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Autore: chelestine    24/10/2014    4 recensioni
"I'm down in the deep deep freeze,
what was I thinking of...
In the painful breeze,
by the frozen trees,
with a heart disease called love."

John Cooper Clarke
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Matt Helders, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stavolta non ci ho messo una vita! Neanche una settimana, si, ma
neanche una vita *gioisce*. Bene, iniziamo con il solito: gli Arctic non
mi appartengono, il titolo della storia e dei suoi capitoli appartengono a 
John Cooper Clarke, essendo sue poesie. Ringrazio tutte le persone
che si sono fermate a leggere questa storia (e siete davvero tanti!) Grazie.
Non saprei come descrivere questo capitolo: strano? lungo? corto? inutile?
troppo utile? non lo so. A me piace, e spero che vi intrattenga, un abbraccio. :)

 
 
6. ARE YOU THE BUSINESS
 
"did Noriega knock out coke
did Bob Marley like the odd smoke
was Jesus Christ a decent bloke
are you the business

does Oliver Reed ever get pissed
can Chubby Checker do the twist
was Karl Marx a communist
are you the business"
 
Alex aprì di nuovo lo sportello del loro taxi per lei, stavolta senza prodigarsi in scontate battute. Miles e Margareth avevano capito cosa stava succedendo, ma avevano finto ignoranza per non mettere in imbarazzo i due ragazzi, già abbastanza a disagio nel comunicargli della loro decisione di tornare a casa. Avevano bevuto assieme il caffè in cucina evitando di guardarsi, entrambi impauriti da un possibile cambio di rotta da parte dell'altro; avevano voglia di passare del tempo insieme, da soli, ma non l'avrebbero mai detto ad alta voce, non così chiaramente, dunque si tormentavano nel dubbio delle loro reciproche scelte. Lei si obbligava a non pensare alla grande mano di Alex sulla sua, e lui cercava di evitare gli occhi azzurri di Andy per non dare più importanza di quanta ne avesse alla loro neonata complicità.
Si aggiustò il vestito guardandolo entrare nel taxi con grazia, i suoi jeans scuri, quegli stivaletti neri e la camicia scura coperta dalla solita giacca di pelle che rendeva il suo colorito ancor più bianco, lo faceva apparire simile ad una statua in marmo. Sembrava infinitamente concentrato nel chiudere lo sportello, e nel non rispondere alla tassista, che aveva appena chiesto ad entrambi dove volevano essere portati. Seguirono dei secondi di silenzio, Andy fingeva di guardare fuori dal finestrino, si rese conto che restare da sola con lui poteva condurla a infiniti e diversi scenari, nessuno dei quale la faceva sentire pienamente a proprio agio. Decise di comportarsi da gentiluomo, avvicinandosi di qualche centimetro a lei per sporgersi in avanti, parlando con la tassista.
« Park Griffith, è ancora aperto? » le chiese. La sua voce bassa fece voltare Andy per apprezzare il suo profilo, per quanto si sentisse a disagio.
« Si, dovrebbe.. » gli rispose la donna, sulla quarantina, con un accento australiano.
« Ok, allora ci porti li. Grazie. » La tassista acconsentì, mentre la schiena del ragazzo tornava a riposarsi sui sedili in pelle nera. Istintivamente cercò la mano di Andy come se non avesse mai fatto niente di più naturale, trovandola in pochi secondi. Solo quando la strinse nella sua nascondendo il pollice sotto il palmo di lei si rese conto dei movimenti del suo arto, alzando istintivamente il mento, fissando il parabrezza lontano per non doverla affrontare. Non voleva riflettere su cosa l'aveva portato con tanta naturalezza a quel gesto, se fossero le migliaia di volte che l'aveva fatto con Alexa, Arielle e le altre ragazze, o una complicità che con lei sembrava crescere nel silenzio condiviso. Andy con lentezza ed indecisione strinse il suo pollice, attorcigliandovi le dita attorno, lasciando che il palmo della mano di lui riscaldasse il dorso della propria.
« Va bene Griffith Park per te? » le chiese dopo svariati minuti di silenzio trovando il coraggio di voltarsi verso di lei, senza muovere la mano, fingendo di non star stringendo la sua. Lei seguì benvolentieri la recita, interpretando a sua volta completa ignoranza, annuendo.
