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Autore: Some kind of sociopath    22/10/2014    3 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Stringimi la mano e poi partiamo.
– Tiziano Ferro, Ed Ero Contentissimo.
 
Immortali mortali, mortali immortali: vivono gli uni la morte degli altri, e muoiono questi la vita dei primi.
– Eraclito.
 
– Vi garantisco che è il gioiellino più veloce che possiate trovare tra Philadelphia e Kingston. Non esiste nulla di più aggraziato, flessuoso, rapido ed elegante. Questi gentiluomini non erano certo cacciatori di pirati da due soldi, eh?
Strofinai le dita sul naso e annuii stancamente a qualsiasi cosa mi stesse dicendo Hopkins. Infinite stronzate su quanto la sua cacciatrice battesse qualsiasi altra nave in velocità. Avevamo spaccato l''Aquila' per il suo sporco culo americano, il minimo che potesse fare era renderci il favore, e devo ammettere che la Señora era perfetta per quell'incarico. Tre alberi, un sacco di cannoni, vele appena sostituite e scafo lucido, ancora privo del battesimo di licheni e alghe. I membri dell'equipaggio che avrebbero proseguito la traversata sulla cacciatrice accarezzavano tutto con mano stupita, come se potessero rovinarla, e a guardarli sembrava si trovassero sulla Terra Promessa delle navi. Sorrisi tristemente. Chissà che disonore sarebbe stato per mio padre vedermi al timone di una cacciatrice di pirati.
– ...Johnson, mi state ascoltando?
Posi una mano sul petto con fin troppa drammaticità. – Perdonatemi, capitano, ero stato travolto dalla... – Agitai convulsamente una mano verso l'albero di mezzana. – Sì, dalla flessuosità di questa nave.
Sollevò un sopracciglio, ma subito gli si aprì un grosso sorriso sul volto. – Già, resistere a una meraviglia del genere è difficile. Vi capisco. – Mi diede una pacca sulla spalla e si voltò a guardare l'Aquila, la cui poppa sbucava dalla rimessa. Faulkner era rimasto lì a mangiarsi le unghie, affidando a uno dei membri più anziani tutte le informazioni necessarie per farla tornare come nuova. Non gli avrei certo permesso di restare lì a fare il piagnone. Non ero Connor.
D'accordo, mi piaceva anche l'idea di metterlo contro mio figlio per ciò che aveva fatto alla sua nave. Lo ammetto. Però non era l'unico motivo. Non sono così meschino. Più che altro ci serviva un uomo con esperienza a bordo, se volevamo raggiungere Ben in tempo. Le mie speranze si assottigliavano sempre di più, a essere onesto. Stavamo aspettando troppo. – Quando partirete? – Hopkins mi lesse nel pensiero.
– Appena Connor e Slum si faranno vivi – replicai brusco. Mio figlio era sparito quella mattina, diretto Dio solo sapeva dove, mentre Thomas mi aveva abbandonato per riempirsi lo stomaco e svuotarsi le palle. Bastardo fortunato. Qualcuno doveva rimanere a chiacchierare inutilmente col capitano, no?
– Ah, già, il resto del nucleo di comando. – Roteai gli occhi. Lo conoscevo da appena un giorno e già sentivo i coglioni gonfi per la rabbia di avercelo sempre dietro. – Posso chiedervi una cosa? – Ventiquattr'ore con Hopkins erano abbastanza per capire che non aveva bisogno del mio permesso per pormi domande. Era quel tipo d'uomo. – Se non siete nella Marina perché v'interessa tanto aiutare Washington?
Infatti non è così, anzi, preferirei mangiare merda per il resto della mia vita che dare una mano a quel bastardo. – Benjamin Church è un traditore – buttai lì con serietà, cercando di figurare come un uomo devoto. – Se vogliamo davvero istituire un'unione duratura, dobbiamo estirpare le erbacce. Essere certi di avere l'approvazione del popolo. Vedere la Corona che vince non darebbe proprio un ottimo esempio. – Speravo fosse soddisfatto e chiudesse la bocca. Volevo solo lasciare  Savannah e prendere di nuovo il mare. Senza di lui. Soltanto noi. Non potevo fingere di stare dalla parte del Continentale ancora a lungo, non era nel mio spirito. Faceva male alla salute.
Hopkins strizzò gli occhi e annuì. – Eh, già. Ora, io non so sulla terra, ma la Marina Britannica è straordinaria. Lo dico con tutta l'ammirazione possibile. – Tu sì che mi riempi d'orgoglio, non come mio figlio. Ora potresti andare a inzuppare qualcun altro nella tua schifosa vanagloria? Annuii lentamente, i pugni stretti nelle tasche della redingote. Te lo chiedo per favore. – Disciplina, ordine e pulizia. Le tre regole d'oro.
Mi strinsi nelle spalle. – Siete mai stato su una nave britannica? – chiesi con una smorfia. Non ne sapevo molto. Dubito che mio padre avrebbe mai voluto vedermi su un vascello di Sua Maestà.
– Oh, sì. – Si esibì in uno dei suoi sorrisi divertiti. – Prova ad ammutinare su una di quelle e ti ritrovi appeso all'albero per il collo prima di dire "Libertalia".
Ebbi un tuffo al cuore quando pronunciò quel nome, ma mi sarei sparato un colpo in bocca piuttosto che chiedergli di parlarne. Tempo cinque minuti e avrebbe cominciato da sé, senza alcun bisogno di stimoli.
Libertalia, Nassau o come preferivi chiamarla. Scrollai il capo. Mio padre era passato dalla terra della libertà a quella della più ferrea disciplina in una sola traversata. – Avete mai subito ammutinamenti?
Mostrò i denti, aggiustandosi i bottoni dorati del cappotto. – Nemmeno uno, Johnson. So come fare felici gli uomini.
Pensai  che Tom avrebbe immediatamente colto un doppio senso in quella rivelazione e ridacchiai. Non ne potevo più di fingere di essere una persona per bene. – D'accordo, capitano – borbottai nel tendergli la mano, – credo che andrò a controllare come procedono i lavori. È stato un onore.
Strinse la mia destra con aria fraterna, gonfio d'orgoglio e pieno di sé. – L'onore è tutto mio. – Ah, su questo non c'erano dubbi. – Mi conviene tornare sulla Warren e far rotta verso New York. A Washington scoppierà il cuore se non gli porto quella vecchia signora entro lunedì. Sapete, quell'uomo è così pieno di fissazioni... – Scrollò il capo, levando le braccia al cielo in un gesto esasperato. – Addio isole paradisiache! Che vogliamo farci? Essere comandante in capo è una bella frustrazione.
Già. Quasi come essere il figlio di un pirata su una nave di cacciatori e un Templare con un figlio Assassino nello stesso corpo. – Spero di rivedervi.
Fece spallucce. – Potremmo farci una birra quando questa storia sarà finita.
Istintivamente sorrisi. Brindare alla mia nuova ascesa come Gran Maestro con un grosso idiota del Continentale, magari prima di ucciderlo. Niente di meglio. – Certamente. Chiedete a Washington di Connor, riusciremo a metterci in contatto.
Hopkins a malapena mi ascoltava più. Lanciò un'occhiata soddisfatta alla Señora e si allontanò con baldanza, forse felice di essersi liberato di noi, senza dubbio entusiasta di riprendere il mare. Di uomini come lui non ne avevo mai conosciuti molti. Persone felici del loro mestiere, intendo. Felici davvero. – Arrivedervi, Johnson. E salutatemi il vostro equipaggio.
– Senz'altro, capitano. – E vedi di salutarmi Washington, tu. Altrimenti mi offendo. – Buon viaggio.
Mi fece un ultimo cenno con la mano prima di sparire nelle viuzze del porto, e gliene fui eternamente grato. Mi sedetti sul molo con un grosso sospiro, le gambe penzoloni sopra il pelo dell'acqua. Il porto di Savannah era così vario da far venire male agli occhi. Cannoniere spagnole, negriere, navi da guerra britanniche e continentali si mescolavano a quelle degli esploratori, pronti a doppiare Capo Taldeitali o ad arrischiarsi ai confini del mondo per circumnavigare un'isola dal nome impronunciabile. Magari solo per, che so?, raccogliere zucchero o, come diceva Hopkins, visitare tribù di allegre donnine.
Sospirai. Forse se Tiio ne avesse fatto parte mio figlio sarebbe stato un po' meno pudico. Non lo volevo come Tom, parliamoci chiaro, ma quello era capace di arrivare vergine alla tomba. E se i suoi figli avessero ereditato un po' d'anima templare dal sottoscritto? Non potevo impedire un fenomeno del genere.
Avrei tanto voluto avere più tempo per discorsi stupidi come quello da fare a Connor. Tempo per chiacchierare, invece di dare la caccia a traditori o a evitare di farci uccidere. Era lo stesso tipo di tempo piacevole che mio padre non era mai riuscito ad avere con me. Lo rimpiangevo, ma non sono mai stato tagliato per quello. Forse per essere un maestro sì. Una specie di guida. Un genitore... oh, la vita era già abbastanza triste senza mettersi a pensare anche alle mie carenze nel rapporto tra padre e figlio. Dov'era il grog quando serviva?
– È come stare a guardare mentre ti mozzano una gamba, lo sai, Kenway?
Trasalii. Doveva esserci qualcuno a guardarmi da lassù – perdio, chissà che razza di risate si stava facendo –, perché il mio desiderio fu immediatamente esaudito. Roteai gli occhi, prendendo una boccata d'aria salmastra. – Parla piano, Faulkner – grugnii, – o potresti farmi appendere. – E con chi brinderei, allora?
Ignorò bellamente la mia richiesta e si lasciò cadere sul pontile accanto a me con un sospiro. – Ha fatto così tanto per gli Assassini. Vederla in questo stato... – Scrollò le spalle e annuii. Mi sembrava di risentire Achille quando ci aveva cacciati di casa, o Stephane. Alla fine, gli Assassini sono tutti uguali. Vecchi nostalgici convinti di poter sconfiggere la morte, il progresso, i cambiamenti.
L'unico modo per restare in vita è adattarsi a tutto. Ero riuscito a passare da nessun aiuto al supporto di Charles, Tom, William, Ben e John, cinque uomini completamente diversi tra loro e da me. Quello era il mio compito, l'avrei svolto al meglio con i mezzi che avevo. Ed ero stato stupido. Avevo obbedito. L'avrei fatto comunque se avessi saputo di mio padre, di ciò che Reginald aveva fatto a me?
Bob si strinse le braccia al petto. – Mi ha accompagnato per una vita, maledizione, e ora... – Lo guardai. Sembrava solo l'ombra di ciò che era stato in passato, i capelli bianchi impastati e aggrovigliati, due profonde borse livide e gli occhi spenti, più magro e smunto che mai. – Se fosse un segno?
– Un segno? – Come no. D'accordo che sono io quello con gli spiriti in testa, ma non per questo devo credere a tutto. Ciononostante, una parte di me era stuzzicata dalle sue parole. – Che tipo di segno?
Bob Faulkner fece scorrere le dita lungo le cuciture della redingote, una vecchia e consunta uniforme da capitano. – In mare dicono che una nave è sempre il riflesso di chi c'è al suo timone. – Scavò sotto la giacca e ne tirò fuori una fiaschetta. Solo allora mi accorsi di avere l'acquolina in bocca, che avrei dato un piede per averne un sorso e che dei segni di Robert non m'importava praticamente nulla. – Forse è giunta l'ora di lasciare questo posto.
Strinsi i pugni, la lingua secca premuta con rabbia contro la guancia mentre Faulkner riponeva l'alcool senza offrirmene nemmeno un goccetto. Bastardo nostalgico. – Che dici, Bob? – mi sforzai di brontolare con noncuranza. – Negli ultimi tempi al timone ci stavamo solo io e Connor. – E non avevo certo intenzione di morire solo perché quella vecchia bagnarola era un po' ammaccata. – I marinai sono pieni di leggende di questo tipo. È stato un incidente, poteva capitare a chiunque altro.
– Sono rimasto a bere mentre me la distruggevano. – La sua voce era un concentrato di rabbia. Aveva persino ignorato le mie parole di conforto. Doveva essere davvero infuriato. – Secondo te un capitano fa questo, Kenway?
Cazzo, amico, parla piano. Però non me la sentivo di dirglielo a voce alta. – Tuo padre avrebbe mai lasciato che gli sfondassero lo scafo senza reagire? – Oh, certo. Bella mossa tirare in ballo mio padre, eh? – Sono diventato troppo vecchio. Ho finito la partita. Me ne sarei dovuto restare nella Frontiera.
– E noi saremmo ancora a New York. – Mi strinsi nelle spalle. Non era vero, ma quelle parole erano uscite dalla mia bocca in modo spontaneo. Forse credevo che facendogli i complimenti avrebbe sganciato qualcosa da bere, o magari volevo davvero farlo sentire meglio. – Faulkner, non è niente di irreparabile.
Sbuffò. – Ne sei sicuro? – No. Sono sicuro del fatto che viaggiare con gli Assassini sia noioso come la morte. Hanno sempre qualche stronzata filosofica da sottoporti su quanto la loro vita faccia schifo. Che ti devo dire, Bob, benvenuto nel circolo. Ora dammi da bere. – Il mare è sempre stato sincero, Kenway. Non mi ha mai mentito. Forse dovrei davvero fermarmi.
– Devi venire con noi. – Balzai in piedi, lanciando un'occhiata alla rimessa in cui stavano battendo assi e chiodi sull'Aquila da quella mattina. – Io questa sera partirò, che tu ci sia o meno. – Ed era la verità. – Però preferirei che ci fossi. Lo sai. Connor non può perdere anche te.
Sollevò lo sguardo, gli occhi colmi di stupore e quella che sembrava gratitudine. – Ha...
– Gesù Cristo, so che ha me, che ha Achille, ma io non sono un Assassino. Gli serve una guida, uno di voi. – Così almeno non starà sempre appiccicato a me, con il suo fare da saputello e la morale vuota che a voi agnellini piace tanto. – Crede di essere qui per ammazzare un Templare. Non capisce niente. È uscito da quella fase e si è messo dentro la guerra. Non ucciderà un membro del mio Ordine. Ucciderà quello che è a tutti gli effetti un soldato britannico. – Incrociai le braccia sul petto. – Se vuole farlo, dovrà prendersi le sue responsabilità. Non lo ha capito. Pensa solo che aiutare Washington sia la cosa migliore da fare. Non sa quanti soldati io stesso abbia ucciso. Perché, Ben Church non crederà nella Corona tanto quanto lui crede nell'altra parte? Sta passando dall'essere un cacciatore di Templari a essere qualcosa di fin troppo vicino a un uomo d'arme. – Sbuffai. Avrei potuto dire qualsiasi cosa, Bob nemmeno mi guardava più. Aveva la testa affondata tra le mani e il petto scosso. Stupido vecchio. Anche io ho bisogno di stare al centro dell'attenzione, ogni tanto. – I soldati non vivono felici, e senza dubbio muoiono peggio. Capito? – Non rispose. Scrollai il capo e gli diedi una pacca sulla spalla. – Se vuoi bere un altro goccetto in allegria fammi un fischio, capitano.
Gli voltai le spalle con una smorfia scocciata e m'incamminai davvero verso la rimessa, guardando le nuvole spostarsi nel cielo sopra di me, verso il mare. Ecco, quello sì che era un segno, ma Bob aveva gli occhi troppo pieni di pietà verso se stesso per coglierlo. 
 
Nella vecchia rimessa per le barche di Hopkins un terzo del nostro equipaggio, i membri più giovani, meno esperti nell'arte della navigazione ma abilissimi a scrostare le carene e riparare sentine, si affaccendavano intorno allo scheletro dell'Aquila. L'albero di mezzana era già stato rimpiazzato, lungo, liscio e levigato, mentre due mozzi stavano tirando su l'albero maestro, rinforzandolo con nuovi chiodi, cordame e inserti di legno. Era un altro piccolo stato, caotico, confusionario e anarchico. Connor, che si pensava fosse il capo tra quelle mura, ciondolava mollemente contro un pilastro, osservando gli uomini con aria pensierosa. – Come si procede?
