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Autore: tata_angel    23/10/2014    3 recensioni
Ma non c' era tempo da perdere, infondo doveva fare le valigie e sistemare tutto, era così felice di andare in Argentina, ed era sicura che sarebbe andato tutto bene.
Blue moon! Spero vi piaccia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SONO L'UNICO?
Ti prego apri il tuo cuore chiuso, spegni il fuoco del mio cuore
POV REIN
-Senti Shade, dato che oggi resti a casa, che ne pensi di andare a quel bar di cui ti ho parlato l’altra volta?- gli chiesi mentre beveva il suo latte
-Certo, vado a farmi la doccia e poi andiamo- rispose lui, io annuii
–vado a vestirmi- dissi.
Entrai in camera e frugai nell’armadio in cerca di qualche vestito decente. Da quando Shade mi aveva fatto i complimenti per i vestiti, non aveva fatto altro che pensare a quanto potesse essere bello sentirselo dire tutti i giorni. Ricevere complimenti da lui mi fece sentire speciale, un brivido mi scorreva lungo la schiena, le gambe diventavano deboli e il respiro mi si bloccava in gola, rendendo impossibile poter pronunciare anche solo un ‘Grazie’.
Mi preparai e mi sedetti sul bordo del letto, sentii bussare alla porta
–Avanti- dissi.
La porta si aprì e vidi la testa di Shade fare capolino.
Gli sorrisi –Andiamo?- disse lui, io annuii.
 
POV SHADE
Uscimmo di casa chiudendoci la porta dietro di noi.
Dovevamo andare al bar di cui mi aveva parlato.
Ci incamminammo, in lontananza vidi un bar talmente piccolo da passare facilmente inosservato.
Aprii la porta facendola passare, un odore di caffè mi riempì le narici.
Mi guardai intorno meravigliato: alla destra c’erano delle poltroncine vissute, quasi lacerate, tavolini scuri stile vintage, in fondo alla stanza c’era un tavolino dove vi era poggiato un giradischi anni ’70.
Anche il bancone del bar era di un legno scuro, dava l’idea di essere stato esposto agli agenti fisici e al tempo.
Il mio sguardo si posò su Rein, non avevo fatto caso al modo in cui era vestita.
Il giorno mi aveva piacevolmente sorpreso quando l’avevo vista vestita in modo curato, mi aveva fatto credere che le mie parole non erano rimaste sospese in aria.
Sorrisi soddisfatto.

Ero io che le sollevavo il morale.
Ero io che la facevo sorridere.
Ero io che la facevo ridere.
Ero io che le facevo vedere il mondo in modo diverso, in un’altra prospettiva; probabilmente in una prospettiva migliore rispetto a quella con cui era solita guardarsi intorno.
Mi chiedevo, però, se ci fosse qualcun altro capace di farla sentire come la facevo sentire io. Ad esempio, Auler. Sì, lui riusciva a farla sentire bene? Riusciva a strapparle quella risata sincera capace di riempire tutto lo spazio che la circonda? Riusciva a farle dimenticare del mondo intorno a lei?


-Chi lo avrebbe mai detto che la tua risata era così rumorosa- esclamai io
-Non lo sapevo nemmeno io. Sei tu! Tu tiri fuori la parte migliore di me. Mi fai ridere con il cuore, non solo con le labbra. Mi fai dimenticare di tutto ciò che c’è intorno a me. Quando ci sei tu il mondo non esiste- 
-Il mio obiettivo è sentirti dire: il mondo è un posto migliore.- le risposi io.
 
-Mi è sempre stato vicino, aveva sempre cercato di sollevarmi il morale- mi aveva detto, questo significava che la faceva ridere? Sapere che lei non era mai stata sola mi faceva piacere, ma, allo stesso tempo, sentii un macigno alla bocca dello stomaco.
Sentii lo stomaco chiudersi, un nodo alla gola, un senso di fastidio.

Che cavolo..? 