« Non ci sono mai stata di notte. » la sua voce tradì una certa indecisione, che preoccupò il ragazzo al punto di gettare la maschera: strinse leggermente la sua mano, guardando le vene sul suo dorso bianco gonfiarsi impercettibilmente. Lei invece guardò lui, con gli occhi abbassati, il naso appena arrossato a causa del clima notturno, e le labbra contratte in una smorfia di concentrazione. Sorrise, istintivamente. Se avesse avuto più coraggio l'avrebbe ringraziato per non aver pronunciato l'indirizzo di casa sua senza neanche chiederglielo, come in realtà si aspettava avrebbe fatto; ma inspiegabilmente il vino rosso non si stava muovendo sulle strade giuste. Aveva voglia di stare con lui, un neonato ma evidente desiderio di condividere il silenzio e di sentire la sua voce allo stesso momento. Il feeling che si era creato tra loro sul divano, costruito lentamente durante tutta la sera, o forse da un po' più a lungo, li seguiva passivamente. Se entrambi non si sapevano spiegare cosa ci facessero mano nella mano sul retro di un taxi che li stava portando ad un parco sulle colline attorno a Los Angeles a mezzanotte, non avevano messo in discussione per un solo secondo di essere dove volevano essere, qualsiasi fosse la motivazione per la quale vi si erano ritrovati, nascosta dietro all'imbarazzo.
« Si, è ancora aperto. Anche se non so se lo resterà tutta la notte, ad essere sincera. » ruppe il silenzio la donna, fermando il taxi ed indicando ad entrambi un grande cancello spalancato. La ringraziarono entrambi ed Alex pagò il passaggio precedendo Andy, che stava tirando fuori i dollari da una delle tasche del vestito. La donna li salutò con un cenno della mano prima di ripartire, lasciandoli di nuovo soli. Inaspettatamente, Alex si sentì meno a disagio guardando i fari della macchina sparire nel buio.
« Ti va di fare due passi? » le chiese con un cenno della testa, indicando il sentiero dietro di loro, che si addentrava nel parco, illuminato scarsamente da radi lampioni. « Si vede tutta Los Angeles illuminata da laggiù. » Le disse con un sorriso storto, ma allo stesso tempo rassicurante.
« Certo » rispose prontamente lei. La sua giacca in pelle color cuoio le sfiorava la vita, e decise di chiuderla, facendo scorrere velocemente la zip, sino alla cima mentre camminava al fianco di lui. « E' una sensazione particolare.. In qualche modo mi sembra di conoscerti già. Sai, ascoltare la tua musica, leggere i testi.. Una parte di me ha la sensazione di conoscerti, ma non ti conosco, affatto. » Prese coraggio lei, con un sorriso, lanciandogli un'occhiata. A sua volta, lui annuì, capendo perfettamente cosa intendesse dire.
« Ed io non so neanche se darti ragione.. Non mi piace pensare che le persone mi immaginino solo attraverso ciò che scrivo. Ma allo stesso tempo sono sicuro di poter affermare che chi ha interpretato i testi nella maniera giusta mi conosce più di molte persone che ho attorno costantemente. » Le rispose con tranquillità. « E' una sorta di vedo non vedo, il cantautorato, no? Voglio che tu mi ascolti, ma non mi guardare. » Lei sorrise, come lui.
« Mi spoglio ma voltati dall'altra parte. » cercò di interpretarlo Andy, e lui annuì energicamente.
« Esatto! » rispose sorpreso dalla naturalezza con la quale aveva colto ciò che intendeva dire. La ragazza annuì a sua volta, nascondendo un sorriso di compiacimento per il suo entusiasmo. Il ragazzo tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne accese una continuando a camminare, mentre lei gli stava accanto, con le mani intrecciate dietro la schiena. « Dunque sono io quello che parte svantaggiato. Tu conosci qualcosa di me, ma io non ti conosco, affatto. » disse ripetendo le sue stesse parole con ironia, le labbra gli si arricciarono da un lato in un sorriso, prima di poggiarle sulla sigaretta.
« Cosa potrei dirti che ti stupirebbe? La svantaggiata sono io, la partita è truccata! » gli rispose allegramente, ridacchiando e voltandosi verso la strada, continuando a camminare. Alex scosse la testa seriamente.
