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Autore: Venatrix    27/10/2014    3 recensioni
Roma, 753 a.C.
"Vattene via, non posso ucciderti. Va a nord, non voglio più vedere la tua faccia."
"Lo sai che, lasciandomi in vita, non finirà qui. Tornerò, fratello."
"Lo so benissimo, Remo, la nostra guerra non finirà mai."
Milano, oggi.
Camilla è una ragazza comune, ha sedici anni e frequenta il liceo scientifico. Non è a conoscenza che i discendenti di Romolo e Remo stiano ancora combattendo una guerra senza fine, ma un giorno cambia tutto. La ragazza si ritrova di fronte a un mondo completamente diverso da quello che conosceva, in cui Angeli e Cacciatori si affrontano senza esclusione di colpi. Angeli e Cacciatori -i primi dai poteri incredibili, i secondi dalla forza sovraumana- metteranno alla prova il coraggio di Camilla, che scopre di far parte di quella guerra. Si, perchè lei è un Angelo, perchè evidentemente sua madre ha mentito sulla sua identità. Come se non bastasse Camilla ha una cotta per un Cacciatore, lo stesso Cacciatore che non vede l'ora di farle la pelle. Gabriele, l'Angelo che le ha salvato la vita, cercherà di tenerla fuori dai guai, mentre i Cacciatori proveranno ad ucciderla. Ma nulla è quello che sembra...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Two Bloods

 

Prologo

"When it's good, then it's good, it's so good 'till it goes bad"

 

Paritur pax bello

Se vuoi la pace prepara la guerra

Cornelio Nepote

 

Lanciai uno sguardo alla sveglia quadrata in cima allo scaffale dei saponi. Segnava le sei e mezza, un orario immondo.

Sbadigliai teatralmente: diamine, che sonno.

In quella fredda mattina di inizio Ottobre l'alba non era ancora sorta e, dalla finestra del bagno rivolta verso est, riuscivo a vedere solamente una fitta coltre di nebbia.

Milano in quel periodo dell'anno diventava alquanto lugubre, potevano passare parecchi giorni senza che il sole facesse capolino fra le nuvole spettrali.

Ma a me piaceva così, adoravo che spesso il tempo riflettesse il mio stato d'animo.

Mi avvicinai alla finestra, disegnando un pipistrello sulla condensa del vetro con l'unghia dell'indice dipinta di nero.

Il risultato fu una macchia informe – non ero mai stata una grande disegnatrice - che mi permise di vedere più chiaramente l'esterno. Riuscii a scorgere il mio vicino di casa a spasso col cane.

Il ragazzo era poco più grande di me e avvenente, o meglio, mi dicevano che lo fosse.

Insomma, quando passi la tua infanzia a cacciare rane e a fare la "lotta" con il tuo vicino di casa, una volta cresciuti, l'ultima cosa che puoi pensare su di lui è che sia attraente.

Aveva i classici tratti mediterranei e portava un pesante giubbotto nero di marca. La sua camminata aveva un non so che di esilarante. Incedeva infatti come se portasse appeso al sedere qualcosa di pesante, o, come diceva la mia dolce mamma, camminava come se si fosse cagato addosso. Sogghignai. Di solito non amavo denigrare le persone, ma lui era un caso particolare, era "il bastardo che alle sette della domenica mattina si mette ad ascoltare musica house". Spostai la mia attenzione sul cane. Era di una razza dal nome impronunciabile, una specie di ratto marrone troppo cresciuto con le orecchie troppo grandi per la sua taglia, con una voce acuta e stridula usata solo per latrare contro le ragazze truccate di nero.

Si, Cam, anche il cane ti urla contro "emo di merda", pensai con un sorriso amaro sulle labbra.

Abbandonai la finestra per andare ad accomodarmi sul lavandino.

Un giorno o l'altro cederà se non perdo qualche chilo.

Guardai il mio riflesso nello specchio a muro: una ragazza dal volto assonnato mi fissava con un espressione sconvolta, i capelli tinti di nero le ricadevano attorno al viso un po' paffuto e sugli occhi castani, le labbra erano carnose, ma non abbastanza belle per meritare di essere ammirate e infine il naso, una bella patata.

Sono proprio la ragazza più comune del mondo, non c'è nessun particolare in me che sia... bè che sia particolare.

Forse mi sbagliavo, un particolare c'era, mio malgrado.

Un brufolo rosso mi guardava gongolante dal centro della mia fronte. Guardai in cagnesco il suo riflesso nello specchio, ma, prima che potessi prendermi a sberle da sola, qualcuno bussò alla porta.