-Ehi Shade, vieni?- la voce di Rein mi riportò alla realtà. Le sorrisi e mi avvicinai al bancone sorridendo gentilmente al signore che dava il benvenuto nel suo locale.
- Vedo che c’è un nuovo cliente- sorrise l’uomo
- Sì, si chiama Shade- rispose Rein
- Piacere Shade, sono Mario – si presentò lui
-Piacere mio. Complimenti per il locale, è davvero molto bello. Il giradischi funziona? – chiesi io
-Magari. E’ lì per scenografia- rispose lui mimando le virgolette alla parola ‘scenografia’.
-Capisco. Ho sempre voluto ascoltare un vecchio disco con quello!-
-Mi dispiace non poterti accontentare, ma è molto vecchio. Apparteneva a mio padre, probabilmente è già un  miracolo che non si sia rotto anche al livello estetico. Quell’uomo, che riposi in pace, era talmente maldestro- sospirò lui. Gli sorrisi, era un signore davvero simpatico.
-Mi dispiace!- dissi, riferendomi alla perdita del padre
-Sei davvero sveglio, ragazzo. E anche molto educato. Quando ne parlo se ne fregano tutti!- disse con un sorriso amaro sulle labbra – anche coloro che sanno quanto fossi affezionato a lui- continuò poi.
-Ma non pensiamo a cose tristi, cosa vi servo ragazzi?- cambiò repentinamente discorso.
Rein lasciò un sospiro di sollievo, non le piacevano questo tipo di discorsi.
-Mmh.. abbiamo già fatto colazione- risposi io
-Allora a cosa siete venuti a fare se non prendete niente?- Chiese alzando un sopracciglio, io scrollai le spalle indicando Rein con il pollice.
Lui sorrise gentilmente –Posso darvi, almeno, un cornetto?-, mi voltai verso Rein che sorrise –che domande sono? Un cornetto da te non si rifiuta mai- rispose lei
-Per questo mi piaci, hai sempre avuto buon gusto- disse lui
-Vedo che oggi siamo modesti- ironizzò Rein, mentre Mario prese dei cornetti e ci fece segno di accomodarci.
-Sapete cosa, mi state simpatici, vi faccio compagnia- disse prendendosi un cornetto e poggiandosi sul bancone.
Rein ride –Beh, sentirselo dire adesso, dopo circa tre anni che frequento questo posto, è un po’ deprimente. Non credi?- chiese lei, mentre Mario le sorrise facendo un occhiolino.
 
 
Ci trovammo talmente bene a parlare insieme che arrivammo a mezzogiorno senza accorgercene, nonostante il viavai dei clienti.
Io e Rein non ci decidevamo ad andarcene e lui non aveva intenzione di mandarci via.
Io e Rein, guardandoci, prendemmo la tacita decisione di andarcene. Era mezzogiorno, mancavano solo due ore alla fine della scuola e il bar si sarebbe riempito in poco tempo, questo significava acidità gratuita. I ragazzi  reduci da sei ore di lezione non erano molto cordiali, sarebbero stati capaci di mandarti a quel paese anche se gli avessi colpito la spalla per sbaglio. Quindi sì, era meglio evitarli.
Stavamo per uscire dal bar quando una voce familiare salutò Rein –Ehi Rein, che ci fai qui?- 

Fa che non sia lui, fa che non sia lui, fa che non sia lui.

-Auler! Non dovresti essere a scuola?- chiese Rein.
Me lo chiedevo anche io
-Dovrei, ma alcuni professori mancavano e grazie alle ore anticipate siamo potuti uscire due ore prima. Queste sì che sono fortune- disse facendole l’occhiolino.
Sarei crudele se gli consigliassi di evitare, dato che non è capace?  
-Si può sapere perché i miei, di professori, non mancano mai? - replicò Rein
-Tutta questione di fortuna di noi studenti e di anticorpi deboli dei professori- rispose lui.
-Ciao Auler- salutai io, il più dolcemente possibile.
Tra me e lui non scorreva buon sangue, alla cena che abbiamo avuto a casa di Rein c’era questa specie di tensione tra noi, molto volte Toulouse ha dovuto riempire il silenzio imbarazzante che si creava ogni volta che uno di noi provava a parlare con Rein. In tutta sincerità, a Toulouse, non erano neanche sfuggite le lunghe occhiatacce che ci mandavamo durante la cena.
Era ovvio che Auler provasse qualcosa per Rein, ma mi chiedevo se lei lo corrispondesse. Cosa provav per lui?  E per me, cosa provava?
Gli sguardi, le espressione facciali erano completamente diversi tra quelli che riservava a me e quelli che riserva ad Auler. Ad essere onesto non sapevo neanche perché mi interessassi così tanto, dato che tra una settimana me ne sarei ritornato in Argentina e, con tutta probabilità, non l’avrei più rivista.
Al solo pensiero mi si contorce lo stomaco.
Sono pronto a lasciarla qui? Sono pronto a lasciare qui Toulouse?

