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Autore: KH4    21/10/2014    2 recensioni
Estratto dal prologo:
"Io lo so…Tu non sei il tipo di persona che si lascia uccidere così facilmente. Non è nel tuo stile. Ti è sempre piaciuto essere teatrale in tutto ciò che fai, essere la svolta di una situazione prossima al fallimento. Ami essere egocentrico, vanitoso, arrogante, sai di esserlo, e non ti arrenderesti mai d’innanzi a una morte che non ti renderebbe il giusto onore. La sceglieresti solo dopo aver guardato a lungo una bella donna e averle sussurrato frasi che avrebbero fatto di te un ricordo prezioso e insostituibile. Soltanto allora, ne saresti soddisfatto." 
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Marian Cross, Nuovo personaggio | Coppie: Allen/Lenalee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Santi Oscuri.'
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Diventare Bookman è scegliere la neutralità. La mano che scrive la storia e l’occhio che tutto registra. Il privilegio di una stirpe insaziabile di informazioni, libera di spostarsi in ogni campo e scegliere di restarne al margine per il solo assorbire la matrice conoscitiva e trasformarla in un dato con tanto di numero di classificazione.

La iena silente delle guerre.

A Lavi non interessava quante volte, a quell’appellativo, si fossero susseguiti ribrezzo o distanza, sebbene quel titolo fosse ancora lontano dall’essere completamente suo, ma ciò non cancellava il lento scolorirsi della sua anima. Lavi non era Lavi, dopotutto. Era solo un nome come tanti altri, il quarantanovesimo di una lunga serie di precedenti imparati e incarnati senza troppe complicazioni, con una punta di esasperata allegria per essere riconoscibile sotto una luce di falso calore. Di certo, era un abito più simpatico di Deak; l’ideale per inscenare al meglio il tenero buffone con la battuta sempre pronta e calarsi nelle vicende che intarsiavano la sottile rete di speranza e follia della più grande guerra che il mondo avesse mai conosciuto, anche se ormai era diventato talmente bravo a fare il giocherellone che, se non fosse stato attento, vi si sarebbe perso dentro.
La storia era conoscenza, la conoscenza era potere. Niente che avesse bisogno di farciture sentimentali o sbavature variopinte che privilegiassero una parte anziché un’altra. Doveva essere piatta, dettagliata, concisa, assolutamente neutrale. Come chi la scriveva.
Che importava avere un cuore? Era buono solo per calpestare la terra, un prezzo che i primi Bookman avevano ritenuto più che sacrificabile per le registrazioni future, ma come Lavi sapeva che quella strada era costellata d’empietà per qualsiasi forma umana, sapeva altrettanto bene che quando quel suo organo rosso, grande quanto un pugno, cominciava a battere forsennatamente, era perché ancora faticava ad abbandonarsi all’indifferenza. Si lasciava influenzare, incapace di tranciare una linea di confine che dividesse quel che doveva ignorare da quanto invece doveva catalogare, un errore che non mancava di marcare l’incoerenza sulle posizioni acquisite, se davvero ambiva a essere il nuovo Bookman, ma più Lenalee ansimava tremante, le mani strette attorno al suo braccio e la disperazione a singhiozzare sulle guance fredde, più realizzò dolorosamente che c’era una ragione valida se la storia pretendeva il totale discernimento dei sentimenti da ogni singola trucidità che ne macchiava il continuo scorrere.

La devozione si pagava sempre con sacrifici dolorosi e necessari.


- Lo abbiamo cercato per tutta la notte, fino a quando non abbiamo trovato Timcampi che ci ha mostrato le registrazioni. Purtroppo…Siamo arrivati tardi. Lui non c’era già più. -

Troppa amarezza nelle parole, almeno per quegli standard compromessi dall’ineluttabilità degli avvenimenti. Chiudersi nel silenzio era una scelta che nemmeno aveva preso in considerazione, sicché, riferire un fatto con le dovute specificazioni, era comunque un modo come un altro per registrare. Avevano lottato incessantemente fino al sorgere del sole, allo stremo, senza mai abbassare la testa; la guerra ne implicava l’esistenza con un obbligo che gli uomini assolvevano perché convinti che così dovesse essere – altrimenti non avrebbe avuto senso definirla guerra? - e nel sorvolare la zona montuosa con la sedicenne, che neppure aveva la forza di scostarsi i capelli sciolti dal viso, la terribile prospettiva di trovarsi faccia a faccia con una delle sue più spietate conseguenze era divenuta concreta con l’improvvisa scomparsa di Allen in una piccola boscaglia di bambù, dove un’enorme chiazza rossa dispersa sull’erba aveva testimoniato l’inimmaginabile. La ferita scottava, dolore apertosi uno squarcio profondo con repentinità tale da vedere tutti quanti loro incapaci di credere che Allen, di forza superiore a qualsiasi avversità paratagli davanti, fosse svanito nel buio della notte con solo la luna a udirne gli ultimi respiri.

