Hello, fandom
della mia vita!
Manco da due
mesi e adesso torno con una piccola storia che credo
vi impedirà cali di zuccheri almeno per il prossimo
decennio. E’ quasi
indecentemente dolce, me ne rendo conto, chiedo vivamente scusa!
Sperando di non aver fatto troppo male, vi auguro buona lettura!
S.
Upstairs,
Downstairs
*
Non sai bene
perché lo fai.
È naturale, come cercare acqua quando si ha sete.
È istintivo.
È una sensazione primordiale che non puoi spiegare e che
forse mai riuscirai a
descrivere, con l'ausilio di parole che conosci.
Cerchi di portare alla mente un termine che ti venga in aiuto, che sia buono e non solo accettabile.
Una parola che probabilmente non esiste e che non sei
in grado di inventare, perché sei sveglio da un giorno
intero e perché sei
stanco, e ogni cosa al di là del tuo naso è
immersa nella più totale oscurità.
Non esiste più pensiero razionale, per te, al buio. Hai
dimenticato come fare
da tanto tempo.
Quando hai chiuso con quella parte
della tua vita, hai smesso anche di pensare,
sotto la coltre scura della notte.
Sei stato uno scrittore di successo, John, che adesso non riesce a
colmare il
vuoto di mezza pagina bianca.
Quello che sai di certo è che ti
serve
farlo. Ne hai bisogno perché un altro giorno come quelli
appena trascorsi, non
puoi umanamente sopportarlo.
Scivoli fuori dalle coperte leggere che la tua insonnia ha impunemente
sgualcito e rimedi come puoi, ripiegandole ai piedi del letto. Un
brivido
freddo ti attraversa, quando i tuoi piedi nudi sfiorano il pavimento.
Ti aspetti di sentirlo da qui, ad
un
passo dalla porta. È una misera distanza, ma insormontabile,
per te.
Sfiorare quella maniglia, significherebbe accettare.
Senza possibilità di voltarsi indietro.
Così, vai avanti.
Quel passo lo fai.
Sei come un bambino che ha paura dell'acqua e allo stesso tempo teme il
giudizio dei suoi compagni di giochi.
Ti butti, perché non hai scampo.
Che sia dalla tua paura, o dalle prese in giro.
Fuori è ancora più buio e il silenzio -ossimoro
per eccellenza- assorda, ma incoraggia.
Quasi non respiri, e inganni te stesso ripetendoti che lo fai
affinché lui non
ti senta. Vuoi che ti veda, prima
che
ogni altro senso possa essere coinvolto.
In realtà, hai solo timore di non poter udire i suoi passi,
o il suo respiro.
Sei a quel primo, sudato, scalino. Lo oltrepassi piano, con passo
morbido,
inudibile, delicato. Rasenti il muro e lasci che la carta da parati ti
racconti
una storia, indicandoti dove sei esattamente, come le tacche
d'inchiostro su
una vecchia mappa.
Un graffio qui, un solco più avanti. Un brutale strappo, a
uno scalino di
distanza dal pavimento del primo piano.
C'è un fruscio. È curioso che tu te ne accorga,
perché dura meno di un secondo.
È Mrs H, trai le tue
conclusioni. Ti
chiedi se abbia avuto un brutto sogno.
Dopo, non senti più niente: a quanto pare, anche lui sta
giocando al tuo stesso
gioco. Si nasconde, seppur nell'incoscienza del sonno, un'abitudine
odiata
divenuta necessaria.
Arrivi davanti alla sua porta e tutto si fa più pesante. Le
tue membra sorreggono
vesti d'acciaio e le tue ossa divengono piombo, come l'armatura di un
automa.
Tu però non sei un automa, John. Sarebbe tutto
più facile, se solo tu lo fossi.
Non sai spiegarti come tu abbia fatto a stringere la mano intorno alla
maniglia
della porta. Le dita paiono non appartenerti e sono fredde ed estranee.
Sembrano quasi mosse, all’apparenza, dai fili invisibili di
un abile burattinaio.
Fatto sta che stringi, John. Stringi e la senti, mentre lentamente
l'abbassi.
La stanza di Sherlock è più buia della tua, ti
accorgi, e la strada, questa
notte, non sembra voler porgerti una mano in aiuto.
È vuota. I lampioni
spenti. Le falene
a terra, stremate dall'attesa di una fiamma inesistente.
