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Autore: Deliquium    24/10/2014    7 recensioni
«Mi state mettendo alla prova?»
«Vedila così... Essere un Saint di Atena non è cosa da poco, tu lo sai molto bene, Angelo. E la costellazione che veglia sull'Etna non è una costellazione come tutte le altre...»
«Il Cancro, lo so.» Angelo si era gonfiato in petto. Sapeva tutto del Cancro. Era il suo segno ed era stata la costellazione di Manigoldo.
«Già, il Cancro.» aveva confermato il vecchio greco, con un sospiro.
Storia di come il Saint di Cancer divenne la Maschera di Morte.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Aetna


[ Oracolo ]


Ma non lo fece.
Nonostante tutto, Angelo rimase.
Le sessioni di allenamento si facevano di giorno in giorno sempre più dure. I suoi muscoli si tendevano fin quasi a spezzarsi.
Era rimasto, perché era orgoglioso e non avrebbe mai ammesso la sconfitta.
Era rimasto, per diventare più forte, perché nessuno doveva più permettersi di guardarlo dall'alto in basso.
Era rimasto, perché al mondo esistevano due occhi neri che quando lo guardavano gli scioglievano gli intestini e lii riannodavano in figure che lo facevano vergognare.

Rosalia si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorrise.
«È un mascherone.»
«Perché è grande?»
Lei rise.
«No, sciocco. Si chiama così. È un segno di benvenuto o di protezione dagli spiriti dei morti, dai demoni... Insomma, da tutte quelle cose lì.»
Rosalia si allontanò fino a raggiungere la panca di pietra sotto l'albero.
«Anticamente si credeva che le porte fossero dei varchi verso l'aldilà e che quando si apriva una porta si offriva agli spiriti la possibilità di entrare nella casa. Per questo si scolpivano volti mostruosi sopra l'arcata delle porte. Per spaventare gli spiriti e tenerli lontani.»
«Con una maschera?»
«Con una maschera. Se indossi una maschera diventi uno di loro, se diventi uno di loro, gli spiriti non ti portano via.»
Indossare una maschera e diventare uno spirito.
Angelo aggrottò pensieroso le sopracciglia riflettendo sulle parole di Rosalia.
«Sai un mucchio di cose tu.»
«Ho studiato e poi mi piacciono i miti. Soprattutto quelli greci... »
Rosalia si alzò e allargò le braccia.
«Questo posto ha l'odore della Grecia, degli dei e degli Eroi. Non lo credi anche tu, Angelo?»
Angelo tacque e sentì un dolore sordo in mezzo al petto.
Ma fu una sensazione fugace... che scacciò via di colpo.
Tornò a guardare Rosalia, ma lei stava guardando altrove.
Oltre lui.
Cosa stava fissando?
Le sue labbra si piegarono in un sorriso radioso.
Angelo si voltò.
Un uomo stava camminando verso di loro.
Era più giovane di Petre, ma comunque un adulto.
Angelo pensò che potesse essere il padre di Rosalia e d'istinto si allontanò da lei.
Ma Rosalia non si accorse di quel gesto che in un'altra occasione sarebbe stato sufficiente a scatenarne l'ira.
«Zio Vito.» cinguettò, mentre correva ad abbracciarlo.
Non ci sono andato troppo lontano, pensò Angelo.
Nel vederla tra le braccia di quell'uomo, Angelo sentì dentro di sé qualcosa che non aveva mai provato prima.
Cercò in mezzo alle sue emozioni qualcosa che gli assomigliasse, ma nulla. Era un sentimento nuovo, devastante.
Era come se stesse andando a fuoco. Aveva voglia di colpirlo, di sbatterlo a terra e spaccargli la faccia fino a renderlo irriconoscibile. Così che lei non potesse più fare quell'espressione nel vederlo.
I due tizi che lo accompagnavano gli lanciarono un'occhiata. Sentì un brivido percorrergli la schiena.
Il suo istinto gli permise di riconoscere immediatamente il pericolo, ma nonostante tutto, continuò a fissarli.
Non aveva abbassato lo sguardo con Michele e non lo avrebbe fatto nemmeno con quegli uomini.
«E lui?»
Vito gli aveva rivolto la stessa occhiata che si rivolge a una merda per strada prima di scansarla.
«È il mio … » Rosalia si fermò, prima di aggiungere in tutta fretta la parola «Amico» .
Ma il danno era stato fatto e Angelo se ne accorse dall'occhiata gelida di Vito.
«Un amico.» ripeté con insopportabile lentezza squadrandolo da capo a piedi. «Non ti ho mai visto a Linguaglossa.»
Prima che Angelo potesse rispondere, Rosalia intervenne: «Viene da Catania, zio e vive sulla montagna insieme a Petre.»
«Petre, Rosalia?»
Lei annuì, sorridente.
Angelo avrebbe voluto che tacesse.
Perché non chiudeva quella bocca? Perché diceva tutte quelle cose?
«L'uomo che vive sull'Etna, zio.»
Vito sembrò comprendere.
«Oh, lo zingaro. È così, quindi.»
Ad Angelo non piacque il modo in cui pronunciò quelle parole e non gli piacque nemmeno il modo in cui lo stava fissando.
Rosalia quelle cose non le vedeva. Era evidentemente accecata dall'affetto per lo zio. Magari ne era anche innamorata. Perché no? Per quel che ne sapeva poteva anche essere e lui non le aveva tolto il braccio dalle spalle nemmeno per un attimo.
Sì, dev'essere così...
Era senz'altro così.
Strinse i pugni.
Se fosse rimasto un secondo in più...
«Andiamo Rosalia.»
Non era stata una richiesta, ma un ordine.
Rosalia tentò una timida opposizione, ma Vito la stava già trascinando verso la piazza.

