Tipologia: one shot
Rating: VM14
Genere: drammatico, introspettivo,
generale
Personaggi: Severus Snape, Lord
Voldemort, Hermione Granger, Bellatrix Lestrange
Pairing: nessuno (al momento, ma mi fido
di quei due XD)
Epoca: 7° anno – post 7° anno
Riassunto: La luna di sangue è
spesso presagio di morte, ma può essere anche presagio di vita. Di una nuova
vita.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi
presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K.
Rowling e a chi ne detiene i diritti. I personaggi originali (oltre che delle
persone alle quali sono ispirati), i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la
trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito
e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una
citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per
puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Parole/pagine: 4012/6
Nota: Storia scritta per il Gioco
Creativo n°1 “A Tavola con Severus” facente parte della Severus House Cup del
Forum “Il Calderone di Severus”.
Luna
di sangue
La notte è delle più oscure, un buio
denso che ha abbracciato persino la tua anima, ormai piangente lacrime di
dolore che come pioggia non smettono di cadere sul cuore costantemente preso a
pugni.
Nella fitta oscurità emerge una luna di
sangue: una danza di bianco e rosso che affiora da un manto di nero, una danza
che cola in invisibili gocce sulla terra resa tetra da nuvole porpora che
sfiorano l'erba mossa appena dal vento.
E cammini, veloce, perché l'uomo che ti
ha reso schiavo ti attende, impaziente, senti il suo stato d'animo bruciare
sulla tua pelle, bruciare come poche volte lo hai sentito, e il dolore che
provi sulla carne, è niente in confronto alle lame di fuoco che hai nel petto.
E continui a camminare rapido mentre
diversi profumi si levano nell'aria, ma non sono gli odori della natura che
circonda i tuoi passi, quelli che senti, sono aromi di cibo, puoi scorgere le
diverse pietanze con assoluta facilità.
La luna continua a stendere le braccia
su quell'angolo di mondo, un lungo e impalpabile velo scarlatto che ti scivola
in brividi sulla pelle come delicata seta.
E ti fermi, all'improvviso, quando vedi
un banchetto colorato di rosso, una lunga schiera di tuoi compagni e simili che
alza calici di vino al cielo tra le risa, mentre quel liquido cola sui visi di
alcuni di loro, come bestie senza alcuna educazione.
«Suvvia, signori, non siamo mica dei
miserabili Babbani, il nostro sangue esige contegno e superiorità anche in
queste cose» e in pochi istanti tutti i presenti ritrovano una compostezza che
molti di loro forse non hanno mai posseduto.
Rideresti in quel momento, lo faresti se
fosse un tempo diverso, o una vita diversa e persone diverse, ma tu sei lì, con
loro e come loro, e non puoi far altro che inginocchiarti a quella voce che li
ha richiamati, come un padre che riprende i suoi figli che si beffano
dell'educazione che negli anni gli ha impartito.
«Severus!» sibila con stonato calore il
mago che ormai ha soltanto l'ombra di un volto. «Sei in ritardo,» ma il
serpente che striscia sei tu, tu che sei costretto ad abbassarti fino a terra e
muoverti sinuoso e ingannatore come quel rettile d'argento che hai portato per
anni sul petto.
«Mi scusi, Mio Signore, ma ho avuto dei
problemi con alcuni studenti.» In un attimo ti entra nella testa e sa che stai dichiarando
la verità.
«Ah, Hogwarts! Meravigliosa Hogwarts.
Presto non ci sarà nessuno studente che causerà altri problemi, Severus, molto
presto….»
«Me lo auguro, Mio Signore.» Tra le
spire striscianti hai imparato a fingere e a mentire, e sei l'unico che riesce
ad ingannare l'Oscuro Signore, e altri gioirebbero di questa capacità
eccezionale, ma tu vuoi soltanto che quel mostro dagli occhi come la luna che
ti guarda in quel momento, si disintegri davanti ai tuoi, di occhi. E tu con
lui.
La realizzazione di un desiderio, però,
non è affare per te. Non lo è mai stato.
«A tal proposito…» continua Voldemort,
gelido, «abbiamo giusto una tua studentessa tra le mani.» Un impercettibile
cenno del capo, e due Mangiamorte che non avevi visto in mezzo agli altri,
escono dall'ombra, trascinando con delle catene una giovane donna.