« Ci sono tante cose che potrebbero stupirmi. » le disse con il suo tono basso. Non voleva essere ambiguo, ma si rese conto che dopo tutto quel tempo gli era impossibile frenarsi prima di parlare: era abituato ad un certo tipo di risposte, quelle che mettevano in soggezione lei. « Scommetto che hai fatto un sacco di cose che io non ho mai fatto, non dare niente per scontato. » continuò poggiando di nuovo la sigaretta sulle labbra. Andy continuava a camminare, e mettendosi a pensare a qualcosa di interessante da raccontare di se, lasciò calare il silenzio tra di loro.
« Ho incontrato Bob Dylan ma sicuramente an- » disse dopo diversi minuti. Lui scosse la testa, con un'aria soddisfatta.
« Mai. » sorrise, era inspiegabilmente allegro. Si sentì normale, avrebbe voluto scambiare i ruoli con lei, e non farla sentire in difetto, non lo era. « Non credo nemmeno che sappia dell'esistenza degli Arctic Monkeys » aggiunse. Andy rise.
« Allora ho una foto con Bob Dylan, che tu non hai. » disse inclinando la testa e guardandolo.
« Anche la foto?! Incredibile. » la prese in giro Alex, con una vena di ironia che le sollevò l'umore.
« Anche l'autografo, se è per questo. » ribadì lei col sorriso sulle labbra, continuando a camminare.
« Mi sento nettamente inferiore. » replicò Alex abbassando la testa fingendosi sconfitto.
« Hai suonato alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Io ho lavorato per l'Oktoberfest. » gli disse squadrandolo con aria torva.
« Un'altra cosa che non ho mai fatto! » esclamò lui entusiasta. Andy rise di gusto, scuotendo la testa. « Siamo a due, potremmo andare avanti tutta la notte. » le disse stringendosi nelle spalle con un sorriso.
« Ho fatto una maratona del Signore degli Anelli in tedesco al cinema. Non ci ho capito assolutamente niente. » disse allora lei ridendo dopo un minuto di silenzio. Alex aggrottò le sopracciglia, confuso.
« Come ci sei finita? Pensavi di andare al concerto di Nutini? » la prese in giro con una maschera di serietà, imprigionando di nuovo la sigaretta tra le labbra. Lei lo guardò male cercando di non sorridere e fallendo miseramente nella futile missione di fingersi offesa.
« Non capivo neanche cosa dicevano quando mi ci hanno portato, poteva essere un porno per quanto ne sapevo. E forse avrei preferito a 10 ore di tedesco. » Gli disse facendolo ridere. Si immaginava le sue guance rosate avvampare davanti ad un film erotico in lingua germana, nascosta dal buio ma comunque abbastanza esposta per sentirsi nel luogo più erroneo del mondo. Scosse la testa divertito al pensiero, mentre lei era intenta a studiare il suo profilo. I radi lampioni con la luce biancastra disegnavano i lineamenti del suo volto con profondità, rendendo il naso ed il mento più spigolosi del normale, i capelli ricadevano in un ciuffo scomposto sulla fronte che dava a tutta l'immagine una vena artistica, surreale. Sembrava il soggetto di un quadro.
« Siamo a tre, Andy. Adesso mi sento terribilmente in soggezione. » disse poggiandosi la mano sul petto in un gesto teatrale, continuando a camminare con lei. Lei lo guardò di nuovo con quello sguardo di disapprovazione che nascondeva una profonda complicità. Si morse un labbro per trattenersi, aveva la sensazione di aver aperto il vaso di Pandora, che fosse partecipe di uno dei rari momenti in cui Alex Turner si apriva per tornare ad essere un normale ragazzo, ma sperava di aver avuto solo la fortuna di averci passato abbastanza tempo assieme perché decidesse di farsi conoscere.
« Sei simpatico. » disse allora annuendo, con un sorriso dolce. « Non voglio offenderti, non che tu dia una pessima impressione, ma non avrei mai pensato tu fossi così ironico. » si spiegò meglio gesticolando appena, camminando con la testa bassa.
