espugnare Capo Tempesta che entrare tra le sue gambe pensò. Rise sguaiatamente e trangugiò d’un fiato il contenuto del calice, e nella sua mente balenò l’idea di sostituirla con qualche puttana che scaldava il suo letto.

Non farebbe molta differenza, dopotutto.

L’alta musica che riempiva la stanza sovrastò anche i pesanti passi del Primo Cavaliere, che era entrato percorrendo a grandi falcate il corridoio, adirato dall’ultimo Concilio che aveva presieduto. Quello del giorno precedente sarebbe dovuto essere l’ultimo prima dei tre giorni di festa, ma quella mattina, Eddard Stark era stato convocato ed avvisato dell’ordine del Re.

«Robert, devo parlarti.» Gli disse severo. L’amico gli fece segno di sedersi vicino a lui. Il posto di sua moglie, ora era vuoto. La Regina aveva lasciato il banchetto non appena Ned si era avvicinato al soppalco sul quale poggiava il tavolo reale.

«Ned! Andiamo, accomodati. Bevi del vino, mangia con me.» Le guance rossicce e l’allegria erano evidenti segni della sua ubriachezza, ma Ned doveva parlargli. Non poteva attendere oltre.

«Non è per questo che sono qui. Seguimi, per favore.»

Robert corrugò la fronte, innervosito. Odiava lasciare le feste prima dell’alba, e quella che aveva organizzato lui era iniziata solamente da qualche ora. Decise però di abbandonare il suo Banchetto, ed affrettare il passo per raggiungere Lord Stark, che aveva già raggiunto l’uscita della Sala Grande.

In silenzio, percorsero i corridoi e scesero le scale, per arrivare fino al Parco degli Dei. Il respiro affannoso di Robert evidenziava quanto fosse per lui faticoso tenere la velocità di Ned.

Quando furono giunti nel luogo sacro, l’uomo del Nord si inginocchiò di fronte all’albero-diga, ponendo una mano sul suo tronco. In quel punto, vi era un silenzio paradossalmente assordante, che rendeva la mente del Re piena di pensieri confusi.

«Ricordi la nostra infanzia e adolescenza a Nido dell’Aquila?» iniziò, mentre la sua mano ancora poggiava sulla corteccia. «Eravamo molto uniti. Tu eri sempre un po’ indisciplinato, è vero, ma avevi quell’allegria che ti caratterizzava, e che mi piaceva tanto.»

«Cosa vorresti dire, Ned? Che ora sono un vecchio musone?» rispose ridendo.

L’altro si alzò, volgendo il suo sguardo verso il paffuto volto e quegli occhi che, anche con il passare degli anni, non erano cambiati.

«Ci consideravamo fratelli, ed avremmo fatto tutto l’uno per l’altro. Quando ho combattuto per la tua salita al trono, speravo saresti stato un buon re, fedele e devoto al suo popolo. Con il passare degli anni, le voci che ti riguardavano sono diventate sempre più numerose, e maligne. Volevo davvero che si sbagliassero, Robert. Ma ora sono costretto a dar loro ragione.»

«So cosa dicono sul mio conto. E per quanto mi riguarda posso tutti andare a farsi fottere. E’ questo quello di cui volevi parlarmi? Di come sono odiato dal mio popolo?»

L’espressione di Ned s’incupì: le iridi di ghiaccio facevano trasparire un’evidente delusione che provava nei confronti dell’amico, e le sue labbra si dischiusero per dare vita ai pensieri che gli affollavano la mente.

«Tu mi hai chiamato per affiancarti nei tuoi doveri di re. Quando ho accettato, non credevo che avrei dovuto prendere il tuo posto. Nei concili che ho presieduto fino ad oggi, sei stato presente solamente ad un paio di essi.»

«E’ quello che fa un Primo Cavaliere, no? Ti ho chiamato per questo.»

«Un Primo Cavaliere sostiene il re e lo consiglia nelle sue scelte, ma non lo sostituisce. Sono disposto ad aiutarti, non a regnare.»

Robert aveva dischiuso le sue labbra per ridere ancora una volta, ma udite le parole di Ned, le riunì tristemente.

«Io non ho mai voluto essere re. Amavo combattere, mangiare e fottere. Sedere sul trono di spade è stato uno sbaglio. Ma qualcuno doveva pur liberare i Sette regni da quel mentecatto di Aerys!» urlò, per poi scoppiare in una fragorosa risata poco dopo «Per quel che ne so, non dovrò sopportare a lungo quest’agonia! Joffrey prenderà presto il mio posto.»

«Vorresti lasciare il regno nelle mani di un quattordicenne? Robert, lo sa anche tu che è troppo giovane per ricoprire un ruolo tanto importante.»

«Ah! Ma cos’hai capito? Non vorrei mai che mio figlio diventasse re. Cersei mi farà fuori prima che sorga il prossimo sole.»

«Non vorrai insinuare che tua moglie…»

«Non sto insinuando proprio niente! Perché credi che abbia organizzato questa festa? Sto cercando di godermi il tempo che mi rimane prima di morire. E dovresti farlo anche tu. Quella donna è un corpo senz’anima.»