Angelo camminava per le vie di Linguaglossa.
Non gliene andava dritta una.
Petre gli chiedeva cose impossibili.
Rosalia gli chiedeva cose impossibili.
E come se questo non bastasse Michele e i suoi amici si appostavano per sorprenderlo ogni volta che scendeva in paese.
Ormai aveva imparato ad avvertire la loro presenza mentre ancora camminava per i campi.
Petre spiegava quell'improvviso incremento delle sue capacità come un avvicinamento al settimo senso.
Ad Angelo non tornavano i conti.
Sui libri si parlava di cinque sensi, massimo sei.
«È ciò che differenzia un Cavaliere d'Oro dai Saint di rango inferiore.» gli aveva risposto Petre quando Angelo gli aveva chiesto cosa fosse il Settimo senso.
«Ah, se è così. Allora è tutto chiaro.» Angelo non era riuscito a trattenersi dal fare del sarcasmo.
Petre era scoppiato a ridere. Poi fattosi serio gli aveva chiesto.
«Dimmi, Angelo, da dove trae il suo potere un Saint?»
«Dal cosmo.» aveva risposto Angelo.
Rammentava ancora la lezione che Petre gli aveva inflitto l'unica volta che non aveva risposto con prontezza.
Petre aveva fatto un cenno con il capo. Era evidente che la risposta non gli bastava...
«Dal cosmo... cioè dall'universo, dalle stelle... »
«Esatto.» lo aveva interrotto Petre. «E com'è l'universo?»
«Grande?»
«Infinito, Angelo. Infinito. O meglio... in espansione. Ciò significa Angelo che il potere di un Saint è potenzialmente infinito.»
Angelo aveva sbarrato gli occhi.
«Eppure, ti chiederai... Per quale motivo i Saint non sono onnipotenti?»
In effetti se l'era chiesto.
«Semplice. Perché un Saint non può espandere il proprio cosmo oltre la consapevolezza che ha di esso. Il Settimo Senso rappresenta un'elevata consapevolezza del proprio cosmo. Molti affermano che si raggiunge con il Settimo Senso la consapevolezza ultima del proprio cosmo, ma è errato. Oltre c'è molto...molto di più.»
«Altri sensi, maestro?»
A quella domanda Petre aveva piegato le labbra in un sorriso.
In ogni caso, Angelo si stava avvicinando al Settimo Senso. Era lì lì per capirlo... ma non appena si avvicinava questo gli sfuggiva.
E si rese conto che gli stava sfuggendo anche il sesto quando vide comparire davanti a sé Michele e il suo gruppo.
Perfetto. Giornata di merda.
Finse di non vederlo e si apprestò a prendere un vicolo sulla destra.
«Oi, pezzente, non si saluta?»
Angelo si fermò.
«Michele.» sfiatò tra i denti serrati.
«È un po' che non ti si vede in giro. Ci chiedevamo dove fossi?»
Angelo arretrò.
Non aveva paura di loro. Aveva paura di sé stesso.
Rispettare gli ordini di Petre diventava di giorno in giorno sempre più difficile.
La volta in cui aveva perso il controllo era ancora troppo debole e nessuno si era accorto che era stato lui a  causare quell'onda d'urto. Avevano pensato a un terremoto.
Ma ora...
Michele avanzò. In lui il sesto senso non funzionava per un cazzo. Se ne avesse avuto almeno una briciola, sarebbe scappato a gambe levate.
Angelo si sforzò di tenere le distanze.
«Cosa vuoi?» gli chiese.
Michele piegò le labbra in una smorfia.
«Girano delle voci sul tuo conto.» disse con tono sprezzante. Poi, piegò le labbra in un sorriso. «Ma io so che sono menzogne. Mi sono detto... è impossibile che Rosalia guardi un pezzente come lui. Non è vero?»  chiese rivolgendosi questa volta ai suoi amici.
Gli altri annuirono con vigore.
Angelo rimase in silenzio.
«Ti consiglio di startene sulla montagna con lo zingaro.»
Non uno. Due, adesso gli stavano cagando il cazzo.
Lo sapevo, io che quella femmina mi avrebbe portato solo guai.

