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Autore: _juliet    26/10/2014    2 recensioni
Ren aveva iniziato a uccidere per denaro a quindici anni e, dopo dieci anni di attività, era convinto che la sua vicinanza risvegliasse nelle persone una sorta di primordiale istinto di sopravvivenza che le spingeva a non interagire con lui.
{Semi-distopia}
Alken è una città martoriata da una guerra tra organizzazioni criminali. Ren è un assassino di professione, estraneo alla faida, un lupo solitario che ama lavorare per conto proprio. Ma quanto può sopravvivere un lupo solitario se i cani sono in branco?
Genere: Angst, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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 – III –




Secondo le indicazioni, il bersaglio si era recato al vecchio teatro per discutere di un affare che non sarebbe stato concluso. Ricevuto il rifiuto, probabilmente avrebbe subodorato la trappola e si sarebbe affrettato ad andarsene.
Non appena lo vide uscire dall'edificio, Ren prese la mira e sparò. Il proiettile centrò il cranio dell'uomo, facendone sgorgare un fiotto denso che macchiò i visi e i vestiti dei sottoposti. Il bersaglio fece ancora qualche passo, le gambe che ancora reggevano il suo corpo, ma non lo sentivano più. Infine rovinò a terra in una pozza di sangue.
Ren smontò il suo M200 CheyTac e lo ripose con calma nella custodia, ignorando le urla allarmate ed irose della scorta. Non avrebbero chiamato ambulanze o polizia; si sarebbero limitati a sbraitare per qualche minuto, cercando di capire da dove fosse partito il proiettile. Ren non se ne preoccupava: se anche fossero stati così audaci da raggiungere il tetto su cui si trovava, li avrebbe accolti con il piombo. Era sicuro che alla fine il timore per la loro inutile vita avrebbe prevalso sul desiderio di vendetta. Privi di una guida, avrebbero raccolto ciò che rimaneva del loro capo e se ne sarebbero andati.
Non dovette attendere molto prima che la sua predizione si realizzasse. Quando udì i motori delle loro costose auto rombare lontano, Ren scese lungo la scala antincendio del palazzo e percorse il lungo vicolo, mettendo quanta più distanza possibile fra lui e il cadavere. Ebbe appena il tempo di imboccare la strada principale, prima di sentire l'urlo che indicava che ora la polizia sarebbe stata chiamata.
L'aria invernale lo sferzava, fredda e tagliente. Stava cominciando a imbrunire, ma era ancora presto perché si presentasse al No way out per bere la sua solita pinta. Stan non gli avrebbe impedito di entrare ma, dopo aver portato a termine un lavoro, Ren preferiva sempre aspettare qualche ora prima di andare da lui, per evitare che potessero considerarlo suo complice e perquisire il locale. Oltre che il suo fornitore di informazioni preziose, Stan era anche una persona a posto. Ren era meticoloso e attento a non lasciare tracce, ma sicuramente la città era piena di tizi più in gamba di lui.
Rimpiangendo le stufe che lo avrebbero accolto più tardi nel locale, si avvolse più strettamente nel cappotto e si rassegnò a girovagare senza meta nella zona sicura.
Quell'area poteva dirsi migliore rispetto all'inferno in cui era abituato a lavorare. Le strade erano ampie e trafficate, i lampioni erano accesi e, nonostante stesse facendo buio, molti negozi erano ancora aperti e pieni di clienti. Molti edifici erano piacevolmente decorati con installazioni luminose.
Passeggiando, Ren sbirciava svogliatamente le vetrine. Non aveva realmente bisogno né voglia di comprare qualcosa, ma era un utile passatempo ed era bello poter camminare senza doversi preoccupare, per una volta, di individuare la via di fuga più vicina in caso di incontri sgraditi.
Un negozio particolarmente colorato e chiassoso attirò la sua attenzione e non riuscì a trattenere un tremito, quando si rese conto che si trattava di una gelateria. Chi mai poteva voler mangiare un gelato in pieno inverno? A giudicare dalla folla, i pazzi erano tanti.
Incuriosito, Ren decise di avvicinarsi e scoprì che i proprietari avevano trovato un buon modo di fare affari anche nella stagione fredda; infatti, invece dei gelati, vendevano varie qualità di cioccolata calda. Festoni, luci e un bicchierino in omaggio lo informarono che era capitato lì proprio il giorno dell'inaugurazione.
Ren non amava le cose dolci, ma gradì il tepore che la bevanda trasmetteva al suo corpo. Mentre la sorseggiava lentamente, cercò di tornare con la memoria all'ultima volta che gli era capitato di berla, ma si arrese dopo pochi attimi.
«Ne vuoi ancora?» chiese una delle ragazze dietro il bancone, rivolgendogli un sorriso provocante.
Ren valutò che avrebbe potuto trovarla attraente, se il biondo dei suoi capelli fosse stato più naturale. «No, ti ringrazio» disse, porgendole il bicchiere vuoto.
«Neanche da far assaggiare a qualcuno a casa?» ci riprovò lei, alzando la voce nel tentativo di trattenerlo.
“E a chi? Io non ho nessuno.”
Ma dovette contraddirsi immediatamente: da qualche tempo c'era qualcuno. Certo, lo pedinava e frugava fra le sue armi ed era incapace di badare a se stessa ed era un peso. Ma a volte era seduta a guardare la televisione quando lui rientrava, e gli mormorava un distratto “ben tornato”.
La voce della ragazza lo riscosse dai suoi pensieri. «Se abiti lontano puoi prendere il nostro cioccolato. Così non c'è pericolo che si freddi.»
Ren uscì dalla gelateria con una tavoletta in mano e ricominciò a vagare per le strade, chiedendosi perché mai l'avesse accettata; le cose dolci non gli piacevano e regalarla a May era fuori discussione. Se gliel'avesse data, lei avrebbe colto l'occasione per tirare fuori i suoi genitori e per ricordargli che un giorno l'avrebbe ucciso. E lui era stanco di sentirselo dire.