Ned non credeva a quel che aveva appena udito. Nonostante sapesse che i rapporti tra Robert e Cersei non fossero esattamente solidi e rosei, non immaginava che avrebbe potuto mai compiere un simile gesto. Doveva avvisare la Guardia Reale, i suoi uomini e proteggere il Re… ma come avrebbe potuto farlo? Aveva imparato a non riporre fiducia negli abitanti della corte, però ancora non sapeva come muoversi in quella rete di intrighi. Poi pensò che Robert era ubriaco, e che quelle potevano essere solamente supposizioni, totalmente infondate.

«Cersei non è esattamente il tipo di donna con cui vorresti condividere il tuo letto, Robert, ma credo che tu stia esagerando. Sei il padre dei suoi figli, e non potrebbe mai toglierti la vita.»

«I Lannister sono tutti traditori. Guarda Jaime, che mi ha tolto il piacere di infilzare anche quello stronzo di Aerys. Avrei voluto guardarlo negli occhi mentre gli toglievo la vita, proprio come feci con suo figlio Rhaegar!» esclamò divertito. Si guardò intorno, mentre sorrideva.

Ned ne dedusse che aveva bevuto molto più vino di quando credesse. Avrebbe dovuto parlare con lui quando fosse stato sobrio, ma l’urgenza dell’argomento glielo impediva. Perciò senza indugiare ancora, disse: «Oggi al Concilio, ho dovuto annullare l’assassinio di Daenerys Targaryen. Per la seconda volta. Perché insisti nel toglierle la vita? E’ solo una sedicenne, Robert…»

La risposta del Re arrivò rapida e tagliente alle orecchie di Ned.

«E’ pur sempre una Targaryen, Sangue di Drago. E va eliminata.»

L’altro sussultò, e pensò a Niryssa. Doveva assolutamente convincerlo che la ragazza dai capelli platino non fosse una minaccia. Far ragionare Robert, soprattutto quando non era pienamente in sé, sarebbe stato arduo, ma non impossibile.

«Una minaccia? Non hai motivo di temerla. Soprattutto fino a quando continuerà ad essere la Khaleesi del suo Khalasar. L’Oriente è molto lontano, abbastanza da farla desistere dal conquistare il trono. Ha già un popolo da governare.»

Robert non sembrò molto convinto dal tentativo di Ned, soprattutto perché aveva una nuova, delirante, teoria: «La morte di suo fratello Viserys potrebbe averla motivata. Il Khalasar è molto numeroso e soprattutto fedele e a lei e al suo Khal. E se fosse già gravida? Avrebbe tutte le buone ragioni per distruggere Approdo del Re ed uccidere me, te, le tue figlie, tutti noi…»

«Dimentichi come i Dothraki abbiano paura del mare, e non lo navigherebbero mai. Inoltre, le tue sono solamente supposizioni. So come sia difficile non sapere di chi tu possa fidarti. Lord Varys è un ottimo Ragno Tessitore, ma non un amico. Non credere a quel che dice. Ascolta me, ascolta il tuo popolo. Macchiarti del sangue di un’innocente è l’ultima cosa di cui hai bisogno, e la tua gente chiede che tu sia un buon Re. Hai liberato Approdo da Aerys, non diventare come lui.»

Il Re si passò la mano sul viso, facendola scivolare fino alla punta della sua barba, accarezzandola.

«Sì, è vero: eravamo come fratelli da giovani, e Jon era nostro padre. Ma i tempi sono cambiati, e così ho dovuto fare anche io, per non soccombere in questa città. Daenerys è una ragazza, come dici tu, ma il sangue che scorre in lei è più antico di tutti noi… I Dothraki potranno pur non essere una minaccia, ma se ritirassi l’ordine, apparirei come un debole, ed il popolo o teme il proprio re, o lo ama. Non posso permettere che si prendano gioco di me, a palazzo.»

«Un re amato viene sostenuto e difeso dai sudditi, mentre se temuto lo aiuterà a costruirsi la propria tomba. Se prometti di ritirare l’ordine, io ti sosterrò nelle tue scelte, Robert. In memoria dei vecchi tempi.»

«Spero che questo possa bastare… Quegli zoticoni mi odiano fin troppo, Ned. Potrei temere un nemico in meno, se ci riuscissimo.»
Posò una mano sulla spalla dell’uomo, e l’altro arcuò leggermente gli angoli della bocca.

«Quindi desisterai?»

«Sì, rinuncerò. Daenerys Targaryen è al sicuro, finché deciderà di essere una Khaleesi e non la Regina dei Setti Regni.»

L’uomo del Nord si rilassò, e si guardò intorno. Aveva avuto la sensazione d’essere stato osservato, durante il suo colloquio privato con il Re, ma anche prestando attenzione non era riuscito ad individuare alcuna presenza.

Approdo del Re fa credere a voci che si reggono sul nulla, ed io sto iniziando a sentire ombre che non esistono… Si convinse.

