Prima
che il Sole calasse su Roma, i Templari diedero un nuovo segno della loro
presenza e della loro imminente rivoluzione delle cose. Affidandosi ai poteri
della verga di Mosè, avevano fatto sorgere una montagna sotto la cattedrale di
San Pietro e il Vaticano, i quali dunque ora si trovavano in cima ad un alto
piano florido e rigoglioso, dove i giusti potevano rifugiarsi, mentre
nel resto del mondo iniziavano a imperversare le dieci piaghe d’Egitto per
punire tutti gli infedeli e corrotti.
Invasione
di rane, zanzare, mosche e cavallette, il bestiame moriva, ulcere si aprivano
sui corpi dei peccatori e i loro animali, il cielo pian, piano si stava facendo
scuro su tutto il globo e la grandine precipitava dal cielo rovinando tutto.
Mancava solo che l’acqua si mutasse in sangue e che morissero i primogeniti ma,
forse, per quello si sarebbe aspettato qualche giorno.
Come
se tutto ciò non bastasse, i Templari e gli altri cavalieri, che ora li
affiancavano, si aggiravano per Roma e dintorni personalmente per compiere la
loro azione punitiva per chi viveva nel peccato e, allo stesso tempo, salvifica
per chi, a loro giudizio, era retto. Loro, in particolare, si concentravano
alla ricerca delle persone dotate di poteri; ciò che aveva dell’incredibile era
il fatto che pure essi manifestavano capacità e poteri straordinari: essi
dicevano che era un dono divino per sconfiggere i nemici di Dio.
L’Arca
dell’Alleanza fulminava, anche a distanza di migliaia di chilometri, persone o
anche città di nemici del Creatore.
Proprio
come diceva l’Apocalisse di Giovanni,
stava venendo distrutto un terzo della Terra e dei suoi uomini.
Per
la popolazione, l’unica speranza di salvezza certa, era di tentare di
raggiungere la cima del monte su cui spiccava il Vaticano; alle pendici, infatti,
vi era un unico sentiero che portava in cima, per accedervi, però, era
necessario passare prima per un antro, antro che puniva con la morte chiunque
non fosse stato degno della salvezza.
Tutta
la violenza e la ferocia del Dio del Vecchio Testamento e, quindi, del
Creatore, si era manifestata nuovamente al mondo e all’umanità.
Gabriel,
Isaia e i loro compagni fremevano di ira davanti a quella crudeltà e quegli
orrori: volevano intervenire!
Bonifacio
li trattenne, con queste parole: “Come vi ho già detto, i templari hanno dalla
loro parte la Verga di Mosè, l’Anello di Salomone e l’Arca dell’Alleanza; essi
donano loro poteri e alleati che voi non potete fronteggiare in queste
condizioni. Siete stati a lungo ostinati, rigettando i vostri poteri e ora non
siete preparati ad affrontare il nemico. Per fortuna, adesso avete accettato la
vostra natura, per cui rimanete in disparte per qualche giorno, il tempo
necessario per imparare ad attingere appieno al vostro potere, poi potrete
andare a compiere il vostro dovere. Se vi muoverete prima, rischiate solo la
morte, senza risolvere nulla.”
“Non
capisco.” disse Gabriel “Questo discorso vale per me, ma per gli altri? Centra
con il fatto che Isaia lanci i fulmini? Che cosa ci stai tenendo nascosto?”
Bonifacio
non voleva ancora dire la verità, per cui si limitò a dire: “Isaia è una di
quelle persone fortunate che hanno scelto di essere in atto ciò che erano in
potenza. Isaia è nato con in sé la potenzialità di essere uno dei più grandi
esorcisti di tutti i tempi e, senza sapere ciò, ha sentito che combattere i
demoni era la sua strada e, quindi, nel realizzarsi può compiere davvero opere
grandiose, impossibili per chiunque altro.
Nonostante il suo impegno e la sua determinazione, però, non ha ancora
raggiunto l’apice. Per te vale più o meno lo stesso discorso, solo che la tua
potenzialità da realizzare è quella di essere l’Eletto.”
“D’accordo.”
si tranquillizzò Gabriel “Ho deciso di accettare di essere l’Eletto e lo farò.
Sono pronto ad ascoltare i tuoi consigli, ma prima … Vorrei che portassimo qui
Claudia, non sono per niente tranquillo a saperla là fuori, alla mercé di
quegli uomini crudeli!”
