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Autore: ele superstar    20/10/2014    6 recensioni
Dopo l'apertura del negozio di Heather (Heather's shop), l'ultimo che ha aperto nell'autunno del 2014 nella bellissima città di New York, la nostra protagonista farà un incontro molto speciale con un ragazzo altrettanto speciale. Ci saranno imprevisti, tentativi di abbordaggio, guai, litigate serie e non, e tanto altro.
Heather dovrà scegliere se seguire il cuore o il cervello.
Ma per una persona acida come lei, che ha sempre seguito l'orgoglio, al posto dei sentimenti, sarà così facile?
Alejandro, invece, dovrà fare i conti con una nuova parte di sé, così come per la ragazza: essere innamorato. E per un ragazzo come lui, seducente, attraente, ma che ha sempre preferito le storie di una notte, senza sentimenti, sarà altrettanto facile?
[AxH; Accenni DxC e TxG]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Duncan, Heather, Lindsay | Coppie: Alejandro/Heather
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Capitolo 7- Confusione persistente
 

[Heather’s pov]
 
-Baci…occolato-
Che idea geniale che mi era venuta, davvero. Dire una semplice parola sconnessa da ogni significato esistente, formata da due: bacio, che non riuscivo proprio a pronunciare più, e cioccolato.
I miei due gusti preferiti.
Avevo deciso di fare un salto, lunedì pomeriggio, a mangiare un buonissimo gelato, anche se non era proprio il periodo, visto il freddo che faceva nelle strade trafficate di New York.
Ero uscita in tutta fretta dal mio negozio, dimenticandomi quasi di Lindsay, che era rimasta ancora dentro come un’idiota, invece di uscire, e rischiando di chiuderla dentro per ore, stanca e affamata, bisognosa di una pausa prolungata.
Come me, del resto.
Mi ero diretta con passo svelto verso il primo gelataio che avevo adocchiato qualche metro più avanti.
Avevo, naturalmente, già in mente cosa scegliere come primo gusto, visto che ne prendevo sempre due.
-Un cono a due gusti.-
-Che gusti?- Mi aveva domandato gentilmente il gelataio.
-Baci…occolato- Era stata la mia risposta.
Mi guardava perplesso, come se non riuscisse a capire se lo stessi prendendo in giro, se avesse solo capito male, o se avessi dei problemi mentali.
Molto probabilmente la terza.
Dopo che quel bell’imbusto mi aveva, beh, sì, spogliata quasi totalmente, in una piscina, pubblica, tra l’ altro, e baciata con così tanta passione da stordirmi e farmi chiudere gli occhi per godermelo ancora di più, non riuscivo a connettere più il cervello, né sul lavoro, né su cose basilari della vita, come, appunto, prendere un maledetto gelato!
Per tutto il resto della domenica, del lunedì mattina e dei miei sogni, di notte, avevo pensato e ripensato a quel bacio.
Perché diamine continuavo a farlo, poi?!
Era assurdo. Totalmente. Quella situazione, quel ragazzo, quel… bacio… tutto. Tutto era assurdo.
Avevo anche fatto la figura dell’idiota al lavoro, con Lindsay.
Stavamo, come sempre, lavorando: lei che seguiva ed aiutava una cliente indecisa tra due capi d’abbigliamento che, in ogni caso, secondo la mia modesta opinione, le avrebbe cinto i fianchi in modo tale da farle vedere ulteriormente le sue forme assolutamente rotonde, facendola sembrare una balena.
Nonostante tutto, non avevo ovviamente commentato, mentre Lindsay le aveva suggerito cosa indossare.
-Perché ti tocchi continuamente le labbra?- Mi aveva chiesto lei, dopo essersi avvicinata, lasciando la cliente intenta ad indossare quel completo assolutamente attillato per una come lei nel camerino.
Durante tutta la durata della mattinata, mi ero inavvertitamente ed involontariamente toccata, strofinata, sfiorata e leccata le labbra con la mano e con la lingua, per uno stupido istinto del mio corpo, che tentava inutilmente di sostituire il sapore delle mie labbra con quello delle sue, come era successo in piscina, e di provare, addirittura, a sostituirne anche lo spessore e la morbidezza con quelle di lui.
Beh, diciamolo pure, non era solo il mio corpo, ero io, naturalmente, che ci tentavo.
Non mi ero mai sentita così stupida in tutta la mia vita.
Non mi ero nemmeno accorta di essere rimasta imbambolata, ovviamente mordendomi anche le labbra delicatamente, davanti all’espressione sconcertata di Lindsay, visto che mostravo uno sguardo perso nel vuoto.
Dovette addirittura passarmi una mano di fronte al viso.
Le risposi semplicemente con un’espressione infastidita e corrucciata, seguita da un mugolio leggero e molto breve, ad accentuare il fastidio di quella domanda che mi aveva posto.
Ma non fece nemmeno in tempo a cogliere il significato della mia espressione, visto che la cliente di poco prima era spuntata dietro alle sue spalle mostrandole, a due centimetri dai suoi occhi, il capo che aveva scelto; era quello che lei stessa le aveva caldamente consigliato.
 