Era possibile che Toulouse avesse ragione? Era possibile che io provassi qualcosa per lei? Dopo così poco tempo?
Era vero, avevamo passato molto tempo insieme, ci eravamo avvicinati in un periodo difficile per entrambi perché, nonostante ancora non sapessi chi fosse Toulouse, per me era stato un momento difficile-, ma erano passate pur sempre due settimane. Si potevano sviluppare dei sentimenti in così poco tempo?
-State andando via?- chiese lui gentilmente. Alzai lo sguardo, che non sapevo di aver tenuto basso fino a quel momento, verso di lui che stava sorridendo dolcemente guardando Rein.
Ovvio, cosa pensavo potesse fare? Forse era un caso disperato.
-In realtà sì. Pensavo, però, che potremmo sederci e chiacchierare un po’, dato che sei qui. Che ne dici?- domandò lei, mentre lui arrossì.
No, era decisamente un caso disperato.
-Vabbè, allora vi lascio chiacchierare. Vado a casa- dissi grattandomi il collo in imbarazzo
-No, resta!- rispose lei, il sorriso che si era aperto sul viso di Auler si era spento, mentre mi rivolse uno sguardo truce. Rein si voltò di spalle per sedersi al tavolo; mi girai verso Auler e mi stampai sul viso un ghigno da vincitore e andai a sedermi.
 
 
 
Avevamo passato due ore a chiacchierare.
O meglio, io ero rimasto in silenzio ad ascoltarli parlare mentre Auler tirava fuori episodi del loro passato ‘siamo amici da così tanto tempo e ne abbiamo combinate tante’ continuava a ripetermi.
Avrei voluto rispondergli, magari con un: ‘Ci credo, con la faccia da broccolo che ti ritrovi non stento a crederci’.
Continuava a pavoneggiarsi di quanto piacesse a entrambi passare del tempo insieme, tanto da rimanere al parco, nonostante il resto del gruppo di amici se ne andava a casa.

Ma a me va decisamente meglio, Rein mi viene a cercare per poter parlare.

Diceva di conoscere talmente bene Rein da sapere che quando è giù di morale non vuole nessuno intorno.

In quei momenti quando io l’abbracciavo non mi spingeva via. Quando cercavo di dargli spazio e tempo, lei mi prendeva per mano chiedendomi di restare.

Continuava a dire che quando lui l’abbracciava, lei arrossiva dicendogli che le piacevano i suoi abbracci.

Ma quando l’abbraccio io, lei mi dice che, dei miei, ne ha bisogno.

Continuava a dire di come lei rideva sempre, quando era con lui.

Ma quando sta con me il sorriso raggiunge anche i suoi occhi, lo fa anche con te?
 
Ad ogni episodio che mi raccontava, io ne avevo uno con cui poter rispondere. Eppure ero rimasto in silenzio, aspettando che Rein dicesse qualcosa.
Aspettavo che Rein mi desse qualche suggerimento che mi confortasse, che mi dicesse che le giornate passate con lui non erano niente paragonate a quelle passate con me.
-Scusa Shade- la porta si aprì lentamente e una testa blu fece capolino, sorrisi
-Ehi Rein, dimmi-
-Senti, volevo chiederti se stessi bene. Oggi al bar non mi sembravi raggiante come al solito.-
-Oh, niente. Avevo solo un po’ di sonno tutto qui- risposi io
-Non ti piace eh?-
-Uh?- mugugnai io
-Auler. Non ti piace- rispose lei
-Non è quello. È solo che.. abbiamo due caratteri diversi- risposi io
-Lo so, siete uno l’opposto dell’altro. Non ho la più pallida idea di come io riesca ad andare d’accordo con tutti e due- scrollai le spalle
-Bè, con me vai d’accordo perché sono meraviglioso- risposi io facendogli l’occhiolino
-Questo è certo- rispose lei sorridendo
-Mi sento preso in giro- borbottai io
-Ma no- disse lei avvicinandosi al letto e poggiandomi il braccio sulle spalle –non ti sto prendendo in giro, sei davvero fantastico- continuò stampandomi un bacio sulla guancia.
-Anche a lui dai i baci sulla guancia?- chiesi con un sopracciglio alzato, lei si grattò nervosamente i capelli guardando in basso mugugnando qualcosa
-Scusami, puoi ripetere?- chiesi io
-No, a lui non do baci sulla guancia- rispose lei
-E dove?- chiesi io alzando la voce
-In che senso ‘dove’? Da nessuna parte. Non gli do baci, se non per salutarlo- rispose lei con le guancie arrossate.
Sorrisi mentre lei mi guardò accigliata –Allora è vero? Ti sta antipatico?!- disse lei sconcertata
-Sarebbe un delitto?- chiesi io
-No, è normale non nutrire simpatia per una persona. Solo che mi sembri un fidanzato geloso- disse lei facendomi l’occhiolino
-Cosa?- chiesi io
-Che.. no, niente. Ritiro quello che ho detto. Devo andare- disse uscendo dalla camera.
Cosa aveva appena detto? Io non.. non poteva essere, insomma..
-Shade, ti va di venire con me e Chris a fare due palleggi al parco?- chiese Jhon irrompendo in camera mia. Ci riflettei, forse avevo bisogno di distrarmi.
-Si, certo- risposi sorridendo.
Sì, avevo bisogno di distrarmi. Questa era tutta colpa di Toulouse, era impossibile.
 