Gabriel
telefonò a Claudia a casa e sul cellulare, ma gli rispose sempre la segreteria
telefonica. Temendo che lei non gli volesse parlare, Antinori chiese a Stefano
di provare a sua volta a chiamare, ma il risultato non fu diverso. Gabriel,
allora, telefonò a Teresa per chiederle notizie e la donna gli disse che
l’amica era partita per un viaggio un paio di giorni prima e aveva lasciato a
casa il cellulare, perché non voleva essere disturbata da nessuno.
Gabriel
non era entusiasta ma almeno, pensò, anche se le piaghe si stavano diffondendo
ovunque, i templari per ora agivano soltanto a Roma, per cui probabilmente la
psicologa era al sicuro, almeno un poco più di altri.
Quando
gli chiesero perché non fosse preoccupato per i suoi parenti, Isaia rispose:
“Oh, sono certo di poter stare tranquillo: mio padre sarà contentissimo di
poter usare finalmente il bunker antiatomico che ha fatto costruire sotto casa.
Ogni tanto ci costringeva a fare delle esercitazioni e ci teneva chiusi là
sotto anche due settimane.”
In
quei due, tre giorni, quindi, Bonifacio e i suoi figli si dedicarono ad aiutare
Gabriel ed Isaia a diventare completamente padroni dei propri poteri.
In
villa, tuttavia c’era un’altra persona che si preoccupava fortemente per ciò
che stava accadendo e che sentiva in sé la necessità di agire. Erano, però,
tutti troppo concentrati su Gabriel e Isaia per accorgersi di lei e di ciò che
stava provando, tutti tranne Stefano.
Era
proprio Giuditta a non sopportare l’idea di rimanere inattiva, mentre fuori dai
confini della villa tutto andava a rotoli.
Stefano,
per quel poco che era riuscito a vedere la ragazza, si era accorto della sua
malinconia e quindi cercò il modo di trovarsi solo con lei, mentre tutti gli
altri erano in cortile, impegnati negli esercizi. La trovò in una terrazza,
decorata con molte fioriere; la ragazza era distesa su una sedia a sdraio e
ascoltava un’opera lirica da uno stereo posto su un tavolinetto lì vicino.
“Il
Flauto Magico, di Mozart, giusto?” esordì Stefano, poi forzò un sorriso.
Il
giovane si sentiva un poco impacciato, un po’ come i primi tempi in cui si
rapportava con lei. Non solo la ragazza non lo ricordava, ma lui l’aveva fatta
arrabbiare mostrandole il suo astio per Gaspare. Già, in quei giorni che aveva
trascorso in villa, Stefano amaramente aveva dovuto constatare che davvero
l’amica era totalmente vincolata e, soprattutto, sottomessa a quell’uomo.
Il
seminarista, dunque, ci teneva moltissimo a riconquistarne l’amicizia e ad
aiutarla a non farsi più mettere i piedi in testa dal figlio di Serventi.
Non
ricevendo risposta, Stefano si sedette su una seggiola lì accanto e continuò,
gentilmente: “L’ho riconosciuta dall’aria di Pappageno
e Pappagena.” attese qualche istante “Sai, una volta
abbiamo ascoltato l’intera Tetralogia dell’oro del Reno assieme.”
“Io
e te?” si stupì Giuditta.
“Beh,
non proprio … eravamo nello stesso teatro! Tu eri con Gaspare e tuo fratello e
Bonifacio …”
“Non
è la stessa cosa di dire che l’abbiamo ascoltata assieme.”
“Sì,
però, quando ci siamo incontrati, tu mi avevi proposto di venire nel palchetto
assieme a voi, ma Gaspare s’è opposto.”
“Può
essere, non ricordo.”
“Già,
lo so.” Stefano si rabbuiò.
“Per
favore, potresti andartene?”
“Perché?”
qui il tono era quasi di sfida.
“Perché
Gaspare non vuole che io resti a tu per tu con te.” rispose candidamente la
ragazza.
Stefano
si accigliò, si trattenne dall’arrabbiarsi e si limitò a chiedere, con tono
piuttosto aspro: “E tu, invece, che cosa vuoi?”
Giuditta
rimase un poco sorpresa per quella domanda, poi rispose: “A me sta bene quello
che vuole Gaspare: lui sa che cos’è giusto.”
