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Autore: IMmatura    22/10/2014    2 recensioni
"Anno 5099
Dopo un disastroso terzo conflitto mondiale, gli esseri umani superstiti sul pianeta Terra hanno convenuto sulla necessità di riunirsi in un’unica Società, per evitare nuovi conflitti. A capo di questa Società, affinché la corruzione non ne rodesse le fondamenta, è stato posto un grande computer, detto “La Macchina”. La Macchina determina in base ad algoritmi i provvedimenti da prendere per garantire a tutti gli esseri umani il miglior tenore di vita possibile. Esecutore delle volontà della Macchina, ed allo stesso tempo figura istituzionale con ampio potere decisionale, è il Governatore. Esso ha assoluto arbitrio su tutte le questioni “minori”, compreso il potere di vita o di morte sui singoli cittadini. Due soli obblighi lo vincolano: non andare contro un ordine della Macchina e, al centesimo anno d’età, abbandonare la sua carica per lasciarla al suo Successore..."
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Storia a tema distopico, accetto tutti i pareri purchè costruttivi...
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris McLean, Topher, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Teletoon; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Il Destino del Successore

 

Capitolo quarto

Il concerto non era iniziato nel migliore dei modi. Il Governatore si era mostrato un po’ annoiato, specie dall’esibizione di Ella, che avrebbe dovuto essere il pezzo forte. Subito dopo il suo insuccesso, la ragazza era fuggita nella serra per tentare di ricomporsi. Gwen avrebbe voluto seguirla, ma adesso sarebbe toccato a lei. Avrebbe dovuto eseguire dal vivo un’opera, proiettando l’immagine che stava dipingendo sulle note della canzone di Trent. Courtney la trascinò letteralmente dietro gli spalti, dove un paio di tecnici stavano ricontrollando i collegamenti che trasmettevano gli imput della tela olografica al proiettore. Trent stava già salendo sul palco.

-Quella ragazza cantava davvero bene...- commentò Sammy, sommessamente.

-Ma che dici? Era una noia mortale...non hai visto che sbadigli che si faceva anche il Governatore Mc Lane?- fu la risposta acida di Amy, prima di rivolgere di nuovo le sue attenzioni al ragazzo che le sedeva accanto.

-Non sei d’accordo anche tu, Topher?-

Il Successore si riscosse dal suo torpore. Era abbastanza stanco, dopo la giornata piena di impegni, e faticava a seguire i discorsi della fidanzata.

-Certo, certo...- farfugliò senza troppa convinzione.

Amy capì che stava fingendo, ma si limitò a sbuffare stizzita. Si ripeteva mentalmente chi era lui, e quanto, tutto sommato, ne valesse la pena.

-Eri distratto, ma ti capisco...finora è stato tutto abbastanza mediocre, non credi?-

Amy era un tipo esigente, e Topher questo lo sapeva. Tuttavia onestamente non aveva trovato quell’esibizione così male. Aveva assunto l’atteggiamento consono, cioè leggermente distaccato, per uniformarsi al contegno tenuto da Mc Lane...doveva imparare da subito come mostrarsi, da Governatore, in certi frangenti frivoli. Piglio altero e un po’ sdegnato. Ecco, adesso aveva anche lui l’espressione perfetta...peccato che le luci si abbassarono di colpo, così che alle spalle di Trent risaltassero di più le proiezioni che Gwen avrebbe dipinto. Le prime note della chitarra vibrarono. La luce formava magici disegni dietro Trent, anzi, sembrava quasi che quei colori gli esplodessero attorno. Gwen, dalla sua postazione, senza vedere esattamente dove fosse, riusciva comunque ad immaginarlo (avevano fatto le prove) e a disegnargli attorno.

-Mi chiedo come facciano a fare certe cose.- mormorò tra se e se Sammy.

-Credo sia questione d’abitudine, esercizio...-

-Oh, ma che ti importa, Samey, sta zitta ed ascolta!- la ribeccò Amy. Non le andava molto a genio che disturbasse il suo ragazzo. Avrebbe potuto mettere a rischio il suo fidanzamento con il suo essere soggetta. Insomma, se Topher avesse iniziato a pensare che era anche lei così...così...mediocre, rischiava di perdere l’occasione della sua vita.