Sobbalzò al suono della mia voce, la mano immediatamente all'impugnatura del tomahawk. – Haytham – sibilò lasciando le dita giù per la gamba. – Sei tu.
Un genio. – Allora?
– Allora cosa?
Roteai gli occhi, poggiato contro lo stipite della doppia porta. – Oh, non so. – Sbuffai. – Smacchiare i tuoi vestiti, ci sei riuscito?
Mi scoccò un'occhiata perplessa. Come al solito. – Stavo scherzando, ragazzo. Volevo sapere come procedono i lavori. – Sputai sulle assi del pavimento, l'ansia a gonfiarmi il petto. Di recente sentivo la voglia di bere e fumare farsi sempre più forte dentro di me, e non poter fare nessuna delle due cose in quel momento mi faceva saltare i nervi. Per non parlare poi delle conversazioni con mio figlio. Quelle erano sempre state un trauma. – Voglio lasciare Savannah prima del tramonto. Ben aveva già un giorno di vantaggio, ma ora... – Agitai una mano in aria. – Potrebbe essere ovunque.
– Potrebbe anche aver preso una rotta diversa per depistarci ed esserne stato rallentato.
Scoppiai in una risata rauca e maligna. – Ottimista, da parte tua! O cerchi solo di evitare che ti faccia saltare la testa?
Connor si strinse in quelle grosse spalle. – Diciamo entrambe. Non volevo che Church si allontanasse così tanto. – La sua voce si fece tesa e sottile, un sussurro carico di nervosismo. – Mi dispiace.
Roteai gli occhi, guardandolo di sbieco. Si girava un martello in mano come fosse quella sua stramba accetta, evitando ad ogni costo di guardarmi davvero. – Sai una cosa, ragazzo? – Gli soffiai il martello mentre lo lanciava in aria, serrando la presa sul legno pesante, e gli sorrisi serafico. – Somigli ai Kenway più di quanto pensi. Sei testardo come un mulo e forse ti dispiace davvero per non aver ancora preso Benjamin, ma non era ciò che più contava. – Sbuffai. I suoi occhi brillavano di una strana luce colpevole. – Non per te. Sapevi cosa sarebbe successo se il Britannico avesse affondato quella fregata, vero?
– Sarebbero rimaste in dodici. – Si strinse nelle spalle. – Altre dodici fregate contro la Marina di Sua Maestà. Per quanti danni faccia, Church è pur sempre un solo uomo. Una fregata in meno significa un pezzo di mare scoperto.
Un... pezzo di mare? Perdonalo, papà. Oppure no. In fondo, questo è colpa sua. – Riesci a capire cosa significhi tutto questo? – Mi guardò con le palpebre mezze calate sugli occhi, stanco. Non ero io a parlargli come se fosse sempre un po' duro di comprendonio. Era un’amara verità, semplicemente. – Perché non ti sei mai arruolato?
La domanda lo spiazzò. Si fece improvvisamente bianco, gli occhi sgranati, le labbra strette e le spalle sollevate in un banale tentativo di risposta. – Io... Non era destino – mugugnò.
– Oh, capito. – Non era destino, certo. Non avrebbe fregato nessuno. – Non pensavi ti sarebbe mai importato così tanto, giusto? È per servire gli Assassini che hai lasciato il tuo villaggio. Per ucciderci.
– Contrastarvi. – Schioccò la lingua. – Tenere in piedi il governo di Washington è l'unico modo che abbiamo per fermarvi.
– Dici? – Ridacchiai appena. – Siamo quasi riusciti a ucciderlo. Due volte. Voglio dire... non ci vorrebbe molto. Secondo me a te piace tanto sentirti parte di qualcosa. – Sostituire la famiglia che ti hanno portato via tempo fa con uno scopo, qualcosa da perseguire. Ci ho preso? Oh, Dio, dove ho già sentito una storia simile?
In qualsiasi momento il ragazzo avrebbe potuto rivoltare quell'arma contro di me, eppure scelse di non farlo. Di incassare il colpo, una volta tanto, e rispondere. – Non mi sentivo parte degli Assassini, quindi?
Guardatelo. Voleva persino testare la mia conoscenza del carattere di famiglia. Per carità. – Non ti hanno mai dato lo scopo che volevi, e non c'era uno solo di noi che non fosse immischiato fino al collo nella Rivoluzione.
– A parte te.
– Giusto, a parte me. Avevo cose più importanti di cui preoccuparmi. – Come non farmi impiccare, ad esempio. Sospirai. – Non hai mai pensato di uccidermi?
Fece ancora spallucce. – Achille mi ha detto che avrei dovuto farlo. E forse, quando questa storia del Tempio finirà, vi sarò costretto. – Lo vidi grattarsi la nuca coperta di folti capelli scuri, un'espressione imperturbabile sul viso. Mi preoccupai. – Non sarà necessario, se manterrai la parola. Prendere la Mela e poi ridarmela. Tutto qui.
– Non credi che sia già abbastanza folle senza quell'aggeggio? – ghignai.
– Questi anni mi hanno insegnato quanto tu sia imprevedibile. – Il mio primo istinto fu quello di insultarlo per non aver colto l’ennesimo tentativo di fare dell’umorismo, ma… Dio, diceva sul serio?
Diavolo. Quel ragazzo mi avrebbe mandato fuori di testa, poco ma sicuro. Ero già sulla strada giusta. Se c’era qualcuno di imprevedibile era lui, da un certo punto di vista. – Io? Stai scherzando? – Sbuffai. – Piuttosto, hai sempre avuto idee tutte tue su cosa sia giusto fare. E non hai mai provato a uccidere né me né Tom. Questo è strano. Ci hai accolti. – Sembrava che in lui ci fosse qualcosa del mio desiderio di vederci uniti, Templari e Assassini. E forse stava funzionando, almeno fin quando non avrebbe cominciato a interessarmi qualcosa di Washington. – Non è un classico comportamento da Assassino.
– Lo so. Il tuo… – Fu lui a piantare gli occhi nei miei mentre soppesavo il martello. Non era stupido come credevo. – Non hai fiducia in nessuno. Pensi che tutti faranno la cosa sbagliata tranne te, eppure cerchi di costruire un Ordine di uomini dalla tua parte. Pure questo è strano.
– C’è un motivo per cui sono quasi diventato Gran Maestro.
– Quasi? – Si voltò a guardare gli uomini che lavoravano incessantemente alla nave, come se sapesse di avermi messo a disagio. – Da questo lato dell’Oceano non si faceva che parlare di te. Anche quando non c’eri. Birch…
Mi strinsi nelle spalle. – Nessuno pensava che sarebbe arrivato a tanto. – Nemmeno io. Diciamo che il mio parere non contava molto. Non pensavo nemmeno che avrebbe ucciso mio padre e rapito mia sorella, che si sarebbe sfogato su di me e mi avrebbe fatto crescere con la testa piena di ricordi troppo tragici per essere riportati alla mente. – Lasciamo perdere. Ho visto Faulkner. È disperato.
– Già.
– Non lo lascerai certo qui, vero? – Mi balenò in testa l’immagine di Bob impiccato all’albero maestro dell’Aquila appena tirato su. Raccapricciante.
Lo sguardo di Connor si rabbuiò, ma non ebbe mai il tempo di rispondermi. Qualcuno sbatté contro la mia schiena e per poco non mi mandò a finire in acqua. Non avevo nessun dubbio sulla sua identità. – Cristo, Tom! – sbottai, stretto al suo cappotto per non cadere. – Che tempismo.
Thomas mi scrollò di dosso come fossi un cucciolo bagnato e s’infilò le mani in tasca con un grugnito. – Parlavate di Bobby, eh? – brontolò senza neanche salutare. – L’ho incrociato mentre tornavo. Tutta l’euforia che potevo avere in corpo è svanita nel nulla.
– Ecco, questo dicevo – mugugnai a Connor. – Senza il mare è perso.
– Senza la sua bagnarola, forse. – Thomas si stava già accendendo un altro sigaro. Doveva averlo comprato su una di quelle navi spagnole che occupavano il porto di Savannah. – La tratta come manco sua moglie, cazzo.
Aggrottai la fronte. Non mi ero mai chiesto se Faulkner avesse una moglie. – Ci stavo pensando, d’accordo? La colpa è stata mia. Devo… parlargli.
Tom scoppiò a ridere e prese un lungo tiro. – Be’, fallo prima che si ammazzi.
Ero abituato alla sua schiettezza, ma Connor pareva avere solo un fiume di ghiaccio nelle vene. Scrutava Thomas con i pugni stretti, la mascella contratta in una smorfia rabbiosa. – Ragazzo… – tentai di fermarlo, ma lui si fece da parte.
– Vado – grugnì semplicemente, scostandosi e prendendo la strada per il molo. – Ci vediamo alle cinque sul ponte.
– Sicuro, bastardo! – Hickey sollevò il cappello sopra la testa, ridendo sguaiatamente. – E vedi di portarti dietro una bara!
– Tom.
– Che c’è, capo?
Mi strinsi nelle spalle. Sembrava strano che Connor non fosse ancora corso indietro per suonargliele come si deve, ma erano affari suoi. – È un po’ scosso. – Sai, non è abituato a vedere la gente morirgli attorno. Non è mica il sottoscritto. – Vacci piano.
Buttò il mozzicone del sigaro nell’acqua lurida in cui galleggiava l’Aquila e fece un sospiro. – Stavo scherzando – bofonchiò. – Peggiora, eh? Non ho mai visto un tale mollaccione.
Decisi di lasciar cadere il discorso. Un po’ mi dispiaceva per quel ragazzo. Appena iniziavo a vedere qualcosa di buono nella sua testa camuffava tutto lasciandosi calpestare da Hickey. – Dove sei stato, Tom?
Allargò la bocca in un sonoro sbadiglio. – A puttane. – E io che ancora ponevo domande del genere. – Ti sei liberato di Hopkins? Posso smettere di farmi chiamare Henry?
– Pensavo ti calzasse.
– Certo, molto carino da parte tua. – Si grattò i favoriti. Appena salito sulla Señora mi sarei dovuto dare una sbarbata. – Non so quanto sia pronto a riprendere il mare, capo.
– Dobbiamo – risposi. Non avevo voglia di discutere anche con lui. – Per Ben.
Annuì. – Già. Per Ben. – Si lasciò cadere su una botte abbandonata lì vicino e mise in mostra un sorriso famelico. – Mi hai convinto.
Cosa? – Che hai detto, Tom? – Non pensavo di aver capito bene. Voglio dire… Thomas Hickey che obbediva a quando avevo ordinato? Davvero? Su Benjamin Church? – Non hai niente contro il suo omicidio?
– No, non è quello – sussurrò. – Per me potrebbe continuare a rubare provviste finché non lo ammazzerà Washington. Mi fa solo un favore. – Mi guardò con i denti scoperti, come se volesse sbranarmi. – Tanto so che alla fine farai esattamente quello che vuoi, né più, né meno. Quindi, sai che ti dico? Ammazzalo. Fa’ il Gran Maestro. – Incrociò le braccia sul petto. – Ma sappi che con lui ammazzi anche la nostra ultima possibilità di infastidire il Continentale.
Cazzo. Purtroppo per me, come al solito, Tom non aveva tutti i torti. Ben stava facendo vedere a Washington che non scherzavamo. Senza di lui non l’avrebbe fermato nessuno, ma non potevo permettere che fermasse me. Quello sì che era un colpo basso. Più il comandante in capo diventava forte e meno possibilità avevo di sbalzarlo via dal suo scranno. – Maledizione – grugnì passandomi una mano in faccia.
– Me l’aspettavo.
– D’accordo, d’accordo, hai ragione – brontolai. Non mi ero mai sentito così frustrato. – Hai ragione. Gli parlerò, va bene? Se vuole ancora essere dei nostri è il benvenuto, a patto che agisca in nome dei Templari. – Maledetto sia Thomas Hickey. Mi stavo concentrando solo su di me, come avevo sempre fatto. Come facevo durante il mio periodo con Tiio, ignorando tutto il resto. Gli Stati Uniti passavano in secondo piano se io non detenevo tutto il potere, se io non ero il Gran Maestro di nome e di fatto. – Altrimenti può considerarsi un traditore. Un uomo morto.
Thomas annuì, fingendo di applaudire debolmente. – Mi commuovi, capo. Stai davvero dicendo che non ci avevi pensato? – Diavolo, quanto mi dispiaceva ammetterlo, eppure era così. – Sono lusingato.
– La possibilità mi era sfuggita – grugnii, colmo di rabbia. – Ma tu quando hai il tempo di pensare a queste cose?
Si era già alzato in piedi, pronto a godersi il suo tempo di qualità sulla terraferma. – Tra una scopata e l’altra! – esclamò tutto contento, prima di voltarmi le spalle. – Alle cinque sul ponte, cervellone. Trovi da solo la nave o vuoi che la mia saggezza ti guidi ancora?
– Vaffanculo! – gli gridai dietro, guardandolo inoltrarsi nel porto. Devo ammettere che per una volta fui sincero nell’insultare uno dei miei uomini.
Mi vedevo già come capo dell’Ordine. Non avrei dovuto lasciar passare cose del genere, ma, che diamine, quello era Hickey. Compensava con le brillanti idee che ogni tanto tirava fuori da quella testa di cazzo.
Strinsi le spalle con un gran sospiro. Connor se n’era andato, Tom anche. Alle mie spalle, la Warren aveva appena ripreso il mare alla volta di New York, abbandonando i suoi mozzi alla mia custodia. In ottime mani, senza ombra di dubbio.
Scrollai il capo e mi lasciai cadere seduto, senza niente di meglio da fare. Non avevo voglia di girare per la città, sapendo che sarebbe stata piena di soldati, né di imbattermi nuovamente in Faulkner e le sue paternali. Preferivo restare lì, attendendo che il sole facesse il suo corso e mi portasse velocemente via dalla terraferma.
Iniziavo a comprendere mio padre, sapete? In mezzo all’oceano sembra che nessuno possa farti del mare, è come vivere su un’isola il cui governo è stretto solo nelle tue mani. L’unica legge è la gerarchia. Accompagnata dall’alcool, senza ombra di dubbio, ma a quello mi abituavo facilmente. Doveva essere stato un trauma, per lui, arrivare a Londra e dover ricominciare tutto da capo. Una nuova vita con mia madre, un’altra casa. Una reputazione da sfatare.
Chissà che mi avrebbe detto, se fosse stato lì. Probabilmente che tenevo le spalle troppo incurvate quando stavo al timone, o qualcosa del genere. Poteva anche chiedermi che cosa pensavo, se credevo davvero di star facendo la cosa giusta. E al contrario di quanto facevo Tom, non me la sentivo di rispondergli male. Dentro di me viveva ancora il timore riverenziale della sua figura, della sua mente. C’erano troppi se nella mia vita, e la sua, nonostante tutto, mi era sempre sembrata più semplice. Non aveva dentro tutto il casino che c’era in me. Era un uomo più concreto, diretto. Conosceva le proprie ragioni e le accettava. O, almeno, così aveva fatto all’Old Avery.
Ecco cosa intendevo. Mi stavo incasinando di nuovo la mente, pensando a un uomo morto.
Avrei dato qualsiasi cosa per una cioccolata calda e un pomeriggio senza pensieri, ma quello non era il mio destino. Non sarebbe mai stato il mio destino.
Chiusi gli occhi, la testa reclinata contro il legno, e sperai che un sonnellino potesse distrarmi.
Non potevo certo permettermi qualche lamentela. Il fato me l’avrebbe fatta pagare con un gran calcio nel sedere e un altro in mezzo alle gambe. Giusto per ricordarmi che la vittoria ce l’aveva sempre lui.