- Se siete preoccupati per le condizioni di Walker-san, non dovete temere: è vivo. – L’arrivo di Samo Han Wong, collaboratore della sede dell’Asia, aveva ridato gioia a una sconvolta Lenalee e a tutti quanti loro, gettandoli poi nuovamente a terra nel doverli informare che le devastanti condizioni del loro compagno implicavano perfino la perdita della sua Innocence.
- E Amèlie-san? Lei l’avete trovata, invero? – Crowley era stato il secondo a parlare, intavolando il secondo argomento fonte di altra preoccupazione.

La francese era svanita nel nulla, inghiottita chissà dove e senza lasciare la benché minima traccia di sé. Il pensiero che anche a lei fosse toccata la stessa malaugurata sorte di Allen aveva sfiorato i cuori e le menti dei restanti Esorcisti con spinosa angoscia; sarebbe stato troppo dilaniante vedersi sottrarre così due compagni senza neppure avere la possibilità di riprenderseli.

- Lei sta bene. Ne sono certa. – Anita parlò eloquentemente, attirando l’attenzione su di sé – Poco prima dell’attacco, le ho riferito alcune direttive lasciate da Cross-sama in persona, che la esortavano a raggiungere il Giappone separatamente da tutti voi: se non l’avete trovata durante la ricognizione, molto probabilmente è già in viaggio. –
- Direttive? Amèlie-chan non ci ha detto niente! – Esclamò Lavi, visibilmente sorpreso.
- Non ce n'è stato il tempo e comunque Cross-sama aveva richiesto espressamente che la questione non venisse divulgata a persone al dì fuori di lei -, proseguì la Maitresse del Dragone Imperiale.
- Se il Generale ha lasciato istruzioni ad Amèlie-san, doveva essere al corrente che stessimo seguendo le sue tracce e che lei si fosse unita a noi. – Bookman fece udire la sua voce con ragionamento atono e di pulita lucidità.
- E’ esatto -, annuì Anita.

Il vento e l’acqua sferzarono all’unisono contro la superficie legnosa e robusta della nave, maciullata nonostante la strenua difesa ne avesse impedito l’inabissamento.
Lavi lanciò una rapida occhiata al suo mentore, sondandone la rugosità appena abbronzata, per poi soffermarsi sul trucco nero che ne appesantiva i piccoli occhi indagatori. Inutili i tentativi volti a cogliere in quelle iridi scure delle possibili sfumature emotive; Bookman era imperscrutabile anche al suo occhio per tutta una serie di valide ragioni che si rifacevano all’abissale differenza d’esperienza sul campo. Cosa pensasse era facile intuirlo, la piega presa dai recenti eventi si era permeata di una confusione generale che aveva colpito tutti quanti loro con impatti di diversa intensità. Lenalee ne era la più consumata, attanagliata da un presentimento contro il quale aveva lanciato preghiere affinché quell’alba dal profumo primaverile non nascondesse sorprese spiacevoli. Malconcia, la mente vagava in un banco di pensieri offuscati da aghi avvelenati di sofferenza, che ne percorrevano gli arti fino alle caviglie; c’era quasi da credere che il destino si divertisse a prenderla in giro, a farla inciampare in una continua disgrazia soltanto pero costringerne la fragilità nascosta nell’intimo a tornare a galla.


- Non perderti d’animo, Lenalee: stanno entrambi bene. – Il rosso le si inginocchiò di fronte, in un coraggioso e sincero tentativo di vederla reagire – Allen ha la testa troppo dura per lasciarsi vincere dallo sconforto; non mi stupirei affatto se stesse già cercando di riappropriarsi della sua Innocence e Amèlie-chan si auto-proibirebbe di morire prima di aver massacrato con le sue mani il Generale Cross. Li rivedremo prestissimo. –

Fu come fischiare sul ciglio di un deserto con l’assurda convinzione di farlo arrivare dall’altra parte forte e chiaro. Penetrare il silenzio eretto dalla ragazza con rincuoro sincero non le avrebbe facilitato accettare quella lontana speranza; il bel viso segnato dalle irregolari scie d’acqua salata che ne avevano attraversato le guance sporche e le labbra secche non mostravano segni di vitalità. Timcampi la osservava seduto sulle sue ginocchia, aspettando una qualche reazione diversa dall’immutabile osservare un punto indefinito.
Quante? Quante volte aveva già pianto la precoce scomparsa di molti suoi compagni in passato – luminosi frammenti del suo amato mondo -, alzatasi e ripreso a respirare col desiderio incandescente riflesso nelle iridi ametiste di non lasciarsi condizionare dall’ennesima ferita inferta? Quante?
Lavi aveva registrato il loro primo e puramente casuale scambio di sguardi con la rinnovata consapevolezza di dover solo interpretare il ruolo di compagno, non esserlo. Ma, forse, in fondo, il suo mentore aveva ragione nel definirlo un moccioso che faceva ancora fatica a contenersi.




