13.
Dentro e fuori
Nel momento esatto
in cui la vide per terra, in quel modo, capì che non avrebbe potuto fare nulla
per salvarla, e che la situazione poteva solo peggiorare.
Si avvicinò, sentiva
sulla pelle qualcosa che non aveva mai provato. Se fosse stata semplicemente
paura, l’avrebbe riconosciuta. Se fosse stata solo rabbia, avrebbe saputo come
combatterla. Se fosse stato dolore, lo avrebbe superato.
Era l’unione di
quelle tre emozioni che non sarebbe mai riuscito ad affrontare. All’altezza
dello stomaco sentiva una morsa tanto ferrea da rendergli faticoso persino
respirare, e la mente non faceva che lanciargli segnali di pericolo.
Vide Aria stesa per
terra e notò subito una delle sue caviglie capendo, dalla posizione in cui la
teneva, che si era fatta male. Poi abbassò gli occhi sulla sua schiena, e
dovette deglutire per respingere l’impulso di uccidere qualcuno.
Indossava una
canottiera nera e, dalle parti di spalle che lasciava scoperte, Eric vide
distintamente la linea rossa che le attraversava le scapole. Su di una spalla,
il segno della frustata che aveva ricevuto, si stava aprendo là dove aveva
trovato la carne più tenera, mostrando tracie di sangue.
Serrò la mascella
con tanta forza che sentì i propri denti stridere e, poiché con la sofferenza
non era mai stato in buoni rapporti, lasciò che fosse la rabbia ad invaderlo. Non
era abituato a provare dispiacere, perciò non ne provo, sentì solo la furia di
un’ ira ceca scorrergli nelle vene.
Senza la benché
minima traccia di paura o dispiacere sollevò il mento, fissando il suo sguardo
adirato in quello dell’uomo che gli stava davanti.
-Che cosa stai
combinando, Finn?-
Solitamente Eric
metteva paura a chiunque osasse sfidarlo, ma evidentemente quella era una
caratteristica da affidare al più giovane dei capifazione tanto quanto a quello
più anziano. Finn non perdonava, non trattava, agiva e basta e, nella maggior
parte dei casi, le sue azioni spietate facevano parlare di lui a lungo.
Finn spalancò le
narici dalla rabbia e fece un ghignò quasi divertito, che tuttavia voleva
apparire minaccioso. E lo era, ma se si aspettava che Eric ne rimanesse
impressionato si sbagliava di grosso. Avrebbe potuto farlo a pezzi con una mano
sola, se solo quella fosse stata la cosa giusta da fare.
-Ho trovato questi
due iniziati a combattere fra di loro senza alcuna autorizzazione.- Spiegò
l’uomo, serio e impassibile. –E ho deciso di dargli la punizione che si
meritano…-
Eric lo guardò in silenzio,
iniziarono a fargli male le mandibole a furia di stringere, così si concentrò
sui propri pugni e strinse anche quelli, controllando l’impulso di colpire
l’altro capo.
-Hai qualcosa in
contrario?-
Quando si sentì
porgere quella domanda, Eric avrebbe voluto esplodere. Avrebbe voluto urlargli
contro, afferrarlo e colpirlo senza alcuna pietà. Avrebbe voluto strappargli
gli occhi dalle orbite e farglieli ingoiare, ma non lo fece.
Ciò a cui aveva
pensato non appena era arrivato in palestra era vero, non poteva fare nulla per
lei. Con un peso al petto, Eric dovette far defluire tutte le sue emozioni da
dentro a fuori, svuotandosi completamente per non affondare. Sapeva sin
dall’inizio come sarebbe andata, e la parte razionale di lui gli aveva impedito
di compiere una sciocchezza.
Finn aveva saputo
del suo interesse verso quell’iniziata da capelli neri e, poco prima, sulla
passerella, gli aveva detto chiaramente che avrebbe fatto quanto in suo potere
per fargliela pagare.
Il problema era che
non poteva fare nulla, non c’erano prove, forse c’erano i filmati delle
telecamere che sorvegliano la residenza, ma quelle non dimostravano il suo
reale interesse. Mostravano loro due insieme, magari li avevano anche visti
entrare nella sua camera, ma non c’era nulla che provasse il suo coinvolgimento
emotivo. Da quando si buttava fuori un capofazione per una scopata, che poi non
c’era nemmeno stata, con una ragazza?
