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Autore: ludi sheeran    20/10/2014    0 recensioni
Vivere è più difficile che morire. Una scelta. Fatti oscuri. Morte. Cosa ne verrà fuori? prequel di "ci vuole poco"
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Fa freddo. Nella fretta mi sono dimenticata il cappotto. Cerco una via di fuga. Non la trovo. Non l'ho mai trovata. Quando cammino mi piace osservare la gente. Quello che fa. Come si comporta. Quello che prova quando sa che c'é qualcuno che la ama. Il mio problema é questo. Non so che vuol dire amare o essere amati. Guardo per terra, l'asfalto completamente ghiacciato sembra quasi che si prenda gioco di te, quasi come se si divertisse a vederti scivolare. Vado avanti per la mia strada. I flashback di quello che ho visto e sentito tornano prepotentemente nella mia testa, facendola scoppiare.
 
Ecco l’ennesimo piatto rotto, ormai questo suono è quello che conosco meglio. Mi precipito in cucina e vedo una scena che non mi è assolutamente nuova. C’è solo una cosa che non mi quadra. Mia madre è per terra che mi da le spalle e mio padre le sta davanti con una bottiglia in mano. Fin qui niente di nuovo. Il problema è che mamma non accenna a muoversi per rassicurarmi come fa di solito.
“beh? Non ti rialzi come al solito?” dice sprezzante mio padre. Vedo che allora non ricevendo alcuna risposta alza il braccio che tiene la bottiglia. Si svolge tutto al rallentatore. Io che corro per arrivare in tempo e fermarlo, il suo braccio che è più veloce delle mie gambe e l’impatto. Immobile. Rimango così, sguardo perso nel vuoto e cervello che non riesce a collegare i fatti. A risvegliarmi è il sangue che prende a uscire copioso dalla testa di mia madre.
“sei un pazzo assassino!” urlo a mio padre mentre mi assale una rabbia cieca. Lui si spaventa ed esce di corsa di casa. Corro da mia madre. È fredda. Quasi come il ghiaccio che c’è fuori. Pallida come un fantasma. Ha gli occhi aperti. Vacui, mi fissano senza vedermi. Una lacrima solitaria le solca la guancia destra. Agguanto il telefono chiamando la polizia, sembro un automa. Gli dico di fare in fretta. 5 minuti dopo ci sono due agenti sulla porta. Vedono lo scempio in cucina. Io non ho ancora realizzato quello che è successo. Quando vedo il sacco nero come la morte che si richiude attorno al suo corpo freddo, capisco realmente a cosa ho assistito. Esco di casa sbattendo la porta cercando di lasciarmi tutto alle spalle per qualche momento.
 
Torno alla realtà. Mi rendo conto di non aver pianto.  Il dolore talmente forte da non poter essere espresso nemmeno con l’unico modo che conosco. E corro. Corro come non ho mai fatto. Cerco quel bastardo che mi ha portato via l’unica mia ragione di vita. Tutto quello che mi permetteva di andare avanti. L’unica cosa che guadagno è una caduta tremenda per via del ghiaccio. Il piede fa male, ma rispetto a quello che sto provando dentro non è nulla. Mi rialzo a fatica. Facendo così non risolvo nulla. Torno a casa un po’ zoppicante. Trovo gli agenti che stanno facendo le foto al luogo del delitto. Uno dei due mi nota.
“tu devi essere la figlia della vittima” mi dice
“si sono io”
“vieni con me in centrale, devi testimoniare” lo dice come se non sia successo nulla. Come se io non avessi visto l’assassinio di mia mamma.
“va bene” rispondo con freddezza, prendo la giacca e lo seguo nella volante.
Pochi minuti di viaggio. Un viaggio. Quello che farò all’inferno. Mi scorta fino ad un ufficio e mi fa sedere. Lui si mette dall’altra parte della scrivania e mi osserva.
“quanti anni hai?” mi chiede
“diciotto, quasi diciannove” sono neutra, questo forse lo stupisce.
“avanti spiegami cosa è successo.”
“mio padre ha sempre picchiato mia madre, solo che questa volta ci è andato giù un po’ troppo pesante. Aveva una bottiglia vuota in mano e gliel’ha spaccata in testa.” Sintetica. Perché è questo che sono. Un corpo vuoto. Non ho un’anima. Il silenzio. L’oscurità. Il freddo. Questo sento dentro.
“ho capito, per il momento va bene così, inizieremo le indagini per trovare tuo padre. Però non puoi tornare a casa per almeno una settimana, hai qualche parente da cui andare a stare per il momento?”
“non tornerei comunque in quella casa. Faccio qualche telefonata, recupero le mie cose e me ne vado”
“va bene, ma tieniti a disposizione per qualsiasi cosa che riguardi il caso.”
“d’accordo” mi alzo e me ne vado. Inizio a vagare per le strade, cerco qualcosa a cui appigliarmi per non cadere nel baratro della disperazione, ma trovo nulla. Forse ci sono già dentro. Tutto ciò che mi teneva a galla l’ho persa qualche ora fa.
 
 
 angolo autrice:
questa storia la dedico alla mia migliore amica, che mi ha spronata a scriverla. è il prequel di "ci vuole poco".
  
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