Si girò, ma non riuscì a fare nemmeno un paio di passi, che sentì qualcuno afferrargli il braccio.
Soffocò il suo istinto.
Controllati, per dio. Controllati.
«Hai capito cosa ti ho detto?»
«Sì, ho capito. Ma non è un problema mio. Non me ne frega un cazzo di Rosalia. Se ti piace così tanto... perché non te la prendi.»
Strattonò via il braccio e se ne andò.
Ne aveva abbastanza di Linguaglossa, di Rosalia, e del suo clan di adulatori.
Che si fottessero tutti.

«È da tanto che non vieni a farmi visita, Petre. Ti aspettavo molto prima.»
Petre guardò il pavimento.
«Ho avuto da fare.»
«Due anni.» borbottò lei, di rimando.
L'anziana donna scompariva dentro l'ampia poltrona davanti al camino. Era minuta, con i capelli bianchi raccolti in una crocchia e le gambe sottili che ondeggiavano a una spanna dal pavimento.
Angelo si mosse a disagio. Quella vecchietta lo guardava proprio fisso.
«È lui il ragazzo?» chiese dopo un lungo silenzio.
«Sì.» rispose Petre.
La donna annuì tra sé.
«Avvicinati.» disse.
Angelo non si mosse. Era solo una vecchietta e non toccava manco per terra. Ma lui preferiva stare lì. Insomma, poteva anche parlargli a distanza.
«Non mi piacciono i ragazzi grandi come te; i bambini hanno la carne più tenera e con un po' di olio e sale... sapessi che bontà.»
Angelo sbarrò gli occhi, mentre alle sue spalle Petre scoppiava a ridere.
«Ludmilla dovresti smetterla di scherzare su queste cose.»
La donna fece un gesto svogliato con la mano.
«Chi vuoi che creda a queste cose adesso. Gli unici a farmi visita siete tu e le comari di Linguaglossa. E credimi loro vengono solo per stupidaggini.»
Angelo era concentrato.
Se la vecchia è amica di Petre, ci sono buone possibilità che possa leggermi nel p...
Si accorse troppo tardi di aver formulato per davvero quel pensiero.
Petre sogghignava.
«No, Angelo. Gli occhi di Ludmila vedono molto più in là del presente. Lei riporta alla luce il passato e scorge il futuro.»
«Non esattamente» lo interruppe l'anziana donna. «Almeno per quel che riguarda il futuro. Diciamo che individuo il futuro più probabile in un dato momento... Ma il futuro è mutevole così come il Fato.»
«Il Fato?»
«Il Fato è un'entità potente, ragazzo. Persino gli dei chinano la testa di fronte al Fato. Esso è cangiante e sempre in perenne movimento. Più il futuro è lontano nel tempo, meno è probabile che esso si avveri.»
«Quindi i vostri oracoli sono una presa in giro?»
La donna rise.
«Diciamo che ci sono probabilità che non si avverino. Ma sai, la gente si dimentica dei miei fallimenti. In ogni caso, avvicinati... lascia che ti guardi bene.»
Angelo rimase per qualche istante dov'era, prima di coprire la distanza che lo separava dalla donna con un paio di passi.
«Qui.» disse lei, invitandolo ad abbassarsi con il movimento nelle mani.
Angelo rimase immobile, mentre Ludmilla gli sfiorava il volto. Solo in quel momento, mentre la guardava negli occhi da vicino, si accorse che era cieca.
«Hai una fronte ampia che denota ingegno e buona predisposizione a risolvere i problemi.»
Scivolò giù, a toccargli il naso. «Uhm, un naso regolare. Se ne trovano pochi in giro. Stai attento a non romperlo. Sarebbe un vero peccato.»
Angelo avrebbe voluto allontanarsi da quella vecchia, ma se l'avesse fatto il suo maestro l'avrebbe sicuramente appeso al muro e non in senso figurato.
«Uh... tensione alla mascella. Sei una persona nervosa, eh?!» Le sue dita gli stavano sfiorando le guance. «Ha ancora molto dell'infanzia in sé, e questo è un bene. Quanti anni hai, ragazzo?»
Angelo prima di rispondere, drizzò la schiena e fece alcuni passi indietro.
La vecchia aveva appoggiato le mani sul grembo e sembrava fissare un punto che esisteva soltanto nella sua immaginazione.