Per una voce che
girava, e per qualche filmato nascosto, gli altri capi compreso Max lo
avrebbero ammonito e strigliato a dovere. Magari ci avrebbero anche riso sopra,
suggerendoli di essere più discreto. Se avessero avuto dei dubbi in più,
avrebbero potuto chiedere a Quattro, scoprendo che nessun risultato in
classifica era stato alterato.
Non aveva commesso un
errore così grave e, se Finn voleva dirlo agli altri e voleva farlo punire per
la sua distrazione, che facesse pure. Avrebbe accettato quello che gli spettava
con coraggio, certo che avrebbe comunque mantenuto la sua posizione al comando.
Ma Finn, questo, lo
sapeva benissimo.
Ecco perché, quel
vecchio bastardo, si era trovato un altro modo per fargli del male, un modo
molto più subdolo.
Se si fosse opposto,
se fosse intervenuto in difesa di Aria, non solo avrebbe dimostrato il suo
coinvolgimento emotivo, ma sarebbe andato anche contro al volere di un altro
capofazione. Le decisioni prese da un altro capo, soprattutto se era in carica
da più tempo, non andavano discusse o intralciate per nessuna ragione. E, se
per una scappatella si poteva anche chiudere un occhio, non avrebbero mai
tollerato il suo legame con un’iniziata.
Non poteva dare quel
vantaggio e quella soddisfazione a Finn che voleva solo sfidarlo, che voleva
che si scontrasse con lui per Aria, in modo da poterlo incastrare. Non aveva
accettato l’idea di non poterlo mettere nei guai e, il sapersi inferiore
fisicamente, doveva infastidirlo molto. Così ecco che cercava un modo per
metterlo realmente in difficoltà, cercando di spingerlo a fare un passo falso.
Ma non ci sarebbe
riuscito.
Te la fai con le bambine, gli aveva detto sulla balconata, per provocarlo.
Ma niente avrebbe
intaccato il suo autocontrollo, non esisteva ancora qualcosa in grado di
metterlo in difficoltà.
-Fai come vuoi!-
rispose con strafottenza, mostrando solo la sua espressione più gelida.
Quando il colpo di
frusta partì, schioccando ferocemente sulla pelle della schiena di Aria, Eric
capì quali erano le vere intenzioni di Finn. L’uomo non voleva solo provocarlo,
per ottenere un motivo per punirlo del suo errore.
Lo stava già
punendo.
Sapendo che non
c’era modo di fargli avere una pena per aver avuto una relazione con un’
iniziata, e che picchiare lui sarebbe stato a dir poco ridicolo e
inconcludente, aveva trovato il modo per colpirlo nel profondo, dove faceva più
male.
Quando l’ennesima
frustata ferì la ragazza, facendola sussultare visibilmente, Eric strinse i
pugni con tanta forza da farsi male, e si convinse che l’unica cosa che poteva
fare era rimanere al suo posto. Se fosse caduto nella provocazione di Finn, e
avesse perso il rispetto degli altri capi e magari anche il suo ruolo, si
sarebbe ritrovato in una posizione sfavorevole.
Essere un
capofazione non era solo un modo per ottenere dei vantaggi, ma era anche
l’unico modo che aveva per sopravvivere alla guerra che ci sarebbe stata. Aveva
da sempre desiderato di fare parte del comando della propria fazione e non
voleva certo rinunciarvi ma, a dargli una motivazione in più, c’era la
consapevolezza che aveva del futuro. Se la guerra che stavano programmando
fosse scoppiata, l’unico modo che aveva per salvare sé stesso e la ragazza, era
proprio quello di rimanere un capo.
Prese un respiro
profondo, facendo una smorfia mentre guardava Finn e il suo ghigno arrogante, e
si convinse che il dolore a cui lasciava Aria in quel momento, era un dolore
che le risparmiava nel domani.
Al successivo
schiocco causato da quella verga maledetta, Aria fece un piccolo balzo ed emise
un gemito soffocato. Ed Eric credette di sentirsi male. Non era possibile
spiegare altrimenti il modo in cui la
sua testa vorticò, né il dolore che avvertì al petto, doveva trattarsi per
forza di un malessere.
Un ulteriore colpo
su quella schiena delicata ed ebbe la certezza di stare male, male davvero. Fu
come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco e la sua mascella ebbe
un fremito.