Non respira ma non hai paura.
È cauto, l'uomo che ami, più di chiunque altro tu
abbia mai conosciuto.
Silenzioso anche in quell'atto vitale e involontario.
Sei così vicino che ti chiedi se non sia il caso di
rinunciare.
Sai che è stupido, ma non puoi fare a meno di chiedertelo.
Se stai facendo la cosa giusta. Se stai, forse, per riaprire cicatrici
a
malapena rimarginate.
Domani potrebbe andar meglio, ti dici.
Dentro di te, allo stesso tempo, ha la consapevolezza che se non lo
farai oggi,
rimanderai quel 'domani'
all'infinito.
È così che succede.
Di nuovo, è solo istinto. Le grida della tua coscienza nel
cervello, che ti
danno del vigliacco. Ti sporgi su quel letto, e fai per accarezzargli
il viso e
dirgli sì. Che accetti. Che va bene, perché se
non sarà lui, non potrà essere
nessun altro.
Hai tutte le buone intenzioni, John, ma già lo sai: qualcosa
è fuori posto.
Lui non c'è.
Sfiori le lenzuola, e le trovi calde. Fin troppo, in verità,
e cerchi di
pensare. Di ragionare, anche se per te è ancora
più difficile, adesso, perché
hai avuto coraggio e sei stato fregato.
Ti senti come un preparatissimo studente che, seduto di fronte al
professore,
si sente dire di non poter sostenere l'esame più importante
della propria vita.
Hai voglia di urlare, ma sai che non puoi, così stringi il
lenzuolo e ti sdrai
nel suo calore inspirando il profumo di cui è intriso, che
invece di placarla,
la rende insopportabile.
Vuoi chiamarlo, ma non lo fai, perché dentro di te
è come se ti avesse tradito,
anche se tutto questo non è mai stato qualcosa di
programmato.
Ti ritrovi a chiederti come comportarti.
Non sei un bambino, ma vorresti esserlo, per poterti sfogare con un
capriccio.
Sai che ti farebbe sentire meglio, in qualche modo.
Un inusuale compromesso, in cui però non puoi indulgere.
Ti sollevi e appoggi la schiena alla testiera del letto, da Sherlock
adoperata
come appendi-abiti di emergenza, e ti fai spazio tra quello che al
tatto pare
un vecchio pantalone e una camicia piena di grinze.
Ti chiedi dove sia. Non hai visto luci, né udito passi,
né porte socchiuse.
Non capisci quando possa essere andato via, ma non ti sorprende, non
più,
renderti conto che può.
Che per lui,
è un gioco da ragazzi.
Ama rovinarti i piani, anche quando nemmeno
tu sai di averne uno.
'Cosa faccio?' ti chiedi, poi. Non
sai rispondere.
Ti senti un enorme stupido, a dirla tutta, così fai quello
che fai sempre
quando tutto sembra tramare contro di te.
Di conseguenza, John, prendi anche una decisione, senza nemmeno
accorgertene.
La più ovvia, naturale.
Anni e anni in sua compagnia ti hanno spinto a dimenticare quanto possa
essere
semplice, trovare una soluzione.
Lo fai.
Pronunci il suo nome.
Ti accorgi di qualcosa nell'esatto momento in cui lo fai.
Quel che la tua voce ha appena scandito, non è venuto fuori
come avrebbe
dovuto.
È un suono confuso, quello che attraversa il silenzio.
Non il suo nome.
È strano, e anche buffo a dire il vero, il fatto che il
suono appaia
esattamente come la mescolanza dei vostri due nomi insieme.
Non è molto chiaro come sia potuto succedere, ma ci riprovi.
"Sherlock!"
"John!"
Qualcosa cambia, ed è questione di un secondo appena, di un
ritardo casuale, di
una fortuita incompatibilità di pensiero.
Guardi in alto di scatto, senza nemmeno aver meditato di compiere
quella
dolorosa torsione del capo.
"Sherlock?" esclami, con la certezza che stavolta sarai il primo,
anche se non sai esattamente spiegarti perché.
"John?" lo senti rispondere, due secondi dopo, e sai che ha
già
capito tutto e che quel minuscolo lasso di tempo gli è
soltanto servito a
confermare ogni sua ipotesi.
Vuoi piangere.
Non un pianto di quelli disperati, né uno colmo di
tristezza, o rimorso, o
frustrazione.