Senti il sangue farsi gelo nelle tue
vene, indurirsi sotto la tua pelle che riluce di bagliori porpora sotto quella
luna, come se quel fluido fuoriuscisse da te per colorarti la carne e al suo
posto si insinuasse del ghiaccio che ti brucia più di una fiamma alta tra la
legna.
«Siediti, Severus. Tieni, prendi un po'
di vino e brinda con noi.»
«A cosa è dovuto questo brindisi?» e
afferri il calice, con mano ferma, anche se dentro senti tremare ogni singola
cellula del tuo corpo, e ne mandi giù appena un sorso per dimostrare agli altri
che sei tra loro e sei come loro.
Tu, però, sei tra loro
e sei come loro.
Bevi per ingannare il padrone della tua
esistenza.
«Brindiamo a questa luna che è presagio
della nostra vittoria» e sei costretto a bere ancora, a farti scivolare in gola
quelle parole che ti sembrano veleno sulle ferite ancora aperte sul tuo mondo,
e ti scivolano insieme al dolce vino; senti, però, tutto il loro peso non
appena ti arrivano nello stomaco, e vorresti sputarle, una ad una, ma non puoi
far altro che fingere e sorridere ad ognuno di loro.
Loro che ormai si fidano di te, sicuri
della tua lealtà all'Oscuro, di una lealtà che ti è costata tutto.
Hai barattato la tua anima e il tuo
cuore per quelle risate e per quelle parole. E per quella donna in catene che
t’implora in silenzio, soltanto con lo sguardo e con le lacrime che le
scivolano lente sul volto tumefatto.
«Sai, Severus, prima che tu arrivassi,
era in atto un delizioso dibattito.»
«Davvero?» chiedi con falsa curiosità,
ma vorresti dirgli che non t’interessa niente, vorresti dirgli che il tuo unico
desiderio è vederlo morto, e non t’importa di nient'altro e non vuoi neppure
starlo a sentire, né lui né nessuno degli altri Mangiamorte.
E invece non puoi far altro che
sorseggiare ancora quell'amaro vino e spingerlo tra le tue labbra come tutto il
sangue che hai versato fino ad ora.
«Ci chiedevamo quale sapore avesse il
sangue di questa giovane donna. Di una Sanguesporco.» E adesso senti quel gelo
che si era impossessato del tuo corpo, sciogliersi e bruciarti dentro,
bruciarti a fondo come un pezzo di legno gettato nel camino e vedi il fumo e
senti l'acre aroma librarsi in alto come cenere.
Sotto la luna di sangue le risate si
fanno forti, diverse voci di uno stesso immondo coro, mentre la giovane strega
si regge a fatica persino sulle ginocchia, e vedi tutta la sua sofferenza e la
sua paura confondersi in quegli occhi ormai spenti.
Eppure, in quel manto opaco, puoi
scorgere ancora un briciolo di determinazione e di forza, e allora ti rendi
conto che in fondo a quella maschera di dolore e di sconfitta, è ancora viva, e
sorridi per quello, sorridi serenamente come non ti capitava di fare da tempo.
E sorridi mascherando quell'insperata
esile gioia con risa di scherno e di odio, ma lei ti guarda, guarda l'involucro
di pelle nera che protegge i tuoi occhi e forse riesce a comprendere la vera
natura di quel tuo sorriso.
Forse la morte spalanca porte che ci
fanno scorgere meglio alcuni aspetti della vita o del mondo che ci circonda,
aspetti o verità che in quegli attimi siamo comunque destinati a portarci
dietro, negli ultimi bagliori prima di cadere nell'oblio eterno.
E tu non puoi salvarla. E lo sai.
E non t’importa se si porta dietro la
verità del tuo sorriso, o la verità del tuo essere, perché lei è destinata a
soccombere.
Ingolli a forza l'ultimo sorso di vino,
come se fosse un macigno da far scendere in gola, e la osservi, forse per
l'ultima volta ed è impressionante come in pochi istanti ti passano davanti
tutte le immagini che la ritraggono, come un album di foto che scorre rapido.
E poi senti il dolore afferrarti il
cuore, di nuovo, perché la guardi e non puoi fare niente, la guardi in catene
mentre il sangue ha iniziato a raggrumarsi sulla sua pelle.
Non sprechiamo la magia per un essere
così infimo,
ti ha sussurrato il serpente pochi istanti prima, e lo avresti ucciso per
quelle parole, perché lei, Sanguesporco, vale più di tutti loro messi insieme,
e lo sai perfettamente. E non puoi fare niente per lei.