Passate un paio d'ore, Ren si disse che poteva arrischiarsi a fare la sua solita visita al No way out, quindi lasciò i quartieri più ricchi e si spostò verso il confine con il territorio di Frozen Moon. Per diversi isolati non incrociò nessuno e ascoltò il rimbombare dei suoi passi nelle strade vuote. Il contrasto con il centro della zona sicura era quasi ridicolo.
Attraverso la vetrina riuscì a vedere che nel bar c'erano pochi clienti e l'idea di scaldarsi davanti a una stufa era molto invitante. Ren affrettò il passo, desideroso di sorseggiare birra scura e di scoprire cosa Stan volesse dirgli.
Improvvisamente udì l'eco di altri passi. Due, forse tre persone, probabilmente uomini, pesanti. Non credeva nelle coincidenze, quindi si fermò e toccò la pistola sotto la stoffa del cappotto, pronto a difendersi.
«Vogliamo solo parlare» esordì una voce maschile.
Il giovane si voltò con noncuranza e vide tre uomini. Il più basso sorrise e alzò le braccia, mostrandogli i palmi delle mani. Gli altri due si limitarono a guardarlo con aria truce. Entrambi indossavano completi eleganti e avevano i capelli lunghi legati dietro la nuca.
«Non badare a loro» commentò il suo interlocutore. «Sono solo cani da guardia.»
Ren riportò l'attenzione su di lui. Indossava un completo e un cappotto di buona fattura. Inforcava occhiali senza montatura e, dietro le lenti, i suoi occhi erano attenti e vigili. Sembrava meno minaccioso dei suoi compagni, ma aveva una strana aura che gli fece accapponare la pelle.
Come se non bastasse, i tre non sembravano preoccupati di trovarsi in quel quartiere, di notte, a volto scoperto e vestiti in quel modo, e questo poteva significare solo una cosa: erano loro quelli di cui bisognava preoccuparsi.
«Posso esservi utile?» chiese Ren, cercando di essere il più educato possibile. Costrinse se stesso a lasciare la presa sulla pistola, ma tenne la mano abbastanza vicina da poterla afferrare in fretta, se fosse stato necessario.
«Il mio nome è Higuchi» rispose l'altro, estraendo un fazzoletto bianco della tasca. Con lentezza studiata, tolse gli occhiali ed eliminò dalle lenti ovali invisibile sporcizia. Quando dispiegò la stoffa, Ren lesse chiaramente le parole L'Oscurità è ordine ricamate in color rosso sangue.
«Voglio complimentarmi con te» disse Higuchi, soddisfatto che il messaggio fosse stato colto. «Hai una mira eccellente e oggi l'hai dimostrato.»
«Sei il mio cliente?»
«Temo di no.»
Ren sorrise senza alcuna allegria. «Cosa vuoi?» domandò. Sapeva di stare camminando su uno strato di ghiaccio molto sottile, ma optò per lasciare da parte i convenevoli.
«Io e i miei cani da guardia» rispose Higuchi, indicando con un cenno della testa i suoi compagni, come per ribadire la loro esistenza. «Ci stavamo chiedendo se tu sapessi che lo spreco di spazio che hai eliminato oggi era nemico giurato di Frozen Moon.»
Prima che Ren potesse reagire, infilò la mano in un'altra tasca del cappotto e ne estrasse una spessa busta. «Per te» spiegò. «Ci hai fatto un grosso favore. Frozen Moon sa ricompensare i suoi amici.»
Il giovane si lasciò sfuggire una lieve risata. Non era la prima volta che qualche organizzazione criminale lo corteggiava. Certo, mai nessuno di così potente e pericoloso... ma non gliene importava un fico secco.
«Vi ringrazio, ma sono già stato pagato. Non ho bisogno di altri soldi. Per me è sufficiente riuscire a sopravvivere e ci riesco da solo.»
«Non ne dubito» disse Higuchi, squadrandolo con sufficienza. Il suo sorriso non si spense, quando domandò: «Ma per quanto tempo ancora riuscirai a sopravvivere?»
Ren si irrigidì, valutando in fretta le sue possibilità. Anche se fosse riuscito a estrarre la pistola prima che uno dei due energumeni lo uccidesse a mani nude, non sarebbe sopravvissuto a lungo. Avrebbe potuto provare a scappare, ma Frozen Moon aveva occhi e orecchie ovunque, anche nella zona sicura, anche nel territorio dei Vigilanti, anche nei tribunali e nelle centrali di polizia. E Frozen Moon non perdonava.
«Ti ascolto» disse infine.
«Non disprezzare il nostro denaro» disse Higuchi, con lo stesso tono che avrebbe potuto usare per rimproverare un bambino. «Lavorare per noi potrebbe farti comodo.»
Ren scosse la testa. Aveva passato la vita in quella città dimenticata da Dio, ma non aveva mai avuto alcun interesse a prendere parte alla guerra civile che la martoriava. Che i pezzi grossi si uccidessero a vicenda, se lo desideravano. Lui non voleva farne parte.
«Lo so, lo so» riprese Higuchi. «Tu sei un lupo solitario e io lo rispetto.»
Estrasse un accendino laccato in oro e accese una sigaretta al mentolo. Espirò diverse boccate con aria pensosa, come se stesse riflettendo sulle parole da usare. Lanciò un'occhiata agli energumeni alle sue spalle e annuì, mentre dal suo volto spariva ogni traccia di cordialità.
«Un lupo solitario diventa una preda fin troppo facile, quando i cani sono in branco» disse, perforando Ren con uno sguardo glaciale.
Infilò nuovamente la mano nel cappotto e prese un involucro di carta bianca, che dispiegò con cura maniacale, rivelando diverse fotografie. «Tutti hanno un prezzo» sussurrò morbidamente, tenendole in mano come fossero un mazzo di carte. «E tutti hanno delle debolezze.»
Ren percepì i muscoli delle braccia contrarsi mentre stringeva i pugni. Tutte, dalla prima all'ultima, erano foto di May.



