Anime & Manga > Lupin III
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Autore: ThiefOfVoid    23/10/2014    3 recensioni
"Cinque giorni di coma e due arresti cardiaci più tardi mi risvegliai e il mio caro zio, arrivato alla velocità della luce da Tokyo per starmi vicino, mi convinse in qualche strana maniera a lasciare la mia brillante carriera da diagnosta per arruolarmi nell’Interpol. Tre mesi dopo essere stata dimessa lasciai il camice bianco per una divisa. [...] Ho le idee chiare, devo e voglio lasciare l'Interpol"
Un'hacker alle prese con la sua prima missione sotto copertura per conto dell'ICPO. Saprà rimanere distaccata o si lascerà trasportare?
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jigen Daisuke, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Resto in stato comatoso a sonnecchiare per circa cinque minuti dopo il suono della sveglia. Alla fine l’abbiamo fissata per le quattro e mezza. Non sto qui a comunicarvi la mia gioia, qualsiasi cosa è più mattiniera di me. Arrivando in cucina noto un post-it sul frigorifero. “Visto che non ho intenzione di alzarmi presto per solidarietà vi auguro buon viaggio. Guarda il lato positivo Alexis, almeno non dovrai scontarti con me per il caffè. Lupin” che ho fatto di male per meritarmi di conoscere uno come lui che a volte prenderei a schiaffi? Non importa, mi aspetta una prima settimana di vivo lavoro nella sua banda, il primo passo verso il cambio di schieramento. Cioè…ormai non è più il primo passo, ma ci siamo capiti. Mi prendo una tazza e mezzo di caffè latte senza mangiare niente, a quest’ora ho lo stomaco chiuso, mi rifarò al bar dell’aeroporto. Dedico altri dieci minuti scarsi al processo di riesumazione dal coma del mio cervello e mi cambio. E poi arriva Jigen, che nonostante l’ora è fresco come una rosa…mentre io sembro uno zombie appena resuscitato che si sta chiedendo che diavolo ci fa ancora ‘in vita’. Non mi spiego come sia possibile questa cosa, ma tralasciamo. Lo so che può sembrare assurdo, ma la prima cosa che faccio quando arriviamo in aeroporto è quella di fiondarmi al bar a prendere una ciambella al cioccolato. Sono fatta così, io e il cibo non abbiamo mai avuto problemi di convivenza. Dopo un’eternità al check-in e controlli vari provo a prendere sonno in aereo, come al solito con risultati più che scarsi. Così finisco per scoprire che Jigen ha vissuto ad intermittenza a Chicago, questo non era scritto nel suo file. A volte Gavez lo mandava, diciamo in ausilio, a lavorare per alcuni boss mafiosi di Chicago che erano suoi alleati. Ci sono state volte in cui ha passato un intero anno nella città che ospiterà il nostro prossimo colpo. Forse il fatto che passeremo una settimana da soli in uno degli scenari che ospita il suo passato farà emergere qualcos’altro che io non so. Se fosse per me e se non avessi pietà lo avrei già tartassato di domande, ma so cosa vuol dire quando la gente cerca di rievocare il tuo passato quando non vorresti saperne più niente. Prima ti innervosisci, ma poi ti ritrovi improvvisamente ad essere più che giù di morale. A questa mia considerazione mi ritrovo a vagare con la mente fino nei meandri più oscuri. Alla parola passato ripenso subito ai miei cari che ho perso a causa del cancro e a mio padre, vittima della crudeltà della malavita. E’ senz’altro per questo che non mi sono specializzata per diventare oncologa. Ma forse avrei potuto scegliere una strada ben diversa da diagnostica. Mi sento stringere all’improvviso la mano. Mi volto verso Jigen. La tesa del cappello lascia appena intravedere uno sguardo preoccupato.

“Qualcosa non va?”