Sei destinato a guardarla morire sotto
quella luna tinta di sangue, rosso sul bianco, come la sua pelle ormai del
tutto celata da terra e fluido vitale.
«Nessuno, però, ha avuto il coraggio di
assaggiarlo, codardi patetici! E dovrebbero fare qualsiasi cosa per il loro Signore!»
«Io farei di tutto per lei! Il sangue
marcio di una Sanguesporco, però... bleah!» urla disgustata una strega poco
lontana, il cui viso scintilla di brama sotto quella luna scarlatta, una brama
che ha gli occhi dello stesso colore del satellite lucente nel cielo.
«Stai zitta, Bella! Tu e la tua patetica
famigliola mi avete portato un insuccesso dietro l'altro! Non ti ho ancora
concesso il diritto di poter parlare di nuovo!» La strega si sente colpita da
un incantesimo in pieno volto, uno dietro l'altro, e la rabbia la stringe forte
sul viso contratto, in quello sguardo oscuro e malvagio che si fissa
all'usurpatore del suo posto accanto a Voldemort.
Si fissa a te, lo senti penetrarti
l'anima, ma vorresti urlarle che tu non hai più un'anima e il suo sguardo per
te è una piuma che ti sfiora appena.
«Tu, Severus, saresti disposto a placare
la mia curiosità?» si volta verso di te, e ti senti morire. E vorresti morire
in quello stesso istante, vorresti che prendessero il tuo, di sangue e che lo
bevessero, fino all'ultima dannata goccia.
«Mio Signore…» e adesso?
«Sei anche tu un codardo?»
«No, Mio Signore, non lo sono, ma credo
che in quelle condizioni la ragazza non sia in grado di dare neppure una goccia
di sangue.»
«Molto bene. Allora curala. Falla stare meglio
e preparala allo scopo!»
«Come desidera, Mio Signore.» Se deve
morire, vuoi che almeno non soffra, che non sia l'ennesimo peso che grava sul
tuo cuore ormai martoriato, ma sai che non è così, sai che qualcosa avresti
potuto farla per lei. Per lei e per tutti gli altri che non hai salvato.
E provi davvero a fare qualcosa per lei.
Ti avvicini e le curi le ferite, con
dolcezza, con delicata lentezza, come se avessi paura di farle ancora del male,
e le fai bere una pozione dietro l'altra, finché non vedi la sua pelle pallida
riprendere colore, riprendere quella vita che le stava scivolando tra le dita
incatenate e sanguinanti.
Vorresti prenderla e portarla via da lì,
ma sai che non puoi, che il tuo maledetto dovere non ti permette di salvarla o
tutte le sofferenze sarebbero state vane, nient'altro che polvere portata via
dal vento.
«Non ci ha detto molto sul suo amico
Potter, soltanto frammenti di posti che non ci servono a nulla, ma tanto lui
verrà da me, e questo inutile essere potrà anche morire, quindi perché non
utilizzarlo per divertirci un po' in questa bella serata. Non sei d'accordo
anche tu, Severus?»
Rialzi a fatica gli occhi da lei per
guardare il mostro dal viso di serpente, «Certo, Mio Signore» e gli sorridi,
sentendoti ancora una volta morire dentro.
E la fai alzare da terra, con ancora le
catene che la stringono, mentre anche Voldemort si alza per avvicinarsi a lei,
mentre i Mangiamorte iniziano a ridere e ad inebriarsi di quel dolore,
mangiando e bevendo come se null'altro gli importasse.
Si avvicina con una coppa stretta tra le
lunghe e affusolate dita, una morte che afferra un coltello invece di una
falce, una lama che scintilla sotto la luna colorata di rosso, una tinta che si
addensa quando incide la pelle e ancora più a fondo, fino alle vene che come
fili troppo sottili si spezzano in un attimo.
E il sangue scende, come un
inarrestabile fiume, sulla coppa argentea come le maschere svanite tra le dita.
E la luna sembra lacrimare, seguire la
scia di quei frammenti scarlatti che fuoriescono dalla carne squarciata della
giovane donna che urla, urla al pallido ammasso di sangue, grida al tuo viso
immobile scolpito nel solido granito.
Al tuo volto che senti aprirsi in mille
brandelli di niente che svaniscono non appena toccano terra.
E la coppa si riempie, come denso vino
che emana un aroma di ferro. Un aroma di morte.
