Capitolo
9
Il
fruscio della risacca in lontananza riempie improvvisamente il silenzio
della
camera.
Nella
penombra Daniel apre all'istante gli occhi, strappato alle maglie del
sonno da
quel rumore di sottofondo, dolce e ritmico, che sembra entrare e
insinuarsi
negli angoli direttamente dall’oceano.
Girato
su un fianco, mette a fuoco la vetrata della porta scorrevole e si
accorge che è
in parte aperta.
Un’impercettibile
e sottile brezza agita lieve come un soffio le tende tirate da un lato,
sospingendole appena.
Un
po’ intontito riesce a riflettere che non ricorda di averla lasciata
aperta la
sera prima.
Poi
percepisce il vuoto accanto a sé, e in un attimo, cruda e violenta una
fitta
inspiegabilmente dolorosa gli contorce lo stomaco e il petto.
Una
sensazione come di perdita, di abbandono, lo libera delle ultime tracce
di
sonno e lo fa scattare a sedere in mezzo al letto, perfettamente
sveglio,
completamente cosciente dell’assenza al suo fianco.
Hema
non è più lì con lui.
Tuttavia
l’ombra raggomitolata sulla soglia attrae la sua attenzione e scaccia
via la
sensazione con la medesima rapidità con cui lo ha travolto.
Non
se ne è andato.
Perché
poi lo abbia pensato non se lo sa spiegare in quel momento.
E
a dire la verità nemmeno gli importa molto di indagare.
E’
lì.
Ancora.
E
questo è sufficiente a fargli ritrovare la calma.
Scivola
giù dal letto mentre con lo sguardo cerca i pantaloni del pigiama tra
le ombre
chiare che la luna filtra dall’esterno.
Devono
essere da qualche parte, gettati sul pavimento la sera prima dall’ansia
di
liberarsene.
Scorge
il groviglio scuro ai piedi della poltrona, lì prende, li indossa e fa
il giro
del letto.
Il
ragazzo è seduto sulla soglia della porta vetrata che dà sul portico,
le
ginocchia tirate contro il petto, le braccia mollemente abbandonate su
di esse
e guarda l’immensa distesa nera che è l’oceano oltre la spiaggia.
Malgrado
sia ancora notte, la luna piena alta nel cielo buio soffonde i dintorni
di una
luce lattiginosa abbastanza chiara da scorgere la sua espressione
null’affatto
serena disegnata sulla linea netta con cui tiene serrata la bocca.
Quella
stessa bocca che ha baciato mille e mille volte, morbida, accogliente,
dolce.
Quella
stessa bocca che ha sospirato e cantato d’amore per lui mentre da due
diventavano uno e mai avrebbe immaginato potesse essere così magico e
unico.
Ma
Hema non sembra felice e Daniel ingoia la contrazione piacevole e
languida che
gli si sta soffondendo in ogni cellula del corpo a quei ricordi ancora
così
vividi.
No,
non lo è, anche se conserva di lui ancora l’immagine e la percezione
dell’estasi
e della gioia pure mentre facevano l’amore e non c’erano ombre, né
brutti pensieri
a offuscare quei momenti.
Perché?
Si
inginocchia accanto a lui e allunga una mano per toccarlo.
Gli
sfiora la pelle del braccio con le dita in un gesto leggero e
immediatamente il
ragazzo gira la testa verso di lui senza sorpresa, come se lo avesse
sentito
arrivare.
E
probabilmente è così.
La
linea rigida delle labbra si inclina in un sorriso appena accennato,
cancellando solo in parte la tensione sul suo volto.
-
Hey!
– Dice a bassa voce, gli occhi nerissimi nei sui chiari.
Daniel si
piega su di lui e
gli dà un bacio a fior di labbra come a voler ristabilire un contatto
che, non
sa perché, sembra gli debba sfuggire.
-
Stai
bene? – Gli chiede un po’ apprensivo, mettendo tra sé e lui solo pochi
millimetri di distanza.
