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Autore: ljghtwood    20/10/2014    2 recensioni
Spesso si dice che non siamo noi a scegliere chi amare, che ci si innamora e basta.
La ragazza dal vestito rosso si voltò velocemente verso Louis lasciandolo senza fiato. Gli occhi azzurri scintillanti erano fissi nei suoi, nascosti dietro la semplice maschera nera che le copriva metà volto, non permettendo al ragazzo di cogliere la sua identità. Le sue labbra si mossero per formare una strana smorfia: probabilmente a differenza sua lei aveva perfettamente capito chi si trovasse davanti nonostante la maschera e nei suoi occhi Louis riusciva a leggere esitazione, ma allo stesso tempo una strana luce carica di desiderio. Dopo quella che parve una lunga lotta interiore lei sorrise leggermente - sotto la maschera riuscii a scorgere le guance leggermente imporporate - per poi girarsi di scatto e cominciare a camminare verso la parte opposta. Senza che se ne rendesse conto i piedi del ragazzo si mossero nella sua stessa direzione.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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ehilà, GIURO che non sarò più così in ritardo con gli aggiornamenti, davvero. ho passato un brutto periodo, ma ora sono abbastanza stabile e mentre scrivevo questo capitolo mi sono resa conto che Louis e Molly mi mancano troppo per non scrivere di loro e per non dare almeno una buona conclusione a tutto questo.. buona, oddio, qui dipende da cosa intendete per buona.. okei, scherzo.
no comunque davvero, spero che vi piaccia il capitolo e che ancora qualcuno legga la storia, ecco.
non voglio dire di recensire o obbligare qualcuno a farlo, visto che con il mio ritardo non lo merito, ma mi farebbe davvero piacere sapere se qualcuno ancora la segue, soprattutto perché il prologo era partito così bene (con cinque recensioni che per me sono davvero tantissime) e poi negli ultimi capitoli nessuna.. vorrei solo capire se sono io che sto scrivendo una schifezza, se si è perso interesse nella storia a causa dei miei ritardi - probabile - o qualunque altra cosa...
vi lascio al capitolo (che forse è un po' corto, ma è abbastanza di passaggio e non ho saputo fare di meglio); 
al prossimo aggiornamento. 
♥ - che giuro sarà presto!!!

ah, inoltre, se qualcuno volesse iscriversi al gruppo su cui segnalo gli aggiornamenti lo trova nella mia pagina, chiunque è il benvenuto.
(ps: sul banner iniziale c'è ancora il vecchio nikname, devo farne uno nuovo ma non ho il tempo, appena riesco cambio)








 



 
 . Cinderella.







 
Quando Louis si era svegliato, la mattina successiva, la consapevolezza che qualcosa non andasse si impossessò del suo corpo nel giro di una manciata di secondi: per prima cosa era completamente schiacciato contro la parete fredda vicino al letto - cosa mai successa in diciotto anni – e, per seconda, le tende della sua stanza erano tirate, altra cosa molto strana dato che si accorava sempre di chiuderle prima di intrufolarsi la sera sotto le coperte. La terza cosa bizzarra della mattinata fu che, nonostante fosse a letto, indossava ancora i jeans della sera precedente e, nella tasca destra, il suo cellulare non voleva smettere di vibrare.
Sperando che la sua voce non risultasse troppo assonnata fece scivolare il pollice sul tasto verde dell’apparecchio, per poi portarselo all’orecchio biascicando il pronto più imbarazzante nella storia dei pronto di prima mattina.
«Alleluja, allora sei ancora vivo! È la quinta volta che ti chiamo, si può sapere dove sei sparito?»
Louis si guardò intorno, stiracchiandosi sul letto e sbadigliando senza preoccuparsi dell’amico in linea: d'altronde era stato lui a svegliarlo così presto e non si sarebbe trattenuto dal rinfacciarglielo. «Sono a casa, dove altro dovrei essere?»
Dall’altro capo dell’apparecchio si udì uno sbuffo.
«Ehi amico, ma ci sei? Intendo ieri sera, hai detto che ti facevi un giro e non ti si è più visto! – ci fu un attimo di silenzio – cavolo, tu hai rimorchiato!»
Il ragazzo scosse la testa, sovrappensiero. «Che diavolo dici, non ho rimorchiato proprio... - nel giro di due secondi la sua mente si riempì di immagini: un vestito rosso e capelli corvini che volteggiavano vicino a lui, dita lunghe e pallide che, tremando, toccavano il dorso dei libri di sua nonna, labbra al sapore di birra e menta a contatto con le sue. Improvvisamente si sentì avvampare - nessuno
«Sei li con tua madre e non vuoi ammettere di esserti portato a letto una sconosciuta?»
«Gale, hai finito? Comunque no, sono da solo, in camera, e mi hai svegliato. Grazie tante!» e senza lasciare all’amico l’ultima parola schiacciò il tasto rosso con forza, per poi schiacciare il viso contro il cuscino, cercando di ricordarsi qualcosa della sera precedente.
 