«Bevi, Severus. Bevi e dimmi che sapore
ha il sangue di una Sanguesporco» ti ordina mentre lei si accascia a terra,
esanime, con le lacrime che le rigano il volto tornato pallido, ma la tua vita
non ti ha concesso nient'altro che guardare.
Guardarla svanire mentre avvicini il
calice alla bocca.
E ti osservano, ubriachi di morte,
portare il sangue alle labbra, e spalancano gli occhi, ebbri, quando il fluido
rosso te le colora appena, e ridono, sguaiati, mentre una goccia si perde e ti
scivola lenta da un lato, fin sotto il mento, per poi perdersi nella stoffa che
ti stringe il collo.
«È amaro. Disgustoso.» E non puoi dirgli
che invece è dolce nonostante il retrogusto metallico.
Le risate si fanno più alte, più forti,
e il sangue ti scende nella gola, denso, e ti sembra di sentire una vita che ti
scivola dentro, lenta, viscosa, nell'esofago che senti espandersi come se
stessi ingollando un sasso.
«È… sporco» e continua a scendere
fin nello stomaco, e ancora e ancora, finché non deglutisci l'ultima goccia
davanti agli occhi eccitati di Voldemort e degli altri Mangiamorte, davanti
alle labbra esangui della giovane strega immobile a terra, ancora stretta dalle
catene.
E nel cielo una piccola nuvola di rosso
cotone sfiora la luna ancora tinta di sangue, del sangue che scende dal braccio
della ragazza, del sangue che cola dalle tue labbra.
E vorresti correre lontano da lì,
vomitare goccia dopo goccia quell'ennesima vita che hai estirpato, sradicare
ogni cosa che hai dentro, come se in quel modo avresti potuto restituirle
quell'esistenza strappatale dal morso di un coltello tra le dita di un
serpente.
Vorresti correre lontano, ma non puoi
far altro che gettare tra le foglie quel calice ormai vuoto, celando nel ribrezzo
la rabbia che ha iniziato a crescerti da dentro.
«Molto bene, Severus. Sapevo che non mi
avresti deluso.» Ti sfiora una spalla in un gesto amichevole che ti fa solo
tremare in profondità, tremare di disgusto e di dolore, anche se sai che la tua
vita è nient'altro che il frutto di ogni azione e di ogni sbaglio che hai
compiuto anno dopo anno. «Uccidetela e gettatela da qualche parte, e fate in
modo che quegli inetti dell'Ordine la trovino!»
«Mio Signore, lasciatela a me.»
Disperato, disperato, Severus che speri di poterla salvare.
«Oh, Severus, ti è forse piaciuto il suo
sangue?» ti domanda Voldemort scatenando un nuovo scoppio d'ilarità degli altri
Mangiamorte, ma tu non ti scomponi, non ti muovi neppure, perché sai che non
puoi fare a meno della tua maschera proprio adesso.
«No, Mio Signore. La Sanguesporco può
essermi utile.» Ancora quelle stesse parole uscite dalle tue labbra, ma in quel
momento sai che sono le uniche parole che potrebbero salvarla, che potrebbero
salvare un brandello della tua anima a pezzi. «Molto più utile di quanto lo è
quell'incapace di Wormtail, a dire il vero.»
«Molto bene, Severus, prendila pure e
fanne ciò che vuoi, purché non diventi un problema per me o per la nostra
vittoria.»
«Non lo diventerà, Mio Signore, glielo
assicuro.»
«Ricordati, però, che prima o poi dovrà
morire.»
«Lo so, Mio Signore,» ma speri che sia
lui quello destinato a soccombere e speri di morire tu stesso, non lei che ti
osserva con occhi spenti.
La luna di sangue continua a scintillare
nel cielo colorando di rosso quelle lacrime invisibili che scendono sul volto
della tua anima nascosta al mondo.
Nascosta al Padrone della tua vita.
***
Le grida e le risate sono ovattate dalla
lontananza, le senti a stento, mentre osservi la superficie piatta del Lago
Nero che s’increspa appena, spostata da qualche piccola creatura che si muove
nascosta nel buio, e vedi i bagliori della luna accarezzarla lievemente.
Bagliori rossi, cupi, bagliori
provenienti da una luna di sangue, la seconda che ti capita di vedere in quasi
due anni, quella stessa luna che ha fatto colare lacrime scarlatte sulle tue
labbra.
Una luna di sangue come c'era quella
notte, così lontana, eppure così palpabile sulla tua stessa pelle.