Un pianto buono.
Come quello di tua madre alla tua laurea, o il tuo al matrimonio di tua
sorella.
Se qualcuno ti vedesse ti prenderebbe per pazzo, ma tu lo manderesti a
farsi
fottere e te ne fregheresti.
Forse lo sei e non hai timore ad ammettere che, in fondo in fondo, ti
piace
addirittura, sembrarlo.
"Che ci fai lì?" poi Sherlock ti domanda, e senti un
cigolio, adesso
che nessuno dei due si premura del tocco da fantasma. Il clangore
fastidioso
del tuo materasso non ti è mai parso così bello.
"E tu cosa ci fai lì, Sherlock?" domandi a tua volta.
Non risponde, e sai di averlo messo in difficoltà. Adesso
non vorresti soltanto
piangere, ma anche ridere fino alla fine del mondo.
Non hai davvero bisogno che replichi in qualche maniera, e magari lui
è in
imbarazzo, o magari è già consapevole che tu
abbia capito.
Improvvisamente, dai un volto al rumore che hai udito, sulle scale,
poco fa.
Adesso sì che vorresti scoppiare a ridere, Johnny. Avete
percorso gli stessi
passi, invisibili l'uno per l'altro.
Curioso, quando entrambi eravate mossi dall'unico desiderio di vedervi,
osservarvi, placare la vostra fame di sguardi e di qualcosa in
più.
"Il tuo tempismo è eccellente" ti grida ancora, e sai che
fra poco
Mrs Hudson comincerà a battere la scopa contro il soffitto,
se non riterrà la
conversazione abbastanza interessante da origliare senza palesare la
sua
presenza. "Mi sento uno stupido, John."
Ridi, adesso, non ce la fai più a trattenerti. Niente
è come te lo eri
immaginato, però senti che va bene così, che in
fondo non sei in un film
romantico.
Ridi di nuovo, ancora più forte, ma stavolta al paragone.
"Credo che tu lo sia, Sherlock" rispondi al tuo compagno, che adesso
potrai chiamare in altre dieci maniere diverse, "ma dopotutto, credo di
esserlo anche io."
Lo senti ridacchiare e ti piace da matti, staresti lì ad
ascoltarlo per ore
intere. Non è tempo di aspettare ancora però,
perché vuoi uscire da lì e anche
lui. Lo senti muoversi.
È sulle scale, adesso, al primo gradino.
Sei di nuovo il bambino spaventato dall'acqua, John. Solo che adesso,
affrontata la prova, hai scoperto che nuotare è la cosa
più divertente che tu
abbia mai fatto.
Spalanchi la porta e anche tu ti precipiti sulle scale, che
scricchiolano sotto
il tuo peso e sotto il suo, e il cigolio è come un radar che
ti permettere di
vederlo, di sapere dov'è, anche nell'oscurità che
avvolge tutto.
Quando il suo corpo sbatte -non c'è altro modo per dirlo-
contro il tuo, sei
preparato. Lo hai visto, dopotutto,
grazie al suono delle sue ciabatte consunte sul legno.
Non vi dite nemmeno niente, e senti soltanto lui che respira, sembra
quasi che
faccia fatica, e il battito nel suo petto, premuto contro il tuo, ti
manda il
cuore in tilt.
"Sei un guastafeste, John Watson" sussurra a bassa voce, prima di
stringerti nel calore del suo abbraccio.
Tu sorridi, e ti spingi oltre. Chiuso nella prigione delle sue braccia,
ti
comporti da galeotto impertinente e baci il tuo carceriere come se non
avessi
mai voluto fare altro in vita tua.
Tu però non vieni sbattuto in cella di isolamento, John
Fortunato Watson.
E il muro rasente le scale quello designato ad accogliere il contatto
irruente
della tua schiena.
Adesso ti senti davvero un ragazzino innamorato ma non ti interessa.
Tutto
quello che è importante, in questo momento, ti sta
stringendo a sé e ti sta
baciando come se fossero le tue labbra a tenerlo in vita, impedendogli
di
crollare a terra come una marionetta dai fili spezzati.
Quando finisce, sei un po' deluso, ma ti riprendi in fretta. Il
pensiero che
sia solo un bacio di mille altri, basta a placare la già
insostenibile
nostalgia di qualcosa appena accaduto.
E’ sempre così, ogni volta che ti bacia.