Sollevò la testa e
si sforzò di respirare, bastava inspirare ed espirare, e nient’altro. Non c’era
bisogno di pensare a nulla, e non doveva pensarci, lasciare tutto fuori era più
semplice ed era di vitale importanza. Finn non doveva vedere che, ad ogni
colpo, anche lui sussultava con lei.
Non doveva vedere
che era riuscito a turbarlo.
-Siamo a sette…-
Disse senza preavviso l’uomo, fissando con disgusto la ragazza stesa a terra.
Quando Eric sentì
Aria urlare, ebbe un fremito più violento degli altri, ed abbassò di scatto gli
occhi su ciò che stava succedendo realmente.
Aveva tenuto lo
sguardo fiero, alto, fissando un punto lontano, ed era stato un bene. Se avesse
visto prima le condizioni in cui era Aria, probabilmente si sarebbe scagliato
contro Finn e lo avrebbe ucciso con le sue mani.
La canottiera nera
che indossava era inumidita da una sostanza viscida che riconobbe come sangue,
linee rosse si vedevano sulla pelle scoperta. I piccoli tagli sanguinavano. Non
riusciva a vederla bene in viso, dato che teneva la fronte vicino al pavimento
e usava le mani per nascondersi.
Ma vide chiaramente
le sue lacrime.
Finn era riuscito a
farla urlare perché, evidentemente stanco del silenzio con cui Aria si
rifiutava di manifestare il suo dolore, aveva trovato un modo per farle ancora
più male. La sua canottiera lasciava scoperti i fianchi e la parte bassa della
schiena, dove la pelle era più delicata e, con un colpo di frusta lì, le aveva
strappato un grido disperato.
Finn la colpì
ancora, sullo stesso punto, ma Aria fu più furba di lui. Si mise una mano in
bocca e se la morse, piuttosto che gridare ancora.
E a quel punto Eric
capì che non poteva farcela, Aria era sua, e sua non voleva solo dire che non
poteva essere toccata da altri uomini, voleva anche dire che nessuno poteva
farle del male senza scatenare la sua furia.
Mostrando, per la
prima volta, tutta la sua rabbia, Eric ricambiò lo sguardo di Finn e lo sfidò a
continuare. Non aveva paura di lui, né di quello che poteva dire agli altri
capi.
L’ultimo colpo di
frusta si abbatté sulla parte di schiena scoperta di Aria, lasciando una linea
di sangue. Eric si rifiutò di guardare i segni delle frustate, e non volle
pensare al fatto che, quella che indossava, era la stessa canottiera con cui
aveva dormito con lui, nel suo letto, solo la sera prima.
-Vedi Eric,- disse Finn,
passando una mano sulla verga metallica per ripulirla da qualche goccia di
sangue. –Chi sbaglia deve pagare…-
Quando ripiegò la
verga e sa la mise in tasca, il suo tirapiedi smilzo si staccò da Peter e si
avviò per seguirlo. Finn, prima di andare, guardò un’ ultima volta Eric,
potendo vedere la solita espressione impassibile che caratterizzava il più
giovane dei capifazione.
Una volta che i due
se ne andarono, Eric si accorse delle presenza di Peter, poiché quest’ultimo
mosse un passo verso Aria.
-Ti ammazzo.- Gli
ringhiò contro, muovendo un passo anche lui, ma verso il ragazzino.
Doveva fare
qualcosa, o sarebbe esploso. Non aveva la forza per avvicinarsi ad Aria, non
ancora, ma almeno avrebbe potuto fare del male e quel ragazzino che aveva osato
fare la spia.
Come osava credere
di potersi avvicinare a lei?
Peter si fermò e
rimase a guardarlo con occhi terrorizzati, dandogli un certo piacere. Stava per
prenderlo con le sue mani per fargliela pagare, ma una voce lo fermò.
-No, lascialo
stare…-
Aria aveva parlato
con voce talmente flebile, che credette che non sarebbe nemmeno riuscita a
finire la frase. Sentire la sua voce lo riscosse.
Guardò Peter,
vedendo il suo stupore per quelle parole, e serrò i pugni prendendo un profondo
respiro.
-Sparisci- gli
ordinò.
Quando i passi di
Peter si allontanarono, Eric rimase immobile come una statua, continuando a
rifiutarsi di guardare la ragazza.