«Grazie, Robert.» Rispose, voltandosi verso l’amico. Silenziosamente, ma senza la tensione che li aveva accompagnati all’andata, si incamminarono poi verso la Sala Grande, e per Ned tenere il passo di Robert - che questa volta, aveva un andamento più rapido di quando aveva dovuto lasciarla – non fu facile. Aveva approvato contro il suo volere quei tre giorni di festa, ma in quel momento riteneva più saggio affiancare l’amico, piuttosto che lasciar avvicinare lingue sibilline alle sue orecchie.
 
***
 
I Lannister sono tutti traditori

Quelle parole continuavano a risuonare nella sua testa, sempre più forti.
La paura si impadronì di lei, ed il battito del cuore sembrava accelerare sempre di più, quasi a voler scoppiare. Per poco non perse l’equilibrio.

I Lannister sono tutti traditori

Anche Tyrion, dunque? Niryssa non osava pensare quale sarebbe stato il suo destino se il Leone dorato avesse scoperto la sua identità – a cui lei ancora stentava a credere – e avesse parlato con sua sorella, o Jaime, o persino con il Re… Le picche avrebbero avuto una nuova decorazione, oppure avrebbero preferito farla cadere in un sonno senza alcun risveglio? Il veleno era l’arma delle donne, lo sapeva, e temeva che le supposizioni del sovrano sulla crudeltà della consorte potessero rivelarsi fondate.
Si toccò alla base del collo, per controllare che nel frattempo nessuno lo avesse diviso dal resto del corpo.

Aspettò che i due uomini si allontanassero prima di iniziare la discesa del tronco. Ora, alla luce del giorno, gli appigli sui quali si era poggiata e le sporgenze che avevano sostenuto il suo peso apparivano più chiari e definiti. Saltò gli ultimi due metri, atterrando pesantemente sul terreno. L’olmo l’aveva aiutata a pensare, ed aveva infine trovato pace nella notte stellata. Adesso invece avrebbe dovuto trovare Tyrion, e scoprire cosa sapeva.

Si diresse verso la Sala Grande, seguendo l’invitante profumo che inebriava le sue narici. Più si avvicinava al luogo della festa, tanto aumentava la cacofonia di voci e strumenti; i suoni melodiosi delle arpe, venivamo sovrastati dai canti rauchi dei presenti, vittime del nettare viola. Alcuni intonavano delle note, altri cantavano strofe improvvisate, ed il risultato era un caos di suoni disarmonici. Quando entrò nella Sala, notò suo padre al tavolo reale, e Re Robert che rideva di fianco a lui, affiancato da un altro paio di uomini che non riconobbe. Si avviò verso il centro, dove un gruppo nutrito era stranamente in silenzio, pubblico esemplare di un oratore che, con passi lenti e goffi, camminava per tutta la lunghezza del tavolo. Passò sotto un paio di gambe, e fu in grado di assistere allo spettacolo che stava inscenando.
Un nano indossava dei vestiti chiari – quasi bianchi – che con la luce del Sole mostravano dei riflessi azzurri. La giacca che indossava era molto aderente, come se fosse una seconda pelle, e la calzamaglia celestino chiaro aveva dei disegni che somigliavano alle stalattiti di ghiaccio. I suoi capelli ricci, invece, erano raccolti con un nastro azzurro. Nella mano sinistra teneva un bastone di legno, che simulava uno scettro. Per mantenere l’attenzione del pubblico muoveva le mani con grande foga, enfatizzando qualsiasi parola uscisse dalla sua bocca.

«E così, miei cari signori, il nostro Re ha bandito per i prossimi tre giorni qualsivoglia tipo di attività che non comprenda bere mangiare e… la terza cosa che egli preferisce di più.»

Un paio di uomini risero, ma appena il nano riprese a parlare tornarono in silenzio.

«Ha detto che bisogna celebrare l’Estate, e così noi faremo! Avrete capito chi io sia, no?» Come se non si aspettasse risposta, continuò il suo monologo «Si dice che, quando l’Inverno arriverà, gli Estranei cammineranno fra noi, impugnando le loro armi glaciali e conquisteranno Westeros.»

«Sono solo cazzate!» urlò qualcuno dal fondo

«Leggende, non cazzate, Wes. Comunque, il loro re si impadronirà del nostro trono, ed il freddo eterno ghiaccerà il Continente. Ebbene, io sono qui. Ditemi signori, come credete che si possano uccidere gli Estranei?»

I suoi occhi marroni cercarono fra i partecipanti, e delle risposte iniziarono ad uscire dalle labbra di alcuni

«Io lo so: gli uomini del Nord sono tutti così freddi, e gli Estranei non sono da meno. Un bel paio di tette e vedi come si scioglieranno! Ah ah ah!»

«Sì, sì, basterà qualche donna per farli fuori!» concordò un individuo dalla chioma bionda

Il nano batté il bastone sul tavolo, per richiamare l’attenzione

«Se fosse così facile, faremmo scorta di prostitute per inviarle al di là della Barriera.» Sorrise, mostrando una dentatura non propriamente perfetta. Posò la seconda mano sul bastone, sbilanciandosi poi lievemente di lato. Incrociò lo sguardo di Niryssa, e riprese a parlare.
«Fuoco. E’ questo quel che ci vuole. Le donne possiamo tenerle per noi, miei cari, ma dovremmo armarci di torce e far sì che le fiamme si impossessino di loro.»