 
Avevamo appena finito di mangiare, e non avevo parlato con Rein da quel pomeriggio, dall’episodio in camera.
Mi dispiaceva non averci ancora parlato, sembrava spaventata come se avesse detto qualcosa di sbagliato e non era così.
Aveva solo detto la verità, anche io mi eroreso conto di sembrare il fidanzato geloso che non riesce ad accettare che la propria fidanzata possa avere contatti con qualsiasi altra forma maschile presente sulla terra. Ed era sbagliato, tremendamente sbagliato.
Per prima cosa, non era la mia fidanzata e secondo, anche se lo fosse stata, non era certo di mia proprietà. Avrebbe avuto comunque il diritto di dialogare con altre persone, che poi queste non mi andavano a genio era un altro tipo di maniche. Suppongo.
Salii le scale per andare in camera e la vidi uscire dal bagno.
-Rein posso parlarti?- le chiesi con voce bassa, lei annuì tenendo lo sguardo basso; le poggiai un dito sul mento e le alzai la testa
-andiamo in camera mia?- chiesi io, lei annuì rimanendo ancora i silenzio.
 
Entrammo in camera e mi chiusi la porta dietro le spalle. Di solito non mi chiudevo in camera con una ragazza, soprattutto a quest’ora e a casa sua, ma sapevo che lei preferiva così infatti
-Grazie- disse lei sottovoce
-Senti Rein, è da oggi che sei strana. Mi spieghi perché hai reagito così?- le chiesi io poggiandole una mano sulla spalla
-Io.. ho capito solo dopo di aver esagerato. Perdonami- rispose lei con voce tremante
-Non devi scusarti- risposi io
-Come?-
-Non devi scusarti, sono io che devo farlo. È vero ciò che hai detto, mi sono comportato come un fidanzato geloso- risposi, già mi sentivo debole sulle ginocchia, aveva il respiro bloccato in gola, sentii il palmo della mano sudare e l’asciugai sui pantaloni del pigiama.
Continuai a guardarla negli occhi fingendo quella sicurezza che in realtà non avevo e istintivamente portai la mano sulla sua guancia, accarezzandola con il pollice
-E..e a..allora perché? Insomma, p..perché ti sei comportato così- balbettò lei
-Se ti dicessi che non lo so mi crederesti?- gli risposi io, lei annuì più per circostanza che per altro.
Mi avvicinai a lei, mentre le mie gambe diventavano sempre più deboli, il fiato bloccato in gola,il cuore che batteva all’impazzata quasi a volermi uscire dal petto, le mani tremolanti. Non potevo crederci, non potevo credere a ciò che stavo per fare. Era un sogno, era tutta fantasia io non la stavo per..
Tagliando ogni mio pensiero, ogni mia preoccupazione e con la speranza in petto che lei non si spaventasse, posai le mie labbra sulle sue. Inutile raccontare tutte quelle sensazioni che stavo provando, sarebbe solo una ripetizione del solito cliché scritto sui libri o che si vedono in quelle odiose soap in tv; eppure non riuscivo a ignorare le farfalle allo stomaco, la mia pelle bruciare, i brividi che attraversavano la spina dorsale e le pelle d’oca.
Lei non si spostò, rimase ferma con le braccia perse lasciate mollemente lungo i fianchi, sentii le sue labbra stendersi in un leggero sorriso. La strinsi per la vita e l’avvicinai a me, reclinai la testa per approfondire il bacio. Sentivo il suo cuore battere, sentivo il suo cuore esploderle nel petto.
Mi staccai dopo pochi secondi, con la paura di aver esagerato. Poggioai la mia fronte sulla sua sorridendo
-Ho una gran confusione-
-In testa?- chiese lei, scossi la testa
-No, qui!- le presi la mano appoggiandola sul mio petto, sul cuore che batteva all’impazzata. Riusciva a sentirlo? Lo sentiva quanto batteva forte?
 
Forse sono un caso senza speranza.
  
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