« Grazie. » si limitò a rispondere lui sinceramente. Finì la sigaretta e la gettò a terra; rallentò per un attimo il loro passo per spegnerla sotto la suola degli stivaletti neri, prima di tornare a guardarla. Seguì il silenzio, il loro confortevole, condiviso silenzio. Camminarono fianco a fianco per diversi minuti, lei non riusciva a distogliere lo sguardo dal cielo, erano abbastanza lontani dal centro per poter vedere delle stelle, che incaute brillavano dietro i rami degli alberi quasi spogli, rade. Sorrideva appena, era da tanto tempo che non si sentiva così calma: era raro per lei rendersi conto di essere nel posto giusto, ma passo dopo passo si sentiva come se la vita la stesse abbracciando, si sentiva viva come non le capitava da tempo. Alex con le mani in tasca la seguiva, i tacchi degli stivali tradivano il suo passo strascicato e lungo, la piccola strada selciata tagliava a metà tutto il parco per arrivare al suo belvedere, ma non ne era più interessato, avrebbe camminato per ore. Gli pareva di sentire una vecchia canzone in sottofondo, ma si convinse che dipendeva dal rumore del leggero vento, lo stesso vento che scompigliava i capelli ondulati di Andy, lasciandoli correre dietro la sua nuca con gentilezza, senza dar fastidio al suo naso all'insù. Camminarono all'unisono, Andy ogni tanto si preoccupava per l'impressione che poteva dargli, ma in qualche modo pensava che il modo migliore per conoscersi fosse condividere passi silenziosi, e lui appariva tutto fuorchè a disagio. Finalmente, arrivarono al belvedere, e nessuno dei due ebbe bisogno di farlo notare. Los Angeles si distendeva sotto di loro come un immenso focolare, era così lucente che le stelle scomparvero, ed Andy fu di conseguenza catturata da un bagliore d'altra provenienza. La fissarono in silenzio, nella notte, per diversi minuti. Lui aveva le mani nelle tasche dei pantaloni, lei in quelle della giacca.
Con un sospiro, Alex si avvicinò ad una delle innumerevoli panchine con vista sulla città, sedendosi. Lei lo seguì senza farsi pregare, accavallando le gambe senza riuscire a distogliere lo sguardo dallo spettacolare panorama.
« Toglie il fiato. » disse Andy poggiando la schiena sul legno della seduta, leggermente umido. Lui annuì, nonostante lo sguardo della ragazza non fosse puntato su di lui. Poggiò la caviglia sull'opposta gamba, mettendosi comodo a sua volta, inclinando la testa. Era stato in quel posto con Arielle, ma non di notte, e non si erano mai seduti su quella panchina, tanto che in quel momento il parco non gli ricordava la sua passata fidanzata, non gli ricordava niente; pensava tuttavia che quel preciso momento, che stava vivendo, avrebbe per sempre stampato nella sua memoria una precisa fisionomia di Griffith Park, non l'avrebbe mai più nominato senza pensare ad Andy.
« Non mi capita spesso di non dover parlare di me. » disse con il suo tono basso, che la ragazza pensò si sposasse alla perfezione con l'ambiente. Si voltò verso di lui, aggrottando leggermente le sopracciglia confusa. « Solitamente mi vengono fatte delle domande, sulle canzoni, sugli album, su come si è formato il gruppo, Sheffield.. Perché non mi hai chiesto niente di tutta quella roba? » Le chiese incuriosito. Lei, come sempre, si strinse nelle spalle.
« Ho pensato che ti capitasse spesso di dover parlare di te. » rispose con un sorriso leggermente imbarazzato. Lui scosse la testa, un sorriso amaro.
« Sempre la risposta giusta al momento giusto. »
« Non sembri uno che ha voglia di parlare di se. » disse allora Andy seriamente. Lui rimase in silenzio, dandole il profilo e guardando Los Angeles, completamente illuminata. Poggiò una mano sul ginocchio piegato, dondolando appena il piede, l'anello al mignolo ben visibile.
« Mi sembra sempre una recita. » confessò evitando di guardarla.
« Allora non lo fare, possiamo parlare di fotografia tutta la notte, di film, di serie tv, del meteo, e di tutto quello che di più impersonale ti viene in mente. » suggerì dolcemente Andy, continuando ad osservare il suo profilo, così intrinsecamente maschile. Allora Alex si voltò verso di lei, cercando la verità nei suoi occhi. Le iridi normalmente di un azzurro luminoso erano oscurate, uno strato di blu le rendeva più calde e dolci, le luci in lontananza si riflettevano su di lei quasi fosse vicina al suo albero di Natale, e si ricordò della musa che aveva immaginato: il maglione rosso, il biscotto all'arancio, il Natale. Le sorrise, con sincerità. I suoi occhi a quelli di lei sembravano pece, il buio della notte li rendeva profondi come pozzi e non riusciva a distinguere l'iride dalla pupilla, ma in qualche modo vi vide il calare di un velo, ed improvvisamente si illuminò il suo volto.
