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Autore: pandaisia    21/10/2014    3 recensioni
Sangue, sangue ovunque. Sulle pareti arricchite di inutile carta da parati non vi erano più mazzolini di fiori violetti ed azzurri, bensì lugubri centrotavola. Scarlatto, vermiglio, purpureo, rosso. Si era introdotto in una piccola casa londinese ardendo di desiderio. Non carnale, sia mai, bensì desiderio di vendicare. Era ragazzo la prima volta in cui mosso dalla follia trucidò numerose vite, in cui lontano in sella al suo destriero – Makon – si diresse in un villaggio magico con arco e frecce. Si era divertito, il giovane Jefferson. Adesso, non più tanto giovane, aveva nuovamente macchiato le proprie mani del sangue di qualche innocente. Un elfo, per la precisione, ed una mocciosa piagnucolante. Il primo, colpevole d'aver tentato di ostacolare il suo cammino tra quei miseri corridoi, e la seconda colpevole di non essere abbastanza forte.
Genere: Angst, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mangiamorte
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Sangue, sangue ovunque. Sulle pareti arricchite di inutile carta da parati non vi erano più mazzolini di fiori violetti ed azzurri, bensì lugubri centrotavola . Scarlatto, vermiglio, purpureo, rosso. Si era introdotto in una piccola casa londinese ardendo di desiderio. Non carnale, sia mai, bensì desiderio di vendicare. Era ragazzo la prima volta in cui mosso dalla follia trucidò numerose vite, in cui lontano in sella al suo destriero – Makon – si diresse in un villaggio magico con arco e frecce. Si era divertito, il giovane Jefferson. Adesso, non più tanto giovane, aveva nuovamente macchiato le proprie mani del sangue di qualche innocente. Un elfo, per la precisione, ed una mocciosa piagnucolante. Il primo, colpevole d'aver tentato di ostacolare il suo cammino tra quei miseri corridoi, e la seconda colpevole di non essere abbastanza forte. Aleksandra Zetrov non c'era. I suoi simpatici nonni magonò, neanche. Avrebbe volentieri ucciso anche loro, ed anche lei. L'auror affermata, la moglie di Blaise Zabini, quella che si era permessa di barattare la sua vita sentimentale con il marchio che sarebbe sempre rimasto sul suo avambraccio di pallido avorio. Lui aveva riso, nel sentire ciò che Ignotus Zetrov quel giorno di un anno prima gli aveva detto, ed aveva annuito con la mente lontana di chi progetta il proprio futuro. Si era introdotto in una casa babbana, camminando tranquillamente sul marciapiede innevato, con l'intenzione di regalare alla zarina la stessa follia di sua madre. Una pazzia incurabile, una mente instabile. Qualcosa che, geneticamente, si era insinuata persino nella di lui mente. Così, quel giorno, lasciando Theodore abbandonato su una poltrona di una Casa Riddle gelida se n'era andato. Vado. aveva detto, e poche ore più tardi si era ripresentato con due fagotti piagnucolanti. Li aveva odiati dal primo momento, Constantine e Cassandra, così come aveva detestato l'auror che gli era stato strappato tra le mani. L'aveva spiato, al San Mungo, ingollando l'aspetto di un'infermiera goffa e pasticciona. L'aveva osservato circondato d'amore. Allora aveva sorriso, Jefferson, scusandosi con voce sottile e sgraziata. E se n'era andato. Quel giovane sarebbe stato tormentato tanto quanto lui, se non di più, Eva l'aveva aiutato in quello. La decisione di marchiare i giovani avambracci dei ragazzetti parve una punizione decisamente grande, nella sua mente, e la voce di sua madre gli sussurrò l'idea come un folle ode le voci di chi non esiste. E li marchiò, ma uno dei due non sopravvisse. Vestita di tulle rosa e piccoli orsetti color nocciola, la bambina morì senza piangere, serrando i grandi occhi chiari. In un sospiro contrariato, decise che sarebbe servita nuova buca nel cimitero della non-famiglia del Lord Serpente. Aleksandra Zetrov non avrebbe pagato mai abbastanza per il suo affronto, e se possibile si sarebbe divertito ancor di più con lei. Non le avrebbe lasciato scampo, lei e la sua divisa da auror. A chi voleva darla a bene? Prima o poi qualcuno avrebbe visto il suo marchio, e le scuse allora non sarebbero servite a niente. Chi è mangiamorte, nel profondo, lo resta per sempre.