Ren inciampò e si guardò intorno, rendendosi conto di essere arrivato molto vicino a casa. Non ricordava quasi nulla del tragitto che aveva percorso. Sapeva solo che Higuchi si era premurato di prendergli la mano, aprire le sue dita e consegnargli le fotografie, prima di andarsene con i suoi cani da guardia. Dopo, aveva iniziato a camminare.
Non aveva mai voluto schierarsi per una banda o per l'altra; lavorare per una delle due avrebbe significato inimicarsi l'altra. Oltre a questo, l'idea di avere un capo a cui obbedire ciecamente non gli piaceva. Ma cosa poteva fare? Molti altri avevano cercato di reclutarlo e l'avevano minacciato, ma nessuno di loro era Frozen Moon. Nessuno di loro era ricorso a quel tipo di ricatto.
“Perché prima non avevi nulla con cui potessero ricattarti”, lo derise una voce nella sua testa.
Il giovane scosse la testa, cercando di scacciarla. Nulla era cambiato nella sua vita: lui non aveva alcuna debolezza.
“Sì, invece”, continuò la voce, melliflua, “lascia che ti dia alcuni indizi: un pessimo carattere, occhi chiari e i capelli biondi che ti piacciono tanto...”
«Fanculo» sputò Ren, a denti stretti. Rallentò l'andatura fino a fermarsi, cercando di riordinare i suoi pensieri e passandosi più volte le mani fra i capelli, come il gesto potesse aiutarlo a trovare una soluzione.
Mentre scuoteva la testa, con la coda dell'occhio colse un movimento alla sua sinistra, ma non fu abbastanza rapido. La lama del coltello lo colpì sulla guancia, squarciandone la carne.
Ren si ritrasse, portandosi la mano alla ferita nel tentativo di contenere il dolore e il sangue.
«Tu!» ringhiò, rivolto al suo assalitore.