-Come, scusi?- Mi chiese, riprendendosi dallo sgomento iniziale, il gelataio. –Bacio e cioccolato?-
Bacio…
-No!- Strillai come una forsennata senza alcun motivo. Lo feci sobbalzare, con in mano ancora il cono vuoto.
-Cioccolato. Nessun… niente bacio. Solo cioccolato, grazie.- Mi stavo comportando come una stupida, lo ammisi anche a me stessa.
Stavo addirittura per dire “nessun bacio” anziché “niente bacio”. Patetica. Un semplice sfioramento disgustoso di labbra non mi poteva mandare così in paranoia!
Beh, anche se “sfioramento” non era molto azzeccato come termine. E’ stato piuttosto un vero e proprio scambio di saliva, danza di lingue.
Ma era comunque disgustoso, pensai, tentando di convincermi.
-Ecco a lei- Il gelataio mi diede finalmente il mio cono gelato, così freddo che ebbi un brivido, appena vi affondai la lingua e, per sbaglio, anche i denti.
Pagai e me ne andai senza nemmeno ringraziare, come mio solito.
Mi guardai intorno; tutti i posti a sedere erano occupati, naturalmente. Era già un miracolo se a New York trovavi un solo posto libero, magari vicino a persone che non conosci neppure, addirittura.
Decisi di ritornare direttamente al negozio, al caldo, e di aspettare un po’ a pranzare, ovviamente.
Visto che non c’erano sedie, decisi di andare nei camerini e sedermi lì per finire il gelato. Scelta molto intelligente, non è vero?
Stavo diventando davvero una ragazza senza cervello. Ma mi sarei ripresa, al più presto, il più velocemente possibile da quello stato di trance!
Dopo aver finito il gelato, magari.
Intanto me lo stavo gustando come se non ne avessi più mangiati per anni o per secoli.
Il gusto del cioccolato mi circondava e intrappolava il senso del gusto, mentre si scioglieva lentamente nella mia bocca, diventando come una cascata fluida.
Ficcai la mano libera nella tasca, incrociai le gambe e curvai la schiena in avanti, come per poter confermare che quel semplice gelato fosse una vera goduria, così tanto da dimenticare di stare dritta con la schiena.
Era a dir poco incredibile, però era fatto davvero molto bene.
Il cioccolato, poi, era come oro per la mia bocca.
Sentii uno scampanellio provenire dalla porta d’ingresso; la pausa pranzo sarebbe finita fra un’ora e mezza.
Sarà Lindsay che si è dimenticata la sua giacchettina.
Continuai imperterrita a gustarmi ogni singola parte di quella pallina di cioccolato.
Intanto ripercorrevo mentalmente tutto ciò che mi era successo fin dal principio: l’apertura del mio negozio, la prima sfuriata con Lindsay, la prima cliente, il primo indumento venduto, i primi spiccioli… lui nel mio negozio, lui che si era introdotto nella mia vita, la mia bellissima vita, che fino ad allora mi andava più che bene, ma che, invece, a causa sua era stata stravolta definitivamente, distruggendo quella piega di equilibrio di cui era composta, in cui tutte le giornate diventavano monotone. Un susseguirsi di routine.
No, ora quella piega, quell’equilibrio era stato spezzato, fin dal mio primo giorno di lavoro.
A pensarci bene, era stato proprio il mio lavoro a dare inizio a tutto ciò; se non l’avessi aperto, non lo avrei incontrato, non avrei ricevuto tentativi continui di flirt da parte sua, non avrei dovuto alzarmi malamente tutte le mattine, nervosamente, insultandomi mentalmente perché, nonostante continuassi a ripetermi che lo odiavo a morte, lui era il mio primo pensiero alla mattina.
Non avrei dovuto iniziare tutte le giornate lavorative lottando con il mio pensiero sul fatto di non domandarmi se lo avrei poi incontrato al lavoro.
Insomma, era davvero un fastidio! Fastidio era e fastidio rimarrà.