I partecipanti iniziarono a bisbigliare fra di loro. Niryssa stava trovando il discorso piuttosto interessante, e nonostante quello del mezzo uomo fosse più un avvertimento che la recita del re dell’Inverno, molti uomini sembrarono non afferrare la serietà dell’argomento. Appena uno di loro puntò gli occhi sulla ragazza, iniziò a sussurrare qualcosa a colui che gli era vicino, sogghignando. Lo stesso individuo, poi, si avvicinò a lei ed esclamò: «Fuoco, eh? Io dico che questa potrebbe essere la soluzione migliore: una donna dai capelli rossi come le fiamme.» Le afferrò il braccio, portandola verso il tavolo. Il nano si mostrò lievemente preoccupato dalla veemenza con la quale l’altro l’aveva presa, e capì che la causa era il troppo vino nel suo stomaco.

«Prendi lei, avanti!» insisté, cercando sostegno dai suoi compagni.

Niryssa si toccò il punto dove l’uomo aveva stretto la sua morsa, massaggiandosi il punto dolente. Non riuscì a capire cosa stessero dicendo le altre voci, ma sollevavano i calici e intonavano qualche canzone di cui non conosceva il testo.

«La ragazza di fuoco che ci salverà dagli Estranei!» si distinse una voce vinta dall’ebbrezza.

Dalle loro labbra uscirono parole che Niryssa mai si sarebbe aspettata di udire in una Sala reale, e che invece suscitarono ilarità negli altri. Sempre più spaventata, guardava quegli uomini con le sue iridi auree, sperando che tutto ciò finisse al più presto. Il mezzo uomo poco sopra di lei, era impotente di fronte a cavalieri e lord che lo superavano in altezza e forza; cercò quindi di portare nuovamente l’attenzione su di sé, introducendo un’altra leggenda legata però ai Primi Uomini. Ma non c’era nulla da fare. Ormai, due mani avevano stretto il suo bacino, ed erano pronte a sollevare quel fuscello per continuare lo spettacolo, quando qualcuno venne in suo soccorso.

«Lasciate immediatamente quella ragazza.»

La massa si zittì improvvisamente, voltandosi in direzione del suono. Colui che l’aveva afferrata, le fece poggiare delicatamente le palme dei piedi a terra, scusandosi poi dell’azione.

«Cosa credevate di fare, eh? Prendervela con una fanciulla indifesa… Voi, che dovreste proteggere i più deboli.» Si portò la mano sulla fronte, dandosi un colpettino.

«Ah, ma cosa sto farneticando? Tutto ciò che vi interessa, è ubriacarvi e fottere. Oh, perdonatemi» disse, avanzando verso di lei «non avrei dovuto usare tale parola in vostra presenza.»

Tyrion la osservava con i suoi occhi asimmetrici ed eterocromatici, sollevando un angolo della bocca.

«Noi… Non sapevamo che foste con voi. Credevamo fosse una serva, ecco.»

«Sì, non pensavamo che…»

«Chiudete quella bocca, e tenete per voi le vostre scuse. Ho di meglio da fare che starle a sentire.» Ordinò loro. L’autorevolezza con la quale il leone dorato stava parlando li sorprese, e anche se avessero voluto mettere le mani intorno a quel tozzo collo, il nome che portava li fece desistere dal farlo.

«Tu vieni con me.» Sussurrò alla Rossa. Lei fece un cenno con il capo, e lo seguì mentre si allontanava dalla Sala, con la sua usuale andatura disarmonica.

Una vola varcata la soglia della porta, le labbra di Tyrion si dischiusero nuovamente: «Ho sempre detestato chiunque abusasse della propria forza, soprattutto se l’oggetto del loro divertimento è un povero storpio, incapace di difendersi. Ricorda, la lingua è la lama più tagliente che esista. Se imparerai ad usarla al meglio, non avrai bisogno di nessun acciaio.»
Il nano interruppe la sua camminata. Si trovavano in un corridoio stranamente silenzioso, e privo di alcuna guardia. Nessuno aveva saputo resistere al buon cibo e a qualche bicchiere di vino. Il Sole illuminava il lato ovest, facendo risaltare gli intarsi sul legno delle pareti e riflettendo le decorazioni dorate degli arazzi che riempivano lo spazio tra una porta e l’altra. Il viso alabastrino di Niryssa veniva avvolto dai raggi luminosi e l’oro delle iridi rifletteva in quelle di Tyrion, che la guardava senza proferire alcuna parola.

«Per quale motivo eri nella Sala Grande? Non è luogo adatto ad un ragazza…» le domandò

«Io... Ti stavo cercando. So che ti piace bere, ed essendoci del buon vino credevo che ti avrei trovato lì.»

Tyrion schioccò la lingua sul palato.

«Ottima osservazione. Sì, in effetti ero impegnato a bere dal mio calice, ma ho sentito delle urla e riferimenti ad un ragazza dai capelli rossi, ed ho pensato di dover intervenire.»