-Io invece mi chiedevo come dev’essere stare sul palco. Gli occhi di tutti addosso, la totale attenzione su di te...deve essere bello.-

-Oh, ma noi avremo assolutamente tutta l’attenzione di questo mondo, in futuro. Giusto?- chiese la fidanzata a Bagley, stringendo un po’ di più il suo braccio.

-Già, direi di si.- ammise lui, sorridendo, ma continuando ad osservare la scena.

Curiosa coincidenza, anche lui, se non fosse stato il Successore, avrebbe avuto velleità artistiche. Ma a differenza di Mc Lane quel rimpianto non si era ancora inacidito, trasformandolo in un giudice troppo severo, che snobbava i teatranti sul palco, paragonandoli ad un’irreale perfezione che sarebbe stata la sua “se soltanto...”. Era ancora in grado di godersi gli spettacoli con serenità. Peccato fosse davvero molto stanco.

-Io non riuscirei mai a fare una cosa del genere, morirei di imbarazzo.- pigolò Sammy, rossa al solo pensiero. La sorella sbuffò sibilandole nell’orecchio che ne avrebbe avuto tutte le ragioni.

Quella sera la “brutta copia” era così irritante. Amy proprio non capiva che le fosse preso: non faceva che sorridere come un’ebete e blaterare opinioni non richieste ed inutili (dato che erano le sue). Sembrava quasi che stesse cercando di carpire un po’ di attenzioni dal Successore, grazie a lei. Sarebbe proprio stato da Samey: cercare di approfittare della sua fortuna per farsi bella e dire che lei chiacchierava sempre scioltamente con il suo futuro cognato. Poteva anche immaginare le meno sveglie tra le ragazze dell’Alta Corte, che squittivano chiedendo dettagli. Quella ragazza la metteva sempre in difficoltà, ed ora osava anche cercare di approfittarsi di lei. Poi si chiedeva perché tutti preferissero lei, Amy, la bella copia, brillante, popolare e acida quanto bastava per rimettere al proprio posto chiunque. Soprattutto la sua gemella. Avrebbero dovuto fare un lungo discorsetto, tornate nelle stanze della Corte...

-Scusate, ma io credo proprio che mi ritirerò, per stasera.- annunciò il Successore, alzandosi e stando ben attento a non fare troppo rumore. Non voleva certo che qualcuno lo vedesse adesso, con l’espressione stanca e, temeva, anche delle brutte occhiaie.

-No.- protestò Amy.

-Davvero, credo di stare per svenire dal sonno. Ti chiedo scusa.-

-Buonanotte allora.- bisbigliò gentilmente Sammy. Dopo un attimo di sorpresa il ragazzo ringraziò e si avvio verso l’apertura centrale, che permetteva l’accesso agli spalti.

Era un lungo corridoio con delle lucine ai bordi del pavimento. Una guida per chi, come lui, decideva di rientrare un po’ prima nelle sue stanze. Si strofinò gli occhi, che ricominciavano a bruciare leggermente. Aveva decisamente bisogno di dormire. Uscito da quella opprimente cava metallica si recò verso l’ascensore.

Incrociò Courtney Barlow che ne usciva con un’espressione decisamente preoccupata. Che qualcosa non andasse con lo spettacolo? La ragazza portava con se quello che doveva essere una specie di macchinario di scena...forse l’aveva mandato a quelli della Bassa Corte per una riparazione lampo, e temeva di non arrivare in tempo.

-‘sera.- la salutò distrattamente, ricevendo una risposta esitante.

