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Autore: JeanGenie    17/10/2008    1 recensioni
C'è chi pensa che l'unico posto adatto al Joker sia una cella imbottita in fondo all'Arkham Asylum. La dottoressa Harleen Quinzel non è della stessa opinione.
Rigorosamente ispirata al Nolan-verse. Prima pubblicazione: 15 Agosto 2008.
(ON LINE L'ULTIMO CAPITOLO E L'EPILOGO)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier, Quasi tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Terapia n°3
"Galanterie"

 

Men are so nice
Lays can be
He pleases me fine
Men are so useful
He's a flirt
Men are so useful
Reflection beauty
Men are so nice
He pleases me fine
Reflection beauty
Men are so useful

(Cocteau Twins, I wear your ring)

Harleen Quinzel ritrova il sorriso nella notte tra il lunedì e il martedì successivo, alle cinque di mattina dell'ennesima giornata che si prospetta coperta e piovosa. A strapparla ai suoi sogni popolati da maschere veneziane in abiti settecenteschi che le danzano intorno muovendosi in cerchio è un suono lontano.
È la sveglia, si dice nella semicoscienza, poi un barlume di ragione le fa riconoscere lo squillo del telefono. Allunga la mano verso il comodino e trova la cornetta a tentoni. La voce di Joan Leland all'altro capo ha un tono lugubre. Harleen promette di ucciderla se dovesse scoprire che l'ha svegliata a quell'ora per chiederle di nuovo i soldi per la tintoria, ricominciando con la solfa che le macchie di stufato sul camice hanno richiesto un trattamento extra.
"Quando ti scuserai per avermi dato della sgualdrina, oca e poco professionale."
"Non posso. È quello che sei."
In quel modo hanno raggiunto una sorta di armistizio.
"Harley, sono Joan. Stephen è finito in ospedale."
All'improvviso è perfettamente sveglia. Lo sa. Sa come è andata. Non nei dettagli, naturalmente. Ma non pensa automaticamente ad un incidente d'auto come farebbe di solito. Si ritrova a fissare il buio ad occhi sbarrati. Euforica. Euforica e colpevole. Perché i suoi pensieri sono orribili, e se ne rende conto. Ma questo non serve a farli smettere.
"Come…? Che è successo?" chiede. Vuole i dettagli. Vuole sapere perché Joan la sta chiamando a quell'ora.
"Non lo so di preciso. Ieri sera, quando tu eri già andata via, è sceso giù nel reparto di isolamento. Sembrava soddisfatto di come era andata la prima seduta. Non sappiamo nulla di preciso. Everton l'ha sentito urlare. Probabilmente ha tentato di passare qualcosa, forse un foglio, a quel pazzo, dal portaoggetti. Non chiedermi come, ma quel maniaco è riuscito a trascinare dentro tutto il suo braccio. Però… Dio, Harley, se ci ripenso mi sento male. Gliel'ha ridotto a una specie di hamburger crudo e a mani nude. Siamo in ospedale, adesso. L'hanno operato, ma quello che resta non potrà più definirsi un braccio. Adesso è in terapia intensiva… Harley… Everton ha detto che il Joker ha chiesto di te prima dell'aggressione. Chiede di te da due giorni…"
Sapeva anche questo. Come comprende che liberarsi di un ostacolo in quel modo non è nello stile del Joker. Deve essergli costato molto aggredire Connor senza la minima elaborazione. O forse si è sbagliata. Forse l'ha sopravvalutato e davvero non si tratta di altro che di un maniaco sanguinario.
"Il Joker è ancora in isolamento?" chiede.
Joan non le risponde subito, forse chiedendosi perché lei non suoni affatto empatica nei confronti della vittima. "No. È nella cella imbottita. Laggiù non poteva comunque restare. C'era sangue dappertutto. Harley, domani… stamattina… Arkham ci dirà cos'ha deciso. Sembra che non voglia la responsabilità di quell'individuo. Ci sarà la polizia, comunque. È probabile che faranno delle domande anche a te."
Domande. E quali risposte vorrebbero? "Sì, lo considero pazzo. Sì, lo dichiarerò in aula. No, non ha nessuna cotta per me. Sono solo chiacchiere. Davvero ha chiesto di me? E allora? Non penserà che abbia aggredito Connor perché voleva me come medico? In questo caso, commissario, non crede che sarebbe meglio assecondarlo? Per tenerlo tranquillo fino al processo. Prendendo tutte le precauzioni del caso, ovviamente."
"Ho capito. Ti ringrazio, Joan" le dice, cercando di fare in modo che dalla sua voce non traspaia il sorriso che le è appena apparso sulle labbra.
Saluta la collega, la ringrazia di nuovo e poi si getta sul frigorifero in cerca di una birra. L'ultima rimasta. E vecchia di sei mesi. Harleen preferisce le bibite, ma quella notte, quella mattina, ormai, ha bisogno di qualcosa di alcolico. Perché le fa paura il pensiero che il Joker sia stato estremo e magnifico. Si siede contro la finestra e osserva la periferia addormentata. Sembra tutto così tranquillo. La feccia notturna si sta ritirando. La gente onesta non si è ancora svegliata. Non c'è nessuno a farle compagnia. Ha paura di quello che la aspetta tra qualche ora. Sa che se gioca bene le sue carte potrà finalmente rivederlo. Desidera rivederlo, nonostante quello che è accaduto. Ed è questo che la terrorizza.