«E per questo te ne sono molto grata, Tyrion.» Niryssa gli sorrise. Come poteva essere un traditore, se nel momento in cui si era trovata in difficoltà, lui l’aveva salvata? Anche Sansa condivideva lo stesso sangue di Arya, ma le loro personalità erano totalmente differenti… Doveva comunque rimanere cauta, e verificare se, nel frattempo, egli avesse ricevuto delle informazioni che le potessero essere utili. Sperando che non fosse così intelligente come sembrava.

«In questo mese le nostre strade non si sono incrociate; io ero occupata ad accudire Sansa, tu a svolgere i tuoi compiti, immagino. Ho continuato a sperare che non ti fossi dimenticato del viaggio, e dell’aiuto che mi avevi offerto. Perciò appena possibile ti ho cercato, per chiederti se te ne ricordassi…»

Il mezz’uomo aggrottò le sopracciglia, pensieroso. «Sì, non l’ho dimenticato. Sarei venuto da te per informarti, ma non ne ho avuto il tempo.»

«E… cos’hai scoperto?» chiese titubante la Rossa.

«Non molto, a dire la verità. Durante il Saccheggio, secondo le mie fonti, non esisteva nessuna donna incinta, o in prossimità di partorire.
Quindi, se tua madre non era una serva… Allora cos’era?, mi chiedo.»

Si sfregò il mento, e pensò che qualcosa doveva sicuramente essergli sfuggito. Il colore dei capelli di Niryssa era troppo insolito perché fosse passato inosservato. Chiunque l’avesse generata, doveva condividerne le caratteristiche, e ciò non poteva lasciare indifferenti scrittori e cantastorie. Doveva pur esserci qualcosa, da qualche parte. Ma perché se ne preoccupava, come se lo riguardasse? La ragazza aveva tratti fuori dal comune, come lui, ma intuì che ciò non rappresentasse la vera ragione per la quale ne fosse così interessato.

«Tutto qui?»

Tyrion si risvegliò dai suoi pensieri, scrollando la testa.

«Sì, non c’è altro. Credevo sarebbe stato più facile, ma sembri davvero comparsa dal nulla.»

Dentro di sé, Niryssa tirò un lungo sospiro di sollievo. O il suo interlocutore mentiva egregiamente, o stava semplicemente raccontando la verità. Gli fece un’altra domanda, più vaga, sperando che non la collegasse con la sua ricerca.

«Non importa, cercherò di cavarmela. Ti ringrazio di aver almeno tentato…» Dopo una piccola pausa proseguì «Vorrei domandarti un’ultima cosa, se possibile.»

«Certo, chiedi pure.»

«Quand’ero a Grande Inverno, avevo sentito raccontare di Fenice. La leggenda mi aveva incuriosita molto, e mi domandavo se esistesse nella Biblioteca Reale un volume dedicato…»

«Ti stai forse riferendo al rapace di fuoco? E’ nella sezione delle creature leggendarie, se la memoria non m’inganna; ma non credo che tu possa accedervi. E’ riservata ai membri della famiglia reale, o del Primo Cavaliere. Potrebbero punirti se ti scoprissero consultare uno dei suoi tomi.»  L’avvertì insolitamente premuroso. Che stesse cercando di dissuaderla, o di convincerla ad infrangere le regole? Molte volte lui stesso, in nome della curiosità e del sapere, aveva spalancato porte che non avrebbe dovuto aprire.

La Rossa ci pensò per qualche momento, poi ripeté: «Sezione delle Creature leggendarie. Sì, dovrei essere in grado di arrivarci. Ti sono debitrice, Tyrion.» Lo ringraziò.

Sapevo non mi avrebbe ascoltato. E’ così testarda, che prima o poi si caccerà nei guai. Spero solo che saprà cavarsela, quando accadrà. Rifletté il Lannister.

«Stai attenta alla guardia che sorveglia l’entrata. Non dovrebbe essere molto sveglia, ma è meglio non disturbarla comunque. E, soprattutto, una volta dentro ricorda di chiudere la porta, altrimenti potresti attirare l’attenzione di qualcuno nei dintorni.»

Non che, in questi giorni di festa, la Biblioteca sia meta di visite; d’altronde è anche vero che la buon riuscita di un piano è proprio nei suoi dettagli.

«Farò come dici. E’ bene che vada finché la musica è alta e l’attenzione concentrata nella Sala, dunque.» Niryssa si incamminò, dopo aver nuovamente ringraziato il Lannister per i suoi consigli.

Lui, invece, guardò la ragazza allontanarsi con leggiadria e allo stesso tempo mantenendo un passo sostenuto, mentre la sua folta chioma seguiva l’ondeggiare dell’andatura, pensando:

La mia ricerca fino ad ora è stata vana, ma riuscirò a scoprire chi sei, ragazza dai capelli di fuoco.

***
 
L’immensa moltitudine di libri, manoscritti e tomi vari posavano solennemente sopra gli altrettanto numerosi scaffali, e l’avevano lasciata senza fiato non appena, silenziosamente, aveva varcato la soglia della sala. L’entrata che precedeva l’ingresso, era costituita da due porte lignee, con degli intarsi raffiguranti scribi occupati nel loro lavoro di ricopiatura; mentre la mezzaluna sopra di esse, riportava l’incisione “Il sapere è la strada per la vita eterna”. Niryssa non aveva avuto dubbi che quelle parole dichiarassero il vero, perché nella pagine di quei volumi, la conoscenza di tutti i millenni precedenti veniva raccontata nero su bianco. Numerose penne d’uccello avevano solcato le lievi increspature della carta più grezza, percorso curve e linee per bagnarla con l’inchiostro e permesso così ai fugaci ricordi umani di avere un’esistenza senza fine.