 
– Quindi vorreste uccidermi, giusto?
Intorno a me non c’era assolutamente niente, solo il buio e un silenzio così assordante da farmi venire il mal di testa, anzi, farmi sentire le stupide voci di uomini che credevo avrei visto solo per farli fuori. – Ben? – Provai ad aprire gli occhi, ma non ce ne fu bisogno. Davanti a me apparve il faccione di Benjamin Church, contornato di capelli ingrigiti, l’espressione contrariata che gli ho sempre visto in volto. Come se fosse di nuovo sul punto di farsi tagliare l’uccello. – Sei… sei tu?
Non è possibile. I morti sono una cosa. I morti sono… morti, ecco, da una parte è normale vederseli in testa. I vivi no. Hanno di meglio da fare, solitamente. – Che diavolo ci fai qui, Church? – E che cosa ci facevo io, lì, in un sogno, perché doveva esserlo, a parlare con un vecchio amico che avrei dovuto uccidere? – Dove siamo?
Ben scosse la testa. Intorno a noi non c’era nulla, solo il buio, su cui camminava come se fosse perfettamente a proprio agio. – Vi pare che lo sappia? Questa è la vostra testa, Kenway, non la mia. – Congiunse le mani dietro la schiena con un grosso sospiro, voltandosi verso il nulla. – Darete retta a Hickey?
– Ci devo pensare – risposi di getto. Oh, Dio, ma che stavo facendo? Parlavo con un fantasma ideato dalla mia testa? Il mare non mi aveva giovato, poco ma sicuro. – Che vuoi dire? Che tu non sei reale?
– Certo che non lo sono, Mastro Kenway. – Sollevò gli occhi, come se cercasse di guardarsi le spesse sopracciglia grigie e aggrottate. – Nulla è reale, giusto? Ve lo ricordate? Ciò che cerchiamo di combattere, quello sciocco Credo e tutti i suoi risvolti?
Cercai di chiudere gli occhi e scacciarlo, ma era impossibile. Tanto valeva ascoltarlo, allora, con le sue parole cariche di rancore e vita. Riuscivo quasi a percepirla. Non voleva morire. Esattamente come me, cercava di prendersi la propria gloria nonostante l’età. – Non sono un traditore. Io sto perseguendo l’obiettivo originario. Battere il Continentale. Battere gli Assassini. Siete voi quello sviato, Kenway, non io! – Ben si batté una mano sul petto, prendendo a camminare in circolo attorno a me. I suoi passi erano frustrati, come di un bambino che non viene mai preso in considerazione dai genitori. – Perché volete uccidermi? Perché non vi ho mai cercato?
Il buio non sembrava voler sapere di circondarmi definitivamente. Volevo solo un po’ di pace. Che razza di illuso. – Rispondete, signore! Rispondete a voi stesso, almeno. Perché mi avete salvato allora? In nome del nostro Ordine, giusto? Sto cercando di aiutare, per quanto possibile. Credete che l’Esercito Continentale si meriti tutto ciò? Meriti il tè inglese, e le coperte cucite da mani britanniche? Noi dobbiamo affrontarlo! Dobbiamo…
– Vattene, Ben.
– Era questo il nostro obiettivo! Prendere il potere! – Sputò, e la saliva si perse in quell’oscurità senza inizio né fine. – Dov’è finito? L’avete perso insieme all’amore, a quell’indiana?
No, non un’altra volta. – Lascia stare Tiio, lei non c’entra nulla. – Perché continuavano a tirarla in ballo? Solo perché era un tasto dolente? Volevo mantenere intatto il bel ricordo che mi era rimasto di lei. Senza continuare a mescolarlo con il mattatoio privo di senso che avevo nel cervello.
– Siete sempre stato un sentimentale. Prima lei, ora Charles. Voglio solo il bene dell’Ordine! – Benjamin azzardò un paio di passi nella mia direzione, tendendo le mani verso di me senza riuscire ad afferrarmi. – Non uccidetemi. Non lasciate che lui mi uccida, Mastro Kenway.
– E cosa dovrei fare? – sussurrai stancamente. – Che dovrei fare, Ben?
– Non pensate di esservi macchiato abbastanza con William? Anche lui non era altro che… uno di noi. Non c’era nulla di sbagliato in ciò che stava facendo. Perché? Non fatelo di nuovo. Tornate sulla vecchia via.
William. Oh, quello non era Ben. Non era nessuno. Soltanto la mia coscienza.
Però forse aveva ragione. Dovevano lasciarmi in pace. A pensare. – Non era stato di proposito. Tu…
– Non siate come Birch.
– Eri con loro.
La voce mi uscì di bocca in un ringhio gutturale, carico di rabbia. – Mi hai impiccato insieme a loro, e poi sei sparito per i tuoi affari. Non… – Una fitta di dolore trapassò la carne morbida dietro la fronte, da parte a parte, e l’immagine di Benjamin divenne sfuocata. – Non ti è mai importato nulla di me, o dell’Ordine. Volevi solo qualcuno che ti coprisse. – Sentivo i denti fremere tra loro per quanto ringhiavo, e nonostante il dolore continuavo a buttare fuori quel veleno. Come se facesse bene, in qualche modo. Non serviva a nulla. – Lasciami in pace – sibilai. – Lasciami in…
Una grande luce mi esplose negli occhi, e con essa la mia testa.     
 
– Sei in ritardo, ragazzo. – Mi ero svegliato di soprassalto, l’orologio della chiesa di Savannah che rintoccava le quattro e mezza, e mi ero avviato verso la nave con il cuore in gola, cercando di non pensare.
Ben Church. Avevo davvero visto Benjamin Church. Stupido cervello e stupida Prima Civilizzazione. Nella mia camminata fino alla cacciatrice mi ero fatto la bizzarra idea che la colpa fosse loro. Certo. Albergavano nella mia testa e sembravano divertirsi a vedermi andare fuori di matto, quindi non poteva esserci altra spiegazione. Oppure stavo davvero uscendo di testa, e quello non mi andava giù più di tanto.
Al molo avevo trovato la stiva della Señora già ricolma di viveri, Thomas appoggiato al parapetto, pronto a vomitare appena la cacciatrice si fosse mossa, e di Connor non si era ancora vista traccia, così come di Faulkner, che nella migliore delle ipotesi era chiuso in una locanda a ubriacarsi. Nella peggiore, be', faceva già compagnia ai pesci. – Dove diavolo sei stato, si può sapere?
Eccolo lì, Connor, che avanzava gongolando sul molo, l'espressione sempre corrucciata e i pugni stretti in una morsa rabbiosa. Quasi scavalcò la passerella con due grandi passi, sbattendo una mano sul parapetto. – Bob.
Perfetto, pensai, si è sparato. – Che è successo? – Speravo soltanto di essere il solito pessimista, perché l'ultima cosa che volevo fare era consolare mio figlio.
– Ha dato... – Si passò una mano tra i capelli, lasciando cadere il cappuccio degli Assassini sulle spalle. – L'ho bloccato in tempo. Voleva dare fuoco a un brigantino.
– Cosa? – Bene. Benissimo. Un altro folle a bordo della cacciatrice più fornita del mondo. Che meraviglia. Dio. Il sottoscritto parlava con gli spiriti, Tom aveva oltrepassato la linea della follia da un pezzo, per quanto ne dicesse lui, Connor cercava di passare per il sano di turno, ma non poteva certo mentire a me. Solo io l'avevo visto impazzire per le strade, cercare Charles Lee come un segugio con troppe tracce sotto il naso, gli occhi che brillavano come solo quelli di un assassino possono fare, e adesso ci si metteva anche Faulkner. Dare fuoco a un brigantino? – Cristo, che diavolo gli è preso?
– Era ubriaco. – Come se mi interessasse davvero e non avessi già la testa confusa a sufficienza. – Ho dovuto fermarlo.
– Dov'è ora? – La mia voce fremeva. – Siamo in ritardo, quindi trovalo e fallo salire.
Connor schioccò la lingua, la mano destra stretta sul tomahawk, pronto a conficcarmelo tra gli occhi. – Sta parlando con la polena da venti minuti.
Un folle, come dicevo. – Gesù, ma non sei proprio capace di fare niente da solo? – sbottai mentre l'oltrepassavo, scendendo sul molo. L'aria salmastra mi entrava in bocca e acuiva il gusto della bile che quel ragazzo inevitabilmente mi faceva salire nell'esofago ogni santo giorno. Come diavolo era riuscito ad ammazzare John? Ah, già, saltellando tra gli alberi come un animale. – Faulkner!
Vecchio bastardo. Teneva una bottiglia in mano, l'altra poggiata sui seni di legno della nostra polena, un bel pezzo di fanciulla vestita alla moda spagnola, con una vaporosa gonna a più strati e l'espressione ammiccante deformata dal vento e dalla salsedine. – Lasciami... Voglio... – Oh, avrebbe avuto tempo per scusarsi, l'idiota, ma non in quel momento, maledizione. Benjamin Church poteva già aver raggiunto la Martinica ed essere tornato a New York, da quanto ne sapevo, e quel deficiente si metteva anche a farmi perdere tempo? Dio. Avrebbero dovuto pagarmi per aver fatto da balia agli Assassini tutto quel tempo.
Lo presi per il cappotto, strattonandolo verso la passerella. – Te lo scordi – ringhiai, le dita tese verso la bottiglia. Gli scappò di mano e finì sul fondo della baia.
– Capo! È uno spreco!
Thomas osservava tutta l'opera, affacciato vicino all'albero di trinchetto. – Vedi di stare zitto – ringhiai mentre lasciavo cadere Bob sulle assi del ponte. – Tu –, dissi a Connor, – sai tenere il timone o hai bisogno che ti accompagni anche lì? – Che qualcuno mi levi di torno tutti loro. Non ce la faccio più. Ehi, voi, lassù. Ci siete? Non è che questa è tutta una tortura architettata da voi geni millenari? Persino una conversazione con Minerva, Giunone, Giove – Dio, persino Giove, il bastardo che aveva ucciso l'ultima donna verso cui potevo dire d'aver provato qualcosa – sarebbe stata gradita.
Ironicamente, in quei momenti non desideravo altro che rientrare nella realtà, ma al tempo stesso odiavo quest’ultima per tutti i brutti tiri che mi rifilava di continuo e, a pensarci bene, preferivo staccarmici. Non esisteva un posto giusto per gente come me. Forse solo l'aldilà.
Dalla mia testa non arrivò alcuna risposta. Perché Ben aveva deciso di prendere il mare, eh? Non poteva soltanto rifugiarsi tra le braccia di Re Giorgio?
Lanciai un'occhiata carica di disperazione al cielo mentre Connor riusciva a far salpare la Señora. Nuvoloni scuri turbinavano sopra la nostra testa, riflettendo il mio umore tetro. Oltrepassai il corpo di Faulkner, lasciandolo a singhiozzare con la faccia nel legno, e afferrai il sartiame che circondava l'albero maestro. – Ehi, dove vai? – Lontano da te. Lontano da tutti voi, per quanto me lo conceda questa stupida bagnarola. – Stai pensando di farla finita anche tu?
Sarebbe stato un gran piacere. – Sulla coffa – ringhiai con le dita strette sulle cime che salivano vertiginosamente e il piede pronto a far scattare il montacarichi. – Vuoi farmi compagnia?
Scrollò le mani con un gran sorriso e le corde cedettero sotto la lama celata. Era come volare. E volare lontano da quella massa di inetti era quanto di meglio potessi desiderare.
Balzai sulla coffa mentre il vento cominciava a gonfiare le vele, il legno che tremolava sotto i miei piedi. L'uomo di vedetta, un ragazzo con il petto scarno e il cannocchiale nei calzoni, fece un balzo indietro, rischiando di cadere giù. Non l'avevo mai visto prima, quindi doveva appartenere alla Warren. – Porco demonio!
Aggrottai un sopracciglio. Nemmeno io mi aspettavo di trovare qualcuno lassù, tantomeno un ragazzino con la barba appena accennata, sul punto di essere scaraventato sul ponte dalla mia imprudenza. – Scusa – brontolai sedendomi con le gambe penzoloni contro le vele bianche e gonfie. – Ti do fastidio?
Sollevò le spalle, gli occhi carichi di sospetto. Non si vedevano tanto spesso uomini con indosso una redingote e un tricorno a bordo di una nave, specie con un accento inglese così pesante. Poggiò le mani sul parapetto e trasse un gran sospiro. – Britannico? – domandò con gli occhi rivolti all'oceano che si apriva davanti a noi. Non ci trovavo più niente di interessante, specie con quella schifosa luce grigiastra a penetrare ogni cosa. Forse i Caraibi erano diversi, ma il mare delle Colonie non aveva niente di speciale. Proprio niente.
Annuii stancamente, senza dire una parola. Potevo già sentire i disgustosi suoni emessi da Thomas Hickey mentre abbandonava lo stomaco sul fondo dell'oceano. Chiusi gli occhi, chiedendomi se il Ben Church del mio sogno non avesse ragione. Perché volevo ucciderlo a ogni costo? Solo per il potere? Mi ero davvero abbassato a tanto? 
Ah, è inutile che noi Templari difendiamo tanto la consapevolezza. Mentire a noi stessi viene sempre più facile di molte altre cose, e renderci davvero consapevoli di chi siamo e per cosa combattiamo è spesso una battaglia persa. 
Siamo solo miserabili. Chi più e chi meno, naturalmente. Mio figlio, ad esempio. Nemmeno lui sapeva di preciso per quale motivo si era unito agli Assassini, o perché non mi avesse fatto fuori nonostante le insistenze della sua Confraternita. Thomas era un enigma, e ancora non avevo la più pallida idea di cosa nascondesse nella testa. E poi Faulkner, Ben, Achille, Charles. Persino Reginald. Tutti gli uomini sono controversi, hanno qualcosa da nascondere e se la tengono dentro fino alla tomba, certe volte. Forse Faulkner aveva ragione a dire che solo il mare è sincero. 
Non quello, senza ombra di dubbio. Anzi, a me sembrava più bastardo che mai. – Da quando tutta questa profondità, servo della Croce? – La voce di Giunone rintronò nella mia testa come un coltello battuto sul cristallo. Limpida e fastidiosa. – Fai bene. Presto dovrai essere pronto. 
Ah, lei sì che ero felice di sentirla. Già. E questo cosa vorrebbe dire? Non avevo davvero bisogno di saperlo. Avevo appreso fin troppo bene che quando facevano capolino era per dare brutte notizie, uno più dell'altro. 
Il mare. La terra dei tuoi antenati. – Giunone sospirò, come se ne avesse nostalgia. Chissà se aveva mai conosciuto mio padre, se parlava anche con lui. E per dirgli cosa? Lui non era la chiave di uno stupido Tempio. O, almeno, per quanto ne sapevo io. – Ricordati di loro. Modella le tue azioni sulle memorie. Su ciò che resta. 
Grugnii, frustrato, lasciando che continuasse a blaterare per tutto il tempo necessario. Altre cose che non capivo e che senza dubbio non mi andava di capire. Perché la Prima Civilizzazione doveva farla tanto complicata, con profezie, codici e nenie senza logica? – Ne avrai bisogno per aiutarlo. Per lui. –  Roteai gli occhi e mi diedi una botta alla tempia, sperando che la vedetta non mi prendesse per pazzo. Il rombo delle onde lassù era a malapena percettibile, ma il vento rischiava di strapparmi il cappello a ogni folata. Gelide lame d'aria che mi s'infilavano sotto la giacca, così affilate da far lacrimare gli occhi e spaccare le labbra. Quella non era la terra dei miei antenati. Non era il mare del capitano Kenway. – E come nei ricordi, la tua possibilità andrà persa. Rammenta, servo della Croce. Rammenta. – Non seppi dire se quello che sentii fu un grosso respiro di Giunone o solo il rumore dello scafo che veniva sballottato di qua e di là dalle onde sotto le grandi e maldestre mani di Connor. – Lui non è come te. Le difese di Tinia hanno ceduto, allora. Per lo stesso errore. L'idea che voi tutti foste... foste come noi. 
