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Autore: SakiJune    23/10/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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I preparativi per la terza rappresentazione del Mistero del Tempo Nuovo, nella versione corretta e rivisitata alla luce dell’epoca corrente, erano in pieno svolgimento. La pazienza del Dottore era al limite: ogni volta che l’Altro appariva sulla scena, mascherato e in ombra, Ada iniziava a ridacchiare e fare quelle sue smorfiette da fangirl. Innocet, splendida nel suo costume da Pizia, a quel punto riusciva a rimanere seria solo la metà delle volte. La vera interprete, che avrebbe recitato in quel ruolo su un palco ben più sontuoso, giù al parco della Cittadella, non trovava necessario partecipare alle prove, men che meno dal momento che si tenevano nel giardino di Lungbarrow; era quella bacchettona del Giudice Saecula, la Kithriarca di Brightshore, e nessuno osava contraddirla. Kedred interpretava Rassilon ed era bravo a recitare quanto Damon lo era a mantenere i segreti, ma era necessario mantenere dei rapporti civili con le Case degli Integralisti. O meglio, era questa la ragione addotta da Lady Romana quando aveva investito il Dottore del titolo di “Responsabile per le Supreme Celebrazioni della Ricorrenza dell’Altro”, restando a tutti gli effetti l’unica a prendere le decisioni più importanti in materia.
- Il mio nome è Rassil Onasti Prydonius, e impedirò alla civiltà dei Signori del Tempo di estinguersi! Venite a me, Kithriarchi delle Grandi Case! Ci faremo beffe del culto di Karn, e risplenderemo…
- Rinnoveremo, professore. Rin-no-veremo - l’aveva corretto Badger, sovrastandolo con l’ombra delle sue grandi corna ricurve.
- Oh, chiedo scusa. Sono un po’ emozionato.
- Non per essere pedante, professor Kedred, ma ogni anno è la stessa storia. La so a memoria persino io, la sua parte - si era intromessa Jenny.
- Non è che non la sappia a memoria, ma era carino anche “risplenderemo” - si era difeso lui. - È una cosa che avrebbe potuto dire.
- Non può cambiare le battute, comunque… Perché non ha portato Ash, quest’anno? È un ragazzino così beneducato.
Ashred era il Cugino più piccolo della Casa di Deeptree, l’ultimo virgulto della famiglia - probabilmente in via definitiva. Dalla sua tessitura, ben due dei Cugini più anziani erano morti senza potersi più rigenerare, ma in quelle occasioni il Telaio non aveva avviato la procedura automatica. Si vociferava che ciò avvenisse in tutte le Case degli Integralisti, quasi i Telai avessero organizzato un vero e proprio sciopero: se i loro membri non avessero rinunciato ai loro strambi ideali di purezza e astinenza forzata, si sarebbero estinte.
- Non decido io, purtroppo. Devo mantenere un basso profilo, se non voglio essere diseredato: e allora non avrei più nessuna possibilità. Se pensassero che io abbia una cattiva influenza su di lui, capisce che...
- A quel punto non potrebbe più trasmettergli la sua buona influenza. Riesco a capirla molto bene, professore, più di quanto immagina. - Jenny provava molta simpatia per lui, e avrebbe desiderato aiutarlo. Ma prima di riuscire a trovare le parole adatte, si sentì tirare per la manica.
- Sorciporci!
Si chinò verso il figlioletto e questi le mise le manine al collo, lasciandosi prendere in braccio. Vastra lo viziava decisamente un po’ troppo, ma lei non osava intromettersi… era già tanto che le permettesse, in virtù degli accordi legali che le vincolavano, di portarlo con sé per quei sei mesi l’anno.
- Cosa dici, amore? Dov’eri finito?
- Jack mi ha fatto vedere i sorciporci.
Ada era concentrata sulle prove, ma aveva un buon udito e scattò a investigare sull’accaduto.
- Cosa ti ha fatto vedere?
- Avevano i cuccioli. Rosa rosa. Facevano la pappa - mimò il bimbo, deliziato.
- Ah, quegli animaletti che portano malattie, santo cielo. - Erano stati il mezzo per diffondere il Virus Dogma, prima della Guerra del Tempo. Ovviamente non esisteva più nulla del genere, ma non era un buon motivo per rischiare inutilmente. Non disse nulla che potesse allarmarlo, però. - Non li avete disturbati, spero.
- Jack li ha fatti scappare. I cuccioli sono rimasti da soli. Forse adesso hanno paura...
Ada sbuffò piano. - Già, proprio così, i cuccioli sono rimasti da soli e sono andati dove non dovevano. Thistle!
L’interpellata uscì da sotto la fila di sedie autopieghevoli più vicina al palco, preparandosi a ricevere una ramanzina. - Sono qui, mamma.