Avere una forte propensione per la teatralità implicava gusti ed esigenze che talvolta, dalla comune specificità, sfociavano in un’ossessione accontentabile solo su larga scala. Il Giappone, come palcoscenico, era sicuramente il meglio che si potesse chiedere per una spettacolare anteprima mondiale, la più rara delle bellezze orientali racchiusa in distese d’alberi di ciliegio fiorenti sotto una luna perennemente piena. Sul Conte del Millennio si potevano raccontare dicerie e fandonie colorate delle più indicibili assurdità, ma che fosse una creatura modesta era rasentava la più pura delle oscenità. Non aveva senso pianificare ogni passaggio in largo anticipo per poi lanciarsi in uno spettacolo scadente, buono soltanto a sollevare un polverone di mediocre consistenza, la megalomania pretendeva sfarzosità e impatti scenici che si imprimessero nel cuore degli spettatori con lo stesso dolore di un paletto conficcato nell’occhio; altrimenti, perché darsi tanta premura per mantenere intatto anche il più minuscolo filo d’erba cresciuto in quella terra sottostante al suo dominio da tempo immemore, compresi i confini abbandonati e le coste piene di salsedine?

La baia di Sagami ne era piena, un recinto di rocce bagnate e aperte su un minuscolo spiraglio da cui si potevano scorgere gli scuri contorni del villaggio di Kamamura, avvolto in un silenzio spettrale del tutto insensibile al placido suono delle onde. Al riparo da occhi che avrebbero potuto renderle ancora più scomoda l’attuale situazione, Amèlie sondò la ridotta porzione di civiltà a lei visibile inspirando dal naso il più silenziosamente possibile; la puzza di pericolo fuori norma infestava la superficie nera delle pietre rendendo ancor più incredibile il fatto che lei e Hatsue fossero riuscite a mettere piede sulla costa dopo tre giorni di viaggio. Il Livello Due affibbiatole era di un’incapacità che faceva venire il latte alle ginocchia, peccava in qualsiasi cosa si cimentasse semplicemente ricamandoci sopra problemi ansiolitici che allargava con paure infantili e goffaggine smisurata. Un peso che era costretta a portarsi dietro con stress crescente.
Delle nullità, la Maitresse della Rosa Nera ne aveva sempre fatto volentieri a meno, abituata com’era a standard elevati e a imporseli come criteri di vita e considerata la disarmante facilità con cui Hatsue era stato scoperta in Cina, le crisi di panico e la sua totale mancanza di poteri – salvo il volo alla velocità della luce -, non vi avrebbe fatto affidamento neppure se si fosse ritrovata a combattere a mani nude contro un Noah. Tuttavia, far prevalere la frustrazione per un Akuma tanto incompetente in territorio nemico, non era il genere di lusso che si sarebbe concessa con languida condiscendenza. Il flebile scrosciare delle onde armonizzava la bellezza della serenità notturna, priva di luci che non fossero gli opachi riverberi della luna. Calma piatta, totale, che si contrapponeva alla quasi soffocante presenza maligna che aleggiava lì attorno, nascosta.


- Sua eccellenza il Conte ha preso possesso del Giappone molti secoli orsono ed allora è popolato unicamente di Akuma di livello elevatissimo -, bisbigliò Hatsue, le mani artigliate alle spalle scoperte della corvina e gli occhi azzurrini tremolanti rivolti al villaggio – Il problema è che siamo diventati troppi e quelli come Hatsu-chan vengono mangiati facilmente per lasciare spazio alla classe dominante. Poi, ora che i preparativi sono quasi ultimati… - La creatura si portò le mani alla testa, raggomitolandosi impaurita e mormorando parole incomprensibili.
- Quali preparativi? Ti dispiacerebbe delucidarmi su quanto sta accadendo? – La francese aggrottò la fronte, ma senza voltarsi. Cominciava a non sopportare più quel venire fatta muovere come una marionetta.
- Non…Non qui -, cincischiò balbettante la bionda, toccandosi agitatamente con le mani il corpo – Hatsu-chan ha ricevuto istruzioni precise che deve seguire alla lettera, non può sbagliare, se solo…Whaah! Ma Dov’è? Dov’è l’ha messa Hatsu-chan?! Dove?!? Senza farà perdere Amèlie-sama e non c’è più tanto tempo!!!
- Grandioso, altre crisi mistiche… - Nemmeno la stava guardando, che Amèlie inspirò nuovamente per non cedere a tentazioni omicide.