“No, sta tranquillo”

“Non sai mentire, o meglio, non sai mentirmi”

Gli stringo leggermente la mano, presa da un sentimento misto fra il senso di colpa e il pentimento “A volte penso che avrei fatto meglio a scegliere di diventare ricercatrice piuttosto che diagnosta. Forse avrei fatto meglio a fare il percorso adatto per riuscire ad essere inserita nel programma di ricerca contro il cancro. Forse non avrei dovuto trascurare il mio coinvolgimento personale, mi avrebbe dato la giusta grinta visto che ci sono stati ben cinque casi in famiglia. Se davvero ho delle capacità come dici tu, cosa di cui dubito, forse le cose sarebbero diverse, magari avrei potuto lavorare su una particolare teoria che avrebbe portato la ricerca più vicina ad un cura…e invece sono andata a diagnostica, che idiota”

Mi accarezza dolcemente il viso, riuscendo così a farmi dimenticare i miei pensieri negativi “Hai curato una mia ferita mentre flirtavo con te e sei riuscita ad operarmi a sangue freddo e con grande professionalità nonostante il nostro legame, se questo non è avere capacità…e poi hai pur sempre salvato delle vite, nemmeno poche a dire la verità”

E’ solo grazie a lui se recupero il mio buon umore. Mi ero portata un libro da leggere in aereo, ma non lo tiro nemmeno fuori. Passo praticamente tutto il viaggio ascoltando musica jazz insieme a Jigen. Erroneamente mando in riproduzione 45 degli Shinedown. Sto per stoppare la canzone, ma mi ferma dicendomi che vuole capire perché sono così fissata con questo pezzo. Credo che arrivi facilmente alle sue conclusioni attraverso il testo, e forse pensa anche lui che si adatta molto bene al suo passato. Ho l’impressione che questo gli stia riportando alla mente spiacevoli ricordi, per non parlare del fatto che passerà circa una settimana e mezzo in una delle città che racchiude alcune fra le sue esperienze spiacevoli. La cosa mi preoccupa, non vorrei che tutto questo comprometta il suo umore, non voglio che i suoi demoni si ripresentino all’improvviso e in malomodo. E’ devastante quando succede una cosa del genere, perché non sei pronto.
L’atterraggio a Chicago è tranquillo e puntuale. Il volo mi ha stancata un po’, ma ho subito voglia di fare un giro per la città, per cominciare a conoscerla prima di iniziare il lavoro. Ci sono alcune piccole cose che mi ricordano New York, forse i grattacieli in modo particolare, non è male come città, ma niente è come la Grande Mela. Certo, forse sono di parte, ma non posso farci niente, è pur sempre casa mia. Finiamo nel Jazz Club ha frequentato quando ha vissuto qui saltuariamente. Prendo quel maledetto Dry Manhattan che voglio da ieri e finisco improvvisamente a pensare ai giorni di addestramento per entrare nell’Interpol. Ho esasperato il mio insegnante di tiro perché non ne volevo sapere di usare un’automatica. Non sparavo con nessun’altra pistola se non con la magnum che mio padre mi ha lasciato. Ricordo un giorno in cui lo zio Koichi venne a trovarmi all’inizio di una lezione di tiro, arrivò proprio mentre il mio insegnante mi stava rimproverando e continuava a ripetermi che non avrei mai potuto usare un revolver in servizio perché non era sicuro, a causa del fatto che bisogna ricaricare di continuo. Mio zio in quel momento disse che se mi trovavo meglio con una magnum e se riuscivo a ricaricare in fretta avrei potuto benissimo rinunciare all’automatica anche in servizio. Alla fine l’intera classe si fermò, e dopo una lunga discussione dimostrai che riuscivo a rispettare i tempi minimi richiesti dall’addestramento anche avendo da ricaricare così spesso. A dirla tutta ero anche riuscita a battere il record del mio insegnante, sia a livello di punteggio che a livello di tempo. Ancora oggi nessuno in accademia è riuscito a battere il mio record. A volte i giovani agenti vengono da me per chiedermi di aiutarli a migliorare velocità e precisione, ma ho una vita un po’ troppo impegnata per farlo, fra la scientifica e alcune collaborazioni con la squadra omicidi ho sempre da fare. Come se non bastasse le giovani reclute dovranno rassegnarsi ora che ho intenzione di cambiare vita. Se potessi raccontarlo a Jigen direbbe che sono incorreggibile, cercando di nascondere un sorriso estremamente dolce. Ma visto che ancora non ho il coraggio di dirgli che sono un’agente dell’ICPO non posso farlo. So che è malsano continuare a rimandare, eppure non riesco a cancellare questa paura che ho di dirgli la verità. So che più il tempo passa e più cresce il rischio che se la prenda. Quando torniamo in hotel mi addormento quasi subito, ma non è un sonno tranquillo. Ad un certo punto, senza un motivo apparente, mi ritrovo sotto una pioggia incessante. Non capisco se è sogno o realtà, ma non ho un bel presentimento. Compare gradualmente New York intorno a me. Dev’essere sicuramente un sogno, o un incubo. L’atmosfera è quasi opprimente, odio vivere questo tipo di sogni in prima persona. All’improvviso sento la voce di Jigen. Mi giro da ogni parte, ma non lo vedo. Quello che dice poi non è affatto rassicurante, è la mia paura più grande al momento che diventa realtà, o meglio sogno.