Ci mancava poco che non la chiamasse “madre”. Ci aveva provato, subito dopo il secondo semestre di Accademia, e l’aveva fatta desistere a fatica; aveva sempre dimostrato un attaccamento alle convenzioni sociali superiore alla sua età. Talvolta Ada ne era sconcertata: le sembrava che crescesse troppo in fretta, e quasi gioiva di momenti come questo, in cui un capriccio o una breve fase di ribellione le facevano dimenticare i suoi doveri.
- Ti avevo chiesto di tenere d’occhio Jack e Arkhew. Sono di nuovo andati chissà dove.
- Scusami. Volevo guardare le prove dello spettacolo. - Aveva lo sguardo distante, come se l’avesse svegliata da un bel sogno.
- Oh, lo so, è che… d’accordo, la prossima volta fai attenzione, va bene? - Non riusciva proprio ad essere troppo severa con lei: erano gli occhi di Clara che la fissavano da quel visino da folletto. - Un giorno potrai stare tu sul palco, lo sai? E recitare in costume davanti alla Lady Presidente e all’Alto Consiglio. A me sarebbe piaciuto fare teatro, quand’ero al liceo, ma sputacchiavo troppo.
Thistle sapeva cos’era un liceo - pressappoco l’equivalente dei Corsi Elementari che frequentava - ma non aveva idea delle, ehm, cure odontoiatriche a cui la mamma era stata inconsapevolmente sottoposta dopo la nascita di Jack. Sapeva però delle medicine che doveva prendere per non invecchiare. Era una specie di inganno, pensava qualche volta, ma non le dava fastidio come quando suo fratello sparava una balla colossale, per esempio.
- Xill, dolcezza, sei sprecato per noi poveri straccioni. Levati quel trucco però, ti verrà un eritema! Aaaaaaaah no, non ci siamo! Era molto meglio ai nostri tempi, quando si usavano le marionette - stava sbraitando il Dottore, saltando giù dal palco in preda ad un nervosismo più ostentato che reale. - Non capisco la necessità di spremere vodka dalle rape… ma Romana insiste per questa farsa tutti gli anni. Doveva mandarci delle pagine nuove. - Sbuffò, facendo l’occhiolino a Thistle. - Carciofina, vuoi andare a controllare il trasmettitore in soggiorno? Se è arrivato un messaggio dai piani alti, stampalo e portalo qui, grazie.
- Subito, papà - sorrise lei, controllando con la coda dell’occhio che nessuno degli attori sul palco l’avesse udito chiamarla con quel soprannome. Davvero, non avrebbe mai fatto o detto nulla per ferirlo, ma detestava il pensiero che altri la considerassero una bambina. Soprattutto...
Corse verso la porta e picchiò il palmo della mano sul sensore di riconoscimento: anzi, siccome non stava guardando, una spanna più a sinistra.
- Ahi! Signorina, sei certa di non farlo apposta?
- Dorium, scusa, ma devi sempre materializzarti dove e quando è più probabile ricevere uno schiaffo?
- Sì, guarda, mi diverto moltissimo. Questa postazione è completamente sbagliata, il signor Draximilianus e io avremo presto un chiarimento.
- Ma puoi vedere il giardino. E le prove.
- Certo, e sentirle. Il professorino declama come una cornacchia. Ehi, tu! Salve!
- Jack ha una cornacchia. Una cornacchia fantasma. - Arkhew aveva seguito Thistle fin lì, e stava imitando un uccello appollaiato.
- Non devi credere a tutto quello che ti racconta, vuole solo spaventarti!
- Esatto, Kew, non devi dar retta a quello sciagurato. - Dorium era la creatura più sarcastica della galassia e in quanto a brontolii faceva a gara con papà, ma con Arkhew era a dir poco zuccheroso. - Se lo state cercando, è tornato in camera sua, completamente inzaccherato, ma non ho idea di cosa stia combinando. Ormai per me quella postazione è off-limits, l’ha murata con non so quale lega metallica. E indovina chi gli ha regalato il Piccolo Fonditore per il suo onomastico?
Ma la priorità di Thistle era correggere l’orribile affermazione pronunciata con tanta leggerezza: - Comunque il professor Kedred non ha la voce di una cornacchia, sei un maleducato a parlare così.
Appoggiò correttamente la mano sul sensore e la porta iniziò a scorrere. Quando lei e Jack erano piccoli, per uscire in giardino e rientrare bastava chiedere, con cortesia, alla Casa di aprire. Poi era capitato che Jack, che all’epoca aveva due anni, avesse pensato fosse una buona idea scalare la facciata con l’aiuto dei rampicanti e trotterellare sul tetto. Sua madre e Innocet erano quasi svenute quando l’avevano scoperto, appena in tempo prima che si gettasse con nonchalance giù per il camino. Da allora l’ingresso e le stanze che contenevano materiali pericolosi, in primo luogo la cucina e lo studio di suo padre, erano controllati elettronicamente.