L’ambiente era ancora ben illuminato, e le grandi finestre sulla sinistra permettevano alla luce solare di filtrare anche attraverso le setose tende color vaniglia. Davanti a sé, Niryssa trovò un grande corridoio principale, il quale divideva la sala in due parti esattamente uguali. Altri piccoli tagli orizzontali suddividevano le varie aree, ognuna identificata da scritte incise sul lato dell’imponente libreria scelta come rifugio sicuro per i tomi uniti dal medesimo tema.
Fortunatamente, la sorveglianza della Biblioteca era quasi del tutto assente. Nonostante fosse pieno giorno, aveva saputo agire indisturbata e oltrepassare la figura del guardiano, decisamente più preoccupato a completare un gioco di pedine in solitaria, piuttosto che eseguire il compito che gli era stato assegnato. Era stato sufficiente accucciarsi sotto la scrivania – posta lateralmente rispetto all’entrata – ed aspettare che le sue palpebre rimanessero serrata qualche secondo in più, prima che si riaprissero per muovere un’altra pedina.
L’unico ostacolo che la separava dal conoscere - finalmente -  chi fosse sua madre, era ad ogni modo proprio la grandezza della Sala. Cercò quindi di focalizzarsi prima sulla comprensione dell’ordine di suddivisione dei libri. Osservò entrambe le divisioni, e con una rapida occhiata capì che alla sua destra erano raccolti i volumi di legge, di medicina e di tecniche militari. Dunque, la sua ricerca si sarebbe concentrata nella parte sinistra. Avanzò verso il primo scaffale, prestando attenzione ad ogni minimo rumore. Una volta avvicinata, sfiorò l’incisione con l’indice.

«Arti magiche.» Lesse «Non è quel che mi serve.»

Proseguì quindi verso la raccolta successiva, dove questa volta era racchiusa la fonte del sapere religioso. Infatti, su quei ripiani poggiavano volumi impolverati riguardanti le storie degli dei antichi e nuovi, più le varie pratiche che li coinvolgevano. Lo dedusse dal titolo di un tomo, i cui caratteri ricchi di decorazioni riempiti in oro chiarivano il contenuto delle sue pagine.
La divisione seguente, ricca di tomi dai più vari colori e dimensione, ospitava ogni sorta di storia, leggenda e racconto che contenesse al suo interno descrizioni di creature leggendarie, dalle quindici teste o dagli occhi neri come la pece, che con la loro oscurità rendevano il mondo pieno di tenebre. Un volume – si incuriosì – trattava di esseri bianchi, costituiti da un’anima di ghiaccio ed occhi azzurro intenso, che popolavano le terre oltre la Barriera. Avrebbe gradito perdersi tra le parole di quella narrazione, ma fu costretta a riporre il libro e a concentrarsi nuovamente sulla sua ricerca.

Tra tutti i polverosi elementi di quegli scaffali, fu attirata verso un consistente rilegato di pagine – il quale era ben nascosto -, la cui copertina era visibilmente deteriorata; ma sia sul lato che sul fronte, era ben chiaro ciò tra cui si sarebbe avventurato il lettore una volta aperto: Antiche leggende Valyriane.

Lo portò sottobraccio fino al piccolo tavolo al lato della libreria: ve ne erano diversi in vari punti della stanza, posti in alternanza nelle varie sezioni. Si sedette delicatamente sulla sedia, e aprì a metà il volume. Un gran nugolo di polvere si sollevò e la costrinse a tossire.

«D’accordo, vediamo cosa c’è qui.»   

Fece attenzione a voltare con attenzione i sottili fogli di carta, prendendo con il pollice e l’incide l’angolo di ognuna di esse. Sentiva che lì, avrebbe trovato qualcosa. Forse, proprio ciò che stava cercando.

Partì dalla formazione del Continente Orientale, dalla nascita dei popoli di Essos e delle oscure arti magiche che, ad Occidente, non aveva mai avuto l’occasione di conoscere. Spiriti ombre e uomini di luce avevano combattuto fra loro, cercando di ottenere il predominio su quelle vaste distese. Popoli comandati da guerrieri – i khal -, erravano tuttora per il deserto, compiendo razzie di villaggi e donne. Poi, mentre le sue palpebre divenivano ad ogni parola sempre più pesanti, un’intestazione più curata delle altre la risvegliò da quel torpore.

“Genesi dell’antico regno libero di Valyria.”

E fu così che Niryssa apprese tutto ciò che vi era riportato circa l’antico regno perduto.
 