Come se già non avessero toccato il fondo…

Sarebbe stato tutto molto più semplice se avesse potuto tagliarle la testa e abbandonarne il corpo in mezzo agli spuntoni, ma a prescindere dalla nefasta utilità che la costringeva a portarsela dietro, il suo stesso ego l’avrebbe frustata psicologicamente con lo spettro di sua nonna per l’essere venuta a meno al portamento nobiliare e contenuto che dava lustro alla sua immagine di donna aristocratica. Già troppe volte si era lasciata influenzare dagli eventi, soprattutto perché implicavano quel caso disperato meglio conosciuto come Marian Cross che aveva pensato bene di complicarle ulteriormente la vita addossandole quella piattola demoniaca; settantadue ore di volo in mezzo al mare erano state più che sufficienti a portare la sua pazienza ad un passo fuori dalla soglia di sopportazione, già messa a dura prova dal suo non digerire le attraversate su una massa d’acqua così smisuratamente infinita. Hatsue parlava troppo, si agitava più del dovuto e forse l’unico motivo che poteva aver spinto Cross a rabbonirne l’istinto omicida era per il suo guscio da umana prosperosa e bionda con cui chissà quanti idioti senza cervello aveva abbindolato.
D’innanzi a tanto chiassoso vociare, gli occhi neri dell’Esorcista schioccarono furenti, per poi allertarsi all’udire un fruscio sospetto.


Ah! Meno male! Eccola qui! – Hatsue esultò, sventolando in aria un grosso quadrato di carta malamente ripiegato – Tutto a posto, Amè…!

La vocina concitata di Hatsue morì soffocata in gola non appena la corvina le si avventò sopra con la mano a tapparle la bocca, trascinandola di peso a una paio di metri più a sinistra; con la luna a illuminare la costa, gli angoli per nascondersi erano pressappoco più che una decina, solchi neri fra le rocce dove anche il più flebile dei movimenti ne avrebbe minato l’immobilità. Adocchiatone uno, la francese ci spinse dentro l’Akuma schiacciandolo sul fondo ruvido e spigoloso, senza mai togliergli la mano dalla bocca, per poi entrare a sua volta all’interno del riparo così denso di buio da far dissolvere pure i contorni dei loro corpi. Non dovette attendere molto prima che nel mezzo del cielo stellato apparissero due profili di seria inquietudine.

- Cazzo! Due Livello Tre! –

La fisionomia sottile e robusta di quelle creature non aveva niente a che vedere con la grossolanità dei corpi inferiori che vantavano perfino colori sgargianti e arti malformati. Erano nemici rari, con occhi di svariate dimensioni a fiammeggiare all’impazzata, di coscienza più fine rispetto a qualunque assassino umano.
La zona circostante traboccava della loro presenza, il loro stesso potere sgorgava dalla corazza d’acciaio con fluida riluttanza per il non potersi esternare pienamente; con i battiti cardiaci rallentati perché la propria presenza umana fosse impercettibile, Amèlie studiò il loro librarsi in aria concentrandosi sui denti aguzzi esibiti in un ampio ghigno trasudante di malignità.


Fanno parte del gruppo di ricognizione. – Hatsue era impaurita, la voce squillante rimpicciolita a un sussurro bassissimo nonostante la mano della corvina le tappasse ancora la bocca – F-Forse hanno sentito Hatsu-chan… -
Forse? – Con tutto il chiasso che aveva fatto per trovare uno stupido pezzo di carta, erano fortunate a non essere già state scovate.

Uno scontro era fuori discussione quanto il mettersi a fare dell’ironia su un così palpabile pericolo di morte, non se si doveva passare inosservati in pieno territorio nemico. Agguerrita, l’Esorcista spiò l’avversario più vicino alla loro posizione e il suo compare continuare a sorvolare la zona girandoci in tondo.

- Non sono soli. - Fu una certezza che travalicò il tremore fisico di Hatsue e s'impose con irremovibilità solida.