«È bella la luna stasera. Un po' macabra
ma bella.» Ormai conosci perfettamente la sua voce, in tutto il tempo che ha
trascorso a casa tua, protetta dalle mura delle tue stanze, hai imparato a
distinguere ogni sua sfumatura, ogni sua emozione.
«Sai che è considerata un presagio
infausto?» Hai imparato a conoscere lei.
«Sì, lo so, ma lei sotto questa stessa
luna mi ha salvato. Mi ha ridato la vita quando ormai ero destinata a morte
certa.»
Ti volti per guardarla e le sorridi, le
sorridi spesso e ti ritrovi a pensare che è un'azione strana per te, ma, in
fondo, la vita ti ha concesso un'altra possibilità e sai che è ormai inutile
continuare ad indossare la maschera che hai portato anno dopo anno.
«Le ho portato qualcosa da mangiare e da
bere. A cena non ha toccato nulla.»
«Non ho molta fame.»
«Deve mangiare qualcosa.»
La scruti di nuovo, osservi i bagliori
della luna sfiorarle la pelle e infiammarle gli occhi nocciola, come una
montagna avvolta dal fuoco, e ti fissi a quello sguardo, a quello sguardo fiero
che non si è arreso neppure quando era ad un passo dalla fine.
E abbassi il tuo, di sguardo, verso
quella carne squarciata da una lunga linea bianca, come un’interminabile e
densa pennellata appena ritratta.
E lei ti sorride sentendo i tuoi occhi
sfiorarle la pelle, e non c'è vergogna in lei, ma soltanto orgoglio e forza,
soltanto una macchia a dimostrazione di una vita alla quale è stata capace di
aggrapparsi con forza.
«Perché non hai voluto che lo
cancellassi?» Non hai bisogno di specificare, lei è intelligente e ha compreso.
«Se lei mangia qualcosa, le rispondo.» È
furba la giovane strega, e ha imparato a conoscere anche te, a conoscere molti
aspetti del tuo essere che avresti voluto non scoprisse, ma le sorridi, di
nuovo, perché sai che è testarda, molto testarda.
E non hai bisogno di risponderle perché
lei capisce di nuovo, e vedi un vassoio librarsi in aria, spinto da un
incantesimo vicino a te, lì dove anche lei si siede e ti osserva, ti osserva
come se fossi la persona migliore del mondo, e sotto il suo sguardo ti senti
davvero in quel modo.
Sotto lo sguardo che ti aveva rivolto
quella notte, tra le sfumature di sangue che avevano abbracciato entrambi,
quello stesso colore che vi sfiora anche in quel momento, sotto un'enorme luna
scarlatta.
Afferri del pane e ne mandi giù un po',
è fragrante e morbido e ti ricorda la giovane donna che ti è davanti, quella
sua scorsa dura eppure fragile, da maneggiare con cura, che protegge tutta la
tenerezza di cui è capace, quella stessa tenerezza che aveva negli occhi quando
era costretta a farti da serva e a subire gli insulti e le percosse degli altri
Mangiamorte.
E ogni sera ti prendevi cura di lei,
celandola agli occhi dell'Ordine o di chiunque la cercava, perché sapevi che
sarebbe stata più al sicuro vicino a te che altrove, ma soffrivi ogni volta che
qualcuno anche solo la sfiorava, e facevi tutto il possibile per evitarle tutto
quel dolore, anche se ti era impossibile tenerla sempre lontana da esso.
«Quello non è mangiare! Prenda
qualcos'altro.»
«Mm…»
E ride, ride mentre ti guarda che fai
una fasulla faccia contrariata, e ride ancora quando addenti un uovo
“Scotch” e metà di esso ti finisce sulla casacca, e alcuni frammenti di
salsiccia vanno ad incastrarsi tra le pieghe e i bottoni, e quello non fa che
infastidirti ancora mentre lei continua a ridere.
La sua risata, però, è come balsamo
sulle tue ferite ancora aperte, è un dolce suono, perché sotto quella stessa
luna di sangue, avevi creduto che le sue labbra non si sarebbero mai più mosse
e aperte alla felicità.
E invece è lì, insieme a te, di nuovo
sotto quella luna scarlatta che ha smesso di far colare gocce di sangue, ma le
assorbe, le raduna a sé come una madre richiama i suoi figli.