Le leggende che vivono tra i popoli del Continente Orientale, denominato Essos, circa la nascita della Fortezza, sono varie e a volte molto discordanti. Alcune richiamano l’esistenza di un Essere superiore, altre di un fuoco che spazzò via le fortificazioni e villaggi precedentemente stabilitasi ed eretti dalle future Nobili famiglie; esiste persino un circoscritto gruppo di tribù che attribuisce ad un essere umano la conquista di tali territori. Dalle fonti pervenute fino a Westeros, pare evidente che un unico filo conduttore lega le varie storie, ovvero la presenza di un’unica entità – umana od ultraterrena – causa della grandezza dell’antico regno di Valyria. L’elemento più sorprendente circa le aree limitrofe, è rappresentato dall’acciaio – eccezionalmente tagliente e difficile da lavorare -, ovvero una lega costituita principalmente da ferro. Questo metallo si presenta suddiviso in due strati orizzontali, che fanno supporre un duplice incendio e devastazione, che concentrarono il comune ferro, facendolo sprofondare molto in profondità rispetto all’ubicazione precedente. Questa è la causa dell’affilatezza delle spade valyriane.

Esiste un racconto, quasi interamente perduto, i cui frammenti parlano dell’esistenza di un rapace di fuoco. La creatura di fiamme vermiglie e dorate illuminava i cieli di tutti i continenti, e con il suo calore cullava la vita, impedendo all’oscurità di impadronirsi del suo vastissimo regno. Per un’ignota ragione, le sue ali toccarono il suolo dove si sarebbe eretto il Castello di Valyria, e la sua anima abbandonò la vita vagando per secoli, finché parte di essa venne racchiusa in un oggetto sacro al popolo.
L’essere, descritto come immortale, subiva l’avanzare del tempo, ma sconfiggeva la morte rinascendo dalle proprie ceneri. In quell’occasione, esse diedero vita ad una differente entità. In quegli anni, mentre alcuni fondavano le basi per un regno, nel continente di Westeros uomini di ghiaccio invadevano le terre, ormai luogo di un inverno lungo e oscuro. Un’altra figura – reincarnazione dell’antico rapace - si narra che giungerà sul suolo occidentale per debellare il morbo delle tenebre con il potere delle sue fiamme, e per generare un nuovo, grande impero. Ella sarebbe vissuta con un altrettanto antica dinastia ma, vittima di una maledizione, la sua progenie mai avrebbe visto la luce, condannandola ad un’esistenza di solitudine.
Il nome della famiglia che la custodirà, in attesa che la profezia si avveri, non viene svelato, ma dagli indizi dei frammenti si può facilmente intuire che…

Niryssa voltò pagina, incuriosita da quei dettagli intrinsechi di mistero.

…In questo modo, Westeros potrà finalmente godere della tranquillità e dell’armonia tra i suoi popoli, a lungo dimenticate.

Sfogliò le pagine precedenti, dividendo i fogli cartacei che si erano uniti, ma della penultima pagina non vi era traccia. Passò l’indice nel punto in cui erano stati passati con un filo di budella animali, e fu allora che notò lo strappo netto e deciso.

Non può essere… Continuò a sfogliare il volume, sperando di trovare il foglio mancante. Più volte rilesse i capitoli per tentare di cogliere qualche informazione in più, che poteva esserle sfuggita. Ma senza quelle due facciate, tutto il racconto appariva più che mai vago; e lei doveva capire. Sua madre era la discendente di Fenice? Ed i Targaryen erano stati i suoi custodi? Non lo avrebbe mai saputo.

La maledizione non le permetterebbe di generare… No, non può essere lei. Perché quel nome, allora? Dev’esserci una ragione, un qualche motivo che non riesco a cogliere.

«Lady Snow» Una voce maschile, accompagnata da dei passi si avvicinò a lei, fermandosi alla sua sinistra.

Niryssa alzò lo sguardo dal libro, ed impietrita fissò l’uomo di fronte a lei. Era di bassa statura, con un completo verde, ricamato con motivi grigi. Il suo viso lungo era arricchito da un pizzetto, incorniciato da capelli scuri che portava corti e, nelle vicinanze delle tempie, da due lingue argentee.

«Non ci siamo mai incontrati, non ufficialmente almeno. Ma una ragazza come te non può di certo passare inosservata. Sono lieto di conoscerti, Niryssa Snow. Io sono Lord Petyr Baelish, Mastro del Conio.» Avanzò ancora di qualche passo, rivolgendole un sorriso che le parve più che mai mellifluo.

«Cos’è che rapisce la tua attenzione, Lady Snow? Ora capisco… La genesi del Regno libero di Valyria. Davvero un peccato che secoli fa sia stato colto da un terribile disastro.»

Le dita affusolate di Petyr Baelish sfogliavano delicatamente il libro, e mentre i suoi occhi grigio-verdi leggevano sommariamente le parole riportatevi, Niryssa si domandò quale fosse la causa della sua improvvisa visita. Le volte in cui aveva colto la presenza del Mastro del Conio potevano contarsi sulle dita di una mano ma, a quanto udito, lui la stava osservando già da qualche tempo. Rispose quindi con diffidenza, aggiungendo dell’ironia, quando le domandò per quale motivo si trovasse in un luogo a lei proibito.