-Alzati.- Le disse,
semplicemente perché non era capace di fare altro.
-Eric…- Sussurrò
lei, sollevandosi a fatica sulle braccia tremanti. –Non ce la faccio.-
Sentirle invocare il
suo nome in quel modo, lo scosse e lo attraversò come un brivido lungo la
schiena. Quella non era la voce della sua lottatrice testarda, se le frustate
non erano riuscite a farla gridare dal dolore, erano riuscite a spazzare via la
sua parte combattiva, lasciando solo una ragazzina indifesa.
Quando Eric si voltò
verso di lei, ad Aria parve che la vedesse realmente per la prima volta.
Lo vide sussultare
appena prima di avvicinarsi a lei e, a quel punto, le si inginocchiò davanti.
-Riesci ad
alzarti?- le chiese con voce strana.
Scosse la testa. –La
caviglia…-
Eric guardò la sua
gamba e fece più cenni. –Vieni, ti prendo io.-
Ma, quando allungò
un braccio verso le sue spalle, si scostò immediatamente. –No!- gemette. Se
aveva intenzione di prenderla mettendole un braccio sotto le gambe e uno dietro
la schiena, si era sbagliato di grosso.
Non poteva
sopportare altro dolore sulle ferite.
Eric parve capire,
così le si mise davanti offrendogli la sua schiena. –Cerca di salire sulle mie
spalle, allora.-
Aria gli mise
entrambe le braccia attorno al collo e, con il piede sano, si alzò insieme a
lui. Poi gli avvolse le gambe alla vita ed Eric le mise le sue braccia sotto le
ginocchia, per sostenerla.
Quando iniziarono a
camminare, Aria si abbandonò completamente su di lui, appoggiando la fronte
sulla sua spalla. Ma, un po’ per il dolore che aveva dentro e un po’ per il
dolore che aveva fuori, scoppiò a piangere. –Mi dispiace Eric!-
Sentì il ragazzo
irrigidirsi, ma non ottenne nessuna riposta.
-Sono stata una
stupida, è tutta colpa mia…-
-Aria!- l’ammonì
adirato. –Fammi il favore di stare zitta!-
Nascose il viso
contro il suo collo e trattenne un gemito. –Mi dispiace, io…-
Ma Eric non parlò
più. Continuò a camminare, ed Aria sentì solo il suo respiro accelerato.
-È colpa mia…-
-Non è colpa tua,
stai zitta!-
Sentendolo urlarle
contro in quel modo, Aria si zittì all’istante, tornando ad appoggiare la fronte
sulla sua spalla.
Si avvicinarono alla
fine delle palestra ma, prima di uscire, Eric si fermò e fece un profondo
respiro. –Non è colpa tua,- disse con voce strana, la stessa con cui le aveva
chiesto se riusciva ad alzarsi. –Ma la prossima volta che ti viene in mente di
picchiare Peter, almeno spaccagli la faccia!-
Aria aprì piano gli
occhi e guardò l’orecchio del ragazzo, dato che non riusciva a vedere altro.
Gli strinse le braccia al collo e appoggiò la guancia nell’incavo della sua
spalla, sentendo che la maglia che il ragazzo indossava si era bagnata a causa
delle sue lacrime.
Continuarono a
camminare, ed Aria si lasciò cullare dal ritmo del passo di Eric, fino a quando
il dispiacere non si attenuò lasciando spazio al dolore. Strinse i denti
quando, dopo un passo, sentì la pelle della schiena bruciare.
Eric respirò a
fondo, ma non disse nulla.
-Fa male…- gemette
lei, sforzandosi di non piangere, ma la voce le tremava.
-Lo so.- Fu la
risposta.
Avrebbe voluto
prenderlo a calci, magari con il piede sano dato che l’altro era già dolorante,
per quella risposta così priva di sentimento. Dove aveva imparato a parlare in
quel modo così asettico e freddo?
Strofinò la guancia
contro la spalla di Eric, dato che lui l’aveva chiusa fuori e non voleva
parlare, almeno avrebbe rubato quel poco contatto che poteva. Decise, in oltre,
che non serviva a niente trattenere le lacrime, tanto lui non se ne sarebbe
nemmeno accorto. Se l’avesse sentita sussultare, magari avrebbe creduto che era
per il dolore. Il che era vero. Si sentiva così piccola ed indifesa che quasi
avrebbe voluto urlare, Eric appariva sempre estremamente forte e sicuro,
mentre, appesa alla sua schiena, lei sembrava solo una bambina. Piagnucolante
per giunta.