Non volevo entrasse nella mia vita, eppure era successo e farlo uscire non sarebbe stato poi così facile: nessun uomo era riuscito a tenermi testa in un discorso senza sfiorare le mie occhiatacce infuocate che trasmettevano odio puro, e ad uscirne, poi, indenne. Illeso. Totalmente integro.
Nessuno era mai riuscito a farmi insultare mentalmente, e da sola, per non pensarlo.
Nessuno era mai stato così stupido da baciarmi in quel modo!
Mi erano solo capitati bacetti innocenti, in passato, da parte del sesso opposto, o anche da parte mia, nel momento in cui si rivelavano strettamente necessari per poter ottenere qualcosa in cambio.
No, non avevo mai ricevuto baci che potevano addirittura farmi sfiorare il paradiso con la mente, ma ovviamente non lo avrei mai ammesso.
Che rabbia.
Sentii un tonfo che mi distolse del tutto dai miei pensieri.
Probabilmente apparteneva alla porta d’ingresso del negozio.
Ce ne ha messo di tempo quella stupida mozzarellina a trovare la sua giacca e ad andarsene.
Chiusi gli occhi, dopo aver scrollato le spalle come segno di acuta indifferenza, e continuai a mangiare il mio gelato, che era quasi finito.
Il mio cuore perse un battito, sbarrai gli occhi, spalancai leggermente la bocca e per poco non feci scivolare via il cono gelato dalla mia mano, che ormai lo stava sorreggendo a stento.
Mi alzai di scatto, spaventata.
Avevo sentito la tendina del camerino aprirsi di scatto, quasi ebbi paura che si rompesse.
In poco tempo, nonostante il mio evidente sgomento fosse ancora presente nella mia espressione, riuscii a darmi un minimo di contegno.
-Che diavolo ci fai qua, tu?!-
Ghignò. Un sopracciglio inarcato verso l’alto, formando sottili pieghe sulla sua fronte, ed un braccio ancora allungato a lato del camerino, con la mano che stava ancora sorreggendo, chiusa a pugno, la tendina, stropicciandola.
Alejandro.
Non mi diede alcuna spiegazione; mi fece totalmente uscire dai gangheri, anche solo con la sua presenza, anche senza sentire la sua voce che, grazie al cielo, non aveva alcuna intenzione di uscire dalla sua bocca.
Già, a proposito di bocche, la sua si stava avvicinando pericolosamente alla mia, senza però baciarla.
Seguii i suoi movimenti, studiandoli con acuta osservazione.
Le sue dita si staccarono dalla tendina e passarono direttamente a scavare dentro al gelato, tirandone via un sottile strato, per poi spalmarmelo con delicatezza e velocità sul mio collo.
Lo osservavo con uno sguardo totalmente sconcertato e scettico.
Che diavolo stava combinando quell’idiota troglodita?!
Alzai una mano, fulminea, per togliermi alla svelta la striscia di cioccolato che sentivo sulla mia pelle, ma lui fu ancora più veloce di me: me lo baciò.
Lo leccò.
Lo assaporò.
Il suo viso completamente immerso nel collo, in mezzo alla mia spalla.
Lottai contro l’istinto di chiudere vergognosamente gli occhi a quel contatto, alla sua lingua che, assaporando il mio collo, mi faceva ricordare in ogni istante la sua bruciante presenza, facendomi, appunto, bruciare al contatto.
Sentivo contemporaneamente il cioccolato che si stava sciogliendo in una crema liquida sulla mia mano, ma non potevo di certo avventarmi su di esso con le labbra per farlo smettere di sciogliersi!
Anche perché non avrei potuto…
La mia lotta costante e rigida contro il basso istinto di chiudere le palpebre, che si erano fatte pesanti, cessò, sconfitta; le labbra ormai, da un po’ di tempo, erano state imprigionate un’altra volta da quelle di lui, che, dopo aver dedicato molto tempo al mio collo, erano passate più in alto.
 