«Lady Sansa mi aveva espressamente ordinato di lasciarla da sola, quest’oggi. Suppongo dovesse trascorrere del tempo con il principe. Ho pensato che leggere sarebbe stato un ottimo modo per impiegare il tempo, e quando ho provato ad entrare, non sono stata fermata. Non credevo che alle donne fosse vietato leggere, Lord Baelish.»

«Non intendevo questo, perdonami se ti ho offeso. Sfortunatamente però, l’accesso alla Biblioteca è riservato alla famiglia del Re e del Primo Cavaliere.» Ribadì, fingendosi mortificato.

«Io sono figlia di Lord Eddard Stark, in carica come Primo Cavaliere. Credevo lo sapeste…»

Lord Baelish aggrottò le sopracciglia, pensieroso.

«Non ritengo che Snow sia esattamente il cognome dei figli legittimi di Lord Stark.»

«Ed allora perché chiamarmi Lady?»

«E’ una semplice forma di cortesia.»

«Vi ringrazio, allora, perché è esattamente il motivo per cui mi rivolgo a voi chiamandovi Lord.» Osò ribattere. Sentendosi minacciata, la Rossa si mise sulla difensiva, cercando di apparire più sicura di quanto non fosse in quel momento. Non conosceva quell’uomo e l’idea che invece lui sapesse chi fosse, la spaventava. «Avete detto che, non appartenendo alla famiglia reale né a quella del Primo Cavaliere, non dovrei essere qui… Come voi, dunque.»

«Oh, la ragione che mi ha portato a varcare la soglia, è stata semplice curiosità. Una delle due porte era semi aperta, e sapevo che le figlie di Lord Stark erano occupate in altre attività, perciò mi sono domandato chi potesse preferire una lettura ad una bella festa.»

Sta mentendo, ne sono sicura. Mi sono assicurata di chiudere la porta, quando sono entrata. Pensò Niryssa

«Mi perdonereste, dunque, se vi chiedessi di lasciarmi proseguire. Avrete altri compiti da svolgere, e non vi è motivo che restiate. Riporrò il libro al suo posto una volta terminato, e poi vi assicuro che lascerò la sala.»

«Sono spiacente, Lady Snow, ma non posso. Le regole devono essere rispettate, ed è esattamente per questo motivo che ti accompagnerò personalmente all’uscita.» Ripose delicatamente il volume lì dove Niryssa lo aveva trovato. Poi, le porse l’avambraccio, e - seppur riluttante – lei acconsentì a lasciare la sala insieme a Lord Baelish, capendo come quella fosse l’unica silenziosa via d’uscita. Si appoggiò all’uomo, sfiorando appena il tessuto che evitava il contatto diretto tra loro, percependolo quasi come squamoso. Infatti, lui le ricordava incredibilmente la figura di una sinuosa e velenosa serpe, una di quelle che aveva immaginato popolassero Approdo del Re. Il suo sorriso nascondeva molto più che una falsa cortesia, ma non riuscì a scoprire cosa. Era stranamente in grado di esercitare una strana influenza su di lei, grazie anche all’aiuto della sfumatura degl’occhi.

Avanzando verso l’intarsiata porta sentiva il suo sguardo sulla propria pelle, e ciò la mise profondamente a disagio. Mantenne alto il mento, concentrandosi sulle decorazioni ed allontanando quella sensazione d’essere osservata. Uscirono dalla sala senza proferire alcuna parola e percorrendo il corridoio senza provocare rumore. La guardia era ancora persa nel proprio inconscio, notò.
Si fermarono a pochi metri dall’entrata, ed appena le fu possibile Niryssa indietreggiò di qualche passo per allontanarsi da lui. Lo osservò per un momento, mentre le sue labbra erano cristallizzate in un leggero sorriso. «Vi ringrazio per la vostra gentilezza» mentì. «E spero che la vostra curiosità vi porti anche al Banchetto del Re, in modo che possiate divertirvi.»

«Seguirò il tuo consiglio, Lady Snow.» Rispose, inclinando lievemente il capo. «Sono lieto di averti conosciuto.»

Niryssa si allontanò, ponendo sempre maggior distanza tra lei e Lord Baelish. Nonostante ciò, continuava però a percepire lo sguardo di lui, che non desisteva nel seguire i suoi movimenti. Tentava di non ammetterlo, ma l’intricato labirinto di pensieri che si celavano sotto quel corpo l’aveva affascinata, certa che la propria immaginazione l’avvicinasse alla sua reale forma. Le iniziali falcate calme e studiate si trasformarono in corsa una volta che non fu più nel suo campo visivo; salì dei gradini e si diresse verso l’esterno, permettendo alla luce del Sole di illuminarle la pelle quasi perlacea.

Si riprese da quell’incontro, ma ciò non bastò ad allontanare l’uccellino dalla tana del serpente.


Sono davvero tanto spiacente di aver impiegato più d'un mese (un arco di tempo davvero imperdonabile) per pubblicare questo terzo capitolo; ma, essendo al quinto anno di un liceo scientifico, ho avuto un inizio duro, e lo studio si sta intensificando sempre di più. Spero di poter aggiornare più frequentemente, sperando che nel frattempo il vostro interesse per la storia continui ad ardere. 
Vi ringrazio ancora di avermi letto.

Leiron

 
   
 
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