Non era il primo ragazzo che baciava ma aveva bramato tanto quelle labbra che, trovandole contro le proprie, avevano rischiato di farle perdere completamente il controllo della situazione – o meglio, l’aveva perso perché in circostanze normali si sarebbe staccata immediatamente, per correre fuori dalla stanza alla velocità della luce. Louis aveva indietreggiato leggermente, andando a sedersi sul letto, e lei l’aveva seguito senza staccarsi nemmeno mentre, ad occhi chiusi, si posizionava sulle sue gambe. Si sentiva la protagonista di uno di quei romanzi rosa che odiava dalla tenera età, dove la ragazza di turno cadeva in balia della passione del belloccio di turno, dopo essere stata innamorata di lui da una vita senza che il ragazzo provasse il minimo interesse per lei, se non da pochi secondi prima. Era tremendo come la sua esistenza si fosse trasformata in un cliché per colpa di uno stupido ballo: solo a pensarci sarebbe scoppiata a ridere, se la sua bocca non fosse stata impegnata in qualcosa di molto più interessante.
 
Non che si fosse ubriacato ma non aveva un gran ricordo della sera precedente, o meglio, il tutto si limitava ad una serie di immagini, azioni e sapori e la protagonista di ogni riflessione era sempre lei. Ripensandoci in quel momento gli parve strano che una sconosciuta non si fosse staccata immediatamente quando l’aveva baciata: non era stato il suo cervello a farlo, forse la birra che aveva bevuto poco prima, forse qualcos’altro, il problema era stato il senso di appagamento quando le loro labbra si erano unite. Era come se si fossero già incontrate, come se quell’unione risalisse ad una vita precedente e il loro incontro fosse solo un vecchio ricordo, l’inizio di un circolo pronto a continuare allo stesso modo per tutta l’eternità.
Louis si diede di nuovo dello stupido: era colpa dei libri di sua madre se faceva tutti questi pensieri idioti, soprattutto di prima mattina. Improvvisamente si ricordò di dover leggere le bozze che la donna gli aveva lasciato la sera prima, girò leggermente la testa e la vide.
Sopra i fogli qualcuno aveva posizionato una maschera nera, ricamata con decorazioni floreali. Il ragazzo la prese e se la rigirò tra le mani, contento di avere una prova che quello della notte precedente di non si trattasse solo di un sogno o una fantasticheria. Cenerentola aveva dimenticato la sua maschera e Louis avrebbe scoperto il nome della ragazza che si nascondeva dietro quella fiaba, a costo di setacciare l’intera scuola e l’intero Paese. Lasciò scivolare l’oggetto sulla sedia e si avviò verso la porta, deciso a colmare il brontolio del suo stomaco.
Doveva mettere in atto un piano.
 
 
 
