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Autore: Aishillin    26/10/2014    4 recensioni
"Toujours Pur". Il motto della famiglia Black descrive bene le loro idee.
Ma davvero gli ideali sono più forti dell'amore?
E' così semplice, a volte, dimenticare ciò in cui crediamo, in nome dell'amore.
Persino nell'animo più oscuro può brillare un attimo di luce.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Questione di un attimo.


Narcissa Malfoy odiava gli ospedali.

Provava poi per il San Mungo un’avversione particolare, uno strano e immotivato odio viscerale che l’aveva accompagnata fin da bambina.

Ricordava bene la prima volta che era stata costretta a passeggiare per le asettiche corsie di quell’edificio che per lei era sempre stato sinonimo di morte.

Aveva appena compiuto 11 anni. Lo ricordava bene, perché attendeva ardentemente la sua lettera per Hogwarts. Aveva visto il gufo della scuola arrivare già due volte con delle pesanti buste contenenti l’ammissione alla scuola di Magia e Stregoneria destinate alle due sorelle. Non vedeva l’ora di riceve la sua lettera dalla Scuola, autografata dall’augusto preside Silente.

Ma quel giorno non ricevette nessuna lettera d’ammissione.

In compenso, fu costretta ad attraversare quei lunghi e spogli corridoi fino ad una sciatta camera. E lì, in quella sciatta camera, in quel misero letto di ferro battuto, fu costretta da padre a baciare la fronte ormai fretta di sua madre.

Narcissa non potè mai scordare quell’episodio. Non potè mai dimenticare il viso di sua madre, cereo, né le sue labbra color marmo, né il freddo che pareva emanare il suo corpo senza vita. Non scordò mai quell’odore di disinfettante e morte che aleggiava nella stanza, né i singhiozzi sommessi di sua sorella Andromeda. Non riuscì mai a dimenticare che fu proprio Andromeda ad abbracciarla in quel momento, mentre Bella si limitava a guardare con occhi pieni di lacrime il letto in cui giaceva immobile la loro madre, come se un solo movimento potesse ucciderla, disperdendo tutto ciò che lei era in poche spirali di cenere.

Narcissa quel giorno si ripromise di non entrare mai più in un ospedale, e nel San Mungo in particolare. Fu per questo motivo che in sette anni di scuola non varcò mai la soglia dell’infermeria, e anche nel resto della sua vita fece di tutto per non dover mai entrare in un qualsivoglia nosocomio.

Questa idiosincrasia nei confronti degli ospedali la aiutò, quindi, ad evitare di andare a trovare sua sorella Andromeda (che aveva provocatoriamente scelto - orrore! - di partorire in un ospedale babbano) quando nacque la sua primogenita.

Non poteva, semplicemente, vederla.

Aveva tradito.

Tradito i loro ideali, tradito tutto ciò che era stato loro insegnato dal padre, tradito il suo stesso sangue.

E poi, lei aveva giurato. Insieme a sua sorella, pazza di rabbia. Aveva giurato di non vedere più la traditrice della famiglia; né di posare mai gli occhi sul frutto di quello sporco amore.

Perché Andromeda non aveva solo sposato un Nato Babbano, ma aveva anche procreato con lui. Aveva dato luce ad un essere abominevole, contaminando il suo sangue, uno dei più puri di tutta la Gran Bretagna, con quello della feccia della peggior specie.

Imperdonabile.

E così Narcissa aveva ignorato quel fastidioso peso sul cuore che sentiva ogni volta che la sua mente sfiorava il ricordo di sua sorella.

Si era dedicata al suo matrimonio, avendo ben cura di non invitarla. Si era dedicata poi alla cura della sua nuova ragione di vita, Draco. Aveva fatto di tutto per seppellire il ricordo della sua sorella preferita, e c’era riuscita.

Fino a quel giorno, del 1984.

Narcissa aveva deciso di acquistare qualche nuovo completino per il piccolo Draco, che aveva preso la divertente abitudine di tuffarsi nel fango, quel piovoso agosto. Il risultato era un’intera collezione di tutine, giacchine e completini talmente lordi da essere a stento qualificabili come capi di vestiario. Che fossero poi stati cuciti su misura da una famosissima sarta era un’affermazione che neppure Narcissa (che aveva personalmente ordinato i capi e supervisionato le fasi di misurazione del piccolo) riusciva più a sostenere.