Se avesse avuto un po’ più confidenza con quella ragazza avrebbe capito che qualcosa l’aveva davvero scossa. In genere, Courtney era sempre precisa, attenta e mai, MAI esitante. Quel che Topher aveva potuto immaginare era solo parte di ciò che l’aveva...spaventata. Era vero, era dovuta scendere a prendere un’altra tela olografica, dato che quella che Gwen stava usando, per qualche motivo, si stava surriscaldando. Per fortuna aveva pensato di metterne da parte un paio, per tempo.  Quando però era andata a prenderle, era passata per i dormitori dell’Alta Corte, e li aveva sentito. Una voce. Una voce maschile rabbiosa e stizzita, che non credeva di conoscere (e di norma, più o meno, ci si conosceva tutti li dentro.). Forse per lo spavento, aveva preso a camminare più veloce, senza rendersi conto di andare incontro al rumore, anziché allontanarsene. Per fortuna i suoi passi sembravano aver messo in allarme l’estraneo, che si era affrettato a sparire dietro una porta, che si era sigillata come di consueto alle sue spalle. Per una frazione di secondo, Courtney aveva visto una sagoma. Ed era abbastanza sicura che non fosse di qualcuno dell’Alta Corte. Eppure era entrato in una delle stanze da letto. Era impossibile, a meno che non avesse un passe-partout, il che significava...

Un sicario.

Sapeva che queste cose accadevano. Meno di due mesi fa, per esempio, era sparita una delle amiche pettegole della Wilson. Dakota Milton, se ben ricordava. Però...avere di fronte il fatto nudo e crudo, era shoccante. Per la prima volta in vita sua aveva avuto davvero paura. Aveva quasi temuto che fossero li per lei. In fondo era una delle persone più in vista nella Corte.

Non sapeva davvero come comportarsi, ed era decisa a non rientrare nelle stanze della Corte da sola. Sapeva benissimo che poteva non bastare, ma...non poteva proteggersi di più. Farne parola con qualcuno era fuori discussione. Era una di quelle cose di cui non si doveva parlare. Non c’era nessuna legge scritta, e teoricamente un’intrusione nell’Alta Corte era un reato da segnalare...ma quelli avevano avuto in qualche modo accesso senza far scattare gli allarmi. Erano sicuramente sicari. E l’ultimo che aveva denunciato la presenza di sicari, a quanto si sapeva, ne era stata la successiva vittima.

Non riusciva a convincersi di averlo solo immaginato, anche se sarebbe stato molto più facile. Sperava di non essere lei la vittima, ma allo stesso tempo aveva anche paura di quest’eventualità. Fino a quel momento, di fronte a questi eventi, si era sempre potuta nascondere dietro frasi di circostanza, e sbandierando la presunta efficienza di “autorità competenti”, fin quando un comunicato non annunciava la morte ed imponeva il silenzio. Stavolta, però, col suo silenzio era come complice...

Courtney era severa, si, ma soprattutto con se stessa. Pretendeva la perfezione dal suo essere, ed essere l’omertosa complice di un crimine non era quello che voleva. Lei credeva nella perfezione, nell’ordine, nella Società. Credeva che nessun uomo, a parte il Governatore, avesse diritto a decidere della vita o della morte di un individuo. La dottrina in cui era cresciuta, il senso della responsabilità e della giustizia che le aveva insegnato suo padre, le dicevano che doveva fare qualcosa. Ma il ricordo di quei momenti, in cui aveva davvero rischiato la vita, ingigantivano a poco a poco la paura. Si sorprese a rischiare di far cadere la tela olografica, per il tremore delle mani.

Lei che credeva di sapere tutto, non aveva più la minima idea di che fare...

 

---

 

I sicari lavoravano sempre in coppia, era la prassi. Uno faceva il lavoro sporco e l’altro rimaneva fuori la porta, per eliminare eventuali “imprevisti”. O impedire che la vittima fuggisse. Duncan però era un caso eccezionale. Lui lavorava da solo praticamente fin dal primo incarico, ed era comunque tra i più abili e tristemente rinomati sicari. Aveva un suo metodo collaudato, in genere efficace. Quella volta inoltre, gli stava andando davvero di lusso: aveva ricevuto una tessera magnetica con cui aprire liberamente le porte, e stando alle informazioni che aveva non gli era toccato un militare. Quelli erano ossi duri, addestrati ad avere la guardia leggermente più alta rispetto al resto dei nobili palloni gonfiati che faceva fuori come mosche. Tipo quello che doveva uccidere quella sera. Un ragazzo più o meno della sua età, per fortuna con l’aspetto da idiota.