Il
ragazzo fece respiro profondo per restare calmo, dopo provò a chiederle:
“Ipotizziamo, allora! Immagina che lui non ci sia, immagina che sia sparito
senza darti istruzioni. Tu che cosa vorresti fare, ora?”
Giuditta
lo guardò un po’ spaesata, poi gli fece cenno di avvicinarsi e alzò il volume
della musica, affinché coprisse le loro voci. La ragazza non sapeva se fosse
bene confidarsi con il giovane, ma guardandolo negli occhi vedeva la sua bontà
e sentiva di potersi fidare di lui, nonostante tutto; inoltre lui aveva
dimostrato di conoscere già il suo segreto.
“Io
non dovrei essere qui, in questo frangente. Là fuori, si sta scatenando
letteralmente il finimondo e io, in quanto Frano Giudice, dovrei essere là a
combattere i profanatori della Scienza Sacra. I miei confratelli stanno
lottando, probabilmente morendo e io sono bloccata qui a non far nulla!”
Stefano
ebbe un dubbio e domandò: “Lo stai dicendo adesso a me, per la prima volta,
oppure lo hai detto anche a tuo fratello o a Gaspare …?”
“Con
Gaspare ne ho parlato, è ovvio. Gli avevo chiesto il permesso di andare, ma lui
mi ha tassativamente vietato di uscire dalla villa. È buono, lo fa perché non vuole
che mi accada nulla di male, vuole tenermi protetta, ma … il mio dovere è di
andare là e combattere.”
Stefano
ragionò un attimo, sospirò e poi disse: “Sinceramente, preferisco anch’io che
tu sia qui, al sicuro, piuttosto che a rischiare la vita, è naturale. Non mi
piace, però, che tu resti qua solo per obbedire a lui. Sei infelice e si vede.”
“Davvero?
Nessuno lo ha notato …”
“Io
sì. In questi giorni sei spenta, mogia, priva pure di quel piccolo barlume
della tua splendida luce che Gaspare non ti aveva ancora portato via. Per
favore, spiegami perché senti l’importanza del dovere andare a rischiare la
vita.”
Giuditta
lo guardò in un misto di stupore e gratitudine: da parecchi giorni nessuno le
chiedeva la sua opinione.
“Io
sono un Franco Giudice ho giurato di punire i servi del Caos. L’Ordine è tutto
e va preservato ad ogni costo, anche quando la situazione è disperata.”
“Se
voi vi fate sterminare tutti quanti adesso, chi porterà avanti la vostra
missione, la vostra filosofia in futuro?”
“Se
ci sarà un futuro …” la donna divenne ancora più malinconica di prima.
“Una
volta eri più ottimista.”
“Gaspare
non mi aveva ancora aperto gli occhi. Prima ritenevo che, a questo punto, Gesù
sarebbe tornato a mettere le cose in Ordine, invece aveva ragione Serventi: Lui
non tornerà più ad invischiarsi nel mondo materiale. Il futuro dipende dalle
nostre azioni e, proprio per questo, sento ancora più forte il dovere di
intervenire.”
“Puoi
cercare una via di mezzo: ora, temo proprio che avresti scarse possibilità e la
tua azione sarebbe ininfluente. Pazienta qualche giorno, quando Gabriel e Isaia
saranno pronti e potrai aiutarli, come faremo anche noi. Mi sembra un buon
compromesso: non vieni meno ai tuoi doveri ed eviti di farti ammazzare.”
“Sono
un Franco Giudice: penso di potermela cavare. Ad ogni modo, Gaspare non vuole
tassativamente che io prenda parte a questa guerra, dice che devo rimanere al
sicuro finché non sarà finita, perché è dopo che verrà il mio momento d’azione,
quando ci sarà da ricreare. Io non ne sono sicura, io penso che sia mio compito
occuparmi anche di questo scontro.”
“Giuditta,
so quanto sono importanti per te il dovere e l’ordine, me lo hai spiegato,
quindi …”
Non
poté finire la frase, perché la ragazza lo interruppe: “Io sono confusa! Non so
più quale sia il mio dovere! Il tribunale della Santa Vehme dice chiaramente
quali sono i compiti che i suoi Giudici sono chiamati a svolgere e, credimi, io
ho una gran voglia di andare a lottare assieme ai miei confratelli.” aveva le
lacrime agli occhi “D’altra parte, però, Gaspare è più vicino alla Verità di
me, per cui lui sa meglio cosa …”
“Aspetta.”
questa volta fu Stefano ad interrompere “Il fatto che lui conosca o sappia fare
più cose di te, non implica che davvero abbia ragione su ciò che è bene e ciò
che è male.”