Un brivido mi corse lungo la schiena. La consapevolezza di aver già sentito parole simili mi balenò in testa assieme alle immagini di devastazione del mio sogno di qualche tempo prima, in quel buco nel mezzo del nulla. L'Apocalisse?, pensai con il corpo scosso dal tremore. È questo ciò di cui parli? 
Non mi giunse alcuna risposta. La mia mente era come una tela bianca. Dovevo aspettarmelo. – Ah, Cristo – imprecai grattandomi con furia un sopracciglio. 
Il ragazzo si voltò. – Brutta giornata? – domandò con curiosità. M'infastidì, sapete? Non ero dell'umore adatto per sopportare l'impertinenza. Avevo lasciato Thomas a vomitare sul ponte, dopotutto. Speravo di stare un po' in santa pace. – E nemmeno il tempo sembra dei migliori. 
– Già. – Non pensavo che a quel ragazzino mancasse socializzare, specie con un vecchio scorbutico come me. Eppure, davvero, sembrava non aspettare altro che l'inizio di una cordiale conversazione. 
Peccato che non avessi alcuna voglia di sostenerla. – Sulla Warren non c'era tutto questo... – Indicò il ponte con un cenno della testa, sogghignando alla vista di Bob, ancora sdraiato a singhiozzare e sbattere i pugni a terra. Un'immagine pietosa e rivoltante, icona di tutto ciò che negli Assassini mancava o funzionava male. – ...movimento. Hopkins era un buon capitano, non mi posso lamentare, e mi ha sempre trattato bene, ma quando mi ha beccato a rubare dalla sua riserva non si è risparmiato. – Scosse la testa in un cenno sconsolato, come se gli mancassero i bei tempi in cui il capitano usava la cintura. Chiudi la bocca. Non m'interessa, capito? – Non l'ho mai visto urlare così tanto. Sapete che mi ha fatto tenere la testa in una botte di rum finché avevo respiro? Ha detto, "Se vuoi bere fallo, invece di rubare ciò che non ti appartiene!". – Ridacchiò e si strinse nelle spalle, chinandosi con i gomiti conto il parapetto. – Tante storie per una bottiglia di whiskey.
Tirchio malefico. Guai a chi gli tocca la sua robaccia. Quindi il ragazzetto che scrutava l'orizzonte e probabilmente aveva visto la nostra bagnarola collassare su se stessa non era altro che un ladruncolo di liquori. Un'altra informazione di cui non avrei mai potuto fare a meno. – Non ho mai visto un indiano su una nave – brontolò, una mano a grattarsi i folti capelli scuri dietro le orecchie. Forse a Hopkins fregava qualcosa dei suoi liquori, ma non credo avesse cura dell'igiene personale dell'equipaggio. Riuscivo quasi a vedere i pidocchi saltellargli in testa, a quel ragazzino. 
Sbuffai. Il viaggio si stava rivelando più estenuante del previsto. – È un mezzosangue – grugnii senza troppo interesse. Chissà che si sarebbe messo a blaterare sapendo che era mio figlio. – Il capitano Hopkins non sembrava stupito. 
Il ragazzo si strinse nelle spalle. – Non si cura molto dell'immagine altrui. Gli basta che sia impeccabile la sua. – Si voltò addirittura a guardarmi con un sorrisetto, invece di badare alla lingua di terra che si allontanava a ovest, le case solo più macchie sfuocate in mezzo alle colline. – Nessuno indossava l'uniforme, là sopra. Almeno finché non vedevamo un forte. 
Fu come se il mondo vacillasse intorno a me. Mi ero scordato di quel dettaglio. Per quanto giovane, dedito al furto e sicuramente fin troppo loquace, quel ragazzo era un soldato. Oh, merda. E meno male che non mi ero fatto scappare niente su Connor. – Credeva che gli inglesi ci avessero scambiati per pirati. Non la smettevano più di bombardare, quei bastardi. – Afferrò il cannocchiale e se lo schiacciò sull'orbita, grazie a Dio. Non so se avrebbe potuto ignorare tanto a lungo il biancore che mi aveva invaso la faccia. – Anche voi figlio della Corona, eh? – brontolò con una debole risatina. Oh, fosse solo quello il mio problema. – Tranquillo, non sono uno che giudica. – Questo era vero. Più che altro mi sembrava uno che parla troppo. – Jeremy Buckett – esclamò tendendomi la mano con un sorriso, – ma il capitano mi chiama Drunk J. – Avessi potuto, avrei sospirato. Il tipico soprannome bizzarro da americano. – Voi? 
– Haytham Johnson. – E il tuo capitano mi chiama il meno possibile, grazie a Dio. – In servizio da molto? 
– Nah, non sono un soldato. 
Aggrottai la fronte. Che cosa? Quello sì che mi scioccò. – Davvero? 
Drunk J si strinse nelle spalle. – Sono un ubriacone. Un topo da taverna. – Sollevai le sopracciglia in una smorfia impressionata. E quanti anni poteva avere? Sicuramente meno di Connor, diavolo. – Hopkins mi ha raccolto dai vicoli di Philadelphia quando avevo quattordici anni. 
– Caspita. 
– Oh, lo so. Brutta storia. Mio padre mi ha sempre dato da bere, per quanto ricordo. – Sospirò, lanciandomi uno sguardo esasperato. – Ora non posso più farne a meno, sapete?
Buon per te. – Ah. 
– Lo so. Una nave è il posto sbagliato. Ma non ho abbastanza soldi per bere altrove. Che ne posso...
– Puoi chiudere la bocca, per favore? – Non riuscii a trattenermi. L'alternativa era solo dargli un pugno sui denti. Che ne potevo, io? – Pensa all'oceano. 
Arricciò le labbra. – L'oceano – bofonchiò. – D'accordo. D'accordo. Come vi pare.
– Grazie – replicai con una smorfia. Alleluia. – Magari dopo ti porto da bere.
La sua espressione fu come illuminata dal cielo. – Veramente? – esclamò. – Sbrigatevi, allora. Arriva una tempesta. 
– Brutta? 
– E che ne so? – Si staccò dal cannocchiale, scoccandomi un'occhiata maliziosa. – Siete voi inglesi gli esperti, no? 
Mi voltò le spalle e smise di parlare, per il momento, lasciandomi con l'amaro in bocca senza sapere bene cosa mi aspettasse. Come avevo detto a Thomas, la caccia non era finita. Anzi, pareva quasi che fossimo diventati noi le prede, indifesi e senza via d'uscita, costretti a percorrere le tappe di un ciclo senza uscita. Seguire un uomo che continuava a sparire, impediti da ostacoli che non s'arrestavano mai. 
Una parte di me cominciava ad averne abbastanza, ma nemmeno per tutte le sterline di Sua Maestà le avrei dato retta. Preferivo continuare a nascondermi nella convinzione di star facendo la cosa giusta. 
Intanto, sull'orizzonte, nuvoloni scuri e pesanti turbinavano nel vento, girando e rigirando come in una danza mortifera, pronti a scaraventare sulla Señora tutta la loro furia. 
Serrai due dita alla base del naso. Perfetto. Oh, Dio. Avevo smesso di chiedermi se per una volta, una sola volta, il cielo potesse donarmi clemenza. Perfetto.
 
Connor quasi arrivò a toccare il pavimento con le ginocchia, ruotando completamente il timone, e Tom gettò in mare un altro litro di vomito. – Ah, merda... – grugnì tra un'onda e un conato, prima che la sua bocca cominciasse a versare altre schifezze. 
– Va tutto bene, Tom, – brontolai con una mano sulla sua fronte, gli occhi rivolti al cielo tinto di cenere e alabastro. Maledetto vento. Ci minacciava da ore, quando la notte ancora non era giunta, e tendeva la cacciatrice a destra e a sinistra con un gran fracasso, ma di acqua non ne scaricava nemmeno un goccio. Certo. Non fosse mai che la nostra tortura finisse lì, lasciandoci ad annegare. No. Meglio un bel po' di dannatissime folate e poi, forse, ucciderci. La nostra vita era così noiosa, mancava proprio una tale dose di pericolo. 
Ah, se lo sentivo, il pericolo. La sua puzza mi penetrava nelle narici fin quasi a raggiungere il cervello, nascosta solo in parte dall'odore del vomito di Tom. – Connor! Va tutto bene? – Certo che sì. Che razza di domande pongo? Idiota. 
Vidi il timone sfuggirgli di mano e sfrecciare per tornare alla posizione originale, rischiando di fratturargli la mascella e far saltar via un paio di denti. La Señora tentennò, senza più una mano salda a guidarla, e mio figlio caracollò indietro, rischiando di finire in mare. – Dobbiamo uscire da quest'affare! 
Drunk J si sporse dall'albero maestro, le mani a coppa sulla bocca. – Non se ne parla, capitano! – strillò. Probabilmente era l'unico a bordo che usava quel titolo con il ragazzo. – Sembra che si estenda fino all'Inferno e ritorno! 
Lanciai un sospiro. Sempre melodrammatici, i marinai. – Cristo. – Sollevai Tom con uno strattone e gli mollai uno schiaffo sulla guancia cadaverica. – Ehi? Tom, hai finito? – Con la bocca mezza aperta e il capo abbandonato su una spalla, sembrava un morto appena tirato fuori da una carneficina. – Andiamo, Tom. Rispondimi – gli sussurrai debolmente. – Devi...? 
Scosse piano la testa, e gli assicurai meglio la cima intorno alla cintola. Non mi fidavo di quel cordame, non mi fidavo della tempesta e ancor meno mi fidavo di Thomas. Chissà che cosa diavolo avrebbe fatto per assecondare i propri deliri. – Connor! 
Mi avviai verso il cassero di poppa, strisciando lungo il parapetto per non essere strappato via dal vento. – Che cosa facciamo? 
Scattò malamente in piedi, le mani strette sul timone. – Ce ne andiamo – borbottò, o almeno, questo capii dalle sue labbra. – Ce ne andiamo. 
– Levati di lì! – Oh, demonio, perché dovevo sempre spiegargli tutto io? Istruire quei cinque testoni dei miei fratelli Templari era stato dieci, cento volte più semplice. Perlomeno loro stavano a sentire. – Se spezzi il timone siamo tutti morti!
Serrò i denti, piegando di nuovo la ruota di legno controvento. – Allora che cosa vuoi fare? – La sua voce pareva il sussurro di un demone marino. Ci mancava soltanto che il kraken, o uno di quegli altri mostri in cui credevano gli uccellacci del malaugurio come Faulkner, spezzasse definitivamente lo scafo a metà e ci lasciasse precipitare tra le fauci della morte. – Abbandonare la nave a se stessa?
Feci spallucce e lui sollevò le sopracciglia, stupefatto. – L'idea era quella – brontolai tra me e me. 
– Haytham, no.
– Fallo! – berciai con la gamba attorcigliata alle sbarre. Dio solo sapeva quanto mi sentissi ridicolo. – Fallo e basta! – E prendi una dannata cima, pensavo, non lasciare che questo mostro ti porti via. Ci siamo, ragazzo, non lo vedi? Nonostante tutto quel casino, stavo davvero andando da Ben. Ero vicino, sempre di più a ogni folata di vento. Ci siamo...
Una goccia di pioggia grossa come un penny parve perforarmi la fronte. Oh, no.
Le nuvole cozzarono l'una contro l'altra sopra di noi, in un'esplosione di viola e grigio seguita da un gran fracasso. Se l'Aquila aveva fatto una brutta fine, quella cacciatrice la stava seguendo a ruota. Santo cielo, perché? Forse il mare aveva visto abbastanza Kenway. Non ne poteva più della mia maledetta famiglia. – Piove – ringhiai tra i denti. – Cazzo! 
– Puoi dirlo forte, capo... – mugolò Thomas alle mie spalle, una mano sullo stomaco e l'altra tesa a raccogliere le gocce. – Andiamo – ghignò, – potrebbe andare peggio. 
– Ovvero? 
Si strinse nelle spalle. – Siamo ancora vivi, no? 
Scrollai il capo, serrando le dita sulla cima bagnata. La pioggia non aveva alcuna pietà, si riversava su di noi come se qualcuno la facesse uscire da un secchio invisibile, sospeso in un beffardo scherzo sopra la nostra testa. E come se non bastasse c'erano anche Tom Hickey e le sue battutine insulse. Quasi capivo Connor, ma, ehi, ci sono momenti in cui il sarcasmo è più che necessario, doveroso. Una tempesta in mezzo all'oceano durante l'inseguimento di un uomo che ero arrivato a sognare e continuava a sfuggirmi di mano non rientrava certo nella lista di quei momenti. – Sta' zitto – brontolai. – Vedi di tenerti forte! 
Drunk J scivolò agilmente giù dall'albero, assicurandosi una cima intorno alla vita. – Quindi? – gridò per sovrastare la tempesta. – Qual è il piano? – I marinai continuavano a correre avanti e indietro, ritirando le vele e lasciando che gli alberi dondolassero nel vento, simili a picche. Di lì a poco, probabilmente ci sarebbero state anche le teste. – Capitano, avete un piano. Non è vero?
– Il piano? Sai qual è il piano? – gli berciai contro, gli occhi serrati per ripararmi dalla pioggia battente. – Stammi bene a sentire, perché non lo ripeterò due volte. Il piano è di chiudere quella cazzo di bocca e farci entrare meno acqua possibile. Ti è chiaro il…
– Attenti!
Levai le palpebre troppo presto, nel momento sbagliato. Vidi gli occhi scuri di Drunk J sgranarsi, colmi di paura. Poi un’onda investì ogni cosa, il ponte, Connor, le mie gambe. L’acqua mi sbalzò contro le casse di provviste, spaccandole in un turbinio di bolle e… polvere. Suppongo si trattasse di quello, polvere da sparo ormai inutilizzabile, neve scura che roteava in mezzo al legno spaccato e precipitava in mare.
Non capivo più nulla, la fronte mi pulsava come fosse sul punto di esplodere. Sapevo che una parte di me era stranamente felice per aver mandato in mille pezzi una cassetta di polvere e non una botte di rum, un pensiero completamente irrazionale, ma c’era più qualcosa che avesse senso, lì in mezzo? Con l’acqua che entrava nel cervello e lo rivoltava, le membra molli come carne già morta, l’unica cosa di cui mi preoccupavo era restare in vita.
Provate ad annegare, d’accordo? Poi vedremo chi avrà i pensieri più futili.
Agitai le gambe nel tentativo di tornare a galla, ma pareva proprio che quella dannata cascata d’acqua volesse portarci tutti all’altro mondo. E dove diavolo era il sangue pirata quando serviva? Mi stava abbandonando anch’esso, come tutte le cose? Sangue pirata, certo. Quando mai? Non avevo ereditato niente da mio padre. Tutto ciò che di ammirabile c’era in lui si era perso lungo la strada. Poteva averlo estirpato Reginald. Pensare che l’avessi trasmesso a Connor non mi sembrava più un’alternativa migliore.
Chiusi gli occhi, lasciando che il buio mi avvolgesse proprio come stava riempiendo la mia testa, lentamente, come una ninna nanna che travolge i sensi con calma prima di trascinarti via del tutto. Dormire, ecco cosa mi andava veramente di fare. Solo dormire un po’…
Thomas fu il primo a riemergere, strattonando la mia redingote per tirarsi in piedi. – Santo Dio! – sbottò, preda dei colpi di tosse come un vecchio.
Boccheggiai, tirato fuori dal limbo con la violenza di un uragano. Oh, Tom, no. Sembrava che i miei polmoni volessero staccarsi dalle costole e precipitare nell’oceano. Per una volta che ero pronto a lasciare questa vita, insomma… Non puoi. Non puoi farmi questo. Mai nella vita avevo accettato con tanta consapevolezza l’idea della fine, e ci pensava quel bevitore da due soldi a riportarmi all’antico splendore, ricordandomi che non potevo mollare. Non a quel punto. Chissà, forse cercava di ripagare tutte le volte in cui io lo avevo portato via dal Mietitore.