La decisione era stata dunque semplice: andare a Diagon Alley per creare un nuovo guardaroba alla luce dei suoi occhi, specificando alla sarta la necessità di aggiungere parecchi incantesimi per allontanare lo sporco dal tessuto.

Stava proprio uscendo dalla bottega di Miss Newfort (“Vestite i vostri piccini come principini!”) con l’intenzione di comprare un gelato da Florian Fortebraccio, quando la vide.

Era la prima volta che la vedeva.

Piccola, minuta, con dei capelli rosa shocking lunghi fino alla vita sistemati in due buffi codini.

Nonostante questo, Narcissa non potè sbagliarsi: quella bambina era Ninfadora, la figlia di sua sorella. Sua nipote.

Improvvisamente, il panico prese il sopravvento. Non poteva vederla. No. Quella bambina l’avrebbe riconosciuta. Avrebbe capito subito chi era, la perfida zia che non l’aveva mai vista, che non le aveva mai regalato il tradizionale braccialetto d’oro che indicava il suo amore. L’avrebbe guardata con odio, con occhi accusatori. L’avrebbe disprezzata. Che zia terribile era! Quale colpa aveva commesso, in fondo, quella bambina?

Quanti anni aveva, poi, la piccola? Era nata nel ‘73, aveva 11 anni. Non poteva essere in giro da sola. Doveva esserci di certo anche la madre.

Narcissa sentì la testa girarle vorticosamente. Non poteva incontrare sua sorella. Non poteva guardarla in faccia.

Agitata, prese in braccio il figlio, ignaro di tutto.

“Che succede, mamma?” Le chiese, gli occhi grigi preoccupati di fronte al pallore innaturale della madre.

“Nulla, tesoro. Andiamo a casa.”

“Ma… e il gelato?”

La donna non rispose, smaterializzando sé stessa e il piccolo a Malfoy Manor.

Lontano da Andromeda, lontano da Ninfadora.

Lontano dalle sue scelte.





 

****

Se c’era una cosa a cui si era abituata Andromeda Black in Tonks, era l’essere completamente ignorata dai suoi familiari.

Si era abituata all’assenza di doni, biglietti o anche solo di semplici auguri per le festività. Si era abituata al fatto che sua figlia avrebbe avuto solo due nonni invece che quattro, che non avrebbe avuto zie, o cugini, materni.

Si era abituata al fatto di non potersi più confidare con le sue sorelle, a non poter far conto su nessuno se non sé stessa e suo marito.

Era stata dura. Era stata dura andare all’altare accompagnata da Alphard, invece che da suo padre, o da un qualsiasi membro della sua famiglia. Era stata dura non ricevere nemmeno un biglietto per la nascita di sua figlia, prima discendente dei Black.

Ma lentamente, confortata dall’amore di suo marito e dal suo costante supporto, l’aveva superato. E aveva promesso, a sé stessa e a suo marito, che mai avrebbe cercato nuovamente coloro che l’avevano ripudiata.

Aveva accettato che la sua famiglia non volesse avere più nulla a che fare con lei, o con sua figlia. Aveva costruito un piccolo nido d’amore per la sua bambina, e il sapere che di lì a poco la sua piccola Nin ne sarebbe dovuta uscire per andare a Hogwarts la riempiva di terrore.

Fu per questi motivi che si stupì di ricevere un invito per un thé a Malfoy Manor. Invito che includeva anche la figlia.

Ovviamente, sapeva che sua sorella si era sposata con Lucius Malfoy: solo perché i suoi familiari la ignoravano non voleva dire che lei fingesse di non leggere i loro nomi sui giornali, o non aguzzasse l’udito se sentiva un pettegolezzo su di loro.

Quel biglietto, però l’aveva messa di fronte a un bivio. Fino a quel momento le sue scelte erano stata facili, perché in realtà ne esisteva una sola: sopravvivere all’ostracismo dei suoi parenti, andare avanti.

Ora, invece, era combattuta: accettare l’invito, da un lato, le avrebbe fatto un immenso piacere: amava molto sua sorella Narcissa, e la separazione ancora le doleva. Riallacciare i rapporti sarebbe stato un sogno ad occhi aperti.

D’altra parte, non poteva non temere un’imboscata. I Black erano infidi, e sebbene Cissy non si fosse mai comportata in maniera crudele con lei, non le mancava di certo l’ingegno per architettare un piano per metterla in ridicolo. O peggio, per mettere la sua bambina di fronte all’odio e al disprezzo di secoli di ideologie razziste.