« Puoi venire a sedere qui? » chiese lui guardandola, lasciando tornare entrambi i piedi sul terreno, e poggiando sofficemente il grande palmo sulla sua gamba. Andy seguì il suo sguardo, che la portò sulle grande dita affusolate restanti sui jeans scuri, immobile. Annuì, un solo e deciso cenno. Non aveva avuto bisogno di pensarci, la vena di bisogno nella voce del ragazzo le aveva accarezzato il cuore, e sapeva che non vi si nascondeva niente di sensuale, aveva solo trovato il coraggio di esprimere la necessità di sentirla più vicina, la stessa che aveva lei. Si alzò e si posizionò sulle sue gambe, toniche. Passò un braccio sulle sue spalle per non perdere l'equilibrio, cercando di non muoversi eccessivamente, lui con la testa bassa rimaneva immobile per farla accomodare, guardando la fantasia del vestito color crema sulle sue gambe. Andy intrecciò i piedi, a penzoloni a qualche centimetro dal terreno, abbassando finalmente lo sguardo su di lui, si era seduta a metà coscia evitando una troppa vicinanza che avrebbe messo entrambi in difficoltà; non riusciva a scorgere bene il suo volto da sotto il ciuffo ben studiato, ma gli sorrise comunque.
« Meglio » mormorò lui, come un bambino. Andy si voltò verso il panorama, dandogli la nuca.
« Los Angeles è davvero bella. » un commento banale, ma si sentiva leggermente a disagio, sulle gambe di Alex Turner. La sensazione di condividere il tempo con una rockstar, e non con una persona, bussò di nuovo alla sua porta.
« Non è Londra, ma è bella. » commentò lui sorridendo e ticchettando i polpastrelli sul legno umido della panchina. Anche lei sorrise, aveva ragione.
« Quanto siamo inglesi » commentò divertita Andy, tornando a guardarlo. Lui era già pronto ad incrociare i suoi occhi sporto leggermente in avanti, con la curiosità dipinta in faccia, sembrava che il calore delle cosce di lei gli avesse dato nuova vita. Le sorrise, per un secondo. Passò una mano sulla sua schiena, trovando rifugio tra il giacchetto di pelle della ragazza ed il suo vestito, rimase in silenzio, e sospirò impercettibilmente.
« Stai comoda? » lei annuì velocemente, portando dietro all'orecchio una ciocca di capelli, e guardandolo dall'alto in basso. Alex annuì a sua volta, accarezzando appena la sua schiena, con un movimento di non più di un paio di centimetri. « Saremmo andati d'accordo al liceo. » disse allora passando la mano libera sul ciuffo e tirando i capelli indietro, per permettersi una visuale migliore. La ragazza aggrottò le sopracciglia.
« Non mi pare di essere in disaccordo adesso. » disse sorridendogli, incerta. Lui annuì.
« Intendevo dire che avrei avuto una cotta per te. » le rispose arricciando il lato sinistro della bocca in un sorriso, cercando i suoi occhi. Lei arrossì all'istante, alzando leggermente le sopracciglia per la sorpresa. Le uscì istintivamente un “oh” dalle labbra. Il sorriso di lui si allargò allora ancor di più. « Già, oh. » commentò divertito abbassando lo sguardo sulle cosce della ragazza, coperte dallo strato di tessuto del vestito. Avrebbe voluto conoscerla da adolescente, e avrebbe voluto imparare da lei come comportarsi in una relazione, sembrava il tipo di ragazza che lasciava un ricordo immensamente dolce del primo amore. « Sei mai stata innamorata? » le chiese tornando con studiata lentezza a scrutarla. Ma lei guardava le proprie mani, intrecciate sul grembo, ed i capelli come una tenda impedivano ad Alex di leggere le sue espressioni.
« Non lo so » confessò con un tono di voce basso, ma deciso. Con un sospiro tornò eretta, portando i capelli castani dietro alle orecchie. « Ho avuto delle relazioni lunghe, ma non so se ho mai amato. E' una cosa talmente grande che mi sentirei stupida a dire che si, ho amato due uomini nella mia vita. Ci ho condiviso una parte di me, ma.. Non lo so, Alex. » disse guardandolo negli occhi, quei pozzi color pece che la spingevano ad essere totalmente sincera con lui. A chiunque altro avrebbe risposto che si, era stata innamorata. Ma in quel momento non ne era certa; nel passato una persona diversa da quella che era in quel momento aveva amato, ma lei? Lei, matura? Non lo sapeva. E non sapeva neanche spiegarglielo come avrebbe voluto, dunque rimase in silenzio. Lui le accarezzò di nuovo la schiena, da sopra il tessuto del vestito, mentre l'interno della giacca in pelle ricopriva il dorso della sua grande mano.