Harleen Quinzel dice alla graziosa agente Renée Montoya tutto quello che vuole sapere. Che ha parlato con il Joker solo una volta, che non era presente al momento dell'aggressione e che è davvero sconvolta per quanto è accaduto. Non le dice della rosa e del biglietto. Certe cose una ragazza deve tenerle per sé. E quando, dopo averle fatto firmare la sua dichiarazione, Montoya se ne va con il suo bel musetto e il resto degli uomini, lei si sente carica di adrenalina e pronta ad affrontare di nuovo Arkham, spingendo sull'unico pedale in grado di accelerare la corsa.
"Sarebbe come ammettere un totale fallimento, dottor Arkham. E a quale scopo? Se lo dichiariamo in grado di intendere e di volere senza aver avuto il tempo di studiare il suo caso, non crede che potrebbe rivelarsi un precedente imbarazzante?"
Il vecchio sembra più incartapecorito del solito. Probabilmente non chiude occhio da quasi trentasei ore. Meglio così. La stanchezza lo rende debole. E anche i suoi colleghi non hanno voglia di protestare ma si limitano a guardarla con rancore e rassegnazione. Lo vogliono tutti lontano da lì, esattamente come Arkham. Ma Arkham possiede uno smisurato orgoglio, ed è quello che Harleen deve continuare a pungolare.
"Dottore, mi lasci tentare, la prego." Lo sguardo supplice può tornare utile. La mummia è pur sempre un uomo e nessun uomo può rimanere di ghiaccio di fronte a due occhi azzurri e languidi.
"Non so, Quinzel…" Il grande capo si massaggia le tempie. Harleen capisce che ha un disperato bisogno di riposare. "Non posso mettere a rischio altri elementi del personale…"
"Nemmeno se dichiarassi formalmente di sollevare l'Asylum da ogni responsabilità per qualunque cosa dovesse accadermi da questo momento in poi? Se fallissi, la colpa sarebbe solo mia. Se invece tutto andasse liscio, potrebbe annoverarlo tra i nostri successi."
La tentazione è forte. Arkham cederà. Questione di attimi. Neanche il tempo di contare fino a dieci. Ma è ben oltre il venti che alla fine la asseconda e lei si sente la testa leggerissima. È meraviglioso. Se il vecchio si fosse comportato in modo ragionevole da subito si sarebbero risparmiati tutta quella baraonda. Adesso la carta migliore, un jolly colorato e sorridente, è saldamente nelle sue mani.
"Un'ultima cosa, dottor Arkham. Voglio carta bianca sulla questione, libertà assoluta di movimento e pieno potere decisionale."
È un azzardo. Sta rischiando di perdere tutto. Ma quando la posta è così alta ritirarsi è da vigliacchi.
"Non tiri troppo la corda, Quinzel. Dovrà presentarmi un resoconto dettagliato dopo ogni incontro con il paziente. E non dovrà farlo avvicinare al resto del personale, con l'esclusione degli inservienti addetti alla sorveglianza. Non dovrà inoltre farlo interagire con gli altri ospiti del nosocomio."
Così poco? Ma allora è perfetto.
Harleen finge di riflettere. In realtà vorrebbe solo mettersi a urlare per la contentezza. "Va bene, dottor Arkham. E, qualunque problema dovessi riscontrare, vorrei avere il suo benestare per venire da lei a chiederle consiglio." Le lusinghe sono un'altra delle cose che deliziano Arkham. Soprattutto se qualcuno è a conoscenza dei suoi timori e dei suoi scheletri nell'armadio. "Le prometto che non succederà nulla di simile al caos dello scorso anno, quando ha concesso troppa fiducia a Jonathan e questo posto ha finito per diventare un museo degli orrori nel giro di pochi mesi."
Ad Arkham non piace che venga ricordata quella storia. La gente impazzita, l'isola chiusa, la polizia ovunque, i pazzi in libertà e le allucinazioni di massa. Sarebbe più felice di credere che Jonathan Crane sia stato niente altro che uno dei pazienti, acchiappato al volo da Batman dopo nove mesi di latitanza e rimesso in sesto a tempo di record per fare in modo che la gente si dimenticasse di lui. Il suo prezioso pupillo. Quante volte l'aveva ripetuto, Arkham? Il suo erede. L'unico in grado di liberarlo dal carico delle responsabilità che iniziavano a farsi troppo pesanti. E il suo gas tossico. I suoi esperimenti sulla paura. Tutto sotto il suo naso. Harleen non riesce a credere neppure per un attimo che Arkham non sapesse nulla, anche se la polizia lo ha sollevato da ogni accusa di coinvolgimento per quanto accaduto nei sotterranei dell'ala nord, dove nessuno avrebbe dovuto mettere piede da anni. A lui hai concesso il potere assoluto sul tuo piccolo mondo, e ti ha tradito nel modo più meschino. Io ti chiedo solo qualche ora con il Joker. E gradirei che non facessi storie. Anche questa volta il giochetto funziona. "Buona fortuna, Harleen" le dice.
Lei accetta l'augurio. Ma sente di non averne bisogno. La sua fortuna l'ha già incontrata, ed è rinchiusa in una stanza dalle pareti imbottite due piani più sotto.