Dio, che goduria…
 
Spalancai gli occhi. Ma che ti prende?! Cosa sono questi pensieri?!
Santo cielo, stavo andando fuori di testa. Lui e i suoi maledetti baci, assieme a quelle maledette labbra mi spegnevano il cervello, scacciando il mio orgoglio.
Nel momento in cui si staccò da me per prendere fiato, parlai, prima ancora che potesse avventarsi a baciare nuovamente le mie labbra.
-Che stai facendo?!- Gli urlai, spingendolo via.
Indietreggiò solo di un passo.
-Quello che vorresti fare anche tu, mi sembra ovvio. Solo che, a differenza tua, chica, io vado direttamente al sodo, invece che limitarmi a pensarlo- Rispose incrociando le braccia, facendone spiccare i muscoli definiti, che non sfuggirono ai miei occhi.
Spalancai di nuovo la bocca, indignata.
-Che razza di idiota che sei! Io me ne stavo qui, intenta a prendermi una pausa, e tu, senza alcun pudore ti fiondi nel mio negozio e baci il mio collo e le mie labbra. In più mi accusi del fatto che io faccia questi pensieri schifosi su di noi?!-
Il che era vero…
Mi diedi della stupida mentalmente.
Si mise a ridere.
-Allora, come va con Gray?- Cambiò discorso.
Mi faceva innervosire!
Non solo si permetteva di baciarmi due giorni di fila, ma si permetteva pure di…
Argh!
Incrociai le braccia, alzai un sopracciglio in segno di indifferenza e superficialità e girai la testa di lato.
-Non sono affari tuoi- Risposi.
-No, sono tuoi. Infatti volevo sapere come stessero procedendo i tuoi affari- Disse, prendendomi in giro.
-Se proprio lo vuoi sapere, stanno andando benissimo! Molte persone, famose e non, sono venute qui a comprare vestiti, dopo Gray. Quindi, benissimo! Ora togliti dai piedi!- Dissi, intenta a buttare via il gelato, sciolto, e andare a pulirmi.
Mi bloccò la strada e mi cinse la vita con un braccio, stringendomi a sé possessivamente.
Mi imposi di non toccargli, e accarezzargli, il petto, così strinsi i pugni a metà strada tra il mio ed il suo petto, con le braccia piegate.
-Mi fa molto piacere, anche se credo solamente che gli altri clienti, che sono venuti dopo di lui, vogliano solo copiare, naturalmente, il completo di Gray. Indipendentemente dal fatto che sia bello oppure no. Dì la verità, hai avuto solo clienti maschi, o almeno nella maggior parte, che hanno comprato solo ed unicamente quel tipo di completo, uguale e identico, senza cambiare neppure il colore.- Disse lui, guardandomi dall’alto, alzando il mento come se fosse l’imperatore del mondo.
 