“Io
non voglio dispiacerlo.”
Stefano
sospirò; rimase incerto un istante, poi si decise a dire: “Per quanto, in
questo momento, io sia d’accordo con lui, circa il fatto che dovresti rimanere
al sicuro, devo ricordarti che sia tu che tuo fratello avete sempre insistito
sul fatto che i desideri egoistici, dettati da legami affettivi, devono essere
sempre subordinati al dovere e al servizio dell’Ordine. Lo dice anche il
proverbio, no? Prima il dovere, poi il piacere. Quindi, se tu sei
convinta che il tuo dovere sia essere là fuori a combattere e l’unica cosa che
ti trattiene sono i tuoi sentimenti per Gaspare.” queste ultime parole
le aveva dette con ribrezzo “Allora sarebbe bene tu uscissi e facessi ciò che
ti compete!”
Giuditta
era rimasta sorpresa dalla veemenza con cui erano state pronunciate quelle
parole: per quel poco che sapeva di lui, il giovane le era sempre sembrato
piuttosto sottotono: se ora le aveva parlato in quella maniera, era perché
teneva davvero molto a lei.
La
ragazza sorrise con gratitudine e replicò: “Mi hai convinta: se Gaspare si
arrabbierà, sopporterò qualsiasi punizione gli venga in mente, ma adesso è
giusto e doveroso ch’io vada.”
“Vengo
con te.” disse Stefano, non era affatto entusiasta, ma era del tutto risoluto.
“Tu?!”
si meravigliò Giuditta, inarcando un sopracciglio “Che cosa sai fare?”
“Temo
molto poco. Volevi insegnarmi, ma poi sei dovuta venire qui e io, leggendo ed
esercitandomi da solo, non sono riuscito a concludere nulla. Nulla di utile in
battaglia … solo un po’ di sano e vecchio potere gesuitico. Sono, però, in
grado di sanare e questo credo proprio sia utile.” guardò la ragazza e,
vedendola dubbiosa, aggiunse un commento nerd: “In fondo ogni gruppo di
avventurieri deve avere almeno un curatore.”
Giuditta
sorrise, intenerita. Stefano si sentì rinfrancato e quindi disse: “La
situazione sarà ardua, ma io voglio starti accanto e fare tutto ciò che potrò
per aiutarti.”
La
donna sorrise di nuovo con gratitudine, dopo un’ombra di malinconia le velò il
volto e infine disse: “Aspettami qua. Io vado a mettermi in divisa.”
Stefano
era piuttosto soddisfatto: Giuditta era riuscita a scuotersi un poco dalla
tirannia di Gaspare, era un primo passo per farle ritrovare la sua
indipendenza. Certo, la conseguenza di ciò era che entrambi si stavano andando
ad infilare in una sorta di missione suicida, ma incredibilmente questo fattore
gli pareva del tutto secondario. Benché lui non fosse d’accordo, sapeva quanto
l’intervenire era importante per Giuditta e, quindi, era contento di starle
vicino e aiutarla. Probabilmente stavano per andare a morire o a farsi molto
male, eppure Stefano non poteva fare a meno di sorridere, come se l’essere
assieme a quella ragazza rendesse più sopportabile anche la fine.
Attese
per circa un quarto d’ora, poi lei arrivò con la sua uniforme da Franco
Giudice: abito nero, pugnale cruciforme e maschera neutra bianca; quest’ultima
la teneva in mano e l’avrebbe indossata solo arrivati a battaglia.
Appena
aveva deciso di andare, Giuditta aveva avvertito un bruciore alla clavicola;
mentre si era cambiata d’abito aveva notato che, proprio come le era stato
detto, il nome di Gaspare era comparso sulla sua pelle, come inciso a fuoco,
per ricordarle a chi lei apparteneva e che stava facendo qualcosa che il suo
padrone disapprovava.
“Sicuro,
allora, di voler venire?” chiese lei, un po’ rudemente.
Stefano
annuì, era felice perché aveva risentito in quella voce la determinazione
dell’amica.
Sgattaiolarono
di nascosto fino al parcheggio, ma lì si imbatterono in Jacopo.
“Una
fuga romantica?” li prese in giro il fantasma “No, nessuno di voi ne sarebbe
capace. Quindi state mettendovi nei guai … Attenti, perché se per caso
sopravviveste a quelli là fuori, i guai che trovereste qui, al vostro ritorno,
sarebbero ben peggiori.”