-
…
No! – Ammette il ragazzo limpido, ma lo dice mentre la linea curva si
trasforma
in un sorriso più aperto.
Uno dei
suoi sorrisi belli e
dolci che lo hanno fatto innamorare, irrimediabilmente.
Un po’
disorientato
dall’evidente contrasto tra la sua espressione e la parola che ha
pronunciato,
Daniel tuttavia non si lascia abbattere.
Gli
sfiora la guancia con le
dita in una carezza affettuosa, lasciando vagare lo sguardo su di lui
alla
ricerca di risposte ancora non dette, ma di cui, d’un tratto, sente
urgenza per
non lasciarsi sopraffare dall’inquietudine.
Hema
inclina la testa contro
quel gesto e per qualche istante socchiude gli occhi, godendo del
tepore del
contatto.
-
Non
riesci a dormire? -
Si sente domandare.
Lui non
risponde e,
sottraendosi alla sua carezza, ruota di nuovo la testa verso l’esterno,
ritornando a guardare l’oceano.
Dopo
qualche istante raccoglie
un profondo respiro e lo getta fuori, tentando, senza successo, di
liberarsi
con esso anche del peso che sente sul cuore.
Fa un
gesto con le mani come a
voler seguire un proprio pensiero che lo angoscia particolarmente, ma
non
pronuncia neppure una sillaba, trattenendo per sé il fiume di parole
che invece
dentro di lui monta e si agita nel tentativo di forzare gli argini
della
propria anima e traboccare.
-
Sei
pentito! –
Un’affermazione
più che una
domanda.
Daniel dà
voce al fantasma che
sembra aleggiare tra loro.
Categorico.
Secco.
Limpido.
Cos’altro
c’era da dire?
Niente.
-
No,
neanche per un attimo! –
La
risposta altrettanto secca,
trasparente.
Daniel
trasale ancora più
disorientato.
Non
comprende.
Se non è
pentito di quel che è
successo tra loro, allora cosa c’è che non va e che gli mette quelle
ombre
livide sul volto?
Non lo
capisce.
D’un
tratto, chiuso in quel
suo bozzolo di silenzio, non lo capisce più.
E non gli
piace affatto.
Gli
sembra di essere escluso
da qualcosa di cui fino a poco prima gli ha concesso di far parte.
Da quella
piccola bolla di
felicità che si è creata intorno a loro e che lo ha riscaldato fin nel
profondo
come mai gli era accaduto prima di allora.
-
Non
escludermi! –
Glielo
dice.
Un
sussurro soltanto sullo
sfondo del rollare delle onde del mare.
Un’implorazione.
Sui loro
respiri
impercettibili, quasi trattenuti.
Sui loro
pensieri disordinati,
chiassosi, eppure senza parole, che si dibattono ognuno per conto
proprio.
Dolorose
come un pugno, quelle
due parole scavano un solco lancinante nel cuore già esanime di Hema,
lasciandolo senza fiato.
Gli sta
facendo solo del male,
pensa.
Da quando
tutta quella storia è
cominciata sta facendo del male a se stesso e a lui.
Per i
propri mille dubbi.
Per le
mille paure.
Per le
innumerevole domande
che si fa incessantemente.
Per le
risposte che non trova.
Per il
circolo vizioso in cui è
caduto e dal quale non riesce a tirarsi fuori.
Perché
gli ha telefonato?
Perché ha
dato inizio a quella
follia?
Perché
non ha semplicemente
aspettato che tutto passasse: il suo cuore impazzito, la sua mente
ossessionata
da lui, il respiro corto, le lunghe notti insonni?
Perché
sarebbe passato tutto
quel dolore.
Prima o
poi.
A costo
di morirne, come è
stato sul punto di essere solo perché non lo ha più incontrato.
Solo
perché non ha più
ascoltato la sua voce.
La sua
risata.