Aspettava quasi con disinvoltura, accanto al vano della porta, nella semioscurità della stanza, rigirandosi tra le dita il filo sottilissimo con cui l’avrebbe strozzato. Era la sua tecnica: silenziosa, pulita e rapida. Si addiceva allo stile di quegli ipocriti. Tutti uguali. Talmente sicuri di se stessi da non guardarsi neanche intorno, quando rientravano nelle camere. Talmente concentrati su se stessi da non notare, accesa la luce, qualcosa di strano nella propria ombra. Così stupidi da non accorgersi fino all’ultimo secondo della morte alle loro spalle.

Bip. Duncan si appiattì contro il muro e, come si aspettava, fuori dal cono di luce che veniva dal corridoio, non fu visto da quello stupido. Sogghignò nel buio, scivolando alle sue spalle esattamente mentre la porta blindata scorreva per richiudersi. Nascosto nell’ombra, e con lo scatto della serratura magnetica a coprire il suo passo. Srotolò il fino, stringendone i capi arrotolati attorno alle dita, guantate. Era la sua arma preferita. Amava il rischio.

Due battiti di mani. Il neon si accese ronzando. Duncan rimase immobile dietro le spalle dell’obiettivo. Si dirigeva alla scrivania. Perfetto. Avrebbe sicuramente acceso il computer, adesso. Ancora più distratto. Sarebbe stato facile come rubare le caramelle ad un neonato.

Invece Topher, preso dal cassetto il flaconcino del collirio, si era chinato verso lo schermo, per sfruttarne il riflesso e metterne due gocce. E chinandosi l’aveva visto. Duncan vide il volto imbellettato dell’altro, dilatato dallo schermo leggermente convesso, con un’espressione di puro terrore dipinta sopra. “Merda!” pensò, scattando per attorcigliargli il cavo attorno alla gola e farla finita in fretta. Nel frattempo Topher si era girato e vide un bagliore teso tra le mani dell’aggressore, in passamontagna. D’istinto allungò la mano verso lo sgabello di fronte al computer, che però era fissato al suolo, come tutti i mobili della stanza. Un giro di quelle mani guantate attorno al collo e iniziò a sentirsi mancare il respiro. La vista ancora appannata dalle gocce e dalla stanchezza gli facevano vedere solo una sagoma nera, sfumata con lo sfondo freddo delle pareti. Due macchie di ghiaccio al posto degli occhi. Riusciva a sentire il battito acceleratissimo del cuore pulsare attorno alla gola, ronzargli nelle orecchie. Le mani tentarono di liberarlo dal filo, ma scivolavano, sudate, mentre quelle del sicario insistevano, stringendo un po’ di più. Nonostante quel “colpo di scena”, Duncan non perse il sangue freddo. Contò mentalmente. Al cinque, come si aspettava, la vittima perse i sensi. Allentò la presa dopo pochi istanti, e il corpo di Bagley si accasciò al suolo.

Sogghignò. Sapeva a memoria quanto ci mettevano questi stronzi a rimanere senza fiato. Soffocarli era una passeggiata, sembrava che al posto dei polmoni avessero prugne secche.

Adesso doveva solo fare l’ultimo sporco lavoretto, approfittando della serata di gala che, a detta dei suoi committenti, avrebbe tenuto tutti impegnati sul tetto per ancora un bel po’. Doveva far sparire il corpo. Di norma si sarebbe limitato a farlo precipitare giù dall’apertura della sala decolli del Palazzo, come sempre. Ma il committente stavolta si era espressamente raccomandato su questo punto, quindi aveva dovuto pensare ad un piano più sicuro. Avrebbe rubato uno dei mezzi di decollo individuale presenti nella rampa di lancio, e poi avrebbe buttato via la zavorra sorvolando una Zona Proibita. Niente di più facile, e ci avrebbe guadagnato una navicella, oltre alla ricompensa in denaro. Come avrebbero spiegato poi, nell’Alta Corte, il furto non era affar suo. Avrebbero dovuto progettare scatolette meno facili da forzare.