“Lasciaci
in pace!” ribatté Stefano, seccato.
“Ho
parlato nel vostro interesse. Tu guarda se devo essere ringraziato così, per
una volta che sono gentile!”
“Senti,
fai quello che ti pare: noi andiamo.”
“Certo
che faccio quello che mi pare, come sempre!”
Jacopo
si allontanò borbottando. Stefano prese la propria auto e lui e la ragazza
partirono. Era loro intenzione arrivare fino in città, ma non ci riuscirono:
già durante il tragitto si imbatterono nelle atrocità di cui avevano sentito
parlare sia da Serventi che in televisione, ovviamente con commenti e punti di
vista molto differenti.
A
meno di cinque chilometri dalla villa, c’era una sorta di tempio Sikh allestito
dentro una vecchia stalla dismessa da decenni. Passandoci davanti con l’auto,
Stefano e Giuditta notarono che il luogo era preso d’assalto dai templari e gli
altri cavalieri. I due giovani parcheggiarono alla distanza adeguata per non
essere notati e si avvicinarono di soppiatto. Man, mano che si avvicinavano,
notarono che, oltre ai templari con spadoni e agli indiani con turbanti e
sciabole, c’erano anche esseri strani, sembravano animali o anche umanoidi ma
non parevano affatto naturali. Giuditta arrivò presto alla conclusione che
quelle creature fossero demoni delle legioni.
“Ne
sei certa?” domandò Stefano “Ma come potrebbe essere? Insomma, templari e
demoni non dovrebbero essere in conflitto? Anche se i templari sono
l’anticristo …”
“Hanno
l’anello di Salomone, sai cosa fa?” era lo stesso tono un po’ seccato, un po’
di sufficienza che Giuditta aveva i primi tempi in cui aveva a che fare con il
seminarista.
“Dominare
i demoni, già, non ci stavo pensando. Come pensi di procedere?”
“Semplice:
Vado, l’ammazzo e torno.” rispose lei con disinvoltura e un sorrisetto
sicuro di sé.
“Questo
è un titolo di un film western di Castellani del 1967, non un piano!” si
lamentò Stefano, piuttosto innervosito, anche se felice di sentirsi un po’ come
ai vecchi tempi.
“È
così, tuttavia. Siamo in due: io combatto, tu curi, non è che si possano
elaborare strategie.”
Stefano
la guardò con apprensione e rimprovero. Lei lo trovò tenero e divertente e
chiese, un po’ per prenderlo in giro, ma senza cattiveria: “Che c’è? Paura? Lo
sai come si dice: la morte è solo l’inizio.”
Il
giovane rispose d’istinto: “Sì, sono piuttosto nervoso. Potresti darmi un
bacio, così le endorfine mi calmerebbero.”
Giuditta
si irrigidì, per qualche istante ci fu il gelo, svanì quella complicità che al
giovane sembrava di star riconquistando; poi, però, lei si addolcì, lo guardò
con tenerezza e gli disse: “Stefano, scusami, io non so come fossero prima le
cose tra di noi. Adesso, però, io sono di Gaspare e quindi …”
“Va
bene, ho recepito.” la interruppe Stefano, seccamente “Preferirei, però, che tu
dicessi di stare assieme a Gaspare, piuttosto che di essere sua.”
Giuditta
decise che non era il momento di mettersi a discutere di ciò, per cui disse:
“Dai, stiamo perdendo tempo, è ora di agire. Tu sta indietro e fa’ quello che
puoi.”
La
ragazza indossò la maschera bianca, strinse il pugnale, poi avanzò, divenendo
impercettibile ai sensi altrui. Arrivata al centro del campo di battaglia, si
concentrò per addensare l’umidità nell’aria in modo tale da provocare una nube
di vapore che stupisse i contendenti e che facesse interrompere loro il
combattimento per qualche minuto. L’effetto scenografico ebbe successo e lei
parve emergere da quella nebbia. Avendo tutti gli occhi puntati contro, lei
disse: “In nome della Santa Vehme, sono tutti condannati a morte i profanatori della
Scienza Sacra!”