Intorno a me, tutti non facevano altro che sputacchiare e tossire, aggrappati alle cime nel tentativo di non lasciare troppo in fretta la nave. Uomini con gli occhi sgranati e i denti stretti, animali guidati dall’istinto di sopravvivenza e da nient’altro. Li avevo visti obbedire a Connor. Alcuni di loro, come i mozzi bloccati in coperta, dovevano aver maledetto la sorte, stretti alle assi dello scafo mentre pregavano Dio che niente lo danneggiasse. Non c’è più nulla di razionale nell’uomo quando lo metti davanti alla fine. Come poteva Connor aver fiducia nella gente? In una specie così maledettamente volubile, che si rende conto degli errori solo quand’è troppo tardi e i massacri sono già stati portati a termine? Sembrava che nel mondo non esistesse più la ragione, come la intendevamo noi. Persino Connor si teneva stretto a un maledetto pezzo di corda come fossero i seni di sua madre, e chiudeva gli occhi bisbigliando parole che non riuscivo a comprendere. Stava… pregando? Oh, per carità. Di certo gli spiriti Mohawk non avrebbero fatto nulla per me. La Grande Madre me li aveva messi contro a sufficienza, direi.
…Narra la storia di Iottsitíson,che scese nel mondo per dargli forma perché ospitasse la vita. Il suo amore ci da la forza.
Serrai le mani sulla prima cosa che mi capitò, i frammenti spezzati della cassa di polvere da sparo. Sentivo le schegge bruciare nelle mani come fiamme. Tiio. La sua fine, e tutto ciò che c’era stato tra noi. Ogni istante, ogni dettaglio pareva così campato per aria, a guardarlo da un’altra prospettiva. Voglio dire… Avrei potuto fare di più per lei. Avrei voluto, d’altra parte, ma non mi ero impegnato abbastanza. Pensavo davvero che sarebbe durata. Che avremmo avuto tutto il tempo del mondo. Poi Braddock era sopravvissuto, lei aveva capito con chi aveva a che fare e tutto era stato distrutto. Cenere nel vento freddo della Frontiera.
– Che cazzo era? – La voce arrochita di Tom mi riportò alla realtà, lasciando che chiudessi di nuovo gli occhi sulla fetta di passato che non aveva mai smesso di fare male. Pure tu, ti pare il momento di pensarci? Avrei dovuto affrontarlo, prima o poi.
Meglio poi, direi. – Acqua! – esclamò Drunk J. Non so dire se avesse deciso di rendersi utile o volesse soltanto fare una battuta. In tal caso, be’, era chiaro che sulla cacciatrice c’era uno spiritoso di troppo. – È la tempesta! Che facciamo?
– Te l’ho detto – sibilai con la gola arsa. Non desideravo altro che farlo stare zitto per un po’. Avevo abbastanza pensieri in testa senza dovermi anche preoccupare delle sue cazzate, su. – Teniamo la bocca chiusa.
Tom tirò su col naso, le braccia strette intorno all’albero maestro. – È una tempesta! – sbottò con disprezzo, facendo il verso a quell’irritante ragazzetto. – Che diavolo ci fa su una nave? Quello deve tornare a poppare, capo, te lo dico io.
Grugnii in segno di assenso, nemmeno troppo convinto. Poppare. Un verbo che mi ricordava fin troppo dei seni, e quell’idea mi faceva immediatamente correre alla mente Tiio, la sua pelle e le notti nella frontiera, sperando di non essere mai più ritrovati…
Uno spruzzo d’acqua salata ribelle mi raggiunse con violenza, entrando nei miei occhi come una fiammata. Dio, ti basta come rimprovero? Smettila, cazzo! Mi passai una mano in faccia, cercando di riacquistare una vista decente. Quella vocetta aveva ragione. Dovevo preoccuparmi di restare vivo, io. – Pensa a reggerti – brontolai, non so bene se a me stesso o a Tom. Diedi un’altra stretta alla corda che tenevo intorno alla vita, certo che quell’onda non sarebbe stata l’ultima. Fu una delle poche cose intelligenti che feci durante quel dannato uragano. Voglio dire, il mondo intorno a me era confuso, il bernoccolo in cima alla fronte pulsava e bruciava come un marchio a fuoco, non sapevo letteralmente se sarei mai arrivato alla mattina successiva, né tantomeno avevo idea di cosa significasse quella disgrazia. Non sapevo più che cosa pensare. Avevo in testa solo frammenti di doloroso passato, taglienti come lame, mentre sul presente non riuscivo a focalizzarmi. L’unica altra cosa che riuscivo a provare era una gran paura all’idea di morire.
Ah, maledetto istinto di sopravvivenza. A volte penso che senza sarebbe tutto dannatamente più facile. Lanciai un’occhiata al cielo, le palpebre strette sugli occhi nel tentativo di vedere meglio che cosa ci stesse riservando la natura. Nuvole, semplicemente, nuvole compatte e senza fine, le esplosioni dei tuoni che mi ricordavano quelle dei cannoni, e poi i lampi, le deflagrazioni delle pistole.
Appoggiai stancamente il capo all’albero maestro, la forza che sembrava avermi abbandonato all’improvviso. Iniziavo a pensare che quel disastro fosse una punizione divina a tutti i miei peccati. Ecco cosa meritavo. L’ira del cielo contro di me. Per non aver più cercato Tiio, per averla abbandonata, per aver lasciato che Jenny morisse, per non aver mai fermato Reginald. Per tutto ciò che non avevo chiesto a mio padre, per come avevo lasciato che mia madre morisse di crepacuore, sola, mentre io cazzeggiavo per la Francia come un ragazzino viziato. Per aver ucciso tutti quegli innocenti nella Repubblica Olandese. Per la caccia. Per i bambini impiccati che Thomas rammentava a giorni alterni, più snervante di qualsiasi acquazzone. – Reggetevi forte! – gridò Connor, ma non gli prestai ascolto. Forse se mi fossi lasciato andare, se avessi restituito al mondo la mia vita per rimediare a tutti quegli orrori… Chissà, magari mi sarei salvato. Niente dannazione.
Sorrisi tra me. Io nemmeno ci credevo, alla dannazione. Bastava davvero una donna a farmi scendere tanto in basso? – Che cazzo hai da ridere? – Tom tirò uno strattone alla mia cima. – Capo!
Un’altra onda ci prese in pieno, e sapete cosa feci? Niente. Assolutamente niente. Strinsi il legno più forte tra le dita, il dolore acuito dal sale, mentre tutta quell’acqua mi entrava in bocca, nel naso, mi sciacquava il cervello e rendeva tutto più nitido, per una volta.
Chiusi gli occhi. Nella mia mente c’era di nuovo il suo viso, le treccine che gridavano innocenza, le gambe forti, portatrici di un messaggio molto meno pacifico. Lei non voleva che portassero via la sua casa, non voleva che morissero altre persone inermi. Aveva un obiettivo, e lo conosceva fin troppo bene. Era un’Assassina, ma non stava davvero con loro. Credeva negli spiriti che davano forza, nell’amore che rigenerava.
Tiio, la donna di cui non avevo mai imparato il nome completo. Con lei avevo fatto l’amore senza preoccuparmi di ciò che sarebbe potuto succedere. Non avevo mai pensato a dirle la verità. E quando i nostri interessi si sarebbero scostati, quando lei sarebbe diventata una seguace di Washington? Come avrei potuto farla rinsavire? Mi aveva lasciato perché il nostro bersaglio era morto con un paio di giorni di ritardo, maledizione.
No, lei… lei aveva visto il villaggio bruciare. Lei sapeva. Non avrebbe mai lasciato che vivesse. Lo avrebbe fermato per suo figlio. L’avevo lasciata sperando di poter almeno salvare mia sorella, e avevo fallito in tutto. Qualsiasi cosa avessi in mente di fare era semplicemente sfumata, proprio come stava facendo la mia mente sott’acqua, portata via. Strappata.
Della vecchia vita mi rimaneva soltanto lei. Lei, che intanto mi accarezzava il viso, laggiù. “Credeva nei suoi figli e nelle loro capacità”, sussurrò con un sorriso debole. Mi aspettavo di più dal Grande Tempio, ma mi aveva dato esattamente ciò di cui avevo bisogno. Dannazione, mi aveva dato lei.
Era… Dio, era troppo per me. Non la meritavo. Non l’avevo mai meritata. Era stato come un furto, e ora dovevo scontare la mia pena. C’era un unico modo. Soltanto…
Fui travolto da un’ondata di dolore in mezzo al petto e mi piegai a tossire, grondando acqua dal naso, dalla bocca e dai capelli. Non c’era nessuna redenzione per me, oh, no. Mentre la cima mi segava i fianchi, con la sensazione che avrebbe senz’altro lasciato una bella cicatrice all’altezza delle reni, capì qual era la verità.
Mi ero illuso. Non meritavo nemmeno quella.
Nemmeno la morte.
– Cazzo, capo, non vorrai mica che il bastardo ti baci di nuovo, no? – Thomas mi prese per la redingote, gettandomi malamente in mezzo alle casse rotte. Tu. Ancora. Tossii debolmente, nel tentativo di chiedergli che cosa diavolo mi avesse fatto. Lui sì che può ripagare il suo debito. Sputò un grumo di muco nell’acqua che fluiva verso il parapetto, abbandonando il ponte della Señora. – Dimmi un po’ se devo strattonarti come un cane per non farti andare all’altro mondo. Quando torneremo sulla terraferma sarai in debito con me, lo sai?
Annuii piano, sbattendo le palpebre sul mondo bagnato che mi scorreva intorno. Non c’era più niente che fosse al suo posto. Drunk J ansimava, una mano sul petto e la schiena poggiata alla ringhiera di babordo, cercando di prendere quanto più fiato possibile. Connor, lì accanto, sembrava avesse affrontato altre mille tempeste, il solito sguardo pesante e le mani chiuse senza tensione alcuna sulle sbarre del parapetto. Mi salì un’ondata d’ira e invidia nel petto. Che diamine, probabilmente le mie mani erano così piene di schegge da sembrare due istrici.
– Pensa a Faulkner! – gli gridai, per quanto possibile, con un sorriso stanco. – Per lui questa dev’essere una passeggiata. Un normale incidente di…
Non riuscii nemmeno a finire la frase. Il sorriso mi si gelò sul volto come una maschera grottesca. – Connor… – sussurrai, ma era già scattato in piedi, sfilandosi la cima da sopra la testa, e correva slittando sulle assi bagnate verso la cabina del capitano. Lì per lì non ci pensai, ma, diavolo, non so dire se per me avrebbe mai fatto una cosa del genere. – Connor!
– Capo? – Thomas si voltò con il viso pallido, l’aria sbattuta come se avesse appena visto un fantasma e una mano premuta sullo stomaco. – Oh, Dio, capo…
Afferrai la cima di Connor, abbandonata ai miei piedi, e cominciai a sciogliere i nodi, tra un’imprecazione e l’altra. La corda bagnata si dibatteva nelle mie dita inesperte come un serpente, aggrovigliata su se stessa. Era un rompicapo che nemmeno un marinaio esperto sarebbe stato capace di risolvere. Perché quello… quello non era un nodo da mare. Ne avevo visti molti simili, nella Frontiera. Trappole per conigli. Intrecci di cordame fatti per durare, resistere agli altri animali. Oh, maledizione. – Dammi una cima – esclamai a nessuno in particolare.
Tom alzò debolmente lo sguardo dalla camicia su cui si era appena vomitato i resti del suo ultimo pasto e sollevò il dito medio. – Vaffanculo – mormorò. Come se non fosse già abbastanza semplice da capire, eh.
– Dammi una cima, ho detto!
– Ma non potete… – Drunk J lanciò un’occhiata preoccupata al mare che continuava a muoversi impetuoso intorno a noi, poi si strinse nelle spalle. – Se mollate quella corda siete un uomo morto.
Emisi un gemito frustrato. Quel ragazzo aveva ragione. Se un’altra onda ci avesse preso sarei stato una frittata per i pescecani, ma non potevo permettere che Connor morisse. Era la mia unica speranza di porre fine a quella storia, di portarmi la Mela e chiudere la partita in vantaggio.
Al diavolo tutto. – Tom – brontolai slacciando il nodo che assicurava la mia cima al grosso ceppo in mezzo al ponte, – se non ce la facessi…
– Vomiterò a sufficienza per entrambi, tranquillo – sibilò, gli occhi stretti e le labbra fini tese sui denti come quelle di un serpente. – Gesù, vedi di evitarmi un simile supplizio.
Gli rivolsi un sorrisetto. Andiamo, ero già stato in punto di morte parecchie altre volte. Ero abituato. – Augurami buona fortuna. – Assicurai la mia cima a quella di Connor, sperando fosse lunga abbastanza da permettermi di seguirlo. Serrai gli occhi contro il vento e la pioggia e maledissi tra me e me la notte in cui avevo deciso che non mi bastava baciare Tiio. Oh, che mi era saltato in testa?
– Fortuna? – Tom storse la bocca. – Come se ti fosse mai mancata.
– Ci stai prendendo gusto?
– Un po’. – Si strinse nelle spalle, tentando di levare la brutta macchia di vomito sulla sua giacca con delle pacche vigorose. – Che aspetti?
Sollevai le mani in segno di resa e mi allontanai traballando lungo il ponte. Tenevo le braccia aperte per cercare di mantenere una parvenza di equilibrio, ma non è affatto facile come sembra. Le raffiche mi sospingevano da ogni parte come fossi uno stendardo, la pioggia mi entrava negli occhi impedendomi di scorgere con chiarezza dove stessi andando, e per di più c’erano le urla confuse degli uomini, i tuoni, i lampi accecanti. Pareva una di quelle notti uscite da un racconto terrificante, un incubo da cui non vedi l’ora di scappare. A meno che tuo figlio non ti tenga intrappolato lì come un pesce nella rete. – Connor! – gridai, la bocca piena d’acqua e bestemmie. – Connor!
Spalancai la doppia porta della cabina, consumata dalla salsedine e graffiata con due brutti colpi di spada, come le ossa sulla bandiera disegnata da Calico Jack non so quanti anni prima. Strinsi i denti. L’idea di non vedere mai più Faulkner non mi faceva né caldo né freddo, a pensarci bene, ma non potevo permettere che Connor rischiasse la vita – e la mia con la sua – per inseguire un ubriacone senza niente da perdere. – Dov’è Bob?
L’intera stanza era sottosopra. Non che all’inizio del viaggio avesse un aspetto chissà quanto curato, ma almeno le cartine non erano buttate a terra, stracciate come vecchie lenzuola, e i cocci di piatti e bicchieri non erano caduti dai loro supporti per schiantarsi sul pavimento. Connor, intanto, scavava tra i detriti con furia animale, sollevando pezzi di legno, vetro e ceramica, la bocca tesa in un’espressione terrificata. – Non c’è – sussurrò semplicemente. Sembrava un bambino cui avevano appena portato via il cucciolo.
– Sarà sottocoperta. – Indicai la botola con un cenno della testa e sperai che non volesse perdere altro tempo. – Dobbiamo…
La potenza dell’uragano lo mandò a sbattere contro la parete, schiacciando il muso sulle assi e trascinando a terra nella sua caduta un’altra cartina. I Caraibi lo coprivano come un sudario funebre. Ansimai, il fiato rotto dallo stipite della porta che mi era affondato nello stomaco. – Merda! – Connor si rialzò con il naso sanguinante e grugnì. Doveva tenere davvero tanto a Faulkner, suppongo. – Andiamo, andiamo! – Lo presi per il braccio, trascinandolo fuori prima che un’altra onda ci buttasse giù entrambi. – Buon Dio, come t’è saltato in mente di slegare…
– Muoviti! – ringhiò, sbalzandomi via e sollevando la botola che dava sulla stiva.