Si dice che troppa paura rende vulnerabili, ma anche la troppa sicurezza porta a delle leggerezze. Duncan, così convinto del fatto suo, infatti, stava attentissimo a controllare che nessuno sbucasse da ogni angolo, mentre si trascinava appresso un carrello del refettorio, opportunamente coperto. Senza sapere che, sotto la copertura, il petto di Topher aveva ricominciato a sussultare. Era vivo. Terrorizzato e incapace anche solo di muoversi, gelato dal panico, ma vivo. Sentiva il ronzio delle ruote del carrellino riempirgli il cervello, impedendogli di pensare. La testa era così pesante. Si sforzava di non fare rumore con suo respiro, teneva gli occhi serrati e con i pugni chiusi, torturava con le unghie il palmo delle mani. Lo credeva morto. E invece era vivo.

Era tutto quello che riusciva a pensare. Non a come scappare da quella situazione. Non a come dare l’allarme, o sopraffare l’avversario. Era solo terrorizzato dall’idea di farsi sentire, vivo. Di colpo, una sensazione nuova lo invase, facendogli sentire quanto in quella situazione aveva sudato. Freddo. Intenso come sotto una doccia fredda. Anche attraverso il telo, riusciva a sentire aria pungente, come mai gli era capitato nelle stanze climatizzate della Corte, dove la temperatura era mantenuta costante ad un livello ideale, di giorno e di notte, d’estate e d’inverno. Era una sensazione così strana, che credette di stare sognando. Un sogno assurdo in cui un sicario lo uccideva, poi correva su ruote che non riusciva a vedere, anche se doveva essere morto, e poi si ritrovava, senza senso, all’esterno. Perché quella doveva essere la sensazione dell’aria esterna, questo l’aveva capito, in qualche modo. No, non poteva essere. Quindi, per esclusione, l’unico posto doveva essere...la Sala Decolli, che aveva una bocca rettangolare pronta, per le rare necessità, a sputare unità di decollo. Era ancora nel palazzo, poteva ancora...fare cosa? Non ne aveva idea. Finalmente, da qualche parte, trovò il coraggio di aprire gli occhi. le trame del telo che ricopriva il suo corpo era sottile e, se non avesse avuto la vista sfocata, avrebbe potuto vedervi attraverso. Le orecchie, tappate fino a quel momento, tornarono improvvisamente a sentire i rumori.

Sentì il rumore secco del portellone d’ingresso, forzato da quel tipo. Sentì le ruote del carrellino, lanciato dentro forse con un calcio dal sicario, che aveva sbuffato.

-Ma guarda se mi tocca pure portare la spazzatura ades...ma che cazzo?!- esclamò Duncan vedendo improvvisamente una figura scattare in piedi. Quel bastardo era ancora vivo. Pallido come fosse già cadavere, rantolante e con gli occhi sgranati, ma vivo. E si era avventato su di lui a sorpresa, riuscendo a sbalzarlo fuori dal portellone.

Il Successore non aveva mai sentito i nervi del suo corpo così tesi in vita sua. In preda all’adrenalina, si era mosso istintivamente, buttandosi sul portellone per cercare di richiuderlo. Spingeva con una forza che non immaginava di avere, sentendo la spalla, le braccia, le gambe, ogni parte del suo corpo contrarsi o tendersi, indurirsi in maniera quasi dolorosa. Spasmi. Non ne aveva mai avuti, ma temeva potessero essere qualcosa del genere. Persino respirare, avidamente adesso, dopo quella sensazione di non riuscirci, era doloroso. Malediceva mentalmente i suoi polmoni, che si gonfiavano minacciando quasi di spaccargli la gabbia toracica. Eppure era proprio quei polmoni che avrebbe dovuto ringraziare. Quei due organi un po’ più grandi, con quella manciata di spazio in più per il fiato che l’aveva fatto sopravvivere.

Di colpo sentì il sicario sbraitare come un ossesso che l’avrebbe ammazzato. Urlava come una belva dolorante, e solo dopo realizzò che doveva essere per il braccio che lui gli stava praticamente stritolando nello sforzo di chiudere il portellone. Quell’arto si agitava, le dita rattrappite per il dolore, ma con la rabbia furiosa, desiderosa di colpire. Alla fine però, Duncan fu costretto a ritirarlo, dato che non ci teneva a farselo mozzare da una porta d’acciaio.