Era vero, escluse altre clienti, abituali, che compravano diversi tipi di abbigliamenti. Per il resto, per quanto riguarda la componente maschile, compravano solo quel completo.
Anche alcune donne lo comprarono, probabilmente per i loro mariti.
Beh? E allora? Non mi sarei fatta di certo sottomettere da quell’idiota che cercava inutilmente di ferirmi!
Il mio negozio stava avendo un discreto successo grazie a Gray, quindi perché intristirsi?
Il mio scopo era quello di arrivare alla meta, indipendentemente dal fatto che alla gente piacesse venire nel mio negozio solo per copiare le celebrità. Dopotutto, non adoravo disegnare vestiti. Sì, alcuni li creavo io.
Mi importava solo di diventare la migliore, in tutta New York, per cominciare. In questo modo, magari, sarei diventata così famosa da vestire, per esempio, famose modelle, o attori stupendi, diventando sempre più famosa ed arricchendomi a dismisura.
Era una meta che mi ero imposta prima di aprire il negozio: questo negozio era stato costruito su delle solide basi, ovvero da questo sogno; quello di diventare, appunto, la migliore.
Se avessi cominciato a tentennare, sarebbe crollato tutto.
E poi, diamine, non potevo cedere a causa di un soggetto come… Alejandro!
Mi liberai con uno scossone dalla sua presa, uscii dal camerino, buttai il gelato, mi pulii le mani, in tutta calma, prima di rispondergli.
Non c’era fretta.
Intanto notavo con piacere quanto gli stesse dando fastidio il fatto che non avessi battuto ciglio in alcun modo a quel suo chiaro tentativo di farmi cedere.
Perché, poi, lo faceva?
Magari per puro divertimento, ma era comunque un comportamento strano.
Alzai lo sguardo, incontrando solamente il verde dei suoi occhi.
-Mentre tu continui a studiare, io scalo una vetta molto alta, per poter diventare ricca, famosa e per divertirmi assieme a delle celebrità che diventeranno successivamente le mie migliori amicizie; in questo modo raggiungerò posti alti, come è giusto che sia per una come me e tutto questo indipendentemente dal fatto che le persone comprino i vestiti qui solo per copiare il modo di vestirsi dei propri idoli.- Risposi, acida, ma anche con un pizzico, anzi, con una grande quantità di orgoglio e consapevolezza del fatto che l’avessi lasciato senza parole.
Si mosse sul posto in modo piuttosto agitato. Abbassò lo sguardo per qualche istante, come se volesse cercare le parole da ribattere con gli occhi, vagando per il negozio, fra i vestiti, fra la biancheria, sul pavimento.
Tornò immediatamente a guardare i miei.
Inclinò la testa.
Sulle sue labbra spuntò lentamente un sorriso, facendo leggermente sparire la forma carnosa delle sue labbra, ancora leggermente umide, a causa del bacio.
-Diventi ancora più ammaliante quando cominci discorsi del genere. Gli occhi ti si illuminano in un modo davvero stupendo.- Disse, semplicemente. Giocò la carta del dongiovanni.
Il sorriso, poco dopo, diventò un ghigno.
 
Lui mi… trovava ammaliante?
Che assurdità.
-Lo sai che sei davvero…- Cominciai. Mi interruppi cercando di trovare il vocabolo adatto tra tutti quelli che lo descrivevano nella mia testa negativamente.
-Bellissimo?- Disse lui, al posto mio.
Feci una smorfia, come per dirgli con la forza del pensiero che era un idiota.
Sì, bellissimo, sexy da star male.
-Stupido…- Dissi, ignorando le stupide e assolutamente false descrizioni di un essere del genere.
-Incantatore.-
Un passo più vicino a me.
 
-Arrogante.-
Un passo più lontano da lui.
 
-Irresistibile.-
Due passi più vicino a me.
 
-Maleducato.-
Occhiatacce di fuoco e occhiate maliziose.
 
-Passionale.-
Voce roca e sensuale.
 
-Permaloso.-
Schiena aderente al muro.
 