La Casa era diventata leggermente più grande. Per arrivare alle stanze dei bambini e degli ospiti, dopo il soggiorno bisognava attraversare un corridoio. Thistle si fermò a controllare il trasmettitore: il messaggio era arrivato. Premette il pulsante di stampa e lasciò che facesse il suo lavoro, mentre andava a bussare alla porta della camera di Jack.
- Sei nei guai, questa volta per davvero. Siete andati a Oakdown, vero?
Nessuna risposta.
- Non devi portare Arkhew a Oakdown. Non dovresti andarci nemmeno tu! A papà dispiacerebbe davvero molto sapere che l’hai fatto, Innocet ti ha spiegato un milione di volte…
- E piantala! - Jackjamin spalancò la porta e quasi la fece cadere. Aveva i capelli incrostati di fango tanto da sembrare castani anziché biondi, ed era del solito umore bellicoso. Da piccolo era spericolato, ma si lasciava coccolare volentieri; da quando era entrato all’Accademia si era dimostrato uno studente volenteroso quanto lei, ma a casa era intrattabile. - È lui che mi segue. E poi di che ha paura, papà? Che ci sia il fantasma del Maestro? Lo sanno tutti che il fantasma del Maestro è al Panopticon - la sfidò con la sua aria più saccente.
- Stavo dicendo, appunto: e smettila di parlargli di fantasmi.
- Non ho nominato la parola “fantasma” davanti a lui. - Arkhew spuntò da dietro la schiena di Thistle. - Uff… okay, l’ho fatto adesso.
- La cornacchia. Ha parlato di una cornacchia fantasma, non è che se l’è inventata di sana pianta.
Le guance di Jack impallidirono, poi virarono al carminio. Scoprì i denti in una smorfia minacciosa. Thistle, che non si aspettava una reazione simile, indietreggiò, proteggendo istintivamente Kew.
- Che cosa ne sa? Che cosa ne sai? - Non sembrava la sua voce. Non sembravano i suoi occhi. Pareva voler ricordare qualcosa, ci rinunciò e tornò a fissarla con rabbia.
- Niente. Niente! Ti ho detto solo che non devi raccontargli stupidaggini… Sei impazzito, Jack? Vuoi farlo piangere?
Come se si fosse ricordato proprio in quel momento che si trattava di un’opzione valida, il bimbo iniziò a frignare.
- La prossima volta te lo tieni al guinzaglio, il poppante, così non mi scassa! E levamelo di torno!
Thistle era inorridita. Jack era peggiorato, e molto. Solo l’estate prima, lui e Kew erano stati inseparabili. Era molto più piccolo di loro, e sembrava che i bambini della sua razza impiegassero ancora più tempo a crescere, ma fino a quel momento non avrebbe mai creduto che suo fratello l’avrebbe mai insultato in quel modo. I loro genitori erano intransigenti su questo punto. Erano stati cresciuti con la consapevolezza e l’orgoglio di essere loro stessi ibridi, e avevano fantasticato tantissimo sulla Terra, dove sulla superficie vivevano gli umani, che non conoscevano il teletrasporto e i viaggi nel tempo ma sapevano scrivere poemi meravigliosi e dipingere capolavori con solo due dimensioni, e sottoterra, ibernati, dormivano i Siluriani, la cui civiltà era molto più avanzata ma che non si sarebbero svegliati prima di mille anni. Dal punto di vista della mamma, ovviamente. E la cronologia di sua madre era tutta sbagliata, ma si guardava bene dal correggerla. Non l’avrebbe mai ammesso, ma adorava immergersi nei suoi racconti sull’anno duemilaquattordici, in cui la sua vita aveva preso una strada completamente nuova. E le piaceva sentir parlare dell’altra mamma che non aveva mai conosciuto, Clara, la Ragazza Impossibile. Spesso si era chiesta se, stringendo il ciondolo della sua collana e pensando a lei con intensità, sarebbe apparsa davanti a lei.
Sulla via del ritorno, si fermò a raccogliere i fogli del copione dal cassetto del trasmettitore. Se fosse stata di un umore differente, ne avrebbe divorato il contenuto prima che suo padre potesse metterci le mani. Lesse di sfuggita qualche battuta
“Egli è sorto a nuova vita, ha scelto il proprio nome, che echeggia di galassia in galassia, e la sua missione non conosce riposo”
“Il Nuovo Patto è consacrato, e nessuno sotto le stelle di Kasterborous osi infrangerlo!”
ma era troppo turbata per dedicarvi la sua attenzione.