3 messaggi non letto.
34 chiamate perse.
Conversazione n 1. Numero messaggi non letti 3.
• h 12.49 a.m.: ti fa nulla venire prima, oggi? papà ha avuto un imprevisto e sono solo. se arrivi per le 2 ti regalo la mia felpa dei Blind Guardian, so che le fai il filo da quando l’ho comprata. se non vuoi quella troviamo un altro accordo.
• h 05.33 p.m.: non dirmi che ieri sera sei andata a casa strafatta e sei ancora a letto.. anche se capirei un paio di cose e.. okei, come non detto! sono le 5.30 e i tuo turno cominciava un’ora fa. non che mi dia fastidio (NOOOO, SICURAMENTE NO!!) ma ripigliati e vieni, ho bisogno di una mano. ORA!!!
• h 05.58 p.m.: se non porti il tuo culo qui entro massimo dieci minuti e non hai una scusa più che plausibile non sai che ti faccio, giuro!!!
Conversazione n 2. Numero messaggi non letti: 8.
• h 11.19 p.m.: ho appena fatto un casino e devo correre a casa a nascondermi! e no, non è quello che pensi. X
• h 11.34 p.m.: ehii, ti sei presa il mio cappotto!! dove sei andata a cacciarti col mio cappotto!??? se farmi mettere la tua giacca è una punizione sappi che è fin troppo!!
• h 11.47 p.m.: okei, SCUSA, non volevo lasciarti sola ma non fare l’offesa e vieni alla macchina!! ti giuro, non ti porto più dove non vuoi, ma vieni.. ti aspetto qui.
• h 11.55 p.m.: sei arrabbiata con me? °-° oddio, l’hai scoperto e ora sei arrabbiata con me. rispondimi ti prego, ne possiamo parlare!! ma non mi tenere il broncio!! ç_____ç
• h 12.09 p.m.: sto iniziando a preoccuparmi, se te ne sei andata senza di me è un colpo basso. non mi merito una sorte del genere, nemmeno con quello che ho fatto!!
• h 12.14 p.m.: ti ha portato a casa lui? qualunque cosa ti abbia detto non credergli, sai che inventa sempre un sacco di cazzate.
• h 10.37 a.m.: sto iniziando a preoccuparmi, dove diavolo sei finita ieri sera?????! anche se sei arrabbiata con me.
• h 11.48 a.m.: ci rinuncio. fatti sentire quando ti passa, ma non prendertela, non volevo giuro!!
Conversazione n 3; Numero messaggi non letti: 1.
• h 9.32 p.m. Tesoro, papà non può venirti a prendere domattina, quindi devi tornare a casa a piedi. Spero non sia un problema ma gli hanno dato doppio torno. Se proprio non vuoi camminare prendi l’autobus, hai qualche soldo con te? Io vado da zia Phoebe coi bambini, se cambi idea e vuoi venire con noi fammi un colpo di telefono. Se torni a casa a pranzo ti ho lasciato qualcosa nel microonde. Un bacione e divertiti, mamma.
 
 
 
Prima di varcare la porta Lexie fece un grosso respiro. Non che tale pratica fosse in grado di tranquillizzarla più di tanto, in realtà, ma era un così forte luogo comune che lo faceva quasi senza rendersene davvero conto, se non dopo il gesto stesso.
Ora tu entri e chiedi semplicemente, magari non c’è nemmeno lui e c’è solo quella stronza traditrice, pensò tra se. Nonostante stesse cercando di farsi forza le dita mulatte erano ancora a qualche centimetro dalla maniglia, indecise sul da farsi.
Coraggio, sei forte, e... e Alec non c’è. E se c’è non ci dovrai parlare, dovrai solo prendere Molly per il collo e chiederle spiegazioni... non c’è nulla di male, poi Alec nemmeno ti guarderà... ora entra, entra e fai quello che devi fare.
Con un secondo respiro, ancora più profondo del primo, Lexie varcò il portone del Rouge. Non ci andava spesso, soprattutto perché non le piaceva l’idea di farsi servire dalla sua migliore amica, ma quando lei ed Alec erano una coppia ogni tanto si trovavano li, poiché andava a prenderlo a turno finito per uscire a bere qualcosa, da tutt’altra parte. Non lo ricordava molto diverso dall’ultima volta che ci era stata, qualche mese prima, quando ancora lei ed il ragazzo stavano insieme: tavolini rotondi e puliti, uno strano odore di liquori vari e musica anni ottanta che usciva dalle casse della radio nell’angolo, in fondo alla sala. Unica cosa diversa era Alec, dietro il bancone, che al posto del solito sorriso aveva il volto contratto in una smorfia. Come a farlo apposta aveva alzato lo sguardo di colpo, una volta aperta la porta, come se sperasse fosse qualcun altro. Merda, ora mi tocca parlarci fu il suo unico pensiero prima di avvicinarsi, con un altro respiro profondo, al ragazzo.
 