Senza
frapporre indugi, Giuditta conficcò all’istante il proprio pugnale nel collo
del templare più vicino a lei, poi lo estrasse e si avventò su un altro. Faceva
affidamento più sulla lama che sulla magia, che limitava a cercare di bloccare
gli avversari o respingerli con bolle d’aria compressa; avrebbe anche potuto
facilmente provocare incendi, ma il fuoco poteva essere un’arma a doppio
taglio, per cui preferì evitare. I Sikh, vedendo ciò, si sentirono rinfrancati
e attaccarono gli assalitori con maggior vigore rispetto a prima.
Stefano
non era stato notato, osservava e si chiedeva come potersi rendere utile. Vide
uno dei Sikh, ferito a terra, gli si accostò e lo sanò. Gli tornò alla mente
quando, pochi giorni prima, preso da rabbia, aveva fatto avvizzire un albero;
pensò allora ad Apollo: dio della medicina, ma anche in grado di affliggere con
malattie, come quando aveva provocato la pestilenza nell’accampamento degli
Achei.
Probabilmente
anch’io posso farlo: potrei indebolire le forze templari con delle infermità.
Speriamo il bene.
–pensò il giovane, cercando di capire come usare il proprio potere in quella
maniera.
Decise
di non ricorrere a malattie complesse, magari mortali, ma difficili da
provocare e chissà con quali tempistiche avrebbero agito. Ritenne che la
soluzione ideale fosse ricorrere a semplici, ma efficaci disarticolazioni e
rotture di arti. L’ulteriore difficoltà era dovuta alla distanza: lui aveva
sempre agito a contatto, tuttavia si mise d’impegno.
Il
suo piano funzionò ed ebbe un’importanza fondamentale, poiché i templari
sembravano avere anch’essi poter ricorrere a poteri sovrannaturali, a una forza
e velocità inumane. La possibilità di azzopparli e di spezzare le loro braccia
a distanza fu un’ottima risorsa per permettere ai Sikh di uccidere i nemici,
senza correre troppo il rischio di essere loro a congedarsi da questo mondo.
Giuditta,
allora, poté concentrarsi sui demoni delle legioni, operando esorcismi ed
invocando continuamente il nome dell’Arcangelo Michele.
I
legionari, però, non erano facili da sconfiggere ed erano immuni ai poteri di
Stefano, quindi, nonostante i templari fossero stati praticamente sconfitti, la
vittoria non era affatto probabile a causa di quei demoni.
Giuditta
era in difficoltà ed era anche stata graffiata più volte; Stefano non poteva
aiutarla negli esorcismi, poiché stava ancora gestendo la situazione coi
templari.
La
situazione era quindi piuttosto grigia, fu allora che si sentì un gran fragore
e una pioggia di lance cadde dal cielo sui demoni: ciò non sarebbe servito a
ucciderli, ma li avrebbe rallentati. Giuditta si stupì, si guardò attorno per
capire chi avesse fatto ciò e vide Gaspare avvicinarsi.
“Gaspare,
io …” balbettò la donna, impaurita.
“Non
ora.” la interruppe lui, imperioso “Faremo i conti a casa. Adesso uniamo le
nostre menti e poniamo fine alla faccenda.”
Stefano,
pure, si era meravigliato e ora osservava: vide Gaspare e Giuditta fissarsi
negli occhi e pochi istanti dopo dei fasci di luce attraversarono dall’alto al
basso i demoni, facendoli gridare di dolore e poi sgretolare.
In
pochi minuti la battaglia si concluse e i Sikh erano al sicuro, per il momento;
essi avrebbero voluto festeggiare i loro salvatori, ma non fu possibile.
Gaspare afferrò per un polso Giuditta e la portò verso la propria auto.
Stefano
si accostò loro, un po’ contrariato, chiedendo: “Ehi, che stai facendo? Dove la
porti?!”
“Prego,
non c’è bisogno di tutta questa riconoscenza: in fondo, vi ho solo salvato le
vite.”
Il
ragazzo si accorse di essere stato scortese, per cui cercò di rimediare:
“Grazie, probabilmente il tuo aiuto è stato fondamentale. Come hai saputo?”
“Probabilmente?!
… Me l’ha detto Jacopo, per fortuna. Adesso lei torna in villa con me. Tu,
Pigolo, fai quello che ti pare. Spero che mettere a rischio non solo te stesso,
ma soprattutto lei, ti abbia fatto capire che noi non parliamo a caso e se
diciamo di non uscire dalla villa, non bisogna uscire dalla villa.”
Stefano
annuì; poi pensò fosse meglio non aggiungere altro e si allontanò, per
recuperare la propria automobile e rientrare alla villa.