Quando finalmente il dossier sul caso Joker arriva fra le mani di Harleen Quinzel, lei lo legge attentamente, pagina dopo pagina, sorseggiando il suo caffè e resistendo alla tentazione di frugare fra quei fogli in modo forsennato, alla ricerca di chissà quale rivelazione. Se solo avesse avuto sotto mano tutto quel materiale, un anno prima, avrebbe potuto sviluppare un progetto più ampio invece di limitarsi ad un misero articolo di due colonne. Ma recriminare non serve. Un anno prima il Joker non era ancora diventato il fenomeno sociale che è ora. E non aveva ancora dato il meglio di sé. Mentre, proprio ora, al culmine della sua vita turbolenta e criminale, subito dopo essere caduto in trappola, è a sua completa disposizione. E lei può farne ciò che vuole.
Fogli bruciacchiati. Altri nuovi di zecca, inviati dall'archivio centrale. Perché il commissariato, la notte della cattura e della fuga del Joker, è stato sventrato da una bomba e del rapporto originale resta ben poco. Harleen trattiene un conato leggendo della bomba. È un medico, dopo tutto. Dovrebbe ragionare in termini di funzioni organico/meccaniche. Sembra. Si dice. Quelli che l'hanno vista da vicino… pelle, cuciture, carne, display, suono… hanno reso l'anima al momento della detonazione. Una mente malata. Ma non credeva che lo fosse tanto. La concezione di una simile strategia d'evasione è geniale e spaventosa. Una cattura voluta, secondo il commissario James Gordon. Forse è vero che, se il Joker si trova in un determinato posto, è perché lo vuole. Vale anche per Arkham? La sola idea le fa venire i brividi. Meglio pensare che Gordon e il Pipistrello siano semplicemente stati più furbi di lui.
È strano vederlo imbronciato nelle foto segnaletiche, il trucco sfatto, l'espressione di un clown stanco che ha appena chiuso lo spettacolo. Non gli hanno neppure ripulito la faccia prima di mettergli in mano un cartello con un numero che lo identificherà per sempre come un elemento pericoloso.
Meglio non vedere cosa c'è sotto il cerone, non è vero, commissario? Potresti renderti conto che si tratta di un uomo come te.
Abiti di sartoria. Un gusto alquanto discutibile per i colori. Il resto è nulla. Non ha un nome al quale si riesca a risalire. Le sue impronte non erano nella banca dati. Età approssimativa trent'anni. Segue una serie di voci che riportano la stessa dicitura: sconosciuto, sconosciuto, sconosciuto.
Un anno fa praticamente non esistevi. Da dove sei saltato fuori, Mr. J?
Dovrà procedere a ritroso per scoprire da dove sia scaturita la sua lucida follia. Sarà un percorso lungo e non potrà certo farlo nel breve periodo che le resta prima del processo. Ma il tempo non le manca. Il Joker non uscirà tanto presto da Arkham.
Che ne dici, pazzo clown prigioniero, ti piace la tua nuova casa? Non è amena? Non è luminosa e accogliente? A me fa venire ancora gli incubi, dopo tutto questo tempo.
Resisterà? Harleen ne dubita. Uno come lui non è abituato a stare in gabbia. Uno come lui ha bisogno di spaziare e muoversi nel suo personale parco giochi rappresentato da Gotham. Ma non sono i suoi desideri a contare. Harleen capisce improvvisamente che sarebbe disposta a farsi ammazzare piuttosto che lasciarlo andare. Perché anche lei ha un parco giochi al quale non vuole rinunciare, e si tratta della sua mente.