Quelle
sue battute idiote.
Solo
perché non ha più avuto
quei suoi occhi di giada su di sé.
-
Non
sono pentito. – Mormora all’oceano dopo un tempo infinito. – E’ stata
la notte
più bella della mia vita… non potrei mai essere pentito! –
E ritorna
a guardarlo, a
cercare il suo sguardo, che non è stato mai distolto da sé.
Quello
sguardo che è un pozzo
di oscurità tra le ombre della notte, e che gli entra dentro appena osa
incontrarlo.
Che scava
fino a raggiungere
la parte più profonda di se stesso e vi si insedia senza tanti
complimenti e
senza alcuna intenzione di lasciarlo.
Se ne
sente invaso, intimidito
quasi, incapace di nascondervi alcunché e dal quale proprio per questo
rifugge
quando tra loro c’era la luce del giorno e non c’è modo di scappare.
-
Allora
non è stato così orribile! – Cerca di scherzare Daniel senza sapere se
essere
sollevato o preoccupato dalle sue parole.
-
E’
stato… meraviglioso… naturale… spaventosamente naturale! –
-
Addirittura
spaventosamente! –
-
…
E’ che non pensavo potesse accadere così… come se… -
-
…
come se avesse sempre fatto parte di noi! –
Annuisce,
colpito dall’empatia
che sembra diventare sempre più tangibile tra loro, e che li porta
istintivamente ad anticiparsi nei pensieri e nei gesti.
C’è una
tenerezza dolcissima
nella sua voce e nei suoi occhi che lo confonde e lo conforta al tempo
stesso.
Non è
abituato a tanta
dolcezza.
Meno che
mai da parte di un
maschio.
-
Non
sono mai andato a letto con un uomo… né ho mai pensato di farlo… -
-
Nemmeno
io se è per questo! –
Una
risata, breve, incolore.
-
Quante
volte... l’abbiamo fatto? ... E’… stato sempre… bellissimo…
incredibile!!! –
-
Non
lo so… eravamo troppo occupati per contarle!!... E’ importante? –
Una pausa
inquieta, poi Hema
chiede: -
-
Come
fai a farti scivolare addosso tutto con tanta facilità, Daniel? … Io
sono qui
che tremo e tu non fai una piega come se tutto fosse normale… -
A
quell’accusa l’espressione
dell’uomo muta di colpo e muta in una maschera di granito.
I bei
tratti si tendono e gli
occhi diventano due strisce sottili di indignazione.
-
Ma
che cazzo ne sai tu di come mi sento io? – Sibila la sua voce, cupa e
rigida.
Colto di
sorpresa dalla sua
reazione, il ragazzo ha un brivido di sgomento lungo la schiena.
-
Daniel,
io… -
-
Daniel,
io un cazzo!!!!... Tu e le tue paranoie!
Che
credi, di essere l’unico
qui a sentirsi strano in una situazione come questa?
... Pensi
davvero che io non
mi faccia mille domande come te le fai tu? ...
Ti sei
innamorato di un uomo,
e allora?
Io mi
sono innamorato di un
uomo, e quindi?
Non ce
l’aspettavamo.
Ok!
Sarà mica
la fine del mondo?
Abbiamo
fatto l’amore…
l’a-m-o-r-e, Hema, non sesso… e l’hai appena detto con la tua bocca che
è stato
fantastico…
Perciò, è
così schifoso
provare tutto questo?
Così
devastante e abominevole?
Così
riprovevole o irreparabile?
–
Non
grida, non si agita,
Daniel.
Eppure
Hema si sente come se
lo stesse aggredendo fisicamente.
Anzi,
quasi spera di vedersi attaccare,
picchiare addirittura, tutto pur di non vedere sul suo viso
quell’espressione
di gelida accusa che fa più male ed è più dura da sopportare.
Si sente
improvvisamente
piccolo e inutile come sempre davanti a questioni che non riesce a
capire e a
gestire.