-Vuoi giocare, figlio di puttana?- righiò Duncan, riafferrando la spranga che aveva usato per forzare il portello.

Topher si allontanò fino a poggiare la schiena contro la parete opposta del mezzo. Quel sicario avrebbe aperto la porta. L’aveva già fatto, ci sarebbe riuscito a breve. Doveva farsi venire in mente qualcosa, e in fretta. Un rumore sordo, metallico, lo convinse a scattare verso quella che era la plancia di comando. Aveva preso qualche lezione di volo, prima che i suoi impegni di Successore smettessero di lasciargli anche quel misero tempo libero. Non era mai uscito davvero, ma aveva imparato le nozioni teoriche e sapeva accendere quelle navicelle. Doveva tentare.

Quel tizio non poteva forzare un veicolo in movimento, giusto? Si avventò sui pulsanti senza nemmeno preoccuparsi di mettersi a sedere. Pulsante rosso, pulsante verde. Un piccolo schermo incastrato tra le pulsantiere segnalò l’avviamento dei motori. Sentì, attutito dalla spessa carrozzeria metallica, il rombo dei reattori che si mettevano in moto. Afferrò la cloche, estraendola dall’insenatura nel lunotto anteriore. Subito si sentì sbalzare indietro e si aggrappò con una mano al rivestimento plastificato del sedile per non cadere. Stava decollando. Stava scappando.

Quello stava prendendo il volo, accidenti! Duncan avrebbe avuto parecchie rogne, per una cosa del genere. Non solo la sua vittima era sopravvissuta, ma stava anche per sfuggire in modo così plateale...rischiava di essere ammazzato, altro che ricompensa milionaria! Doveva fare qualcosa in fretta. Il veicolo sembrava lanciato verso la bocca aperta nella rampa di lancio metallica. Correva sempre più veloce verso quel ritaglio di cielo.

Quella sala decollo, però, era anche la sala decollo dei mezzi militari. C’erano armi appese ai muri, che i soldati sbloccavano e portavano con se, prima di partire. Duncan si avventò sulla parete e, facendo leva sulle sue gambe, tranciando numerosi fili elettrici in quello sforzo, riuscì a sganciare un lanciarazzi. I guanti lo salvarono dall’essere fulminato e il sicario potè mettersi in posizione. Aveva usato quell’arma una volta, quando gli avevano commissionato l’omicidio di un militare durante un’esercitazione aerea. Dunque sapeva già dove mirare.

-Crepa.- sibilò mentre il proiettile gigante volava verso un punto ben preciso della carrozzeria argentata del mezzo. Lo inseguì fino all’esterno, dove il veicolo aveva iniziato a fluttuare in linea retta. Un’esplosione. Una vampata che si espandeva nel cielo di catrame come un fiore infuocato. Serbatoio andato. Si sarebbe schiantato in fretta.

 

 

 

 

Angolo di IMma

Azione, baby! Ormai avevo preparato abbastanza bene il terreno, e non avrei potuto esasperare la suspence più di così, dunque...eccoci qui. Topher scampato alla morte (almeno sembra...) finito però su un mezzo volante in avaria, pronto a precipitare giù nel mondo vero, fuori dalla Corte. Che succederà adesso? E il nostro cattivo Duncan? Come lascerà adesso il Palazzo? Si farà beccare? Un’intrusione nel Palazzo Governativo è un reato grave, inoltre qualcuno sa chi è e cosa è venuto a fare...

Questa volta le descrizioni sono leggermente meno accurate, quindi mi scuso in anticipo, ma desideravo starci nello “spazio narrativo” senza tagliare la scena d’azione, veloce e movimentata. Spero che la lettura non risulti confusionaria o fastidiosa. Come sempre fatemelo sapere con una recensioncina, o anche un messaggio privato.

Grazie di continuare a leggere i miei scleri.

Saluti

IMmatura

  
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