Dopo la terza sigaretta di fila, Harleen Quinzel trova in sé la forza sufficiente per testare il nuovo potere che le è proprio. Il sole sta tramontando e nel parco dell'Arkham Asylum il freddo ha deciso di presentarsi con forza virulenta.
Presto arriverà il personale del turno di notte. Lei non ha ancora intenzione di tornare a casa. Tre incontri. Tre incontri prima che il Joker le riveli i suoi segreti. È il tempo che si è data. E vuole cominciare a sfruttarlo immediatamente.
Niente paura. Se ti mostri intimorita è la fine.
Le celle imbottite sono nella nuova ala. Odorano ancora di vernice nonostante la ricostruzione sia terminata da mesi, dopo che tutto è saltato in aria. Ormai resta ben poco dell'edificio originale fatto costruire da Amadeus Arkham ampliando la propria residenza. Perfino i Beni Culturali hanno versato qualche lacrima.
Ce ne sono a dozzine di storie lugubri sull'Asylum e risalgono a ben prima che Jonathan perdesse la bussola. Nei quasi due anni trascorsi lì Harleen ormai le ha imparate a memoria. Elizabeth Arkham, Constance Arkham, Cane Pazzo Hawkins. Ma non ha mai incontrato i loro spettri né udito i loro fantasmatici passi nei corridoi. Nonostante questo, odia il turno di notte. I pazienti non dormono. Non tutti. Alcuni di loro bisbigliano, altri urlano come bestie affamate.
Si chiede se almeno lui dorma sonni tranquilli. Tirando le somme dei dati contenuti nel dossier, dimostra di avere una personalità iperattiva. Non la stupirebbe scoprire che non ha bisogno di più di due o tre ore di sonno per notte. Non è così che si impazzisce, J?
L'inserviente la guarda in modo perplesso quando gli fa aprire la cella. "Per qualunque cosa, dottoressa, esca immediatamente. Io la terrò d'occhio."
Lei annuisce distrattamente. Il timore è sparito lasciando il posto a una frenetica euforia di fronte a quella figura gettata in un angolo e imprigionata nella camicia di forza.
Uno sguardo obliquo, seminascosto dalle ciocche disordinate è quello che le concede, per regalarle di nuovo la sensazione di finire imprigionata in un groviglio di filo spinato.
"Harley-quin, sei in ritardo. Non è educato far aspettare un uomo al primo appuntamento."
Evitare di dargli corda finché non calca la mano. Se questo è quanto può proporre non sarà complicato. Se solo riuscisse a far sparire il gelo che sente nelle ossa…
Prova il bisogno di schiarirsi la voce, ma sarebbe un minuscolo gesto sbagliato. "A quanto sembra, ha deciso di comportarsi da paziente indisciplinato."
Ancora quello sguardo fisso, annoiato, quasi impietosito. La domanda muta le arriva forte e chiara: È di questo che vuoi parlare, Harleen?
"Stavo aspettando te, dottoressa. Mi hanno mandato un signorino allampanato, scuro come il carbone, con le mani troppo sottili e il nodo della cravatta mal fatto. Io non sopporto la sciatteria nel vestire, Harley-quin. A questo proposito, gradirei riavere la mia camicia. Quella fornita dall'albergo è scomoda e di pessimo taglio."
C'è qualcosa oltre le sue frasi banali, oltre la leggerezza che usa nell'esprimersi. È nella sua voce bassa e distorta, eppure bizzarramente armonica nella modulazione. Emerge dalle sue viscere, non solo dalla sua gola. È un organo vitale del suo corpo. Deve solo capire se il timore che incute in chi gli sta di fronte sia una cosa voluta o scaturisca da lui senza alcun artificio.
Ma lui è un artificio. Non esiste neppure al di là della sua maschera.
Gli si avvicina di due passi. Non potrebbe comunque farle nulla, immobilizzato in quel modo. ma non riesce a non immaginare il braccio di Connor ridotto in poltiglia.
"Temo che questo non sia possibile. Dal momento che dovrò occuparmi di lei, ci terrei a non finire in un reparto di terapia intensiva come è successo al mio collega. Intanto potrebbe facilitarmi il compito dicendomi il suo nome. Non posso continuare a riferirmi a lei come a Mr. J."
Le labbra si distendono. Il sorriso fa la sua comparsa. E di nuovo non lascia scampo.
"Harley. Non così. Ora, il copione mal scritto prevede che io ti risponda che puoi darmi il nome che preferisci. Ma sarebbe un azzardo. Potresti scegliere per me qualcosa di assolutamente banale, come Charlie o, peggio ancora, Jack. Vieni più vicino."
Lo schema non sta funzionando. È lui ad avere la chiave di lettura. Ed è sbagliato.
"Bene, Mr. J. Se preferisce così."
Assassino, terrorista, pazzo, criminale, sadico. Questo e molto altro in quell'angolo. Si chiede cosa succederebbe se gli liberasse le mani. C'è uno scopo in quello che fa? E quale sarebbe per la mia uccisione? O mutilazione… Che cosa vuole? Quali sono le sue aspettative attuali?