Mi vide esitare, suppongo. Non era poi così stupido. – Che c’è? – Il suo viso era una maschera di ansia e, davvero, mi dispiaceva non aiutarlo nemmeno quella volta, ma… No. Non avrei rischiato così tanto. – Vieni, no?
– Non posso – sussurrai con la voce tremante. Sollevai persino una mano per indicare la cima che mi teneva legato a un certo raggio dall’albero maestro, ma m’ignorò. Aveva già grugnito nella mia direzione prima di scivolare, agile come uno scoiattolo – uno scoiattolo molto grosso – nel buco.
Almeno era stato veloce abbastanza da non farci imbarcare acqua. – Mi dispiace – sussurrai, ma lui era già sparito.
Attraversai il ponte a grandi passi e rischiai di scivolare un paio di volte, ma fui sollevato nel trovare Tom esattamente come l’avevo lasciato, senza una preoccupazione. Fortunatamente non aveva ancora perso le palle, lui. Un caso su quanti, a bordo della cacciatrice? – Dov’è il bastardo? – brontolò con un ghigno, mostrando i denti consumati dal vomito e dall’alcool. – La sorte ha smesso di assisterlo?
– Faulkner non era in cabina – sussurrai. – Qui l’avete visto?
Hickey si strinse nelle spalle, avvolgendosi nel cappotto fradicio e sporco. – Spiacente, capo – grugnì. – Ero troppo impegnato ad ammirare il mio vomito.
Non avevo la forza di fermarlo. E poi, diciamocelo, era piacevole. Nonostante l’ansia mi stesse divorando come una malattia, sapere che mio figlio era confinato in coperta, senza il rischio di essere sbalzato tra i flutti, era un vero sollievo. Gesù, potevo quasi sentire la Mela dell’Eden tra le mie mani. Il suo calore. – Spero che stia bene – sussurrai, i palmi serrati l’uno sull’altro.
– Sicuro – bofonchiò il mio socio con la massima noncuranza. – Ha una bella pellaccia, per essere un Assassino.
– Concordo. – Non c’era nessun altro modo di definire Robert Faulkner. Aveva davvero la pelle dura. Voglio dire, non era da tutti sopportare la Confraternita per tanto tempo. Connor, le lagne di Achille, tutti i loro discorsi… Avrei potuto strappargli le palle e non avrebbe lanciato un solo gemito, ma era bastato spezzare l’albero maestro dell’Aquila per devastarlo. – Se la caverà.
– Come sempre. – Tom si accarezzò il ventre gonfio come una donna incinta. – Dio, capo, non ti andrebbe del whiskey?
Serrai i denti intorno alle nocche. Perché non si facevano vedere? Perché la botola non si sollevava e Connor non ne veniva fuori con il corpo di Bob caricato sul groppone? – Eccome. – Schifoso egoista. Dovresti essere ad aiutarlo. Invece…
– Whiskey? – Drunk J, come al solito, si intromise invece di pensare al proprio lavoro. – Non so quanto sia rimasto, con questo casino. E poi, sapete, gli spagnoli sono più per il rum.
Roteai gli occhi. Lo so. Il cuore mi batteva troppo forte per perdere anche tempo con lui e le sue cazzate. Che risolvesse da solo. – Capo, non stare in pensiero. – Thomas, oh, lui sì che sapeva essere d’aiuto. Certo. – Adesso arriva. È con il bastardo. Sarà di sotto a bere. Tutto qui.
Tutto qui? Tutto qui? E la tempesta non l’aveva minimamente smosso? Era davvero a un tale livello di depressione? – Lo so –, ma il mio tono era sempre lo stesso, piatto come quello di un morto. Non credevo nemmeno un po’ a ciò che Thomas diceva. – Adesso arriva – ripetei. – Adesso arriva.
Ci chiudemmo tutti e tre nel silenzio più teso che sopportassi da non so quanto tempo. I tuoni scandivano il tempo che passava inesorabilmente, e nessuno osava spiccicare parola. Anzi, più si andava avanti e meno tentativi di conversazione venivano fuori. Mi morsi le unghie così a fondo da far sanguinare la carne, torsi le mani e arrivai a trattenere il fiato, desiderando solo che un’altra onda ci travolgesse e mi riportasse nel limbo tra la vita e la morte. In confronto, mi pareva un posto meraviglioso. E se Connor fosse morto? Qual era il senso della mia impresa senza la Mela? Senza l’aiuto dei Mohawk?
Qualche altro spruzzo d’acqua nera si sollevò, inzuppando ulteriormente le assi dello scafo e del ponte, ma non ce ne curammo. – Dio, capo, di ‘sto passo ti consumerai il mignolo.
Lo ignorai. Il sapore rugginoso del sangue che sgorgava dal mio dito riusciva, in qualche modo, a tenermi attento. – Non sono morti – sussurrai tra me. – Sono ancora qui.
– Certo – brontolò Tom in risposta. – Come ti pare.
Allora, quand’ormai ero sul punto di mollargli un pugno in faccia, esasperato dai suoi continui commenti, un grido mi gelò il sangue nelle vene. – Kenway!
Sgranai gli occhi, fissando prima la botola, poi Tom e infine l’espressione esterrefatta della giovane vedetta. – Avete sentito?
– È un segno, Kenway!
Mi sentii svenire. C’era una sola persona, di recente, con cui avevo parlato di segni. Una sola persona che potesse dimenticare la copertura per usare il mio vero nome. – Bob – sussurrai. – È lui, è…
Senza accorgermene ero scattato in piedi e mi ero sfilato la cima dai piedi, lo sguardo fisso come quello di un cadavere. Non volevo crederci. Dov’era? Dov’era? – Laggiù! – sbottò Drunk J, indicando la prua con l’indice teso. – Laggiù!
Corsi in quella direzione, sperando di trovare Connor con lui. Doveva essere lì, no? Voglio dire, non c’erano posti in cui Robert avrebbe potuto nascondersi.
Mollai una gomitata tra le costole del quartiermastro originario, che mi rispose con un ansito e una bestemmia a gran voce. – È pazzo – disse qualcun altro, ma non avevo alcuna intenzione di curarmene.
Specie quando superai l’albero di trinchetto e inciampai in una cima mollemente abbandonata sul ponte, caracollando a faccia in avanti. Parai la caduta con le mani, ma le assi erano fradice. Non sarei mai riuscito a sollevarmi in fretta. – Bob! – gridai con quel poco di fiato che mi era rimasto in corpo. – Bob!
– Guarda l’Aquila, servo della Croce, e ricorda.
La Prima Civilizzazione mi riscosse dall’interno e riuscii a sollevare il viso verso il bompresso, teso nel cielo come il dito accusatore di Dio. All’inizio non ci credevo. Non me l’aspettavo, ero arrivato a pensare che Bob fosse soltanto frutto della mia immaginazione, invece no. Voglio dire, non avrei mai pensato di vederlo appollaiato su quel palo, in perfetto equilibrio nella tempesta che non risparmiava nessuno, nemmeno i marinai più esperti.
Avevo già visto quella posa da qualche parte. In qualche vecchio libro di Reginald. Era… sì, c’era il disegno di un Assassino in quella precisa posizione, immobile su una trave sporgente. Sotto di lui si allargava un canale maestoso, e i pennoni degli edifici spiccavano tra le case basse e accavallate l’una sull’altra.
Mi pareva si trattasse di Ezio Auditore, il vecchio Mentore. Uno di quelli che era passato alla storia come l’Assassino per eccellenza, dopo quell’altro, quello di Masyaf. Perché diavolo fossero tanto legati a quelle inutili tradizioni non lo so, davvero, ma mi spaventavano. Anche la bizzarra idea che buttarsi a braccia aperte da una piattaforma potesse renderli come Gesù Cristo era qualcosa che mi faceva venire i brividi ogni volta. Salto della fede. Salto degli idioti, altroché.
Robert Faulkner non sembrava trovare l’idea tanto terrificante. – Che stai facendo? – gridai, sperando solo di attirare la sua attenzione. Il sale e l’acqua mi bruciavano in fondo alla gola, assieme al terrore accecante di essere arrivato tardi, come sempre mi succedeva nella vita. – Vieni giù, andiamo! – Era come parlare a un muro.
– No! – strillò, la voce acuita da quello che sembrava a tutti gli effetti panico. Alla fine ne aveva paura anche lui, suppongo. Di morire, di quella massa d’acqua grigia che ribolliva sotto di lui come un fiume infernale. – L’oceano mi sta chiamando, Kenway. È casa mia. Ci devo tornare. – Strinse le mani macchiate attorno al bompresso e mi diede le spalle, occhieggiando l’orizzonte. – Capisci? Come tu devi tornare da Church. Il mare è onesto.
– Bob!
Volse appena lo sguardo nella mia direzione e sorrise. – Non lo senti? È lui che comanda, qui. Ci sta portando dov’è giusto che sia. – Prese un grosso sospiro, e per un attimo ebbi l’impressione di vederlo vacillare. – Mi chiama, Kenway. Sono un passeggero sgradito.
– Bob, torna qui. – Strisciai nella sua direzione, per quanto possibile, le ginocchia che bruciavano contro il legno bagnato. Sembrava di parlare con un cane disobbediente o un ubriacone senza speranza, ma avevo l’impressione che Faulkner fosse lucido come mai l’avevo visto in quei giorni. – Per piacere. – Per il ragazzo. Si voltò un’ultima volta, con un lieve sorriso dipinto sul volto. Un sorriso triste e rassegnato.
Lo stesso che, forse, doveva avere mio padre quando lasciò Nassau,
Lo vidi aprire le labbra, piano. – Mi…
 
Acqua.
Vorrei ricordare di più, davvero, ma di quel momento non ho altro che delle brevi immagini, l’una più dolorosa dell’altra. Schegge piene di veleno e rimpianti, punture che non guariranno mai, suppongo.
Vidi l’onda travolgere la Señora per la terza volta, spazzando letteralmente via tutto ciò che si trovava nelle vicinanze dell’albero di trinchetto. Il mare risucchiò le casse, il cordame, un paio di stivali consunti e il sottoscritto, trascinandomi via come quel mostro dell’Odissea, Scilla. La furia dell’acqua mi buttò oltre il parapetto e il fiato mi si spezzò nel petto. Rimasi a guardare la figura di Faulkner, stagliata contro la luce dell’ennesimo lampo come nella raffigurazione di un eroe. Sembrava aver passato l’intera vita ad addestrarsi solo per quel momento, un tutt’uno con il vento.
È un’aquila, questo pensai, perché non c’era niente di più vero. Non c’era Robert Faulkner su quel bompresso. Era morto, collassato insieme all’albero maestro della sua nave. C’era un uomo di mare, un Assassino che, al contrario di tutti gli altri, sapeva riconoscere la sconfitta e l’accettava come un richiamo di ciò che aveva sempre amato, l’oceano.
– Bob… – Non riuscii a mormorare altro, le dita serrate sul legno scivoloso e fradicio. – Bob… – Il mio corpo fremeva mentre ciondolava lungo lo scafo come una cima abbandonata. Non avevo più la forza di richiamarlo sulla terra. E a che scopo, poi? – Mi dispiace.
Mi parve di sentire il verso di un uccello, oltre il rombo dei tuoni.
Oppure erano solo le urla di Connor?
Lo vidi saltare con le ali aperte, un accenno di sorriso sul volto e gli occhi chiusi. In pace. Pensai che mi sarebbe piaciuto morire così, senza alcun rimpianto, in un luogo che avevo sempre amato.
Sentii il rumore del suo corpo che affondava nell’oceano. – Cazzo! – Il viso di Tom entrò nel mio campo visivo, i capelli inzuppati e tirati indietro dal vento mentre mi tirava su, strattonandomi per i polsi come avrebbe fatto con la carcassa di un qualsiasi animale. – Il bastardo non la prenderà bene.
– No.
– Già, però vedi di muoverti – grugnì rabbioso. – Non ho intenzione di tirare a bordo il tuo culo inglese tutto da solo.
La verità era che non potevo nemmeno accusarlo di egoismo o insensibilità. Era un Templare, era giusto che reagisse così, dopotutto. Schiusi le palpebre e lanciai un’occhiata alla massa d’acqua scura in cui Faulkner era appena sparito. – Arrivo – dissi in un sospiro, i piedi premuti contro la parte bassa del parapetto per farmi forza e tornare sul ponte.
Era andato. Sparito per sempre.
E a malapena ce n’eravamo accorti.
– Sarà meglio, cazzo. – Sospirai. Non avrei mai potuto salvare Bob, nemmeno se avessi voluto. Per cosa, poi? Trattenerlo sulla testa, condannandolo a una vita che non voleva vivere? Non sono così cattivo.
L’ordine è frutto della consapevolezza. Gran bella frase, nonostante non avessi mai capito di preciso a cosa si riferisse. – Mi aspetto un aumento, come minimo. È la seconda volta che ti salvo la vita, oggi. – All’ordine inteso come ciò che cercavamo o alla Croce Templare in sé e per sé?
Oh, non aveva importanza. Era morto un uomo, maledizione.
Le sue ultime parole nascondevano la verità, in fondo. Non sapevo se fosse davvero stato chiamato dal mare, mi bastava che ne fosse convinto, che avesse agito in quel modo senza alcun rimorso.
Speravo solo fosse felice, dall’altra parte. – Dov’è Connor?
– Ah, non lo so. Comunque, ehi, grazie, Tom, per non avermi fatto diventare cibo per pesci. – Allargò le braccia in un cenno frustrato. – Non c’è di che, capo, anzi. Lasciamo perdere. Fa’ come se non avessi fatto nulla.
– Chiudi il becco – sussurrai, i pugni stretti in due morse lungo i fianchi. Drunk J, appeso all’albero come una scimmia, stava a guardare con gli occhi sgranati. Chissà se aveva mai visto qualcun altro andarsene, andarsene in quel modo, per di più. – Devo trovare mio figlio. Deve sapere che cosa…
Come se il mare avesse richiamato anche lui, la botola che portava sottocoperta si spalancò con un cigolio sinistro. Era una mia impressione o la tempesta si stava placando? Gesù. – Niente! – esclamò Connor, i palmi al cielo. – L’ho visto salire, ma non ho fatto in tempo a seguirlo. – E non stentavo a crederci. Cazzo, era successo tutto così in fretta. Mi tremavano ancora le gambe. – Dove…
Scossi la testa. I suoi occhi si sgranarono come sotto l’uso di qualche medicina troppo potente e si aggrappò all’albero lì accanto, rischiando di cadere in avanti e collassare su se stesso. Come se avessero svuotato il suo corpo di ogni cosa, sangue, cervello, vene e organi, tutto. Forse non era poi una teoria tanto assurda. – È andato – dissi tra i denti che fremevano. – Lui…
– Perché? – Aveva lo sguardo di chi ha perso tutto, forse lo stesso di quando gli avevano detto che Tiio era sparita, probabilmente morta. – Perché non l’hai salvato?
– Connor, io… – Che spiegazione potevo fornirgli?
Quando perdi qualcuno nessun incoraggiamento razionale riesce a calmarti. Non ci si accontenta mai del sermone che si riceve. Ricordavo la notte in cui Edward Kenway era diventato solo un corpo, come un suppellettile nella sua stessa casa, ma con una spada piantata nel petto. Era morto. Potevo dirlo anche io. Era stato il modo in cui ci aveva lasciato a spezzarmi. L’idea cieca che avremmo dovuto prevederlo, già allora, eppure nessuno aveva fatto niente per impedire che accadesse.
Cosa avrei potuto dire a quel ragazzo, eh? – S’è buttato. – È meglio così, ecco cos’avrei voluto dirgli. La verità, ma a nessuno piace sentirla. Specie in una situazione come quella. – Mi dispiace.