Inadeguato,
indegno quasi.
Gli
sembra di averlo ferito,
umiliato con quella sua ottusità, ed è l’ultima cosa che vuole fargli.
Scivola
sul parquet per
raggiungerlo e una volta che gli è difronte, gli prende il volto tra le
mani e d’impeto
gli bacia la bocca una, due, tre volte, come a voler sciogliere a forza
di baci
la linea ostile che vi si è disegnata.
-
Perdonami,
ti prego! – Gli soffia sulle labbra, tremando d’emozione e di paura, le
lacrime
che pungono come spilli agli angoli degli occhi chiedendo di sgorgare.
-
Per
cosa devo perdonarti?
Per voler
negare tutto questo?
Per voler
sputare su di noi,
sull’amore che ci ha colto in fallo?
Per cosa?
–
-
Perché
sono uno stupido e perché ho paura! –
-
Paura
di che cosa? – Daniel alza appena un poco la voce, che però rimane un
sibilo
gelido tra i denti serrati dall’angoscia.
E’ una
lama affilata che
lascia tagli sottili e brucianti sul cuore del giovane.
Solleva
le braccia e affonda
le dita tra i suoi capelli, serrandole rabbioso.
-
Di
che cosa cazzo hai paura?
Io sono
qui, non sei da solo
ad affrontare tutto questo, sei con me!
... Non
valgo niente per te?
... Non
significo niente, eh? –
Il pianto
esplode dirompente
nella gola di Hema, sopraffacendo la sua volontà di controllo.
Gli viene
su da un groviglio
fitto che si è annodato al centro dello stomaco e che gli si propaga
come una
lingua di fuoco in ogni angolo del corpo, sconvolgendolo, facendolo
tremare e
vibrare.
Le mani
scivolano giù dalle
sue guance alle spalle e qui, d’impulso preme per spingerlo via da sé e
sfuggire ai suoi occhi incendiati dal dolore.
Non
riesce a sopportare di
vederlo così per colpa sua.
Ma Daniel
non lo lascia
andare, nemmeno s’accorge della spinta.
Di contro
serra ancor più le
dita e lo strattona, avvicinandolo di peso al proprio corpo, facendolo
cozzare
contro di sé neppure tanto gentilmente, lasciando tra loro soltanto un
filo
d’aria che non impedisce alla pelle di venire a contatto.
Hema
trasale, e non sa se per
la sensazione di calore ustionante che gli trasmette o per il timore di
essere
davvero picchiato.
-
Tutto
questo è troppo per me, non lo capisco, Daniel… - Il respiro gli esce
difficile
e spezzato contro la sua bocca a un soffio dalla sua, mentre il cuore
gli salta
un battito e si rifiuta di continuare a pompare sangue nelle vene.
-
Che
c’è da capire quando due persone si attraggono e provano dei sentimenti
come
sta succedendo a noi?
... Sei così bigotto e
ottuso da non poter
accettare che questo accada tra due uomini? –
-
No,
no, no!! – Hema urla la propria frustrazione.
Riprova a
spingerlo via da sé,
senza successo anche stavolta.
La forza
con cui Daniel lo
contrasta è troppo superiore alla sua e non gli cede un solo centimetro
per
dargli tregua.
Si sente
disperato e non tanto
per non aver scampo alla sua presa ferrea, quanto per l’angoscia
furente che
gli legge negli occhi e di cui si sente l’unico responsabile.
Sono
stati così felici fino a
poco prima.
Che sta
combinando adesso?
Cosa?
-
Eppure
non sembravi così prevenuto quando abbiamo girato quelle scene?
Sembravi
a tuo agio.
Hai
accettato la parte senza
batter ciglio… questo poteva significare solo che non eri omofobo…
E adesso
cos’è cambiato?
Hai
capito che questa è la
vita vera e non una serie televisiva e non ti sta più bene?
Di che
hai paura?