-Dove andiamo?-
chiese nel tentativo di distrarsi, ma il dolore le fece tremare ancora la voce.
-In infermeria.-
Lasciò cadere la
fronte sulla spalla, rassegnata e ancora in cerca di contatto. Ad ogni passo
del ragazzo la pelle sulla sua schiena si tendeva oppure strofinava contro la
canottiera, e il dolore aumentava. Come se non bastasse, le faceva male il
fianco, dove Peter l’aveva colpita.
La palestra era
vicina all’infermeria, bastava attraversare un corridoio, che come al solito
era deserto.
-Eric,- gemette
piano. –Non hai paura che ci vedano?-
E, proprio quando si
aspettava che Eric la mandasse al diavolo o che non le rispondesse affatto, il
ragazzo digrignò i denti e scattò come se qualcuno lo avesse colpito. -Non me
ne frega un cazzo, vadano tutti a farsi fottere, faccio quello che voglio!-
Sorrise di nascosto,
sentendosi realmente protetta e difesa da quel ragazzo tutto muscoli che tutti
temevano e, attraverso la sua rabia, capì che stava rischiando solo per
portarla in infermeria. Non avrebbe dovuto farlo, eppure si era rifiutato di
lasciarla a terra in palestra e, se pur contro le regole, si stava occupando di
lei come non avrebbe fatto con nessun altro.
Non poteva chiedere
niente di più, era la più grande dimostrazione d’affetto che Eric poteva darle,
al diavolo le carinerie. Peccato che il dolore che avvertiva non si placava
nonostante il suo benessere emotivo.
Il ragazzo le fece
fare un piccolo salto, per rimettersela meglio in spalla dato che stava scivolando,
ma quel balzo la fece tendere la pelle ferita. Strinse i pugni e si lasciò
sfuggire un lamento soffocato.
Eric si irrigidì
ancora. Aria non poteva sapere cosa stava realmente nascondendo dentro di sé
con quel suo prolungato silenzio, né poteva capire quanto gli costasse sentirla
gemere. Ad ogni lamento di dolore che si lasciava scapare anche lui barcollava,
schiacciato da quello che riconobbe come un senso di colpa.
La ragazza strinse
con una mano la maglia di Eric, all’altezza del petto, mentre si metteva
l’altra in bocca per non piangere. Il dolore stava diventando insopportabile,
quel tragitto verso le cure sembrava allungarsi ad ogni passo, e lei non ce le
faceva più.
Stava cedendo, ed
Eric se ne accorse.
-Mordi la mia
spalla, la mano te la sei già morsa abbastanza…- le disse, nel modo più brusco
con cui Aria avesse mai sentito dire qualcosa che, per lei, era estremamente
dolce.
Non riuscì a fare a
meno di piangere ancora, tanto era il bruciore, ma smise di martoriarsi la mano
e si abbandonò sulla spalla forte di Eric, sapendo che ormai erano arrivati in
infermeria.
Con le sue ultime
parole, Eric le aveva fatto capire che, anche se apparentemente non l’aveva
guardata, si era accorto di come si mordeva la mano per non gridare, mentre
Finn la frustava.
Invasa dal dolore
sempre più insistente, Aria pensò che forse sarebbe stato meglio che Eric la
portasse di corsa, invece di camminare piano per limitare i sussulti. Quando,
finalmente, arrivarono in infermeria, era stremata.
Stava perdendo
lucidità.
Subito dopo i colpi
di frusta ricevuti, la pelle era quasi anestetizzata dal dolore stesso ma,
passando il tempo, il bruciore si era triplicato. Scosse la testa per non
gridare, ma i suoi lamenti aumentarono.
Eric la guardò da
oltre la propria spalla, preoccupato.
-Cos’ è successo?-
Chiese una donna, avanzando.
Era giovane e, sotto
il camice bianco, indossava abiti neri.
