Tracy si voltò di scatto verso la porta. Bitsy la fissava con aria di sfida, la coda che sfiorava lo stipite. Maledetta gatta. Se l’avesse spaventata di nuovo l’avrebbe sbattuta fuori a calci. La osservò attraversare il salotto e saltare sul tavolino, finché le striature antracite del pelo non cominciarono a fondersi con quelle nere. D’improvviso, tutto divenne grigio. Guardò l’orologio, ma le lancette presero a ruotare vorticosamente. La luce sfarfallava, annebbiandole la vista. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Una corona di dolore le stringeva il capo in una morsa. Si sentì cadere all’indietro, ma sbatté violentemente le ginocchia sul pavimento. Le palpebre ancora serrate, si rimise in piedi puntellandosi sul divano. Un ronzio assordante le riempiva le orecchie, mentre qualcosa di vischioso rigava il suo stinco sinistro. Un respiro profondo e guardò dritta davanti a sé: la stanza girava. Dovette aggrapparsi al bancone per non crollare di nuovo a terra. La assalì un terribile senso di nausea. Riuscì a trascinarsi a tentoni fino al gabinetto, poi si piegò in avanti, scossa da violenti conati. Quando fu in grado, si rialzò, sciacquò il viso e passò i polsi sotto l’acqua fredda. Doveva smetterla di mangiare. Il suo corpo non c’era più abituato e sprecava troppe energie per digerire. Non poteva permetterselo. Uno spettro la fissava da sopra il lavandino. Un viso pallido e smunto, due occhiaie verdastre e uno sguardo vacuo: ecco quel che restava di Tracy Meyers.