Sgranò gli occhi, due bottoni neri e lucidi dal pianto. – Che cosa vuol dire? – sussurrò. – Perché l’ha fatto?
– Lo sapevi. – Mi voltai di scatto verso Tom. Oh, quello non me l’aspettavo proprio. Si era persino staccato dalla cima per salvarmi, e ora addirittura consolava mio figlio? Diavolo, a volte pensavo di non sbagliare a riporre qualche speranza in lui. – Non ce la faceva più. La nave gli ha dato il colpo di grazia.
– Stai dicendo che è colpa mia?
Come non detto. Bel lavoro, Thomas. – Non sto dicendo niente, bastardo. – Ecco, mi pareva strano che ancora non avesse usato quel nomignolo. – Hai idea di cosa gli passasse per la testa?
– Perché, tu ce l’avevi? – Connor avanzò verso Tom, l’indice puntato verso di lui in un’accusa inflessibile. – Non ti sei mai preoccupato per lui. Pensavi solo a bere ciò che ti offriva, senza nemmeno…
– Andiamo, glielo si leggeva in faccia che un giorno o l’altro sarebbe successo!
Connor ammutolì. Allora se n’era accorto, dopotutto. – Lui… – Abbassò il capo di scatto e tirò su col naso come un bambino. – Lui…
– Gli faremo un funerale – dissi cautamente. – Renderemo un degno omaggio a…
– Avresti dovuto fare qualcosa!
– E che cosa, maledizione? – sbottò Thomas. Che diavolo, cercava di scontare tutti i debiti che aveva con me in un solo giorno? Ammirevole. – Non aspettava altro, bastardo. Che cosa pensi che facesse prima che lo imbarcassimo in questo simpatico viaggio di piacere, eh? Si ubriacava, piangeva! – Schioccò la lingua, le braccia aperte in un cenno frustrato. – Era un disperato!
– Non ti permettere! – Connor s’avvicinò ulteriormente a Tom, oltrepassandomi. – Non osare dire un’altra parola su di lui. Tu non lo conoscevi. Non l’hai mai visto quando…
Tom roteò gli occhi, poggiandosi una mano sul petto. – Per piacere. Io ho bevuto con lui. – Come un esperto intellettuale, sembrava non avere alcun dubbio sulla materia che trattava. – Conosco gli ubriaconi. Guarda uno di noi bere e vedrai la sua vera natura. – Oh, quindi Thomas poteva rispettivamente essere un senzapalle o un maniaco senza scrupoli. Bella teoria, la sua. – Quello vuotava ogni boccale come fosse l’ultimo della sua vita, te lo dico io.
– Non…
M’intromisi. – Basta così, Tom. – La giornata era già stata davvero divertente, ci mancava solo un’altra bella rissa sul ponte. Tra quei due, per di più. Su chi avrei scommesso? Su mio figlio in lacrime o su quella sacca di vomito di Tom? Casi disperati. – La tempesta si sta placando – mormorai, il viso rivolto al cielo che continuava a pisciarci addosso, incurante della fine che Faulkner doveva aver fatto. Sperai vivamente che i suoi abiti lo tenessero sotto la superficie dell’acqua. Vederlo galleggiare gonfio d’acqua e con la carne segnata dalle prime beccate dei gabbiani sarebbe stato troppo, perfino per me. – Torna al timone, ragazzo.
Tom sbuffò. – E io?
– Tu pensa a vomitare. – Avevo lasciato che un altro membro degli Assassini morisse. Mi sembrava di essere tornato ai tempi della caccia, quando ogni cadavere dei loro ci portava in vantaggio. Nemmeno allora vederli senza vita mi aveva dato chissà quale soddisfazione, se devo dirla tutta. – Penseremo a ricordarlo quando il cielo finirà di farcela addosso.
Gli poggiai una mano sulla spalla, guardandolo mentre continuava a tirare su col naso come una femminuccia, e lo spinsi gentilmente verso il cassero di poppa. – Mi dispiace – sussurrai, e Dio solo sapeva quanto mi sentissi uno stronzo a ripeterglielo. È una di quelle frasi di circostanza che non vuoi mai sentirti dire. Quante volte me l'ero sentito dire da Reginald?
Abbastanza da farlo sembrare sincero. Già.  
– È sempre così? – domandò con gli occhi lucidi di lacrime. Mi faceva un po’ pena, lo ammetto. – Quando qualcuno muore.
Vacillai. Perché quella domanda? Come se gli avessi mai parlato di mia madre, o di Jenny, Holden e mio padre, giusto per citarne alcuni. Come faceva a sapere che mi era morto qualcuno?
Un brivido mi riscosse, salendo dall’osso sacro fino alla punta dei capelli. Il mare, aveva detto Giunone. La terra dei tuoi antenati. Ricordati di loro. Modella le tue azioni sulle memorie. Su ciò che resta. Mio padre, senza ombra di dubbio. La morte di mio padre. Oh, Dio. Loro… sapevano, dunque. Be’, non era poi qualcosa di tanto difficile da prevedere. Ne avrai bisogno per aiutarlo. Per lui.
Perfetto. Quindi dovevo anche sopportare le lagne di mio figlio sulla morte. Oh, santo cielo. Prima i sogni in cui Ben mi rompeva le palle, e adesso mi toccava anche farmi prete, diventare un confidente? – È dura, se è questo che intendi. – Così va bene, Giunone? – Passa – dissi con un sospiro. – Passa sempre. All’inizio è strano. Ti chiedi come farai ad andare avanti, che cosa cambierà, o peggio, se tutto resterà come prima. Se lo dimenticherai. Non sai quanta paura faccia, dimenticare i morti. Hai sempre l’impressione che l’abbiano fatto per te, e la sola idea di lasciarli andare ti paralizza. Sarebbe come non dare da mangiare ai propri animali o ignorare un amico. La morte ci distrugge, e per questo cerchiamo di evitarla. Quando la vedi da lontano vuoi soltanto che se ne vada, saltelli un po’ di qua e di là per sviarla, ma quando è tanto vicina da sentirne il puzzo, quando ha appena strappato dalla terra una persona a te cara… Be’, allora hai paura che scappi. Pensi a chi è morto, non riesci a togliertelo dalla testa. “E ora? Ora che si porta via anche la sua anima? E io resto qui, da solo, mentre lui se ne va chissà dove? Che cosa succede?” Ti spaventa, fa gelare il sangue. “Mi odierà. Ce l’avrà con me per sempre.”
Presi fiato. Era una delle chiacchierate più lunghe che avessimo mai fatto, almeno da parte mia. Sui soliti argomenti allegri, per altro. Sembrava che i Kenway fossero accomunati soltanto dalle morti, quei momenti di cui eravamo così esperti.
Connor si voltò a guardarmi con gli occhi lucidi, la bocca stretta in una smorfia sofferente, come se gli stessero strappando un arto. – Ti è morto qualcuno?
Mi morsi le labbra. Dio, quel ragazzo non faceva che sorprendermi, di recente. Per di più non sapevo nemmeno cosa rispondergli. La mia vita era già abbastanza triste senza che sapesse la verità su tutto ciò che avevo dovuto subire. – A parte... lo sai. Mia madre.
Istintivamente sorrisi. Sempre che pensava agli affari suoi, e niente più. – A parte lei? – Scrollai il capo. – Un sacco di gente.
Si passò una mano sotto gli occhi, la testa scossa in cenno d'assenso. – Capisco. – Chissà che pensava. Forse secondo lui mi avevano allevato le fate delle sfavillanti campagne inglesi, magari insieme a qualche simpatico lepricauno. – Lo sai bene, quindi.
– Ho una certa esperienza in campo – brontolai, stretto nelle spalle con noncuranza. – Pensiamo a rimettere questa bagnarola sulla giusta rotta, d’accordo? A Bob penseremo quando le acque si saranno calmate.
Annuì, le mani già strette sul timone. Mi chiesi se gli fosse davvero rimasto qualcos’altro al mondo. – Mi mancherà.
– Anche a me. – Soprattutto la parte di lui che preparava grog e raccontava vecchie storie. – Sai, non l’ho mai trattato come fosse un Assassino. – Incrociai le braccia sul petto, poggiandomi cautamente alla ringhiera. – Credo di essermi sempre sbagliato sul suo conto. Non esisteva un uomo più fedele alla Confraternita di lui. All’idea originaria, a ciò che ci stava dietro, voglio dire.
– Lo so. – Prese un sospiro, lo sguardo fisso sul mare oltre gli alberi e il bompresso. Non avrei voluto essere nei suoi panni per niente al mondo. La mia parte l’avevo già fatta, in quanto a decessi. – Mi ha insegnato ad andare per mare e non gli è mai importato di chi fossi. A lui bastava che avessi uno scopo.
– Era un brav’uomo. – Sarebbe dovuto essere lui tuo padre. In questo momento saresti più felice, suppongo.
O più triste ancora. Connor chinò il capo. – Uno dei migliori.
Mi strinsi nelle spalle e gli rivolsi un cenno di saluto, allontanandomi lungo il ponte. Forse in quel momento dovevo restare con lui, ma non era un bambino. Che diavolo avrei dovuto fare, abbracciarlo? Dirgli che sarebbe andato tutto bene? Da parte mia sarebbe stato un consiglio da prendere con le molle, decisamente.
Eravamo stati addestrati per ucciderci a vicenda. Come sarei mai potuto essere un buon padre per lui, parlando sul serio?
Non avevamo alcuna possibilità. Dovevo fare del mio meglio con ciò che la vita mi aveva dato e, santo cielo, non era molto. Poco ma sicuro.
Mi appoggiai al parapetto, poco lontano dall’albero maestro, a guardare la pioggia che scemava lentamente dal cielo. La costa era svanita nelle nubi basse e nella nebbia, l’unica luce quella proveniente dal cielo cupo sopra di noi, quasi assente. Dov’eravamo? Non era rimasto più un solo uomo a bordo capace di orientarsi in mezzo al mare. Era quello il prezzo della nostra salvezza, un uomo? Scrollai il capo. Cominciavo addirittura a credere nella sorte, nel magico potere del mare e in queste stronzate da ragazzini. Che importanza aveva? Faulkner poteva essere morto, ma io no. E non avevo ancora rinunciato a Ben Church, per quanto la sua voce non smettesse di ronzarmi in testa come un insetto fastidioso.
– Quindi com’è che vi chiamate?
Trasalii, rischiando di finire un’altra volta oltre il parapetto. Drunk J. Quel mozzo mi avrebbe ammazzato entro la fine del viaggio, poco ma sicuro. – Ehi, ragazzo. Come…
– Quell’uomo, quello che si è buttato… – Rabbrividii. Lui sì che aveva piena compassione del povero Bob. Deficiente. – Vi ha chiamato in un altro modo.
Aggrottai la fronte. – E che nome avrebbe usato, di grazia?
– Ah, non lo so. – Drunk J si strinse nelle spalle. – Di sicuro non il vostro. Non ha detto Johnson. – Diavolo, per essere un mozzo non era nemmeno poi tanto scemo. Uff. Il mondo si stava capovolgendo quel giorno. Letteralmente.
– Si sarà confuso. – Dopotutto, quale vecchio rimbambito non è in grado di stare accovacciato in equilibrio sul bompresso di una nave in tempesta? Più fiducia nell’umanità, ragazzo mio. Più fiducia. – Sai, con l’età e tutto il resto gli anziani… – Roteai l’indice alla testa e mi strinsi nelle spalle, sperando che chiudesse la bocca una volta per tutte.
Che diamine, se non gliel’aveva serrata la tempesta quante speranze potevo avere io? – Capito. – Il ragazzino si passò una mano nei capelli e sbuffò. – Mi…
– Sì, lo so. Dispiace a tutti noi. – Per carità di Dio, non volevo più sentire parlare di morte, di Benjamin, di Faulkner o di chiunque altro. – Ora torna a fare il tuo lavoro. La Martinica è ancora lontana.
Annuì e se ne andò con una smorfia sconsolata in faccia. A dire il vero non avevo la più pallida idea di dove fosse quella maledetta isola, ma non m’importava. Speravo soltanto che per un paio d’ore, il tempo necessario a mettere fine una volta per tutte a quello stupido tifone, nessuno venisse a rompermi le palle. Forse Robert aveva fatto la cosa giusta andandosene. Si stava evitando un sacco di problemi. – Cristo – grugnii con una mano premuta sugli occhi. Avevo evitato il Mietitore un’altra volta, e solo grazie a Thomas Hickey. Non sapevo quale parte fosse più ironica. L’idea che Tom avesse davvero rischiato l’osso del collo per me mi metteva a disagio. Non mi piaceva avere debiti con le persone.
Pensavo fossero stati quelli a uccidere mio padre. Reginald l’aveva sempre aiutato nella sua attività, e in cambio lui che gli aveva dato? Nulla. Quindi si era preso la sua vita, il suo stupido libro sugli Assassini, i Precursori o qualunque cosa trattasse quell’affare, e mi aveva portato dalla sua parte.
Anche perché, d’altro canto, nessuno avrebbe potuto crescermi come un membro attivo della Confraternita. Per grazia di Dio, mia madre era sconvolta, di certo non avrebbe mai abbandonato casa sua per trascinarmi in mezzo alla Frontiera, a cercare Achille come due poveri idioti. Sempre che fosse già negli Assassini, all’epoca.
– Smettila di pensare, cazzo.
Aprii gli occhi con un grugnito. – Sarebbe come chiederti di smetterla con tutto quel vomito. – Vomito, alcool, puttane… Oh, ci sono un sacco di cose cui dovremmo mettere fine, io e te. – Come stai?
Thomas strofinò le labbra sulla manica e si strinse nelle spalle. – Per il mal di mare o per Bob?
– Entrambi. – Mi andava di sentire la sua opinione. Lo conoscevo da fin troppo tempo, sapevo che, fosse stato per lui, sarebbero potuti morire tutti, bastava che la sua così grande e immacolata coscienza non ne venisse toccata. Era assai più cinico del sottoscritto, per quanto mi piacesse fingere il contrario.
Non aveva una testa da Assassino, lui. – Sta meglio ora. – Prese un gran respiro, le costole schiacciate contro il parapetto della Señora, e risucchiò un po’ d’aria dalla bocca aperta. – Credimi.
Mi strinsi nelle spalle. Lo pensavo anch’io. – Il mal di mare, invece?                                                   
Tossì, gettando un lungo filo di bava nell’oceano scosso dalla pioggia. – Non hai idea di quanto vorrei maledire te, Church e la vostra stupida passione per le cazzo di barche. – È sangue pirata, Tom. Porta rispetto. Sorrisi appena, il capo inclinato da una parte. – Non voglio più sentir parlare d’acqua per il resto della mia vita.
– C’è anche il viaggio di ritorno.
– Me la farei più volentieri a nuoto. – Sollevò gli occhi al cielo e poggiò i gomiti sul parapetto, l’aria sognante. – Pensa alle sirene. Belle figliole con grandi tette e una voce da far impallidire il paradiso. – Arricciò le labbra in un ghigno. L’idea mi allettava, lo ammetto, e a pensarci non avevo mai sentito Tom usare parole così belle per riferirsi a qualcosa. Era lui il tipo d’uomo di cui avevo bisogno al mio fianco quando… lo sapete, no? Quando il passato faceva capolino e mi ripiombava addosso in tutta la sua allegria. – Un buon motivo per farlo, oltre al non viaggiare su questa zattera di merda. Allora, che voleva il ragazzino?
Aggrottai la fronte. – Chi, il mozzo?
Thomas annuì e mostrò i denti in un ringhio. – Drunk J. L’unica cosa con cui quel coglione può essersi ubriacato è il latte di sua madre – esclamò, prima di sputare in acqua tutto il suo disprezzo. – Gli faccio vedere io chi si ubriaca, cazzo.