« Non devi saperlo per forza. » rispose cercando il suo sguardo, con delicatezza.
« Tu? » chiese lei per cambiare soggetto. Alex rimase in silenzio qualche secondo.
« Si, forse più volte di quante non voglia ammettere. » ammise in un sospiro, quasi se ne facesse una colpa. « E sempre in maniere completamente diverse, non ho mai amato due persone allo stesso modo. » le disse mordendo per un attimo il labbro inferiore e facendolo scomparire. Andy annuì, capiva a cosa si stava riferendo; anche lei pensava che non si potesse quantificare l'amore, ma semplicemente notarne le differenze, che portavano a relazioni differenti, ed a sviluppi personali unici, caso per caso. Ogni amore era una storia a parte. Si guardarono negli occhi per diversi secondi, prima che Andy si voltasse nuovamente verso il panorama mozzafiato, evitando volutamente il suo sguardo. Rimasero immobili diversi minuti, dovevano essere arrivati al parco da più di un'ora, ed iniziava a fare freddo ad entrambi, ma Andy fu la prima a rabbrividire.
« Dovremmo spostarci, il vento inizia a tirare più forte. » palesò la voce profonda di Alex, lei annuì, ma non si mosse dalle sue gambe, non voleva, e lui lo capì. Accarezzò la sua schiena lentamente, scrutando il profilo della ragazza. « Vuoi sapere a che canzone sto pensando? » chiese avvicinandosi con fare infantile, poggiando la guancia sulla sua spalla. Lei sorrise, guardandolo di sottecchi per un attimo prima di tornare a guardare le proprie mani, a causa della troppa vicinanza.
« Sentiamo » disse con finto scetticismo.
« Glass in the park » rispose di getto, tornando con la schiena sul legno umido e guardandola, con dedicata attenzione. Lei si voltò, sorpresa, cercando di capire se la stesse prendendo in giro. « and I'll wait for you.. as if I'm waiting for a stone to stop » canticchiò. Andy aggrottò le sopracciglia.
« E' un modo per abbordare le ragazze? » non riuscì a trattenersi, e disse con serietà.
« Cosa? »
« E' un modo per abbordarmi? » si ripetè, ancora seriamente.
« Ma sei seria? » chiese Alex, si sentiva offeso, ma non poteva dirle di no, le avrebbe mentito.
« Sono seria. » rispose, decisa. Lo guardò negli occhi, ancora con un'espressione confusa. Avrebbe preferito onestà, se voleva dirle qualcosa doveva solamente dirlo; niente giochi di parole, niente canzoni, niente trucchetti, proprio come aveva fatto sino a quel momento. La sua voce bassa l'aveva fatta sentire una delle tante: quella sensazione che sino a pochi secondi prima era lontana anni luce dalla sua mente. « Devi dirmi qualcosa? » gli chiese allora, continuando a sedere sulle sue gambe. Lui rimase in silenzio per qualche secondo, sostenendo la durezza del suo sguardo, e cercando di capire se avesse qualcosa da dirle, aveva qualcosa da dirle?
« Ho voglia di baciarti, da quando ti ho stretto la mano sul divano. » ammise, con un tono di voce più basso del normale, in un sussurro. Lei, di primo istinto, inghiottì rumorosamente, non aspettandosi una risposta del genere. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di controllarsi, prima di dargli velocemente la nuca e voltarsi verso Los Angeles, che a differenza sua non brillava ad intermittenza. Anche lei ne aveva voglia, e l'aveva avuta a lungo, almeno quanto lui. Ma qualcosa non le sembrava corretto, non riusciva a non pensare che la sera prima aveva fatto sesso con un'altra donna, la sua coinquilina. « Rispondimi, Andy. » le disse con un tono quasi supplichevole dopo un paio di minuti di silenzio. Lei non riusciva a voltarsi, si morse il labbro inferiore con indecisione fingendo di fissare il panorama. « Vuoi andare a casa? » chiese infine lui, dopo altrettanti minuti di inesistenti risposte. Annuì appena, alzandosi dalle sue gambe e pentendosene non appena le sue punte toccarono terra, sospirò stirandosi il vestito per evitare di guardarlo negli occhi. « Ok, chiamo un taxi. » Lui la imitò non solo nell'alzarsi ma anche nel sospiro, e dopo aver compilato il numero del servizio, ebbe una breve telefonata che terminò con dei ringraziamenti. Cercava lo sguardo della ragazza ma quello era troppo occupato ad evitarlo come la peste. Scosse appena la testa, avvicinandosi di un passo. « Cos'ho fatto? » chiese allora con decisione, inclinando leggermente la testa.