-Santo cielo, è
stato Finn, vero?- Esclamò, aggirando Eric per vedere le condizioni dalle
ragazza che portava in spalla. –Gli ho detto mille volte di piantarla con
quella specie di frustino, ma d'altronde non è mica lui che poi deve medicare i
mal capitati!-
Aria si accorse a
mala pena di Eric che la faceva scivolare su un lettino, mettendola seduta. Si
sedette a sua volta vicino a lei e la sorresse dalle spalle, attento a non
toccarle la schiena. La ragazza si chiese in che modo doveva apparire, se Eric
decideva di sorreggerla, ma poi si accorse che barcollava anche se era seduta
sul letto.
I pugni che Peter le
aveva dato allo stomaco e al viso si facevano sentire, stava malissimo, la
caviglia aveva iniziato a pulsare dal dolore.
-Devo tagliare la
maglietta, distendila a pancia in giù sul lettino, così posso medicarla.- disse
l’infermiera.
-No.- Fece Eric,
deciso. –Dammi quello che mi serve, la porto con me e ci penso io!-
Aria credette di
aver perso del tutto la lucidità.
L’infermiera lo
studiò per alcuni secondi. –Sei sicuro? Devi pulire bene la ferita e…-
-So quello che devo
fare!- rispose sgarbato. –Ha anche qualcosa che non va ad una caviglia!-
L’infermiera si
inginocchiò davanti ad Aria e, quando individuò la caviglia in questione, la
tastò con mano esperta.
Aria urlò dal dolore
e si irrigidì. Riprese a scuotere la testa e a lamentarsi, non ce la faceva
più, non riusciva più a fare ragionamenti logici, sentiva solo il dolore.
-Non è rotta.- disse
la donna. –Ma ha bisogno di una fasciatura…-
-Ci penso io, dammi
quello che serve!-
All’ennesimo ordine
di Eric, l’infermiera non disse nulla, si alzò ed andò in cerca di qualcosa
dentro un armadietto. Tornò poco dopo con un fagottino bianco, che andava
riempendo mentre tornava al lettino.
-So che ci sai fare
con queste cose, ma assicurati che la fasciatura sia ben stretta e fissala a
novanta gradi. Per la schiena ti ho messo il disinfettante e la crema a
cicatrizzazione rapida.-
Quando la donna finì
di parlare, Aria gemette ancora, chiuse gli occhi e pianse senza lacrime.
-Non c’è qualcosa
per il dolore?- chiese Eric, adirato per chissà quale ragione.
-Posso darle un
anestetico, sta delirando e non sopporterebbe la medicazione alla schiena da
sveglia.- Dopo aver analizzato la ragazza, incrociò le braccia al petto e
sollevò un sopracciglio. –Le scorte di anestetico sono limitate, e mi serve
l’autorizzazione di un capofazione per somministrarlo…-
Aria, fra un lamento
e l’altro, sempre più in preda al delirio del dolore, notò la nota di ironia
con cui l’infermiera aveva parlato.
-Concessa! Ora
muoviti!- Eric, invece, era tutt’altro che divertito.
La donna andò all’armadietto e, quando tornò
verso di loro, aveva in mano una siringa luccicante.
Quando la vide,
anche se scossa dal malessere, Aria spalancò gli occhi ed iniziò a urlare. Con
la mente annebbiata da mille immagini di aghi, e con il dolore che le aveva
tolto ogni capacità di ragionamento, cominciò a dire di no e a dimenarsi.
-Che le prende?-
chiese la donna, con la siringa in mano.
-Non ne ho idea!-
-Bè, tienila ferma!-
Il tono di voce
deciso dell’infermiera scosse Eric che, di getto, avvolse Aria con le braccia e
la strinse a sé. Ma, nel farlo, dovette mettergli un braccio contro la ferita
alla schiena e lei urlò ancora di più.
-Stai ferma, faccio
in un attimo…- disse piano la donna, conficcandole l’ago nella vena del collo.
Aria sia dimenò
ancora ma, stretta dalle braccia di Eric, si ritrovò in trappola contro il suo
copro saldo e irremovibile. L’effetto dell’anestetico arrivò presto e, prima di
sentirsi privare di ogni pensiero, la ragazza sentì ogni dolore e bruciore lasciare
il suo corpo.
Esausta, si
abbandonò con la testa contro il petto del ragazzo, sentendolo caldo e forte.
Quando la sentì
smettere di lottare, e capì che il sonno l’aveva sopraffatta, Eric tornò a
respirare.
Continua…