Mentre
erano in macchina, Gaspare sembrava furioso e non aprì bocca per tutto il
tragitto, nonostante Giuditta avesse espresso le proprie scuse e il proprio
rammarico per quella sconsideratezza. Arrivati nel cortile della villa, l’uomo
parcheggiò; rimanendo in auto, guardò glacialmente la ragazza e, con una
severità che la donna non gli aveva mai visto, disse: “Che cosa ti avevo detto,
io? Di non uscire dalla villa, poiché è pericoloso. Tu, però, bambina
capricciosa, non mi hai dato ascolto!” pur non urlando, la sua ira era lampante
“Adesso che hai rischiato la vita con quella feccia, che cosa pensi di avere
ottenuto? La vita di quei Sikh? Se saranno fortunati, verranno attaccati di
nuovo domani e moriranno.” sospirò, lasciò passare qualche secondo e poi disse,
leggermente placato: “Non provare mai più a fare di testa tua, tanto meno di
dare retta a Pigolo, lì. Ci siamo intesi?”
Giuditta
non rispose, lo fissava in un misto di contrizione e paura e sembrava sull’orlo
di piangere.
Gaspare
la guardò: in fondo faceva fatica a rimanere arrabbiato con lei. Disse: “Chi
tace acconsente. Va in camera e pensa alla maniera di chiedermi scusa.”
La
ragazza non fiatò e uscì dall’auto. Rimasto solo, Gaspare abbandonò il proprio
ostentato atteggiamento freddo e tremendo, per far spazio a un terribile
nervosismo e agitazione: aveva paura. La ragazza gli aveva disobbedito,
dimostrando che lui non ne aveva il totale controllo; ora, lui doveva
rispondere di questo suo insuccesso davanti al proprio genitore. Sentì qualcuno
bussare sul finestrino: era Temistocle. Gaspare scese dall’auto per ascoltare.
“Ti
vuole vedere subito, ti aspetta nel suo studio.” gli comunicò il fratello
maggiore.
“È
furioso?” chiese Gaspare, col groppo in gola.
“Naturalmente,
con quel che è successo! Non fare domande stupide.”
“Allora
vado.”
Gaspare
si affrettò a raggiungere il padre che lo aspettava, seduto dietro la propria
scrivania. Il giovane, appena entrato nello studio, si mise davanti al desco, ma
non gli fu lasciato il tempo di parlare.
“Si
può sapere come sia stato possibile?” domandò Bonifacio, calmo, ma con lo
stesso tono di amarezza e delusione di quando aveva scoperto il tradimento di
Foschi o di Clara. Continuò: “Garantisci sempre di avere il controllo totale su
di lei, eppure, nonostante i tuoi ordini, si è andata a mettere in pericolo con
quei folli e le legioni infernali; c’è una profonda contraddizione, non credi?”
“Padre,
come ho notato fin dall’inizio della faccenda, l’amicizia tra lei e la Guida
crea interferenze.”
“Ti
ho affidato un preciso incarico e tu lo hai accettato con tutte le sue
difficoltà ed implicazioni. Sai perfettamente che tu e lei dovete arrivare sani
e salvi alla fine di questa guerra e all’inizio del nuovo mondo. Ti ho detto
che durante questa guerra c’era una sola ad unica cosa che dovevi fare: tenere
lontano dai pericoli lei e te stesso e oggi hai fallito questa semplicissima
missione. Ha forse ragione Annibale, nel dire che ti sei lasciato vincere
dall’affetto per lei? Ricorda, proprio se tieni a lei, devi fare in modo che
obbedisca: è per il suo bene.”
“Padre,
ti assicuro che ne sono perfettamente consapevole e che non sono per nulla
arrendevole o permissivo con lei.” Gaspare era preoccupato e cercava di
difendere come meglio poteva il proprio operato “La tengo sottocontrollo con
tutti gli accorgimenti necessari.”
“Eppure
oggi è accaduto ciò che non doveva neppure passarle per la testa. Gaspare, devi
iniziare a fare sul serio.” Bonifacio parlava con una naturalezza terrificante;
guardò tremendamente il figlio e gli disse: “Se non vuoi rischiare di mandare a
monte il piano e se non vuoi suscitare la mia ira, vedi di iniziare a
comportarti come i tuoi fratelli maggiori.”
“Sì,
padre, non ti deluderò più.”
“Ti
conviene.”