[…] Davanti a lei non c’era Molly, ma suo cugino, con i capelli scuri scompigliati e le guance arrossate. Lexie sentì un brivido scivolarle lungo la schiena. No, Alec non faceva parte della serata, perché è qui?
Il ragazzo si limitò a regalarle un sorriso, leggermente amaro, mostrando la dentatura perfetta: aveva portato l’apparecchio negli anni passati e, nonostante talvolta lo trovasse fastidioso, Lexie aveva sempre sostenuto che gli desse un’aria particolarmente adorabile, dolce.
«Io non... »
«Stavo cercando Molly, dovevo parlarle... l’hai vista?»
Si sentì ferita. Non era egocentrica, ma il pensiero che le rivolgesse la parola solo perché cercava un’altra ragazza – e che fosse sua cugina, in quel momento, non significava nulla – le dava sui nervi. «E vorresti abbandonare Abbie Frey per cercare tua cugina…?» Si rendeva conto di apparire patetica, ma quella vocetta non era uscita di sua spontanea volontà. Maledetta voce, maledetto Alec Bennet. Alec Bennet non faceva parte dei piani della serata!
«Devo solo chiederle una cosa e se non vuoi aiutarmi... »
«L’ultima volta l’ho vista di là... ti accompagno!»
Lexie sentiva la presenza del ragazzo dietro di se, e bastava quella a rendere appiccicoso il vestito a contatto con la pelle. In questa palestra fa troppo caldo, decisamente troppo caldo. E Alec Bennet non avrebbe dovuto far parte di questa serata, Lexie, che diavolo stai facendo?
«Ehi, ehi Lexie... si può sapere dove stiamo andando? Dubito che Molly sia venuta qui, okei che si comporta spesso da asociale ma nemmeno andare negli spogliatoi maschili è da... »
Che diavolo stai facendo, Lexie. Non gli lasciò finire la frase, chiuse la porta alle sue spalle e, dopo avergli posizionato le mani dietro la testa, lo attirò a se, baciandolo.
Quella stupida vocina nella sua testa smise di parlare immediatamente.
Inizialmente non riuscì a capire quanto stesse durando quel bacio; non era nulla di passionale, niente di niente, solo le loro labbra unite, senza altro movimento se non quello dei pensieri che stavano cominciando a farsi spazio nella sua testa. Riusciva ad immaginare il volto stupefatto si Alec come se lo stesse guardando in quel preciso momento: nella sua testa erano disegnate tutte le sfumature che probabilmente erano incise sul suo volto in quel momento a partire da quei bellissimi occhi azzurri spalancati. Infatti, la prima cosa che aveva sentito, quando l’aveva attirato a se, era stato il collo teso, improvvisamente rigido sotto il suo tocco. Ci avrebbe scommesso un vestito nuovo.­ Contro ogni aspettativa, quando ormai la ragazza stava per staccarsi e chiedere scusa per il suo comportamento inappropriato, fu proprio il ragazzo a trattenerla schiudendo le labbra e cercando la sua lingua con la propria. Nello stomaco di Lexie le farfalle cominciarono una danza infernale e strampalata che se non fosse stato per il momento avrebbe provato il desiderio di sedersi, da quanto forte fosse quella sensazione; sperò che le gambe non la abbandonassero proprio in quel momento.
Non era il loro primo bacio ma lo sentiva diverso rispetto a tutti quelli che si erano scambiati quando stavano ancora insieme, nemmeno paragonabili ai primi, quando la loro passione era una novità di poche settimane. Era più urgente, vivo, sentiva come se Alec, con quel contatto, avesse cominciato a parlarle in una lingua nuova e sconosciuta ma che nonostante tutto riusciva a capire: le era mancata almeno tanto quanto lui era mancato a lei, non poteva essere altrimenti. In quel momento che si trovasse nella palestra della sua scuola - ad un ballo, dove tutti sarebbero potuti entrare dalla porta che lei stessa aveva varcato e vedere quello che stava facendo – non le importava minimamente: voleva solamente sentire Alec vicino, più vicino di quel misero contatto di labbra, più vicino della sensazione delle sue mani sotto il suo vestito, più vicino di qualunque cosa avessero mai sperimentato prima di quel momento.
 