“Perché non me lo hai detto prima? Avrei capito e avrei ignorato la cosa, perché è ovvio che ci sia un motivo legato al fatto che non fai rapporto. Ma no, tu hai aspettato che fossi io a scoprirlo da solo. Il problema non è che tu faccia parte dell’Interpol, il problema è che a quanto pare non ti fidi di me come dici, perché se fosse vero saresti stata tu a dirmelo già tempo fa”

Sento improvvisamente freddo e una fitta al petto. Lo cerco di nuovo e quando lo trovo lo vedo allontanarsi verso la Statua della Libertà, non molto nitida a causa delle nuvole e della pioggia fitta. Le lacrime si confondono con le gocce di pioggia. Un attimo dopo l’atmosfera cambia. Sono ai piedi della Statua della Libertà, è notte fonda e il cielo è velato. L’unica luce che c’è è quella dei fari di alcune auto, parcheggiate a formare un mezzo cerchio. Mi avvicino e noto che sono tutte auto nere, tutte uguali. Guardando meglio noto dei sicari, sia a bordo delle vetture che vicino ad esse. Spostando lo sguardo vedo Gavez e Riez da una parte, e di fronte a loro mio padre, ferito, in ginocchio e con i polsi legati. Nessuno sembra accorgersi di me, è come se fossi uno spettro. Sia Gavez che Riez hanno un sorriso odioso e quasi psicopatico stampato in faccia. All’improvviso non vedo più niente, sento solo i colpi di una mitragliatrice. Mi sveglio di scatto, con il fiato troncato a metà da un singhiozzo e alcune lacrime che ormai hanno quasi raggiunto la metà delle guance. Vengo travolta da una crisi irrefrenabile di pianto, una di quelle che mi colpiscono e che mi impediscono di ascoltare le persone e di rispondere a delle loro eventuali domande. In questi casi è come se non potessi ragionare. Quando mi calmo mi trovo con la fronte appoggiata al petto di Jigen e sento le sue dita fra i capelli, non so esattamente quando tutto questo sia successo, non ho sentito nessuna delle sue domande. Ero così concentrata su quell’incubo distruttivo che non mi sono accorta di quello che mi stava succedendo.

“Sta calma, va tutto bene adesso, è tutto finito” Ho pianto così tanto e così violentemente che ho il respiro affannato, la gola dolorante ed è come se mi stessero andando a fuoco gli occhi “Che ti è successo?”