Gliene viene in mente soltanto una. Fuggire da Arkham.
Si siede al suo fianco tentando di celare la propria agitazione. Rischio. La guardia, là fuori, la sentirebbe urlare e arriverebbe in tempo. Forse.
"Da domani sarò solo io ad occuparmi di lei, Mr. J. A decidere ogni suo movimento. Suppongo che sia quello che voleva, o sbaglio? Vorrei sapere perché."
Non lo guarda in faccia. Tenta perfino di dimenticare quale sia la sua faccia.
"Mi porterai il caffè, mi accompagnerai a fare la doccia e mi rimboccherai le coperte, Harley?"
I suoi capelli e poi la sua fronte scivolano sulla sua spalla. Harleen resta immobile. Se scappasse adesso non potrebbe più tornare indietro.
"Harley, acuta Harley. Se ti voglio qui un motivo c'è. In quanti te l'hanno detto? 'È probabile che tu gli piaccia', 'È probabile che tu abbia suscitato le sue fantasie malate', non è così, Harley? Ma io e te non siamo come loro. Non siamo così in basso. Io voglio qualcuno che capisca il senso di una gag senza doverglielo spiegare. Merce rara, l'umorismo, a questo mondo. Tu ce l'hai. Sui tuoi documenti, all'ufficio anagrafe, sulla tua persona. Harlequin. Il tuo solo nome fa apparire un sorriso sulla mia faccia, vedi?"
Pamela. Joan. Il dottor Arkham. Una girandola di voci che ripete frasi sull'infatuazione del mostro.
Io non sono Arlecchino, Mr. J. E non mi lascerò usare da te. Stai sbagliando, Mr. J. Ti tengo stretto nel mio pugno.
Domani gli chiederà della rosa. Non le piace l'idea che ad Arkham qualcuno si muova per lui. Non mi piace…?
"Pensa di potersi fidare di me, Mr. J? In modo genuino, intendo. Perché sono io a decidere della sua sorte. Tra follia e sanità."
Un sussurro sincopato. "Io non sono pazzo. No. Sono solo un gradino al di sopra dei loro schemi e li guardo da lì. Per questo faccio paura. Perché ho tutto quello che a loro manca e che desiderano. Niente. Da perdere e da volere. Ma tu non hai paura, vero, Harley? Saremo soli, Harley? Completamente soli? Perché potrei volerti dire cose destinate solo a te. Segreti."
La stanchezza arriva improvvisa. Vorrebbe chiudere gli occhi, abbandonarsi contro quella parete morbida e dormire. Si sveglierebbe al mattino con la sua testa ancora appoggiata sulla spalla. È più di un anno che ti sto aspettando. E arrivo al traguardo esausta.
"Sei stata la prima a parlare di me in termini di malattia mentale, Harley-quin. Questo non è carino. No, è carino che tu abbia parlato di me. Sì, quello è carino. Ogni tanto anche un artista di strada come me ama sentirsi una stella, sai? Ogni tanto. Va bene. Spesso. Io amo essere una stella, Harley. Ma se avessi parlato del mio estro artistico e creativo invece di puntare il tuo piccolo dito contro il mio cervello… che funziona benissimo, sai? Anche troppo per i vostri mezzi limitati, povera Harley."
Harleen resiste alla tentazione di scusarsi. Il vecchio articolo di una giovane internista sulla presunta schizofrenia del nuovo rapinatore di banche sulla scena criminale di Gotham. Ora tutto diventa più chiaro. Lui ha sentito il suo nome pronunciato da Arkham. Il resto è stato un gioco.
E va bene. Sono disposta a stare ai tuoi scherzi.
Rabbia repressa? Desiderio di vendetta? Per così poco? Quanto può amplificare un singolo dettaglio la sua megalomania? È su questo che si basa la loro reciproca comprensione?
Ci tieni a dimostrarmi che non sei pazzo, Mr. J?
È quello il punto da cui dovranno partire. Due colonne su una rivista medica a tiratura locale. Il desiderio di una ragazza di trovare finalmente 'il pazzo dei suoi sogni'. Il pazzo che ora desidera la sua presenza. Ne capirà davvero il motivo solo sopravvivendo ad ogni incontro.
"Harley-quin e i suoi occhiali e la sua aria seria e il suo camice. Tutte cose di cui Harley-quin non ha bisogno. Ti farò ridere, vedrai. Ridere, ridere e ridere sempre di più fino a farti soffocare."
Forse. Forse sì. E sarà bello. Non vede l'ora. Tutto pur di far tornare le cose come erano fino a un momento prima. Paura. Entusiasmo. Desiderio. Può riprenderseli. Lui è ancora suo. Non importa quali motivazioni nasconda. E torna la ferma consapevolezza che l'ha già attraversata. Morirebbe piuttosto che mollare la presa su di lui. Dovrà colpire, farla a pezzi, annullarla. Non potrà liberarsi di lei in nessun altro modo. Harleen ride, in preda a una piacevole vertigine. È tutto a posto. Sa che questo a Mr. J piace. È una persona semplice, in fondo.
"Sì, saremo soli. Completamente soli."