Roteai gli occhi. A volte pensavo che in Tom ci fosse davvero qualcosa che non andava. Oltre a tutto il resto, intendo. Sembrava non riuscisse a stare mezzo minuto senza combinare qualche casino. Mi ricordava alcuni dei miei vecchi compagni d’arme, sempre a sparare e attaccare briga pur di non affrontare davvero ciò che stavano facendo. Uccidere innocenti.
So cosa state pensando. Io, un assassino a sangue freddo, mi permetto di far polemica sulla guerra? Stronzate da ipocrita.
Infatti non ho mai detto di essermi tirato indietro davanti a una rissa o a un attaccabrighe. Eravamo ragazzi, tutti quanti, e un motivo per prendersi a cazzotti si trovava sempre. Faceva sembrare l’intero mattatoio un filo più normale. Picchiarsi come si faceva per strada e nelle taverne, come li avevano abituati i padri.
Non ho picchiato nessuno prima dei quindici, sedici anni. Mi ero ubriacato, quella volta, e davanti a un vecchio che si ricordava di mio padre, della casa in piazza della Regina Anna, non ero riuscito a esitare. Non ricordo di preciso che disse, d’accordo? Forse che non somigliavo per niente al vecchio Edward Kenway, che se fosse stato vivo mi avrebbe preso a sculaccioni, qualcosa del genere.
Probabilmente non l’aveva mai visto all’Old Avery di Nassau. In ogni caso, ci pensò Reginald a menarmi quando tornai. Non ricordo di aver mai preso tanti pugni come quella volta. Di ceffoni, oh, Dio, nemmeno uno. Suppongo che per il mio adorato Gran Maestro non fosse necessario rovinarmi la faccia per insegnarmi la disciplina.
Scrollai il capo e lasciai correre quei ricordi. – Ha sentito Faulkner chiamarmi Kenway – sussurrai, chino per parlare con il mio tono più basso. – Non so perché diavolo l’abbia fatto, ma si è insospettito.
– Ah, non credo sia pericoloso. – Tom si mise eretto, una mano poggiata sulla mia spalla per tenersi in equilibrio. – Vado a bere qualcosa.
Sorrisi appena. – Per…
– Perché mi gira così. – Scalciò via una cima che gli intralciava il passo e proseguì nella sua dondolante passeggiata lungo il ponte, dritto verso la cabina. – Speriamo che sia rimasto qualcosa di intero, lì dentro.
Mi strinsi nelle spalle. – Puoi sempre contare sulle botti. – Scossi la testa, travolto dall’immagine delle riserve di rum in pezzi, mentre le provviste e i membri dell’equipaggio rimasti sottocoperta galleggiavano in quel piccolo mare alcolico ridendo come pazzi e facendo del loro meglio per ingollare e godersi il momento. Dio, fa’ che non sia così. Ci mancherebbe soltanto restare senza razioni.
– Sai, capo – sul volto di Tom si disegnò un ghigno sarcastico, – è esattamente ciò che mi piace di questi schifosi pezzi di legno. Le botti. – Schioccò la lingua, una mano sempre premuta sullo stomaco, come ad avvertire in anticipo che qualcosa sarebbe risalito a spezzare i suoi gloriosi discorsi. – A proposito, chiamami per il sermone. – Schiuse l’uscio della cabina e mi sorrise, portandosi la mano al petto. – Non mi perderei la vostra retorica per niente al mondo, Mastro Kenway.
Terminò la frase con una pernacchia e una fragorosa risata, dunque sparì alla ricerca di qualcosa da bere.
Reclinai il capo e puntai i gomiti contro il parapetto. Non sapevo dire se fosse colpa del mare, ma, diavolo!, sembrava davvero che tutti avessero deciso di sorprendermi durante quella traversata. Davvero, ancora oggi fatico a credere che Thomas conosca il significato della parola retorica.
Mi strinsi nelle spalle. Forse l’aveva solo sentita uscire dalle labbra di Charles. Sì, non potevano esserci altre spiegazioni.
Presi un gran sospiro. Forza, è di Tom Hickey che stai parlando.
– Ma che cazzo! – Sorrisi. Appunto. – Questi coglioni spagnoli bevono la stessa merda che ci appioppa Sua Maestà! – Thomas inclinò sulle labbra un’altra bottiglia di gin, scolandosi quel poco che le onde dovevano aver risparmiato, poi schioccò le labbra e scagliò il recipiente oltre il parapetto. – Ecco che ci faccio col piscio reale! Vaffanculo!
Sollevò una mano oltre le spalle e scese le scale che conducevano sottocoperta, inoltrandosi nelle viscere della nave senza smettere per un secondo di gridare bestemmie.
Mi voltai a guardare verso l’albero maestro, dove Drunk J, dalla coffa, doveva avere l’acquolina in bocca soltanto a guardare Thomas Hickey. I privilegi di essere un ospite, ragazzino. A essere sincero non seppi mai se il mio socio stesse fingendo per dargli fastidio o davvero fosse deluso dal gin. Di una cosa ero certo, sapete? Che avrei dato qualsiasi cosa per potermi ubriacare insieme a lui, ma avevo altre cose di cui preoccuparmi, come ringraziare la sorte per essere ancora vivo e, perché no?, prepararmi al sermone, come diceva lui.
Il sole fece capolino da dietro i grossi nuvoloni grigi, un disco luminoso che non vedevamo da troppo tempo. Pareva quasi finto, un beffardo scherzo del destino.
Se non avessi assistito alla morte di un uomo nemmeno due ore prima, avrei potuto definire quella come una delle migliori giornate trascorse a bordo della Señora. Almeno c’era il sole, no?
 
– Che fai, adesso ti metti a piangere?
– Sta' zitto.
Thomas schioccò la lingua e sghignazzò, gettandosi in gola un sorso scintillante di rum. Si era ubriacato, e me lo aspettavo, ma aveva addirittura deciso di essere presente a quella sottospecie di memoriale per Robert. Lui, che a malapena lo conosceva. Era un comportamento bizzarro, ovvio, e preferivo non indagare. Avevo intenzione di smettere con tutta questa curiosità riguardo la testa di Tom Hickey, ma ogni volta era più forte di me. Era sempre come se il funzionamento del suo cervello mi attirasse per il solo fatto di essere così ripugnante. Non lo capivo appieno e la cosa mi infastidiva. Tutto qui.
Comunque sia, lanciò un'occhiata alla sua bottiglia e diede di gomito a Connor con una gran risata. Sembrava che nessuno avesse intenzione di dire una parola. Ce ne stavamo in semicerchio davanti al bompresso – un luogo che mi fa venire i brividi ancora oggi –, spalla a spalla l'uno con l'altro senza che nessuno di noi tre si facesse coraggio e desse inizio al maledetto discorso che avrebbe messo fine a quella buffonata.
D'altronde credo sapessimo tutti a chi toccava prendersi quell'impegno. Per quanto stimassi Robert, io non ero certo un Assassino. Non era mio dovere. Per non parlare poi di Thomas, che conosceva Bob solo per gli sproloqui sul kraken e il grog. No. Se Connor fosse rimasto in vita tanto a lungo da diventare Mentore doveva almeno essere in grado di fare un discorso come si conviene, non soltanto di lagnare e scuotere le spalle come un bambino troppo cresciuto. – Allora? – bofonchiai con aria scocciata. Certo, io potevo anche essere un predicatore, ma non tiravo fuori i sermoni a comando. Anche se poi, ammettiamolo, i discorsi non hanno chissà quale grande utilità. Però mi sarebbe piaciuto averne uno al mio funerale.
Ricordavo fin troppo bene quello di mio padre. Reginald ne tenne uno dei più belli che abbia mai sentito. Se all'epoca avessi saputo la verità l'avrei ucciso proprio in quel momento, mentre fingeva di piangere un uomo che non aveva mai nemmeno rispettato. Mio padre non meritava una simile fine, e Birch non aveva alcun diritto di prendere la sua gloria. – Hai intenzione di restare zitto per sempre, ragazzo?
Un’altra cosa che rammentavo di quel funerale era il silenzio. Mia madre che piangeva piano, io con gli occhi troppo asciutti e pieni di brutalità per versare alcunché, i presenti impettiti, le labbra strette senza sapere bene cosa pensare dell’uomo che era appena stato calato nella terra. C’era serietà nell’aria, la quiete riservata agli uomini che, in un modo o nell’altro, verranno ricordati.
Sul ponte della Señora non c’era niente di tutto questo, anzi. L’equipaggio aveva continuato a svolgere il proprio lavoro come se nemmeno sapessero chi fosse Robert Faulkner. Non pretendevo che piangessero, ma, diavolo, era il loro capitano. Che mostrassero un po’ di rispetto. – Perché fanno così? – esclamai per sovrastare il rumore delle vele ammainate e le urla lanciate da un capo all’altro dello scafo dai marinai incazzati. Oh, se c’era qualcuno che doveva essere incazzato ero io. A quanto diceva il quartiermastro della nave avevamo a malapena oltrepassato il confine tra la Georgia e la Florida, quindi eravamo ufficialmente in terra spagnola. Fantastico. Peccato che mancassero ancora Dio solo sapeva quante miglia nautiche, e il rumore delle vele sfregate le une contro le altre, ammainate nel vento che continuava a sospingere lo scafo minacciando di farmi volare via il tricorno dalla testa, mi rendeva solo più nervoso.
Connor prese un respiro. – Intendi l’equipaggio?
– Già. – Oh, Dio, sta parlando? Stento a crederci. – Faulkner mi aveva detto di non aver mai subito nemmeno un ammutinamento.
– Finché l’Aquila ancora navigava regolarmente era così. Poi ha dato un taglio alle spedizioni, e i marinai non possono vivere anni e anni restando fermi. – Schioccai la lingua. Diciamo che Achille non voleva mantenere un intero equipaggio e avere già Robert sul groppone gli pesava a sufficienza. – La maggior parte degli uomini sono stati assunti apposta per questo viaggio. È normale.
Mi strinsi nelle spalle. – Sarebbe normale se facessero meno rumore.
– Lascia perdere. – Abbassò il capo, gli occhi lucidi di lacrime che, nonostante le insinuazioni di Tom, ancora non gli avevo visto versare. – Siamo qui per Faulkner. – Sì, ma potevo ringraziarlo con il pensiero anche dalla coffa, non era necessario riunirsi tutti come dei deficienti. Scossi la testa e affondai la testa tra le mani. Quel ragazzo ci era mai stato, a un funerale?
Tom, dal suo angolino, ruttò. – Bastardo – grugnì con la bottiglia di rum stretta in mano come fosse quanto di più caro avesse al mondo, – questo dovrebbe essere il momento in cui dici quanto il vecchio ubriacone ti avesse aiutato a superare le crisi adolescenziali e quelle altre cosette da ragazzina. – Sogghignai, il viso ancora coperto dalle dita. Mi parve addirittura di sentirlo coprire la parola “menarca” con un colpo di tosse.
Sbirciai cautamente mio figlio. Prese un respiro profondo e annuì, le mani giunte come in una preghiera. Mi tolsi il cappello dalla testa e, a pensarci ora, forse fu più che altro per impedire a quelle folate gelide di strapparmelo un’altra volta. – Robert Faulkner era uno dei migliori uomini che abbia mai conosciuto. – Annuii, sperando lo spronasse a continuare. – Un grande Assassino, coraggioso fino alla fine. Mi ha insegnato a tenere una nave.
Piuttosto male, avrei voluto aggiungere, ma suppongo non fosse il momento giusto. – Avrei dovuto fare di più per lui, e lo so, ma non è di me che volevo… – S’interruppe, la voce rotta da un singhiozzo. Tom ridacchiò, rischiando di strozzarsi con il rum. – La Confraternita degli Assassini non lo dimenticherà. Ha servito la nostra causa con onore e dedizione. – E un bel po’ d’alcool, direi. – Robert è stato un modello per tutti noi, e sono felice solo che… – tirò su col naso, – che sia finita come voleva lui. Riposa nell’oceano, ora. – Mi guardò come se cercasse un supporto. Aveva proprio scelto la persona giusta, lasciate che lo dica. – In un posto migliore.
Abbassammo il capo come di consueto. Ah, probabilmente avrei fatto un discorso migliore quando avevo dieci anni, ma, come aveva detto Giunone, lui non era me. Dovevo lasciarlo in pace, almeno durante il suo lutto.
Grazie a Dio Thomas non aveva quest’obbligo morale. – Bella roba, bastardo! – esclamò allungandomi la bottiglia. – Sai che ti dico, Faulkner? – Si allungò oltre il parapetto e si levò il tricorno, stropicciandolo tra le dita che non volevano sapere di restare ferme un solo secondo. – Mi dispiace – biascicò, – eppure ti sono fottutamente grato. – Si calò di nuovo il cappello sul capo con un gesto teatrale e si voltò di scatto a strapparmi il rum di mano. – Più bevute per me, no? Così impari a morire, figlio di puttana!
Mi strinsi nelle spalle. Suppongo che non avesse tutti i torti. – Andiamo, Tom, non fare l’egoista. – Dovetti staccargli le dita dalla bottiglia con tutta la forza che avevo, in una sfida fatta di strette e grugniti. Che razza di testardo. – Facciamo un brindisi.
– Come ti pare, predicatore.
Roteai gli occhi. E poi sono io quello immaturo. – A Bob Faulkner – esclamai levando il liquore al cielo. – Che possa la sua anima riposare in pace. – Buttai giù un lungo sorso di rum che mi scaldò fino al fondo dello stomaco, facendomi rizzare i peli sulla nuca. La porsi a Connor, che la strinse tra le mani come fosse una bomba. – Coraggio.
– Possa la sua anima riposare in pace – ripeté titubante prima di buttare giù un sorso che non avrebbe steso nemmeno un neonato. Fu così gentile da ripassarla a Thomas, pensate un po’.
– Niente discorso, capo?
– Niente discorso – replicai mentre gli voltavo le spalle. – Brinda.
– Riposare in pace? – Vidi con la coda dell’occhio le sue labbra che si arricciavano in una smorfia divertita. – Non c’è nulla di più noioso. Bobby, amico, spero che ti stia scopando la sirena con le tette più grosse che l’oceano abbia mai visto. – Sollevò la bottiglia e non potei fare a meno di sorridere. – Alla tua.
Lo lasciai a bere e mi ritirai sottocoperta, alla ricerca di un’amaca su cui fare un pisolino.
Diavolo, se avessi saputo che dopo la morte ci attendeva una sirena popputa con cui consolarci mi sarei fatto impiccare in quel vicolo di Boston. Un’altra delle occasioni mancate da aggiungere alla lista.
Qualcosa mi diceva che non avrebbero mai avuto fine. Non per me.  
In cinquant’anni ne avevo già contate fin troppe.

 

 

Angolo dell'autrice:
Okay. Okay. Questo capitolo è lunghissimo. Lo so. Lo so. Credo sia il più lungo che abbia mai piazzato, scusatemi. o.o
E, come al solito, alla fine ci manco solo io a scassare le balle. Già. LOL.
Allora, in realtà questa è una nota che avrei dovuto fare la settimana scorsa, ma me ne sono dimenticata.
O meglio, diciamo che me ne sono accorta poco dopo aver pubblicato e non avevo voglia di modificare il capitolo, eheh.
All'inizio di ottobre, tipo il nove, quest'infinita pippa mentale di long ha compiuto un anno dalla pubblicazione del primo capitolo.
Trecentosessantacinque fottuti giorni, ragazzi.
E 'sti cazzi, come si suol dire.
Grazie di tutto, per chi recensisce, chi legge, chi sclera insieme a me e chi apprezza tutto questo.
Siete persone fantastiche.
Spero restiate tutti fino alla fine, perché voglio conoscere le vostre reazioni (sì, amo leggerle *-*), ma vi ringrazio tutti, dal primo all'ultimo, per essere arrivati qui.
Vi voglio bene.
Scusate se ho rovinato tutto con questa... roba. :3
Skos.
  
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