Il suo abbraccio riesce a calmarmi completamente. Rendo di nuovo regolare il mio respiro e poi gli spiego tutto, omettendo ovviamente la prima parte del mio incubo “Erano anni che non mi capitava una cosa del genere. Ho visto tutto, le auto disposte a mezzo cerchio con i fari puntati verso mio padre, Gavez e Riez davanti a lui ad alcuni passi di distanza…e poi tutto si fa poco nitido e l’unica cosa che riesco a sentire è quella dannata mitragliatrice” piangerei ancora se avessi ancora lacrime da versare. A volte è tremendo non potersi sfogare, senti la tristezza che ti corrode, ma non puoi buttala fuori.

Mi stringe più forte a se “Avrai anche perso tuo padre, ma ti prometto che non perderai me”

Mi stringo più forte a lui, un po’ rassicurata e un po’ terrorizzata. Continuerà a pensarlo e a dirlo anche quando gli dirò dell’Interpol? Ce ne stiamo lì, stretti l’uno all’altra, senza parlare per un po’, fino a che non ci addormentiamo di nuovo.
Mi sveglio sentendo la sveglia impazzita e lo scroscio d’acqua della doccia. Non penso subito a ciò che quel rumore comporta. Visto che siamo solo in due in questa stanza d’albergo e mi sono appena svegliata dev’esserci necessariamente Jigen sotto la doccia. Dopo un momento focalizzo meglio la cosa, per poi ritrovarmi a sclerare silenziosamente. Nonostante questo però sono ancora assonnata, perciò rimango stesa ancora un po’. Ho pur sempre avuto uno dei peggiori incubi della mia vita la notte scorsa, e ho alle spalle due lunghi viaggi in aereo distanti poco più di due giorni l’uno dall’altro. Una parte di me sta male ripensandoci, ma l’altra riesce a trovare una ragione per non stare male. Nessuno oltre mio zio era riuscito a farmi riprendere così bene e così in fretta da crisi come quelle. Il primo anno a Tokyo, fra i 15 e i 16 anni, è stato orribile sotto quell’aspetto. Avevo lo stesso incubo ogni sera. Rivedevo ogni notte la morte di mio padre, o meglio il modo in cui il mio cervello se la immaginava. L’unica differenza da allora è che prima vedevo solo Gavez e una figura maschile non identificabile, mentre ora invece di quell’uomo senza identità vedo Riez. Non è facile aiutarmi a affrontare le crisi perché non è facile capirmi. Sono complicata perfino in quello. Se mi si fa domande a raffica in quei momenti non si ottiene niente, anzi, si peggiora quasi le cose. Fino a che la crisi non diminuisce un po’ d’intensità ho bisogno di sentire che non sono sola ad affrontare la cosa. E’ questo il punto chiave. Quando mio padre era vivo non mi capitava spesso, ma lui e lo zio Koichi erano gli unici che riuscivano a darmi il coraggio di andare avanti e sorridere nei momenti difficili. Era incredibile il modo in cui sembravano essere nella mia testa. Fino a poco tempo fa cedevo fossero gli unici, ma ora mi sono ricreduta. Comunque…ho gli occhi socchiusi e lo sguardo perso fuori dalla finestra, a contemplare la bella giornata estiva che c’è fuori. Sentendo la sua voce porto lo sguardo al punto da cui proviene, e rimango praticamente ipnotizzata da ciò che vedo. Se ne sta lì, poco lontano da me, con uno degli asciugamani dell’hotel in vita mentre con un altro si asciuga i capelli.

“Tutto ok?”

“Se non ti metti addosso qualcosa di più di un asciugamano non per molto” appena mi rendo conto di ciò che ho detto arrossisco all’improvviso, anche se non ha molto senso.

Si avvicina e mi bacia. Istintivamente porto la mano vicino alla sua clavicola, sfiorando leggermente alcune cicatrici, ha la pelle ancora umida. Se fosse per me non mi staccherei più “Sicura di volerlo davvero?”