 
Mancava un quarto alle sette, minuto più minuto meno, e il locale era ancora abbastanza vuoto. Lexie andò a sedersi su uno degli sgabelli del bancone – tutti liberi ad accezione di uno, occupato da un ragazzo che doveva aver circa la sua età - indecisa se fosse il caso o meno di prendere qualcosa da bere; sicuramente avrebbe ripiegato su un analcolico, quella sera, anche se era convinta che il suo organismo necessitasse qualcosa di forte per collegare la bocca al cervello, per parlare con Alec, soprattutto dopo il casino che aveva combinato la sera prima. Si era resa conto di tutto alla fine, quando sistemandosi i vestiti e uscendo dallo spogliatoio a fianco del ragazzo si era immobilizzata, per poi accelerare il passo e correre via, nella direzione dei cappotti e poi dell’entrata. Aveva inoltre accettato la consapevolezza di non aver bevuto nulla, non troppo almeno, poiché si era trattato sicuramente di uno stupido e premeditato gioco della sua testa. Se si fosse ritenuta sobria non gli sarebbe mai saltata addosso – mentre fingersi non tale aveva sicuramente distrutto tutto, non avrebbe perso Molly a metà ballo e ora non sarebbe stata li, imbarazzata, alla ricerca della sua migliore amica.
«Ti porto qualcosa?»
La voce di Alec la fece quasi sobbalzare. Alzò lo sguardo velocemente, cercando di non sembrare colpevole e mentre la sua testa faceva segno di no dalle sue labbra uscì un energico si, grazie. Patetica, si ritrovò a pensare.
Il ragazzo sorrise. Sarebbe stato un segno impercettibile per chiunque, ma non per lei. Ricordava ancora una delle prime volte in cui erano usciti, i suoi sorrisi accennati e gli occhi che brillavano ogni volta che lei gli diceva qualcosa di buffo. Inizialmente aveva pensato si stesse annoiando, poi Molly le aveva detto che Alec sorrideva in quel modo perché imbarazzato dall’apparecchio: nonostante l’avesse ormai tolto non doveva ancora essersi abituato a mostrare la sua assenza. Lexie odiava pensare a quelle cose, soprattutto perché sapeva di amarlo ancora e si era sempre pentita di non averglielo mai detto, quando ancora stavano insieme e ne aveva l’opportunità.
Stava per parlare quando si vide poggiare davanti un bicchiere vuoto e una lattina di coca cola, dietro di loro Alec stava guardando ancora verso la porta, come in attesa. Il fatto che potesse aspettare qualcun altro, qualcun'altra, la mandava fuori di testa.
«Per oggi evitiamo gli alcolici, non è un ballo studentesco e non sarebbe il caso se tu mi saltassi addosso sul posto di lavoro» continuò, trovandosi senza risposta da parte della ragazza.
Si sentì offesa. «Ti sarò anche saltata addosso io ma non mi pare di aver continuato da sola».
Alec arrossì, biascicando qualcosa senza mai guardarla. Per tutta risposta lei si limitò ad aprire la lattina e a versare una parte del contenuto nel bicchiere, senza toccarlo se non prima che anche l’ultima bollicina creata dalla schiuma fosse scomparsa, dando al liquido una colorito uniforme. Ne bevve un lungo sorso per poi prendere parola.
«In realtà cercavo Molly... sai, ieri dopo tu sai cosa l’ho cercata per tornare a casa ma non l’ho trovata da nessuna parte. Credo sia arrabbiata con me perché l’ho trascinata a quello stupido ballo e se ne sia andata ma... non risponde da ieri sera... »
«Bhè, se la trovi dimmelo, perché è in ritardo di due ore passate - Molly non era mai in ritardo. – inizialmente avevo pensato che potesse essere andata via con mia zia, oggi andava da sua sorella ma lei odia andare la... inoltre non ha fatto sapere niente a mio padre e sai com’è fatta, non salta un giorno di lavoro nemmeno a pagarla e... »
«Potrebbe esserle successo qualcosa... »
Alec scosse la testa, Lexie invece stava iniziando a preoccuparsi. Tolse il cellulare dalla borsa e controllò l’ultimo messaggio che le aveva mandato a mezzogiorno quella mattina, chiedendosi se lo avesse letto o meno. Se Molly avesse avuto whatsapp sarebbe stato sicuramente più semplice costatarlo. Memorizzò che le avrebbe comprato un cellulare nuovo per il compleanno, dopo tutto quel casino.
«Dovrei chiamare mia zia ma ho paura di farla preoccupare per niente, magari è semplicemente in un momento di luna, sai che ogni tanto lo fa... oppure le è venuta ispirazione per uno dei suoi racconti e... a proposito – continuò girandosi – Louis, ieri sera hai per caso visto mia cugina al ballo, la ragazza che lavora qui, non so se hai presente?»