Non li vedeva, ma la Dark Matter che tingeva di spietatezza l’ossigeno frizzantino non lasciava dubbi; tanta densità non era ricollegabile a due creature come quelle, seppur di estrema violenza. Ce ne erano molti altri, unità che in segreto attendevano un loro sbaglio, e anche considerato quanto fossero fattibili per una come lei, Amèlie non era così sfacciatamente orgogliosa da mandare all’aria una missione e rischiare la disfatta totale solo per dimostrare che poteva batterli senza l’aiuto dei compagni. Un profilo basso era la scelta migliore.

- Hatsue, dobbiamo spostarci -, si rivolse all’Akuma, che la guardò con gli occhi blu aperti e lucidi – C’è il rischio che ci scoprano, se rimaniamo qui troppo a lungo. –

Anche parlare più del necessario comportava un serio pericolo e nell’inchiodare l’Akuma con tanta concisione, sperò che il presunto spirito di autoconservazione che accompagnava l’insaziabile fame delle Bambole del Conte del Millennio permettesse alla macchina modificata di fronte a lei di recepire cosa stesse cercando di dirle.




La cannoniera sfrecciava in mezzo all’acqua bluastra lasciandosi alle spalle una spuma bianca di microscopiche bollicine; il vapore umido reso visibile dal continuo consumo di carbone riempiva la sala macchine fino alla scala, dove una porta metallica sigillava il tutto lasciando giusto che un tondo oblò desse aria a chi ci lavorava. Con il mare e un clima tanto piatto da sembrare quasi senza vita, viaggiare a vele spiegate dava l’impressione di spiccare il volo e lanciarsi in una corsa verso le stelle più irraggiungibili. Una sensazione di assoluta libertà che riempiva il cuore di Anita di incontaminata e coinvolgente serenità, un tepore che Lenalee percepiva nel gentile tocco delle mani della donna, impegnate a spazzolare le capricciose ciocche di quella sua chioma irrimediabilmente rovinata.

Eppure vi era altro.
Una comunanza, il sapere di aver fatto la cosa giusta, auto-costringendosi ad aggrapparsi all’ombra di persone amate e lottando per continuare a credere in una possibilità più simile a un sogno. I segni di quella disperazione calatale addosso c’erano ancora, lisce cicatrici ormai curate da rinnovata determinazione: dell’acquosità che aveva sciolto il viola ametista delle sue iridi e arrossato la pelle nivea era rimasta un’esigua traccia, leggere pieghe raggrinzite a tirarle i punti più sensibili del viso. Il resto – muscoli tesi, tirati, membra sfibrate per l’aver preteso troppo da un corpo già psicologicamente martoriato -, era il risultato di una battaglia cruenta che ne aveva forzato i limiti fino allo stremo.


- Lenalee-chan? – Il tintinnio del pettine che viene appoggiato sul tavolo da lavoro fece rinsavire la fanciulla con le mani a stringere nel tessuto dei pantaloni. Ogni attimo era buono perché il fisico si rilassasse senza che lei ne fosse conscia, prova del fatto che quello smaltire gli effetti dello sprigionamento forzato dell’Innocence la stava guarendo lentamente.
- Sì? Cosa c’è? –Voltandosi, trovò il sorriso di Anita guardarla amorevolmente – Non riesci a non pensare ad Allen, vero? –

Un singulto fuggì dalle labbra della giovane con sobbalzo involontario, svegliando il piccolo Timcampi dal pisolino pomeridiano rimediato standole in grembo.


- Non è necessario che tu dica qualcosa, comprendo bene i tuoi sentimenti . proseguì la maggiore – E’ sempre difficile credere quando non si hanno garanzie o tutto sembra andarti contro, ma è proprio perché abbiamo fiducia in quelle persone, seppur lontane, che riusciamo a essere noi stesse. –

Dirlo sembrava così facile a dispetto di provarci. Lenalee avrebbe voluto poterlo esprimere quel pensiero, ma era riuscita a combatterci scegliendo di credere esattamente come Anita aveva fatto con il Generale Cross. Non le rimaneva che questo dopo Eshi, dopo quel duello mortale da cui era uscita pagando un prezzo debilitante per l’averci donato tutta se stessa: i disegni concentrici e circolari impressi sulle gambe non le arrecavano alcun fastidio – forse complice l’effetto del Time Record di Miranda -, ma toccarli le dava l’impressione di non avere più alcuna empatia con la sua Innocence, con quel potere che aveva imparato a conoscere, domare e a usare.
Sembrava…Trattarla da estranea, da un certo punto di vista, ma per quanto l’dea che il suo legame col cristallo si fosse ridotto a uno stadio larvale, il cuore non era mai stato tanto gonfio di caldo sollievo. Aveva reagito.