Del
giudizio della gente?
Di quello
della tua famiglia?
Di che
cosa cazzo hai paura? –
-
Di
non essere abbastanza per te… di non essere capace… io non sono niente
e questa
cosa è più grande di me… finirò per rovinare tutto… io rovino sempre
tutto
quando le cose diventano troppo per me… -
-
Che
stai dicendo? -
Per la
prima volta in quegli
istanti frenetici, Daniel allenta la stretta delle dita, colto di
sorpresa.
Lo guarda
disorientato,
sentendo sotto le mani il tremore incontrollato del suo corpo e i suoi
ansiti
sempre più corti e affrettati.
Gli
lascia i capelli, scende
giù fino ai suoi occhi, con i pollici cerca di liberarglieli
dall’ondata di
lacrime che lo accecano, gli bacia la bocca umida nel tentativo di
calmarlo.
Sente e
assorbe la sua
tensione sfiorandolo.
Inutilmente.
-
Sssttt,
basta, piccolo, basta! – Gli mormora continuando a baciarlo. – Non sei
da solo,
ti prego, non te lo dimenticare.
Qualunque
cosa accadrà, siamo
insieme. –
-
I
casini li combino sempre da solo, Daniel, non lo vedi? ... Se non ti
avessi
telefonato… adesso
non saremmo qui a
urlare nel cuore della notte… -
-
Se
non mi avessi telefonato, sarei venuto io da te! –
-
No,
tu non saresti venuto e avresti fatto bene, perché è tutta colpa mia
se… -
-
Tu
non hai colpe di niente… non è colpa né mia né tua se ci siamo
innamorati… e a
farsi fottere tutti se siamo due uomini e ci sono sempre piaciute le
donne!
…
affanculo tutto… è qualcosa
di speciale che sta accadendo a noi, ed è bellissimo e spaventoso allo
stesso
tempo, lo so… non credere che non me ne renda conto… ma questo non deve
renderci infelici… -
Se lo
tira contro con un gesto
morbido e imperioso al tempo stesso, avvolgendolo tra le braccia e
stringendolo
a sé dolcemente.
Dapprima
rigido e teso, Hema
si oppone soltanto per qualche istante prima di lasciarsi andare
esausto nello
spazio che gli è stato fatto tra le sue gambe, il volto nascosto contro
il suo
collo e il corpo abbandonato perché stanco di combattere una battaglia
persa.
-
Manderò
tutto a puttane, Daniel, lo sto già facendo, non te ne accorgi? –
-
Cercheremo
di evitarlo se lo vorremmo tutti e due! –
Il
ragazzo chiude gli occhi
esalando un sospiro difficile e non replica.
Lui non
lo sa se lo vuole
tutto quello.
Questa è
la verità.
C’è
dentro fino al collo e le
sensazioni sono talmente tante e contrastanti, matasse di fili
ingarbugliati e
inestricabili, che lo avvolgono e lo stritolano, da non riuscire a
capire se è
disposto a imbarcarsi in una relazione come quella e mettere in gioco
la
propria vita di punto in bianco.
L’unica,
inconfutabile,
gelida, perfetta consapevolezza è la paura.
Una
costante sottile da molti
mesi a quella parte, che gli si è infilata sotto la pelle più scura e
densa del
sangue che gli scorre nelle vene.
Paura di
sé stesso.
Di quei
sentimenti imprevisti
che lo hanno colto del tutto impreparato.
Della
voglia ingestibile e
violenta che ha di quell’uomo.
Del
desiderio di farsi parte
della sua vita.
Dei suoi
pensieri.
Dei suoi
sentimenti.
Di ogni
suo sguardo.
Di ognuno
dei suoi sorrisi.
Di cui
vuole a ogni costo
essere l’unico e solo centro, e che, allo stesso tempo teme e vuole
rifuggire a
ogni istante.
Paura.
Solo…
… fonda…
… lancinante paura.