Sei certo ti stia guardando o che, almeno, stia tentando di scorgere il
tuo
viso nel buio meno fitto. Tu fai lo stesso.
Vorresti vederlo, ma conosci così bene ogni dettaglio di lui
che non ne hai
davvero bisogno. Non è così che hai sempre
immaginato sarebbe stato, ma
dopotutto, Sherlock non avrebbe mai sopportato di adeguarsi a qualcosa
di
troppo convenzionale.
"Sulle
scale e al buio" così dici, e lo senti sorridere,
"romantico."
"Mi piace molto" sussurra lui, contro la tua pelle, "molto
meglio di un anello dopo una cena al ristorante."
Cogli la battuta. Scuoti la testa e fai per colpirlo alla spalla, ma il
contatto è dolce, delicato. Non riesci a fargli del male
nemmeno per gioco.
"Eri venuto a dirmi che non c'era fretta?" poi gli chiedi, mentre la
tua mano s'insinua a stringere la sua spalla nuda, sotto la stoffa fine
del
pigiama.
Lui sbuffa, con goliardia.
"Ero venuto per chiederti di darti una mossa" Sherlock ammette, e tu
non puoi fare a meno di ridere. Può darsi stia scherzando,
ma non ne sei poi
tanto sicuro.
Lo baci di nuovo, le labbra che si posano leggere sulle sue, senza
sensualità,
solo dolcezza. Lui prende le tue mani tra le sue. Sai che è
ora.
"E tu per cosa sei venuto, John?" domanda, ed è legittimo da
parte
sua.
Credevi di non essere pronto, ma ti rendi conto, tutt'un tratto, che lo
sei stato
dall'esatto momento in cui ha messo piede su quel primo scalino. Forse,
addirittura dall'istante in cui sei scivolato via dal tuo letto.
"Per la risposta" dici, tutto d'un fiato, e senti Sherlock trattenere
il suo. "Che ovviamente, in caso tu ne abbia mai dubitato, è
sì."
Ti sorprende la semplicità con cui lo hai detto. Qualcosa di
così importante
non andrebbe affermato in tono più pomposo? In maniera
più teatrale? Con voce
impostata, magari?
La verità, è che va bene così.
Non vuoi essere qualcosa che non sei, con lui, e soprattutto non vuoi
sorbirti
le sue prese in giro per i tuoi modi plateali per il resto della tua
vita.
Te lo sei già detto prima. Questo non è un film,
Sherlock non è Patrick Swayze,
e tu non sei Demi Moore. Anche se Sherlock è davvero stato
un fantasma, per un
periodo. Che momento pessimo per ricordarlo.
Non puoi vedere la sua reazione ma puoi sentirla, e cazzo,
ti dici, se ti va bene. Stavolta è lui ad avviare il bacio,
ed è ancora più bello perché ti fa
sentire ad un passo dalla luna, ogni volta,
sapere quanto lui ti ami.
È bello essere unici per qualcuno, ma esserlo per Sherlock
Holmes è una
sensazione che nessuno potrebbe mai descrivere a parole.
Mentre lo abbracci, ti ripeti che è un bene che Sherlock
abbia voluto mantenere
stanze separate fino ad oggi. Sospetti abbia letto troppa Jane Austen,
in
gioventù, anche se non lo ammetterà mai.
Userai la copia di Ragione e Sentimento
che gli hai trovato in tasca tempo fa come mezzo di ricatto, magari, in
futuro.
Anche questo bacio ha fine. Tutto quello che vorresti dire adesso
è che lo ami
da impazzire, ma lui ha deciso che lo sa già e parla al
posto tuo.
"La prossima volta, però, cerchiamo di accordarci" dice, e
sembrerebbe terribilmente serio se un misero raggio del primo sole non
ti
stesse palesando il sorriso appena accennato sul suo viso. "Tutto
questo è
molto suggestivo, ma leggermente sfiancante. Anche se baciarsi sulle
scale ha i
suoi vantaggi, soprattutto quando tu sei uno scalino più in
alto."
Ridi, e lui ti segue, e fuori fa giorno. Lo assecondi, per l'ennesima
volta, ma
questa volta ragione ce l'ha davvero. Sorridi alla vita, al sole, al
buio e
alle scale, e al vostro passo felpato.
Sorridi a Mrs Hudson, di sotto, che la scopa non l'ha presa e che, di
certo, ha
sentito tutto quanto.
*