Avrebbe davvero tradito il credo della sua famiglia, per lei? E lei, avrebbe tradito la promessa fatta 12 anni prima a suo marito, solo per il ricordo di un affetto?

Andromeda appallottolò il bigliettino nella mano, gettandolo nel fuoco. Avrebbe corso il rischio, per sua sorella.








 

****

Il pomeriggio a Malfoy Manor passò piacevolmente.

Lucius Malfoy non era presente, i suoi affari l’avevano costretto ad un viaggio in Francia di un paio di settimane, quindi Narcissa era sicura che il suo piccolo tradimento (un intero pomeriggio passato con la rinnegata della famiglia e, peggio del peggio, con la bambina Sanguesporco) non sarebbe mai stato scoperto.

Per buona misura aveva ordinato agli elfi domestici di rimanere in soffitta fino ad una sua chiamata.

Prendere il thé con la sorella le piacque molto. Parlarono a lungo, mente Nin giocava col piccolo Draco, che pareva incantato dalla capacità della ragazzina di cambiare la sua fisionomia a piacimento. Discussero della loro squadra di Quidditch preferita, si lamentarono della nuova moda che pretendeva bordi di pizzo su ogni mantello da signora che si rispettasse, e discussero dei nuovi negozi aperti da poco a Diagon Alley.

Ma, nonostante avessero parlato per parecchie ore, godendo della reciproca compagnia, le due sorelle non si erano dette niente. Entrambe accorte e lievemente circospette, avevano evitato l’argomento che più premeva ad entrambe: la separazione durata anni, la scelta di Andromeda di andar contro alle regole della famiglia, la sua fuga col Sanguesporco.

Proprio per questo, nonostante le risate dei bambini e i toni leggeri delle donne, l’aria era intrisa di una sottile tensione, che alla lunga contagiò anche i piccoli, prima tranquilli, che per questo motivo iniziarono a correre disordinatamente per il salone ingombro di specchi.

Le due donne sospirarono, guardandosi negli occhi. Così diverse, eppure così vicine.

Separate da un sottile vetro che altro non era se non le rispettive scelte di vita. Ma cos’è il vetro, se non uno degli elementi più fragili di questa terra?

Bastò un attimo. Un sorriso tra le due, il ricordo di una vecchia complicità mai del tutto persa. E il vetro si infranse, mille schegge sparse sul pavimento con l’aspetto di lacrime che, copiose, sgorgavano sulle guance delle due sorelle mentre si abbracciavano per la prima volta dopo anni, strette come se da quel contatto dipendesse la loro stessa vita.

Non erano servite parole, solo gli sguardi. Pena e rammarico negli occhi chiari di Narcissa, che venivano consolati da quelli dolci e scuri della sorella, magnanimi.

I bambini, stupiti per le lacrime delle madri si avvicinarono, preoccupati. E le due donne compirono il gesto più naturale che potessero mai concepire: attrassero a sé i due piccoli innocenti, senza badare a chi fosse figlio di chi.

Narcissa abbracciò stretta quella ragazzina che per undici anni non aveva avuto modo di vedere, sorridendole con dolcezza tra le lacrime.

Traditrice.”

La voce, spiritata e vagamente sconvolta, proveniva dall’ingresso.

Le due sorelle si voltarono, una con aria rammaricata, l’altra terrorizzata.

Bellatrix Black in Lestrange le fissava, la mano ancora sul pomello della porta. Aveva gli occhi scuri spalancati, un’aria di totale incredulità dipinta sul viso scarno.

Il suo sguardo scivolò verso i due bambini, superando il maschietto e fermandosi sulla ragazzina, che la fissava con aria incuriosita e fiera.

La stessa aria fiera della zia, che a sua volta  la fissava dall’ingresso, una mano tremante a coprirle la bocca.

“Bella…” Narcissa si alzò in piedi, una mano protesa verso di lei. Un invito a riunirsi con la sorella che non riusciva a dimenticare.

“Cosa ci fa lei qui?” sussurrò la mora, gli occhi ancora incatenati alla nipote.

“E’ nostra sorella, Bella… volevo vederla!”

“Hai… hai tradito tutti i valori della nostra famiglia! E’ stata rinnegata, Cissy! Non è più nostra sorella! Non è mai nemmeno vissuta, per noi!”

La maggiore delle Black non sembrava in grado di alzare la voce. Si limitava a sussurrare, con tono concitato e isterico. Senza volerlo, aveva ripetuto le stesse identiche parole che il padre aveva detto loro dopo la fuga della sorella.