Beautiful hands us no way lies a means of love

Men are so nice
On sounds and guard the stone, and bed had a law
He pleases me fine
Answers written and I reason
He pleases me fine
In the reign of sex, blown more than it's pleased to be
Fine, fine
He's a beauty affection

(Cocteau Twins, I wear your ring)


Note

1) Renée Montoya: della squadra omicidi, detective. Qua l’abbiamo degradata. Amore mai ricambiato di Due Facce che, vistosi respinto (chissà perché, con quel bel faccino…), gliene combina di tutti i colori. La più carina è dichiarare in pubblico che Montoya è lesbica e farla ripudiare dalla religiosissima famiglia. -_-‘
2) Martin ‘Mad Dog’ Hawkins. Indovinate un po’ chi massacrò ai bei tempi la moglie di Amadeus Arkham, Constance, e la figlioletta? E indovinate un po’ chi fu massacrato a sua volta da Amadeus che finì per questo rinchiuso nel suo stesso manicomio? Che bella famiglia, e che atmosfera piacevole in quel posto… Meno male che il Joker ha portato una ventata di allegria.
3) Tutti vogliono Veronica Mars e Veronica Mars sia. Ho licenziato Darla. Tanto ormai aveva troppe rughe per fare Harley. (Tra l'altro ieri sera in "Heroes", Kristen Bell, nel ruolo della psicopatica assassina, sembrava davvero Harley in vacanza.)


   
 
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