Quello sguardo…mi toglie il respiro ogni volta, come se non bastasse il momento per farmi venire i brividi. Dopo colazione usciamo e cominciamo a lavorare. Fra pochi minuti due guardie cominciano il turno, lo so perché ho spiato la vita della banca infiltrandomi nel sistema di video sorveglianza, controllando le registrazioni del mattino. Al loro arrivo li seguiamo all’interno. Appena ci è possibile addormentarli e legarli senza farci notare agiamo e ci prendiamo le loro uniformi. Teniamo i cappelli bassi, così che riconoscerci sia un po’ meno facile ed entriamo tranquillamente nella sala di controllo. Ci affidiamo di nuovo a del gas soporifero, così che io possa lavorare tranquillamente senza che nessuno riesca a vedere sullo schermo ciò che sto facendo. Jigen mi copre le spalle, rimanendo alla porta. Sul desktop noto il collegamento ad un documento, “Piano di protezione dell’ICPO”. Ovviamente protetto da password, ma è mai stato un problema per me? Salvo lo schema su chiavetta e usciamo indisturbati. Rimaniamo all’interno della banca fino all’ora di pranzo, studiando in prima persona le vie di fuga più convenienti. Da lontano intravedo mio zio, già pronto ad arrestare me i ragazzi ad una settimana di distanza dal colpo. Aumentiamo così la nostra cautela e cerchiamo di aggirarlo il più possibile. Per lui è un gioco da ragazzi riconoscerci. I condotti di aerazione sono abbastanza grandi per il nostro passaggio e in più uno degli sbocchi porta ad un ottima via di fuga fuori dall’edificio. Quando torniamo in hotel ci mettiamo in contatto con Lupin, gli mando lo schema ideato da mio zio e pianifichiamo il modo di contrastarlo. Abbiamo fatto progressi, ci è rimasta addirittura un’ora libera in più. Come al solito andiamo al jazz club. E’ da quando siamo usciti dalla banca che il morale gli è sceso gradualmente, e non so il perché. Se ne sta per le sue, fumando una sigaretta e bevendo bourbon. La cosa mi mette di malumore, non tanto perché è come se non ci fossi, ma perché c’è qualcosa che non va e non so come aiutarlo. E’ più forte di me, quando sta così vorrei sempre poterlo aiutare, perché odio vederlo stare male. Finisco per vagare anche io con la mente, persa nella musica jazz, ipnotizzata dal piano forte. Sorseggio lentamente il mio scotch. Spesso mi ritrovo così, distratta e trasportata dalla musica, non penso a niente di particolare solitamente, però per un motivo o per l’altro le mie emozioni sono abbastanza chiare in questi momenti, soprattutto grazie allo sguardo.

“Stai ancora pensando a ieri notte?”

“Cosa? No, tu piuttosto…stai bene?”

“Se ti dicessi di sì in parte mentirei”

“Che vuoi dire?”

“Bhe, non posso dire di stare male perché saremo solo noi due per un’intera settimana, ma c’è qualche mio vecchio demone che vaga per la mia testa” il suo sguardo va dritto ad uno dei tavoli all’angolo del locale, vicino al palco “Vedi quei due tipi là in fondo? Anche se non sembra sono armati fino ai denti. Sono i migliori tiratori della città…in passato ho dovuto collaborare con loro quando Gavez mi mandava occasionalmente a Chicago” non dico una parola, ma il mio umore cambia, mischiando la preoccupazione alla curiosità “So benissimo che vorresti sapere qualcosa in più sul mio passato, che non ti basta apprenderlo dalle voci che girano sul mio conto”

“N-non devi sentirti obbligato a parlarne”

“Quello che c’è fra noi è qualcosa di serio, molto anche. Era da parecchio tempo che non provavo qualcosa di simile…hai il diritto di sapere ciò che ero, anche se questo mi fa paura perché potrei perderti, ma nonostante questo mi sento in dovere di dirtelo” si prende un momento di pausa e beve un sorso di bourbon “Tieniti forte, arrivano i demoni”