 

***




La consapevolezza di essere riuscita a ferirlo avrebbe dovuto renderla euforica e sicura di se stessa, ma May continuava a tremare. Sperava solo che lui fosse troppo arrabbiato per accorgersene.
«Tu!» le ringhiò, premendosi la mano sul taglio. Si era ripreso in fretta ma, per un secondo, prima di riconoscerla, i suoi occhi blu avevano lampeggiato di sorpresa e di qualcosa di simile alla paura.
May si ricompose e lo fissò con uno sguardo che sperava fosse freddo quanto quello di lui.
«Hai ricevuto del denaro, non è vero?» chiese, stringendo le dita intorno al manico del coltello.
Ren sorrise senza allegria. Infilò una mano in tasca e ne estrasse un fazzoletto, che usò per tamponare il sangue che gli colava sulla guancia.
«Congratulazioni per la tua perspicacia» commentò.
Ostentava noncuranza, ma May sapeva che, sotto gli abiti, i suoi muscoli erano tesi, pronti a scattare.
Lentamente estrasse la Beretta dalla borsa gualcita e gliela puntò contro. «Hai accettato del denaro anche per uccidere i miei genitori?» chiese.
Ren sbuffò, rivolgendole uno sguardo allucinato. «Ancora con questa storia? Non ti rendi conto di quello che è appena successo? Proprio non ti rendi conto?» sbraitò, avanzando verso di lei.
“Ora”, si disse May, “lo devi fare ora!”
Lui scoppiò a ridere, come se le avesse letto nel pensiero. «Non dirmelo! Stai per uccidermi?» chiese, con un sorriso di scherno. Avanzò ancora, ignorando la minaccia.
May tese le braccia, mirando al viso di lui. Ecco, quello era il momento. Sarebbe stato come l'aveva sempre immaginato. Le sue mani sudate strinsero il calcio della pistola, mentre l'indice accarezzava il grilletto.
Ren sbuffò ed emise un ringhio, prima di scattare in avanti e colpirla.