- Lenalee-chan, avrei bisogno che tu mi facessi un favore. – La Maitresse del Dragone si era allontanata temporaneamente da lei per trafficare con la scrivania, prendendovi qualcosa che porse alla giovane con entrambe le mani.
- Una lettera? – La ragazza la prese senza pensarci, voltandola per osservarne entrambi i lati. Non c’era scritto nulla.
- E’ per Amèlie-chan. L’ho scritta in appena mezz’ora -, le spiegò la donna, sedendosi sull’ampio letto – Non sono mai stata brava a riportare nero su bianco i miei pensieri, probabilmente perché non mi sono mai impegnata a darvi un ordine sensato, ma a volte capita di avere la giusta motivazione e di riuscire anche in qualcosa in cui si è negato. Più proseguivo, più le parole venivano da sole, come se ci fosse stato qualcuno accanto a me a dettarmele. Buffo, no? –
- Oh…No, no di certo -, si affrettò a rispondere l’Esorcista – Solo non capisco perché vogliate che sia io a consegnargliela: potrete farlo voi di persona quando la rincontreremo. -

Anita scosse blandamente la testa, socchiudendo gli occhi zaffirini con un altro debole sorriso a illuminarne le labbra velate da un trucco chiaro. La mano destra che affondava col palmo sul morbido materasso tremava ancora per l’incredibile operato compiuto, l’inchiostro e la penna d’oca riposti sullo scrittoio avevano lavorato la carta ruvida riempiendola di un segreto serbato dentro di sé in un lasso di tempo non quantificabile, svelato nel giro di pochi attimi. Tra gli scricchiolii legnosi, l’impercettibile vibrare del vetro della finestra e il profumo del tè alla vaniglia diventato freddo, l’anima le si era aperta spontaneamente, di getto, priva di paura, di esitazioni, sincera come il suggerimento stilato con calligrafia elegante e svolazzante.

Apporci la propria firma l’aveva svuotata da una fibrillazione che l’avrebbe consumata con la stessa intensità di un rimpianto, se soltanto avesse deciso di tenerla per sé o di modificarne il contenuto. Così invece era perfetta, giusta.  
Sarebbe stata odiata, altroché, ma non nutriva dubbi sul fatto che, se la mittente fosse stata al suo posto, avrebbe fatto la medesima cosa.


- Preferirei la tenessi tu -, ribadì - Se lo facessi io, finirei col strapparla o non dargliela. - 




La fiocca luce del lumino di carta illuminava la stretta galleria delle miniere di Kamamura, intricata e abbandonata nel pieno della costruzione come le sue gemelle; l’aria stantia si accompagnava a fitti strati di polvere e ragnatele cresciuti su attrezzi gettati alla rinfusa in qualche angolo, lampade consumate, corde rovinate e carrelli rovesciati di fianco a rotaie per facilitare il trasporto merci.
Tutto intatto, abbandonato e mai più toccato. Salvo forse il puzzo di chiuso e la disgustosa vista di abiti lerci lasciati a marcire nel fango, la desolazione infestava quel groviglio di cunicoli con l’ombra di echi insinuatisi in fessure rivolte all’esterno.


Di qua, Amèlie-sama. – Hatsue allungò il dito indice verso una rientranza sulla destra, un altro corridoio tortuoso dentro cui inoltrarsi.
- Sei sicura che sia la direzione giusta? Vaghiamo qui sotto da almeno una giornata e mezzo… –
- Hatsu-chan ne è sicura. Lo dice anche la cartina -, confermò l’Akuma, mostrandole un enorme riquadro di carta tracciato da linee colorate – Era previsto fin dall’inizio che attraversassimo le miniere di Kamamura: la strada principale è troppo trafficata e di posti per nascondersi non ce ne sono. L’unico problema è che questo complesso non ha gallerie che taglino dritto come la via in superficie, sono dispersive, quindi ci metteremo molto più tempo ad arrivare al villaggio.
- Villaggio? – Amèlie corrugò la fronte, perplessa – Edo non è una città? –
- Sì, ma il nostro punto di incontro non è Edo -, le rivelò il Livello Due – Per ora dobbiamo solo sbrigarci a uscire da qui sotto nel minor tempo possibile; anche se sua eccellenza il Conte non è ancora arrivato, tutti gli Akuma sono in allerta per via di Cross-sama.
- Mi sembra il minimo… - Pollice e indice sfiorarono il ciondolo che portava al collo con tanta dedizione.