I Rosier furono la sua malsana idea, un luogo in cui neppure la traccia di quel piccolo e pedante marmocchio sarebbe stata rintracciata. Un luogo infimo, lontano da ogni cosa e da ogni luogo. Nella foresta. Percorrere quel tragitto scalpicciando tra la neve che quell'inverno aveva donato all'est Europa – ed anche al resto della medesima Europa, ad onor del vero – aveva rievocato in lui pensieri sopiti. Sembrava che tutto, dalle mura verniciate d'ocra alle imposte accostate, fosse rimasto immutato. Eppure gli occhi che notò lo osservavano tra le tende tirate di quello che era il salotto, parevano cerchiati da una stanchezza ed una vecchiaia non indifferente. La porta si aprì, quando fu il momento, e finalmente il fardello che recava in braccio venne scaricato come un pacco troppo pesante tra le mani di quella vecchia signora che mai e poi mai aveva chiamato mamma. Non l'aveva mai sentita sua, pensò osservandola mentre si chinava a lasciare il bambino sulla poltrona che un tempo era la preferita del marito. Persino da piccolo, i seni di quella donna lo disgustavano. Jefferson non voleva mai mangiare, ricordò. Chiamateli. Aveva detto loro, digrignando i denti. Le labbra s'erano aperte poi in un ampio sorriso che di felice non aveva alcunché. Un sorriso macabro, da assassino. I coniugi Rosier erano ormai due anziani signori, ma i loro figli erano stati marchiati dalla bacchetta del mago, ed i figli dei loro figli avevano ed avrebbero avuto lo stesso trattamento. Chi poteva immaginare che tra quelle mura tinteggiate di porpora e verde bottiglia prima o poi un nuovo lord folle avrebbe mosso i primi passi. Nessuno poteva immaginarlo, neppure quei due volti che adesso l'osservavano nel mezzo del salotto. Togli i piedi dal divano! Ricordò, puntando gli occhi sul tre posti rivestito di velluto, e sul volto tirato della signora della casa. La odiava, quella maledetta arpia. Un paio di schiocchi più tardi, ed altri volti apparvero in quella stanza rettangolare. Da qualche parte, mentre le bacchetta si abbassavano ed i capi si chinavano, suonava una musica lenta e cigolante. Figli e nipoti, nuore e cognati, gli occhietti piccoli e ravvicinati della stirpe lo guardavano. Il moccioso sopravvissuto, che si chiamava Constantine, gorgogliava su di una poltrona e quasi nessuno vi prestò attenzione. Aveva il medesimo nome di una delle più giovani tra le figlie dei Rosier. Constantine, una ragazzetta secca e lunga, che ricordava di aver visto nell'albero di famiglia del corridoio. C'era persino lui, bordato d'oro. Il raccapriccio gli aveva stretto lo stomaco, leggendo il nome che all'epoca gli era stato affibbiato. Signore, a cosa dobbiamo la sua visita? Pigolò la cara Carice, erano cresciuti insieme in quelle zone, eppure non riusciva ancora a vederla come un'essere umano. Le ricordava un'elfo, aveva la postura di un'elfo e l'atteggiamento rassegnato della medesima creatura dalle orecchie appuntite. Il moccioso. Non si sprecò in lunghi discorsi, muovendo lo sguardo su ogni ricordo la sua mente gli mostrasse. Aveva il volto scuro, in penombra. Vi occuperete di lui come vi siete premurati di allevare la mia persona. Ogni giorno, ogni notte, fino a quando non sarà abbastanza grande da perdere la traccia. Allora si unirà ai mangiamorte. E' stato abbastanza forte da resistere al marchio che adesso torreggia sul suo braccetto. Non sarebbe mai stato lui, il bambino rubato, ma la vita non l'aveva lasciato come era accaduto a sua sorella. Doveva essere un vanto, lo sarebbe certamente stato. Pronunciava quelle parole, il signore con lo sprezzante disgusto di chi ha dovuto stringere tra le mani un cadavere roso dal tempo, invero era soltanto un poppante quello che si era trascinato dietro sino in quelle terre dimenticate da Dio. Imparerà dunque a sopportare la sua presenza. Vi occuperete di lui o vi ucciderò, uno per uno, nei modi più cruenti che conosco. Si sfilò finalmente i guanti, mostrando unghie sudicie di sangue e dita lunghe e sottili. Contò sulla punta di esse, elencando il fuoco, le lame, la tortura, le maledizioni. Qualcuno poi, aveva sussultato. Carice aveva tremato, povera cara, e l'impulso di spezzarle la vita in quel medesimo istante percorse Jefferson con la stessa forza di un fulmine. Il moccioso frequenterà Hogwarts, e non Durmstrang, direte lui che sua madre è una puttana, una meretrice, una miscredente ignava. E direte lui che il suo futuro è segnato. Lo alleverete come si confà ad un Rosier, gli darete altro nome ed il vostro cognome. Carice, ti occuperai personalmente di lui ogni giorno, e se fallirai perderai la vita per prima. Non disse molto altro, spiegò invece a grandi linee ciò che era accaduto, evitando accuratamente di pronunciare nomi e cognomi. Era un bambino rubato. Sua madre aveva segnato il destino di entrambi, e se la prima era venuta a mancare il secondo avrebbe resistito per ricordarle sempre – da qualche parte nel suo cuore traditore – che prima o poi si paga per i propri errori. Un foglio sgualcito, scritto nella calligrafia storta di Jefferson Lestrange, planò piano nel medesimo luogo in cui la giovane auror si trovava. Era una fotografia. Un cimitero vecchio come il mondo, nei dintorni di Godric's Hollow, in cui svettava una croce bianca. Avrebbe potuto scavare tutta la vita però, lì non avrebbe trovato altro che la propria disperazione.
   
 
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