-Sensuale…- Cominciò a giocare con il lobo del mio orecchio con la lingua e con i denti, continuando imperterrito a stuzzicarlo, a premere i denti con forza, ma senza farmi male, mentre entrambe le braccia, in un gesto lento ed unico, si posizionarono ai lati della mia testa, imprigionandomi in una gabbia di muscoli.
Un palmo aperto, l’altro chiuso in un pugno.
Mi guardava sensuale dall’alto al basso, mentre ciuffetti di capelli castani sfuggivano al suo controllo e cadevano dolcemente sulla sua fronte, quasi a coprirgli gli occhi e ad incorniciargli meglio il viso.
Fece aderire i nostri bacini, mentre il mio, intanto, veniva spinto con forza anche contro il muro, dietro di me.
Quel contatto mi fece scaturire da dentro mille brividi di piacere.
Staccò lentamente una mano dal muro, lasciandomi una via di fuga, che, purtroppo, non percorsi.
Prese a torturarmi una coscia, con carezze che si alternavano a modi delicati e possessivi, finendo poi per sollevarla verso l’alto, staccandola da terra.
Automaticamente gli cinsi la schiena con tutta la gamba, in una stretta possessiva.
Che sto facendo?
In un batter d’occhio abbandonai del tutto il pavimento, non sentendo più la terra sotto i piedi;
entrambe le gambe erano finite ad imprigionargli del tutto la schiena, per potermi sorreggere sul muro, aiutata dalle sue braccia muscolose.
Gli cinsi anche il collo, con le mie braccia minute e scolorite, in confronto al suo collo,  rigido e colorito.
Smettila di fare l’idiota e scrollati!
Avrei voluto farlo.
Semplicemente, non era facile.
E poi… fu un attimo.
Sentii un calore impossessarsi delle mie labbra, accompagnate da un nuovo spessore, come se le mie e le sue fossero una cosa sola.
Chiese mutamente di entrare con la lingua e rendere il bacio più coinvolgente.
Colsi quel muto invito e dischiusi le labbra, che poi si spalancarono a contatto con quel contatto approfondito.
Era il nostro secondo bacio. Ancora più possessivo, sensuale, irrazionale, trascendentale.
Alzai un braccio con estrema attenzione, per poi piegarlo per permettere al mio pugno di prendere i suoi capelli in una stretta determinata.
Alcuni ciuffetti ribelli sfuggirono dalla mia mano, fuoriuscendone dalle fessure presenti tra le varie dita, mentre, al ritmo dei suoi baci, muovevo tempestivamente il palmo, scompigliando quella cascata castana.
Sentii il suo pollice stringermi leggermente la mia guancia destra, mentre le dita sorreggevano il mio collo, piegandolo contemporaneamente verso di lui per avvicinarci maggiormente.
L’altra mano vagò sul mio corpo con carezze degne di un esperto seduttore, facendomi destabilizzare; presero a toccarmi dolcemente un fianco, la schiena, il capo, i capelli, per poi ripetere l’intero ciclo, fino a raggiungere una mia natica stringendola.
Sussultai a quel contatto approfondito, ma capii presto le sue vere intenzioni, quando sentii, sostituita alla sua mano, un quadernino contro il mio fondoschiena.
Mi accorsi di essere seduta su una superficie piana, probabilmente sul tavolo rettangolare dov’era la cassa, ma non me ne curai, troppo presa com’ero dai nostri respiri troppo accelerati, da quei brevi sospiri, seguiti poi da numerosi, ma pur sempre brevi, tentativi di riprendere aria, senza però abbandonare per più di un secondo le nostre labbra, che si riprendevano, dopo ogni respiro, sempre più possessivamente, andando a cercarsi in modo quasi disperato come se volessero, come noi, recuperare quei brevi istanti di “inutile” distacco.
Sentii un paio di rumori, come se corrispondessero a dei passi, ma non ci feci caso, pensando che fossero solamente dei suoni simili al tremolio del tavolo su cui ero seduta, causati dai nostri baci troppo spinti, troppo selvaggi, troppo...
Ma dovetti ricredermi.
Dovetti ricredermi quando sentii le sue labbra fermarsi ed allontanarsi lievemente, ma mantenendo un contatto, seguito da un mio gemito di frustrazione.
Dovetti ricredermi quando, aprendo gli occhi, vidi le sue palpebre distanziarsi maggiormente rispetto al normale da quell’iride verde smeraldo, assumendo un’espressione sbigottita.
Dovetti ricredermi quando notai anche, in ritardo, che i suoi occhi non erano puntati su di me, ma su una figura che ci stava guardando perplessa, con un unico piede all’interno del negozio, una mano ancora appoggiata alla maniglia, la porta che non aveva ancora raggiunto il campanello per poter avvisare la presenza di un cliente.
Dovetti ricredermi quando, girando lo sguardo, mantenendo sempre il contatto tra di noi, io con le mani strette tra i suoi capelli, così come i gomiti lo erano sulle sue braccia, lui con una mano che sfiorava a palmo aperto una mia coscia, mentre l’altra dietro la mia schiena, notai che quella non era una figura qualunque.
Dovetti ricredermi quando la sagoma in questione era quella di Hayden Gray.
E dovetti ricredermi anche quando sulla faccia di Alejandro scorsi una brevissima ed appena accennata espressione di vittoria.

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Ciao!
Okay, voglio farvi innanzitutto le mie più sentite scuse per non essermi fatta sentire per circa un mese, ma dopo l'inizio della scuola ho avuto tanto da fare, credetemi.
E mi dispiace moltissimo.
Non avevo tempo per continuare, non abbastanza, almeno.
Perciò, visto che oggi sono riuscita a trovare finalmente un po' di tempo, mi sono dedicata al capitolo della storia.
Spero riusciate a perdonarmi!
Dai, ho anche allungato di molto il capitolo rispetto agli altri!

Spero vi sia piaciuto.
Ah, penso che aggiornerò tra una settimana circa. Ho ancora delle cose da fare, anche se di meno.
Alla prossima!
Ele.

 
  
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