Lexie guardò il ragazzo seduto al bancone poco vicino a lei e si stupì di non averci riconosciuto subito Louis Johnson, soprattutto perché frequentava con lui ginnastica, chimica e matematica avanzata e si erano ritrovati in coppia insieme proprio la settimana prima a fare un esperimento in laboratorio. Il ragazzo alzò lo sguardo dalla birra che aveva davanti – era un alcolizzato, si ritrovò a chiedersi, dato che le faceva strano un suo coetaneo seduto al bar solo a bere – e chiese ad Alec di ripetergli la domanda. Aveva i capelli scompigliati, lo sguardo assonnato e la maglietta indossata al contrario. Dopo aver sentito la domanda per la seconda volta Louis scosse la testa, sinceramente dispiaciuto. «Mi dispiace, sono stato li poco e ho solo un vago ricordo» ammise. A Lexie parve di intravedere un lieve rossore sulle sue guance pallide e si concentrò per trattenersi dallo scoppiare a ridere. I ragazzi che arrossivano le facevano sempre quell’effetto, soprattutto se li vedeva in una situazione così per la prima volta. Improvvisamente, però, si rese conto che sarebbe stato assai difficile riconoscere Molly, anche per Alec stesso che la conosceva da diciotto anni.
«Prima di tutto, indossava la maschera e bhè, io stessa avrei faticato a riconoscerla se non l’avessi obbligata ad indossare il vestito che portava. Era rosso, comunque e... »
«L’ottanta per cento delle ragazze di ieri sera portava un vestito rosso!» le ricordò Alec e l’altro ragazzo annuì, colorandosi leggermente, ancora di più. Era una delle cose più strane a cui non assisteva da una vita: due ragazzi che, davanti a lei, arrossivano come bambinetti di cinque anni... anche se probabilmente non era la causa del colorito di nessuno dei due non poteva negare che la cosa fosse adorabile.
«Non sono del tutto certo di ricordarmi la sua faccia, comunque... magari mi è passata vicino e... e non l’ho notata, ecco... » aggiunse Louis, alzando le spalle come se non fosse colpa sua e non riuscisse a capacitarsi del perché dovessero chiederlo proprio a lui.
Alec si allontanò per un istante a servire un cliente e la ragazza decise di evitare di seguirlo con lo sguardo. Non voleva che lo notasse, se si fosse girato all’improvviso, soprattutto perché il piano “son qui solo per Molly” stava procedendo fin troppo bene per far capire al diretto interessato che il nome originale era “prendiamo la scusa di Molly per rivedere quel demente”. Cercò quindi di concentrarsi sulla figura di Louis che ora, per interagire meglio nella conversazione, si era avvicinato e a separarli era rimasta una sola sedia: le dita stringevano la bottiglia come fosse l’unica ancora di salvezza ancora rimasta, gli occhi fissavano un punto non specificato del pavimento dietro il banco sul quale erano appoggiati. Per far passare il tempo in attesa del ritorno della sua vecchia fiamma, Lexie, si versò un altro po’ della sua bibita.
«Ad ogni modo... – cominciò Alec arrivando verso di loro, gli occhi fissi sulla ragazza - noi dovremmo par… »
Non fece a tempo a finire la frase, già tanto temuta dalla giovane, che il telefono di lei annunciò, con la consueta musichetta, l’arrivo di un messaggio. Sorrise, come a tono di scherno, per poi poggiare gli occhi sul display. Fu lieta, finalmente, notando il mittente.
scusa, ieri sera devo aver mangiato qualcosa di sbagliato e sono tornata a casa.  stavo così male che non ho pensato minimamente ad avvisarti e mi dispiace ma pensavo fosse una cosa passeggera: ho passato la notte a vomitare e oggi a dormire da quanto ero stanca (inoltre mi è venuta la febbre, di bene in meglio) ed è per questo che non ho risposto ai messaggi.  scusami per questo casino, veramente! lunedì ci vediamo a scuola, se sono guarita, così vedo come rimediare (non passare, rischio contagio!!). x Molly
Lexie tirò un sospiro di sollievo e, notò, Alec aggrottò le sopracciglia.
«Falso allarme, Molly ha appena risposto – disse la ragazza poggiando il telefono vicino al bicchiere ormai vuoto – ha detto di non esser stata bene e... che c’è?»
Alec stava fissando prima il proprio, poi lo schermo della ragazza, le sopracciglia sempre più aggrottate. «Che coincidenza, ha scritto subito anche a... aspetta, fammi vedere un attimo!» senza aspettare un segnale di consenso prese il telefono della ragazza e, dopo aver letto entrambi gli apparecchi li poggiò davanti a Lexie, uno vicino all’altro. I due messaggi erano completamente identici.
 

 
  
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