Una così ferrata ricognizione sulla costa non poteva che avere una ragione più plausibile della semplice coincidenza e l’Esorcista lo aveva intuito osservando attentamente il fin troppo lento sostare di quei due Livello Tre sopra le loro teste. Pensava all’Arca Bianca, sempre, quasi il suo istinto la ricollegasse automaticamente a qualsiasi domanda inerente a tanta criticità, ma c’era qualcosa nelle intenzioni del Generale che ancora tendeva a sfuggire dalla sua comprensione. Non conoscendone le funzioni, poteva ipotizzare che l’uomo volesse distruggerla in base al grande valore affettivo e strumentale che la legava al Conte, forse si trattava del famoso impianto di produzione di massa degli Akuma…

Dunque, vediamo… - Hatsue sollevò la mano reggente la lampada per avvicinarla alla cartina, di modo da illuminarne il percorso da seguire con più nitidezza – Se noi siamo qui, a questo punto dovremmo girare a sinistra e… -

Alzati gli occhi celesti, la carta giallognola scivolò via dalle sue dita planando dolcemente a terra; stessa sorte toccò a Hatsue, che col fondoschiena produsse un tonfo molto più rumoroso. Buona a lamentarsi d’ogni piccolezza, sarebbe scoppiata nell’ennesimo piagnucolio insopportabile, se soltanto fosse riuscita a sbloccare la mascella paralizzata per la paura; le gambe avevano ceduto sotto l’improvviso aumento di peso non appena nel semibuio aleggiante aveva fatto capolino niente di meno che una sogghignante sagoma metallica appartenente a uno dei Livello Tre a cui lei e Amèlie erano sfuggite circa tre ore prima.

Che gradita sorpresa…Un Livello Due tutto solo. – I denti della creatura cozzarono con schiocco compiaciuto – Che ci fai qua?
- Ah! I-I-Io… - In un gesto disperato, Hatsue volse la testa alle sue spalle, sbiancando nel realizzare che a occupare la galleria c’erano soltanto lei e l’Akuma di livello superiore – Kyaaa!!! Non c’è! Non c’è! NON C’E’!!! -
- Allora? – Incalzò minaccioso il Livello Tre, pestandole con forza lo yukata rosso, di modo che non potesse arretrare.
- Ha, Ha…Hatsu-chan s-si è persa! – Balbettò – H-Ha dimenticato l-la strada per Edo ed è f-finita qui…! -

Era nei guai, sapeva di esserlo e di non avere alcuna possibilità di reggere il confronto con la mostruosità che troneggiava su di lei. La gerarchia e il rigore con cui tutti quanti loro venivano costruiti, partiva dal semplicissimo presupposto che, più umani uccidevano e più accorciavano la distanza che li separava dall’agognata evoluzione, ma niente vietava di cibarsi a vicenda quando lo spazio cominciava a farsi stretto. La fame non la si colmava mai con qualche pasto di magra consistenza, finire divorato da un proprio simile era il terrore più grande che una macchina di discreta decenza potesse temere oltre l’Innocence o il Conte del Millennio in persona.
Hatsue si sentì mancare violentemente quando gli innumerevoli occhietti maligni di quell’essere la sondarono con luce sinistra nelle pupille iniettate di liquido vermiglio.


Hai qualcosa di strano… -, sibilò l’Akuma, inarcando la schiena in avanti.

Il Livello Due tacque, le viscere interne stritolate e sul punto di esplodere per la paura che pompava gli organi d’ansiti frenetici. Occultare la sua natura rabbonita d’innanzi a un suo pari non chiedeva nulla di straordinario, se non una maggiore attenzione alla spiccata percezione che ogni Akuma conservava assieme ai molti altri istinti primitivi, ma con un Livello Tre cambiava tutto.

E fu l’ampliarsi di quell’aguzza chiostra grigiastra, che Hatsue capì di essere finita con entrambi i piedi nella fossa.


- Ho capito…Sei uno di quegli Akuma modificati dal Generale che Jusdebi-sama sta cercando -, ghignò vittorioso, passandosi la lunga e appuntita lingua sull’arcata bassa della bocca.
- H-H-Hatsu-chan non sa niente! Niente di niente di nientissimo!!! – Per quanto strattonasse la stoffa dell’abito per liberarsi, il piede del Livello Tre non accennava a muoversi.
- Ah…Non è rilevante, per me.

Hatsue continuò a tirare incondizionatamente. Non avrebbe risolto niente strattonando il vestito con la forza delle sole dita: al cospetto di quel Livello Tre, lei era solo un piccolo spuntino per placare la fame o, nel peggiore dei casi, un pulviscolo da dilaniare per puro sadismo personale.

- Perché Amèlie-sama ha lasciato sola Hatsu-chan?!? Perché se n’è andata via?!? Piagnucolò mentalmente, la vista annacquata da enormi lacrimoni.