I rumori si rincorrevano, rapidi, sovrapponendosi gli uni agli altri. L'oscurità non era totale: May era consapevole che, anche se non sulle sue gambe, in qualche modo si stava spostando. Lo sapeva perché, nonostante l'impossibilità di focalizzare l'attenzione su ciò che la circondava, intuiva che c'era qualcuno a muoversi per lei.
Dopo un intervallo di tempo imprecisato, atterrò in malo modo su una superficie morbida e le sfuggì un gemito.
«Dove-?» mormorò, prima di intuire di trovarsi nella camera da letto dell'appartamento. «Ren?» chiamò, mentre i ricordi di quello che era successo affioravano nella sua mente. Le sfuggì un singulto, mentre cercava di immaginare quanto potesse essere arrabbiato. «Ren, io-»
«Ringraziami per non averti uccisa» la sua voce era fredda e tagliente, proveniva da un punto imprecisato nell'oscurità della stanza. «Mi avresti mancato, stupida ragazza.»
«Non è vero-» May protestò debolmente, mentre i suoi occhi si abituavano alla mancanza di luce e riuscivano a intravedere Ren in piedi, appoggiato al muro.
«Sta' zitta» ribatté lui, staccandosi dalla parete. Dal tono della sua voce si capiva che stava sorridendo. «Tremavi come un uccellino bagnato.»
May udì un tonfo e vide la sua Beretta luccicare sul pavimento.
«Avresti sbagliato mira, perché io ti terrorizzo» commentò Ren. Si tolse il cappotto e lo abbandonò in un angolo, avvicinandosi.
La ragazza sapeva cosa stava per succedere; non era la prima volta che accadeva e non sarebbe stata l'ultima. Si voltò, per non vederlo mentre slacciava la cintura, ma udì ugualmente il tintinnare delle cinghie. Quando avvertì il letto sobbalzare sotto il peso di lui, tentò di alzarsi, ma le sue mani l'afferrarono con forza e la spinsero contro il materasso.
«E fai bene ad avere paura» mormorò Ren, sfilandole pigramente i pantaloni. Le toglieva sempre tutti i vestiti, ma lui teneva sempre qualcosa addosso; probabilmente aveva qualcosa da nascondere.
«Niente reggiseno, oggi? Beh, non che ti serva a molto.»
La ragazza gli diede uno spintone, cercando di sbilanciarlo, ma le mani di lui la spinsero giù e la inchiodarono al letto.
«Fottiti, stronzo!» ringhiò.
Ren sorrise, sfiorandole la guancia con le dita. Si chinò, fino a che le sue labbra furono tanto vicine al suo orecchio che May riusciva ad avvertire il calore del suo fiato. «Sfortunatamente per te, ragazzina» le sussurrò. «Anch'io oggi sono di pessimo umore.»



Nel momento in cui May aprì gli occhi, desiderò di non essersi mai svegliata. Aveva la bocca impastata e sembrava che migliaia di sottili spilli le si conficcassero nella carne ogni volta che si muoveva. Si passò una mano fra i capelli e scoprì che erano annodati e sudati. Litigando con le lenzuola, che le si erano attorcigliate attorno, riuscì ad issarsi sul materasso, ma quando si sedette una fitta di dolore fra le gambe le strappò un gemito.
«Ho esagerato.»
La voce di Ren proveniva da un punto imprecisato nella penombra. May riuscì a udire i suoi passi mentre si avvicinava. Una mano le porse qualcosa di freddo.
La ragazza aprì la bottiglia e bevve un sorso d'acqua, che contribuì a schiarirle la mente. «Nessun problema» disse infine. Avvertì il cigolio del materasso mentre Ren le si accomodava accanto sul letto.
«Anche tu hai un taglio sul viso.»
May si portò istintivamente la mano alla guancia destra. «Un idiota voleva che succhiassi il suo cazzo» spiegò.
Ren ridacchiò. «Dio, attrai troppa attenzione in questo posto» commentò.
La sua voce aveva una sfumatura strana, che la ragazza non sapeva interpretare. Non che di solito riuscisse a capire Ren, ma in quel momento le sembrava più cupo del solito. Si chiese se il sesso rabbioso non gli fosse bastato per sfogare la sua ira.
«Tieni. Ti serviranno prima o poi.»
May allungò la mano e toccò uno spesso fascio di banconote. Scosse la testa e si ritrasse, disgustata dal pensiero che quei pezzi di carta zuppi di sangue altrui potessero toccarla. «Non ho bisogno del tuo dannato denaro» soffiò.
Ren tacque a lungo. Infine si alzò e lasciò cadere la mazzetta sul letto. «Prendili lo stesso.»
May avvertì il tocco leggero delle sue dita fra i capelli. «Non toccarmi, Ren» disse.
Lui obbedì. «Mi dispiace» mormorò, mentre si infilava il cappotto e prendeva la borsa del fucile.
«Perché ti scusi?»
Il giovane non rispose e si allontanò, avviandosi verso l'ingresso dell'appartamento.
«Ren!» esclamò May. Cercò di alzarsi, ma si rese conto che la sua caviglia sinistra era stata legata alla struttura in ferro del letto.
«Non seguirmi più» la voce di Ren era glaciale. «Non vorrei essere costretto a ucciderti gratis» disse, prima di sbattersi la porta alle spalle.

  
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