Scosse la testa, l’espressione di un cucciolo terrorizzato davanti al suo più grande timore.

Andromeda, la sorella che provava a dimenticare da una vita, era lì, davanti a lei. Aveva fatto di tutto, per dimenticarla. Aveva ripetuto a sé stessa, a notte fonda, le parole di suo padre, maledicendosi per la sua debolezza. E, come se non bastasse, persino l’orrore più grande che si potesse immaginare, la bambina Sanguesporco, era lì; e la fissava. E quel che era peggio… si riconosceva in lei. Rivedeva la stessa aria circospetta ma decisa che aveva quando era bambina, e che a volte ricompariva ancora sul suo viso.

D’improvviso, se ne rese conto: quella non era altro che una bambina. Innocente. Priva di colpe di sorta, se non quella di essere nata in una famiglia che non era in grado di accettarla.

Era davvero giusto odiare una bambina solo per il suo sangue? Non potevano ignorare la cosa? Era così piccola… ma allo stesso tempo era potente: quei capelli rosa, certamente frutto di una magia infantile, ne erano la dimostrazione.

L’avere sangue misto era davvero una colpa così grave?

“Tu sei l’altra mia zia, vero?”

La bambina la guardava incuriosita. Aveva mosso qualche passo verso di lei, sorridente. Era identica a Druella.

Senza nemmeno capire cosa stava facendo, Bellatrix Lestrange si inginocchiò, abbracciando la bambina e stringendosela al petto.

“Sei identica alla nonna, lo sai?” le mormorò.

Ninfadora sorrise, ricambiando la stretta. Sembrava che avesse desiderato tutta la vita conoscere le zie.

E in quell’attimo, tutto fu perfetto. Due sorelle a tenersi per mano, l’altra ad abbracciare la nipotina. Draco, seduto sul tappeto, guardava la scena con aria confusa.

Ma era null’altro che un attimo.

Uno strano scampanellio ruppe quel mezzo secondo di pace che si era creato nel salottino. Bella si voltò verso la fonte del rumore, trovando Andromeda intenta a frugare nella sua borsetta, abbandonata su una poltroncina.

Ne estrasse un piccolo aggeggio rettangolare, con cui prese a parlare. Dalla conversazione non fu difficile intuire che stesse parlando con il marito.

L’incantesimo si spezzò, di fonte a quella diavoleria babbana inserita nel magico universo di Malfoy Manor.

Tradimento.

Quella parola aleggiava pesante nella mente di Bella. D’improvviso, si rese conto: tutto quello era sbagliato. Il sangue contava, anzi, era l’unica cosa importante.

No, la bambina, per quanto bella, per quanto uguale a sua madre… non poteva essere ammessa in famiglia. Non era una di loro, era una Sanguesporco. E persino sua sorella ne era stata infettata, come dimostrava il suo utilizzo di sciocchezze babbane. Perchè portarsi dietro quella mostruosità, sennò, se per comunicare bastava inviare il proprio Patronus al destinatario?

L’unica spiegazione era che i Sanguesporco l’avevano contagiata. Erano una malattia, qualcosa di orrendo, viscido, infettivo. Non stava cercando di infettarla quella stessa bambina, col suo abbraccio?

Fu questione di un attimo.

Ciò di cui si era convinta meno di un attimo prima ora sembrava non essere mai stato ipotizzato.

Le parole di suo padre risuonavano nelle sue orecchie, secoli di tradizioni premevano sul suo cuore mentre fissava quello scempio.

Fu questione di un attimo. Si alzò, puntò la bacchetta verso la bambina. Nessuno faceva caso a loro, Narcissa era intenta a fissare Andromeda, impegnata nella conversazione.

Eppure, non ci riuscì. Non riuscì a uccidere quella piccola dai capelli rosa e così simile a sua madre.

“Oblivion.” mormorò allora, guardando i suoi occhi divenuti ora opachi.

Veloce e precisa, Obliviò anche le sorelle, prima che si rendessero conto di qualcosa.

Infine sorrise al piccolo Draco, che la guardava ancora dalla sua posizione sul tappeto, questa volta con aria confusa.

“Credimi piccolino, è meglio per tutti.” Gli mormorò, dopo aver cancellato anche da lui il ricordo di quell’errore.

I Purosangue dovevano rimanere tra loro, e non mischiarsi.

Non avrebbe mai più tradito il suo credo, né permesso che sua sorella lo facesse.

“Come se non fosse mai esistito.” mormorò.
   
 
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