« Non hai fatto niente, Alex. » gli rispose passandosi una mano tra i capelli per tirarli indietro, stancamente.
« Non sembrerebbe. »
« Anche io ho voglia di baciarti. » ammise, con una finta strafottenza a causa della sua insistenza. Ma quella altro non era che una profonda vergogna per l'averlo ammesso ad alta voce. Finalmente lo guardò negli occhi, e lui aggrottò le sopracciglia.
« Ma? » chiese di nuovo senza battere ciglio.
« Ma stamattina abbiamo fatto colazione insieme dopo che avevi fatto sesso con la mia coinquilina. Non un mese fa, stamani mattina! » gli disse aprendo leggermente le braccia, con un tono sconsolato che rifletteva la sua personale battaglia contro ciò che avrebbe voluto fare e quello da cui la mente le gridava di fuggire. Lui apparve sorpreso per qualche secondo, e rimase a guardarla in silenzio.
« E' una cosa completamente diversa, lo sa Hester, e lo sai tu. » le rispose tranquillamente. Lei alzò leggermente le sopracciglia, pronta a rispondergli a tono, ma decise di aspettare qualche secondo, guardandolo negli occhi. Avrebbe voluto dirgli che no, non lo sapeva, che no, non era completamente diversa, e che no, non lo conosceva. Ma non ne era completamente sicura, non era certa di ciò che provava.
« Non voglio darti del playboy, non penso che tu mi stia usando, davvero Alex. » iniziò non staccando gli occhi dai suoi. Lui annuì, convinto. Le credeva. « Ma ti mentirei se ti dicessi che non mi da fastidio, sono umana. » concluse sinceramente.
« Se non vuoi baciarmi- »
« Voglio. Volere voglio. » lo interruppe alzando un sopracciglio. Lui sorrise, istintivamente, divertito.
« Se non te la senti, non lo fare. Nessuno ti obbliga, ti ho detto quello che pensavo e volevo essere gentile, non so perché tu l'abbia presa così male. » le disse con una punta di dolcezza, cercando di riportare la situazione sui giusti binari. E lei sorrise, facendolo sorridere di rimando.
« Sembrava solo un pessimo modo per rimorchiarmi. » gli disse gonfiando gli zigomi rosati con un sorrisetto furbo. Lui alzò un sopracciglio.
« Ragazza, sapessi quante me ne sono cascate ai piedi così! » disse ironicamente, gesticolando. Risero assieme, ed Andy scosse la testa divertita, ed il pentimento per aver interrotto quel momento di intimità fu rimpiazzato dalla sorpresa di ritrovarsi in pochi secondi in completa sintonia con lui.
« Quante? » chiese, ancora con il riso sulle labbra.
« Andiamo, ti riporto a casa. » finse di correre a cambiare soggetto. Risero di nuovo. Andy lo guardò, aveva il volto illuminato: il sorriso donava ai suoi occhi una luce particolare, sembrava quasi un'altra persona. « E' freddo, andiamo dai. » le disse di nuovo, divertito. La ragazza annuì e si voltò per avviarsi sulla strada del ritorno; prima di rendersene conto teneva la mano di Alex nella sua, e la sua voce baritonale continuava a tessere le lodi di un fantomatico passato da playboy, e lei continuava a ridere. 

 

Stavolta non ho canzoni da proporvi, a parte Glass in the Park, ma
credo la conosciate tutti e non voglio offendere. Ogni recensione è ben accetta
ed ogni critica è ben accolta, ringrazio di nuovo tutti per aver perso/preso tempo
per questa storia. Al prossimo capitolo, un grandiiisssimo abbraccio!

 
   
 
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