- Torniamo fuori, Kew. Stasera gli sarà passata, stai tranquillo.

 

Il Dottore si sciacquò la bocca con quello che Ada chiamava, non a torto, “dentifricio liquido” e si preparò ad affrontare lo sciagurato. Detestava sgridarlo. Detestava essere costretto a farlo in primo luogo perché significava che i suoi sforzi di essere un buon padre non andavano nella direzione sperata, e poi perché gli sembrava di rimproverare se stesso. In quella linea temporale lui non era mai stato davvero bambino, naturalmente, non in senso fisico, ma si era lo stesso sentito tale per i primi otto anni della sua vita, e per molte estati e festività a seguire. La vecchia Lungbarrow era stata davvero imponente e ti faceva sentire piccolo piccolo. Aveva sempre creduto che la smania di fuggire ed esplorare fosse, più che insita in lui, la conseguenza dell’atmosfera soffocante in cui era vissuto, e si era augurato che per i suoi figli non fosse così, aveva fatto in modo che crescessero in un contesto più libero e armonioso. Ma Jackjamin era sfuggente, era intrattabile, era…
Lanciò un’occhiata alla vasca da bagno, da cui provenivano sciaguettii ben noti.
Era lì a sguazzare sott’acqua, gingillandosi con i suoi pensieri impenetrabili.
Ci aveva provato. Per tentare di capire, aveva immerso appena un millimetro di sé nella sua coscienza, ma era stato costretto a ritirarsi immediatamente. C’era un muro, un muro solido e costruito con maestria impeccabile. Quando aveva imparato a chiudere così bene la mente? All’Accademia lo insegnavano tanto presto?
- Jack, vieni fuori, dobbiamo fare una chiacchierata.
La testa del figlio emerse dall’acqua schizzando tutt’intorno. Il Dottore finse di ripararsi, poi si sedette sul bordo della vasca con espressione seria.
- Sei stato irresponsabile.
- Non succederà più - Jack tentò di troncare la conversazione sin dall’inizio. - L’ho già detto a Thistle. Non lo porterò più da nessuna parte, per me può starsene tutto il giorno a insegnare a Dorium le canzoncine del suo pianeta.
- Ecco, è proprio questo. Hai fatto molto di peggio che mettere Arkhew in pericolo, oggi. L’hai fatto sentire rifiutato.
Jack strabuzzò gli occhi, guardando suo padre come se fosse impazzito.
- Tesoro, non sono arrabbiato perché siete scesi a Oakdown. Conosco quella strada come il palmo della mia mano, so che non potrebbe succedere niente di male. Dovevi chiedermi il permesso, e soprattutto avreste dovuto chiederlo a Jenny…
- Mi avreste detto di no.
- Ti avremmo detto di no, e vi ci avrei portato io non appena avrei avuto un’ora libera dalle prove… ma non è assolutamente questo il punto. Invece di prenderti la responsabilità per la vostra piccola avventura, hai ferito sia Kew che tua sorella.
- Credevo che odiassi quel posto. Innocet mi ha sempre detto che lo odiavi.
La smorfia del Dottore non rivelò nulla di ciò che realmente provava per la Casa natale del Maestro. - A te piace?
- Non lo so. È strano. È tutto… decadente. Come le rovine della Vecchia Arcadia.
- Ma dove vi portano in gita? Comunque… non è successo niente di troppo strano, vero?
- Di che parli? - Jack si era messo sulla difensiva.
- Qualche incontro. Non so, forse un eremita è andato a vivere tra le rovine, non sarebbe la prima volta.
Il ragazzino si rilassò. - No, non ci vive nessuno. Solo i sorciporci.
Il Dottore sorrise, poi tornò serio. - Non voglio mai più che tratti male Thistle e Arkhew. E non voglio più che tratti male te stesso. Ti voglio bene.
- Anch’io, papà - rispose Jack, un po’ troppo in fretta.
- Già, - sospirò il Dottore, alzandosi e porgendogli l’accappatoio - Ci sono poche vere certezze al mondo. L’infinito? Ha una fine. Il bene, il male? Hanno mille sfumature. Ma niente… niente dovrebbe farti dubitare dell’amore che ho per voi. Non c’è nulla che tu non possa confidarmi.
Jack strinse le labbra e pensò che forse c’era qualcosa che avrebbe potuto dirgli, ma non lo trovò nei propri ricordi. Era solo un’ombra, un’eco, un’ala nera che oscura il sole.
Un bussare frenetico alla porta interruppe quella visione. - Innocet dice che presto avremo un bagno nuovo, ma nel frattempo sgombrate questo? - La voce di Thistle aveva l’impazienza di chi sta per farsela addosso.
Un’ala?
No, una nuvola. Una nuvola passeggera. Niente di importante.

   
 
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