Gli artigli metallici volti alla sua giugulare esercitavano una sorta di ipnosi che le impediva addirittura di ordinare alle proprie palpebre di chiudersi o anche soltanto di rendersi conto di cosa successe nei tre secondi successivi. L’immobile piega della bocca che obbligava il Livello Tre a mantenere statico il glaciale ghigno non si spezzò neppure al frantumarsi della sua corazza, trapassata da parte a parte da una lama ricurva emanante una luce smeraldina. La guardò giusto un paio di secondi prima che questa salisse e lo tagliasse in due metà uguali, riducendolo in cenere con muto botto.

- Appena in tempo, eh, Hatsue? –
- A...A-Amèlie-sama? – Il viso coperto dalla mascherina di pizzo nero venne illuminato dal riverbero di Lucifer, ancora attiva – Da dove…Come…?
- La rientranza dietro di te. – La donna indicò un’apertura visibile soltanto a una distanza molto ravvicinata – Ho percepito in tempo la presenza di quel Livello Tre e mi sono nascosta fino al momento propizio: considerato dove ci troviamo, ho dovuto puntare tutto sul fattore sorpresa. –
- P-Puntare? C-Cioè avreste usato Hatsu-chan…COME ESCA?!? – Indignata, la bionda si gonfiò fino a riassumere le sue fattezze originali, strillando inviperita a due centimetri esatti dal naso di Amèlie - COME AVETE POTUTO FARE UNA COSA SIMILE AD HATSU-CHAN?!?
- Levati dalla mia faccia, imbecille! – Bastò un manrovescio della donna per togliersi di dosso la Bambola del Conte del Millennio – Detesto che del lerciume mi si avvicini, soprattutto se tanto irriconoscente! Ti vorrei far notare che siamo in pieno territorio nemico e un Livello Tre è l’ultima cosa che ci serve per peggiorare la situazione. O preferivi essere sbranata? -

- Questo mai! - Obbiettò l’Akuma, rotolandosi a terra - I Livello Tre sono terribili, terribilissimi! Hatsu-chan ha ancora i brividi!!! –
- Allora smettila con i piagnistei e datti un contegno -, intimò la corvina, lisciandosi le pieghe del vestito - A parte il fatto che ti ho salvato unicamente perché mi servi, questo Akuma era giù alla spiaggia; forse non sarà l’unico che rischieremo di incontrare, quindi ci conviene tenere un profilo basso e…Ma che hai adesso, si può sapere? –

Le grandi pozze azzurre di Hatsue, fattesi tonde e lucide, erano tornate a riempirsi di lacrime, accompagnate da singulti ebeti e smorzati. Tanta ridicola sensibilità da parte di un trabiccolo ferruginoso rincarò il fastidio che Amèlie nutriva nei suoi confronti, con una nota di disgusto particolare per come quell’affare la stesse guardando con una tale ossessività da forare il confine che proteggeva il suo sacro e inviolabile spazio vitale.

- Ascolta, se è ancora per prima… -
- Lei ha detto che mi avrebbe salvato come e comunque… -, pigolò il Livello Due – Questo significa che, nonostante tutto Chibi-chan non è un’insensibile, VUOLE BENE AD HATSU-CHAN!!! –

SBONK!

- Ho detto profilo basso, idiota! – La redarguì violenta la francese, il pugno destro a fumare per il colpo sferrato sulla capoccia dell’Akuma e la voce tenuta bassa per la propria salvaguardia personale – E non chiamarmi con quello stupido nomignolo o la prossima volta lascerò che qualcuno ti divori! – 




Note di fine capitolo:
E di nuovo risorgo! Non sapete che fatica arrivare in fondo al capitolo dopo averlo stravolto dall’inizio alla fine e intanto scrivere il seguito cercando di mantenere un buon distacco con i capitoli già scritti. Fortunatamente, ho a mio carico dei capitoli già pronti, ma quando ne pubblico uno poi mi dico che non devo pubblicare il prossimo se non ho finito quello che ho iniziato (o quanto meno essere arrivata a un punto vicino alla fine). Prima di salutarvi, ringrazio la dolcissima Momoko-chan per il seguirmi assiduamente e per l’apprezzare la mia Amèlie con recensioni che ogni volta mi fanno gongolare dall’orgoglio! Ragazza, tu si che mi fai felice! Incito anche gli altri lettori a farmi sapere cosa ne pensano, ovviamente non è un obbligo, ma ogni tanto mi chiedo se la storia venga apprezzata o se ci siano cose che devo cambiare e di cui non mi accorgo. Un bacione a tutti!
  
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