«Così va un po' meglio» ti dice, e le
sorridi mentre inizi a sentire la paprika pizzicarti la lingua e il palato, e
giù fino alla gola, senti la morbidezza delle uova e il tuorlo che ti si
scioglie in bocca, e il sapore di rosmarino e salvia che ti esplode dentro,
fresco e forte.
E sotto il suo sguardo ne prendi un
altro, e in esso riesci a scorgere l'aroma speziato della noce moscata.
«Di sicuro non li hai cucinati tu, vero?»
Ti fissa sconvolta prima di girare il
viso alla sua sinistra, di scatto, e sussurra un “no” più alla luna che a te,
prima di mettere il broncio come se fosse una bimba la cui madre le ha appena
vietato di vedere i cartoni animati.
E adesso sei tu che ridi, ridi forte
alla luna di sangue incastonata nella notte, ridi forte a lei che ha saputo
dissipare il buio che avvolgeva il tuo cuore.
Allunghi una mano per prendere la
caraffa di birra ghiacciata e senti un brivido lungo la pelle non appena sfiori
quel vetro freddo, ma un brivido più intenso ti afferra quando lei si volta di
nuovo verso di te e inchioda i suoi occhi ai tuoi: occhi che ti sorridono,
occhi che ti fanno vivere.
Occhi che non sono per te.
Bevi una generosa sorsata di birra,
senti il freddo scenderti in gola e diffondersi lungo tutto il tuo corpo che
trema, trema trafitto da uno sguardo che come nel passato ti è amico e
nient'altro.
E sospiri, chiudendo gli occhi prima di
prendere una fetta di Summer Pudding sotto il suo sguardo immobile tinto
di rosso.
«Non mi fai compagnia?» le chiedi e lei
ti sorride come se non aspettasse altro, e allora la guardi sorpreso, sorpreso
da quell'espressione che hai visto dipingersi sul suo volto.
«Volentieri» ti risponde mentre prende
anche lei una forchetta e insieme le immergete nel pane morbido, scarlatto come
la luna che svetta nel cielo.
E il profumo dei frutti di bosco si
sprigiona da esso carezzandovi le narici con tutta la loro dolcezza, e vedi il
succo rosso farsi strada nel piatto, come una scia di sangue sulla pelle, come
il fiume di sangue che fuoriusciva dalla sua pelle, sotto quella stessa
luna dipinta in una notte che davanti al suo viso sta ormai diventando soltanto
un'eco lontana.
E insieme mangiate la fetta di dolce, un
boccone dopo l'altro nel silenzio dei vostri occhi che si leggono dentro, nella
luce rossa mentre il sapore deciso si sprigiona nella tua bocca e ti avvolge
come un manto dolce ogni linea di pelle.
Quando avete finito, lei avvicina le
dita alla tua mano, alla tua mano sinistra per portarla verso di sé, e tu la
guardi stupito e nei tuoi occhi si cela una muta domanda, la curiosità per quel
gesto, ma lei slaccia i bottoni sull'avambraccio, senza dire una parola,
continuando a guardarti finché non ti ritrovi con casacca e camicia arrotolate
fino al gomito.
«Questo,» e indica la sua cicatrice «è
come questo,» e sfiora con le dita il Marchio ormai sbiadito. «È il simbolo di
ciò che siamo stati e di ciò che è successo, il simbolo di ciò che non sono
riusciti a cambiare dentro di noi.» Ti conosce, lei, ti conosce e ti è entrata
nel profondo, lo sai e non puoi farci niente. «Il simbolo di ciò che saremo. Io
e te.»
E ti sorride, serena e tranquilla, con
dolcezza e ti sembra di assaporare ancora e ancora quei frutti, come se quelle
parole fossero fragole, more, lamponi e ciliegie che una dopo l'altra si posano
sulle tue labbra, dipingendo persino la tua anima di un brillante rosso, un
rosso che ormai non è più l'emblema del sangue e della morte, ma è l'immagine
di una nuova vita.
Di un nuovo e possibile futuro, un
futuro che forse vi legherà.
E allora sorridi anche tu, alla luna,
alla notte. E a lei.
«Grazie per la cena, Hermione» sono le
uniche parole che riesci a dirle, gli unici suoni che ti escono dalle labbra,
incapace di andare oltre alle urla forti che provengono dai tuoi occhi.
«Grazie per avermi permesso di essere
qui... Severus.»
E la luna di sangue continua a splendere
nel cielo tinto di rosso, non più presagio di morte, ma segno di un cuore che
può finalmente riprendere a battere felice.
Il tuo cuore.