Non mi fa piacere sapere che la ha paura di perdermi a causa del suo passato e che sua convinto che cambierò idea su di lui. Non c’è passato che possa farmi crede che sia un sicario per vocazione. Quel ‘hai diritto di sapere’ mi ha fatta sentire in colpa. Anche lui deve sapere chi sono veramente, eppure continuo a stare zitta. Però abbiamo entrambi paura di perdere l’altro a causa del nostro passato, forse questo potrebbe esser un punto d’incontro quando gli dirò la verità. Comunque, mi racconta di com’è finito a lavora per la malavita. Suo padre era (o è, lo ha perso di vista da molto tempo, a causa di Gavez) un grande ladro, a volte ha collaborato con Lupin II, il padre del nostro Lupin. Era un grande tiratore, fu lui ad insegnare a Jigen come sparare. Molti volevano poter collaborare con lui, a causa del suo talento. Gavez venne a sapere di ciò di cui era capace, sapendo che non avrebbe mai accettato di diventare il suo braccio destro e di lavorare per la malavita. Così utilizzò quel poco cervello che ha e gli descrisse la collaborazione in un modo completamente diverso dalla realtà. Venne a scoprire la verità solo quando ufficializzarono tutto, e come se non bastasse Riez lo aiutò. Quando entrò nell’ufficio di Gavez la madre di Jigen, all’epoca incinta, era sotto tiro, tenuta prigioniera. Suo padre accettò con riluttanza, per proteggere la famiglia. Gli anni passarono, e a volte Gavez tenne d’occhio entrambi, e in una di queste occasioni scoprì il talento che il padre passò al figlio. Jigen aveva fra i 17 e i 18 anni quando questo accadde. Sempre attraverso minacce lo convinse a fargli da sicario, e come il padre strinse i denti per proteggere la famiglia. Per qualche mese padre e figlio hanno lavorato insieme, ma poi suo padre tentò di far incastrare Gavez. Aveva programmato tutto, anche la loro fuga. Ma Riez (a quanto pare è sempre colpa sua) riuscì a scoprire il complotto. Da quel momento, come ho già detto prima, Jigen ha perso ogni traccia di suo padre. Logicamente si pensa che sia morto, ma qualcosa dentro di lui gli fa credere il contrario. Era sufficientemente astuto per inscenare una morte perfetta, sufficientemente astuto per sparire senza lasciare tracce. Dopo che finisce di raccontare mi metto a fare quattro conti, e mi rendo conto che ha lavorato per tantissimi anni per Gavez…troppi. Già quello che ha vissuto nei primi tempi non è stato il massimo, non oso immaginare cosa salterà fuori dai racconti successivi a questo. Mi sento gelare il sangue, scioccata da quanto la malavita possa essere crudele e spietata, come se non lo sapessi già abbastanza. Ho già abbastanza motivi personali per voler rende la vita di Riez un inferno, ma dopo quello che Jigen mi ha detto sono ancora più determinata a portare a termine questo mio progetto. In qualche strana maniera però tutto questo ha intrecciato i nostri destini, però in una maniera estremamente inquietante. 

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Angolo autrice

Sono in un ritardo a dir poco mostruoso D: un mese e otto giorni prima di aggiornare...maledizione. Comunque, la parte in aereo leggermente depressiva riguardo alla causa della perdita di alcuni cari è autobiografica, ho perso tre dei miei nonni a causa del cancro, e da uno di quei miei strano momenti di rifelssione riguardo alla cosa è venuto fuori un pezzo di questo capitlo. Ma lasciamo stare. Piuttosto, devo fare una precisazione. Visto che non ho ancora rivisto tutti gli episodi e i film di Lupin francamente non so se ci nsono accenni particolari al pasato di Jigen, perciò la mia testa che cerca risposte a miriadi di domande se l'è create da se, andando forse a contraddire o a modificare cose già dette perciò...chiedo perdono in anticipo, e lo faccio anche nell'eventualità che le mie pensate non vi vadano a genio, ma il mio subconscio sente che una cosa simile a quella che ho scritto sia molto probabile. Oddio...dopo un po' che scrivo l'angolo autrice mi perdo, a caso. Quindi, spero che vi sia piacuto anche questo capitolo c: *vola via* 
  
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