La donna annuì pensierosa dopo che Angelo le rispose e per un po' non disse nulla.
Trascorsero minuti, ore, giorni... che importava? Angelo avrebbe voluto essere altrove, a Linguaglossa ad esempio.
«Angelo, dimmi, che cosa ne pensi degli spiriti dei morti che vengono a farti visita?»
Anche lei?! Non è possibile!
«Che cosa ne penso? Penso che potrebbero andarsene tutti all'Inferno e lasciarmi in pace.»
Cosa diavolo volevano che rispondesse loro? Che era felice di prendersi la stizza almeno dieci volte al giorno? Cosa doveva fare? Invitare i morti a giocare a carte?
«E non senti nessun sentimento nei loro confronti?»
Eh? Sentimento? La vecchia era pazza.
«Quale sentimento dovrei sentire. Ah... sì... giusto. Li odio. Li detesto. Vorrei che sprofondassero...»
«Taci, stolto.»
Ludmilla aveva stretto i braccioli della poltrona e sembrava che volesse balzargli addosso. Era livida e il suo volto gentile aveva lasciato il posto a una maschera d'ira.
«Petre, non gli hai spiegato nulla?»
Il volto rivolto verso l'uomo, come se lo vedesse.
«Gliel'ho spiegato. Gliel'ho spiegato molte, molte volte... ma non posso dirgli troppo. Lo sai, Ludmilla. Deve arrivarci da solo.»
«Arrivare a cosa? Di che diavolo state parlando?»
Petre si voltò di scatto verso di lui. Gli occhi fiammeggianti. Aveva lo stesso sguardo di quando lo aveva sorpreso ad usare il cosmo per difendersi dai ragazzi di Linguaglossa.
«Le parole, Angelo. Quante volte ti ho detto che devi stare attento alle parole? E soprattutto... Non maledire mai.»
Non maledire.
Capitava spesso. La gente si malediva l'un l'altro. Che finisse all'inferno. Che morisse. Possa patire tutto il male che mi ha fatto, dieci volte tanto...
Era un'abitudine, quasi come salutare, dalle sue parti.
E se la volta in cui aveva usato il cosmo per fini personali, lo aveva riempito di mazzate; la volta che li aveva maledetti, non lo aveva toccato con un dito, ma lo aveva fissato con gli occhi azzurri che sembravano lame e pieni di un terrore così grande che Angelo davvero si pentì di aver detto quelle parole e si sforzò di non dirle più.
Ma ora …
Restò fermo, vergognandosi di sé stesso. Per la maledizione che gli era quasi sfuggita, perché stava così, con la testa bassa, come un fesso, perché non osava ribellarsi al suo maestro...
«Qual è il tuo responso, Ludmilla?»
La voce di Petre era tranquilla, come se non fosse accaduto nulla.
«Ho interrogato il vento, questa mattina e l'acqua della sorgente. Ho contemplato il volo degli uccelli, e rimescolato la terra per conoscere il futuro.»
Fece una pausa. Angelo trattenne il fiato.
«Sarò sincera con te, Petre. Egli sarà il Cancro prima di compiere quattordici anni, ma non sarà mai l'altro.»
«L'altro? Quale altro?»
«Colui che si nasconde dietro il Cancro, Angelo, e che un tempo marciava per le strade della vecchia Europa.»
«E non è un bene?» chiese Petre.
Ludmilla aggrottò la fronte e restò in silenzio per un po'.
«Nessuno sa quando sia avvenuta la sovrapposizione, ma né Sage, né Manigoldo furono lui.»
Petre si era fatto scuro in volto.
«Lo sai, Petre. È per questo che l'hai portato da me. Per sapere se darà inizio alla caccia, non è vero?»
Angelo ascoltava. Gli occhi sbarrati. Attento, come se dal più piccolo respiro dipendesse la sua vita.
E forse era proprio così.
«Forse è meglio così. È meglio che in lui ci sia solo il Cancro.»


Note dell'Autrice - Ho inserito l'OOC perché il Deathmask di Sincretismo evolverà in un modo un po' atipico, molto atipico, diciamo. ^^ Anche se nelle mie intenzioni c'è di fargli fare le cose che fa di solito... è che ho cambiato delle cosette.

   
 
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