<< Camilla, non ti ho messo una sveglia in bagno per farti arrivare in ritardo. Muoviti che se no la colazione si fredda. >>

<< Si, mamma. >>

Sbuffai e mi sciacquai velocemente la faccia. Uscendo dal bagno, come tutte le mattine, inciampai nella moquette verde.

Il corridoio conduceva a tutte le stanze dell'appartamento, situato all'ultimo piano. Vi erano due camere da letto: la mia, tappezzata di poster e inondata da un sempiterno disordine, e quella di mia madre, ordinata e impeccabile in tutti i dettagli.
La sala era lo spazio più esteso, conteneva due divani neri in pelle, un pesante tavolo in quercia e una gran televisione che aveva appena compiuto i suoi primi, e spererei unici, quindici anni. Mi trascinai verso la cucina, passando di fianco al bagno di mia madre, e inciampai di nuovo.

Dannate calze e dannata moquette!

Raggiunsi la cucina dove al centro c'erano un tavolo e una panca in legno. Mia madre, Isabella Aleri, alta poco più di un metro e sessanta  e con i capelli biondi tagliati corti, da militare, stava tentando di versarmi del latte caldo in una scodella senza farci cedere dentro la panna, che io odiavo.

Sorrisi per quel piccolo gesto d'affetto.

Cercai di prendere i miei cereali dallo scaffale più alto della dispensa e solo allungandomi come un gatto - un gatto grasso e pigro - riuscii ad afferrarne la scatola. La aprii e gettai abbondantemente il contenuto nella tazza appoggiata sul tavolo.

Il cavo che collegava i miei pensieri al resto del mondo si staccò e io lasciai galoppare la mia incontrollabile fantasia. Mi resi conto del corso dei miei pensieri solo quando arrivarono al mio buco nero personale, al mio centro di gravità permanente.

Sorrisi sorniona e il mio viso si velò di un leggero colorito rosso sangue.Lo sguardo indagatore di mia madre si alzò dall'enorme tazza - tutta rosa a forma di maiale - e si puntò su di me.

Promemoria: iscriversi al gruppo di Facebook: Tua mamma ha poteri paranormali? Anche la mia!.

<< Chi è Lui? >>

Porca puttana! Come diavolo fa?.

<< Non so di cosa tu stia parlando, mamma. >>

Sospirai sonoramente.

<< Camilla, vatti a vestire e a fare le tue cose, non voglio arrivare in ritardo. Nemmeno se mi dici che Costui è bello come quello che piace a voi giovani... Astone Cucer. >>

 Chi?, aggrottai le sopracciglia e poi capii.

<< Ashton Kutcher, comunque >> ghignai.

<< Ah, allora quello che ti piace è inglese. >>

Alzai un sopracciglio fino all'attaccatura dei capelli. Ma stamattina ha mischiato la vodka col caffè?

<< Mamma è l'attore che si chiama Ashton Kutcher, non quello che mi piace, lui si chiama... >>

Mi morsi la lingua. Vecchia volpona, era quasi riuscita a gabbarmi! 

Le feci un sorrisino mellifluo.

<< Mi sa che te ne devi inventare una migliore, mamma, non mi freghi più così facilmente. >>

Alzandomi le schioccai un bacio sulla guancia e andai nel mio bagno per tirar fuori dall'ammasso di sonno che ero io, una specie di essere umano.

Sfoderai dal mio beauty rosso la mia matita per gli occhi nera e tracciai una spessa linea sulla palpebra inferiore. Poi afferrai l'eyeliner e feci lo stesso sulla palpebra superiore. Completai il trucco ricoprendomi i brufoli con del correttore e della cipria.

Mi fiondai in camera - riuscivo quasi a sentire il ritardo aumentare - e saltai, per agguantare un paio di pantaloni, i miei anfibi preferiti, neri, bassi e con la punta in metallo scintillante.

Li metto o non li metto? Li metto o non li metto? Eccome se li metto!

Vestii entrambi e balzai su una canottiera bianca e sulla felpa nera che sul cappuccio presentava delle orecchie bianche da gatto.

Ormai ho diciassette anni, dovrei smetterla di vestirmi come un cartone animato...

Risi sguaiatamente, tenendo in mano il mucchio che era il mio pigiama - una semplice maglietta dei Sonata Arctica - e uscii, non senza aver lanciato un bacio al mio poster di Ville Valo. Tanta roba!.

Dopo aver lanciato la maglia nel cesto dei panni sporchi in bagno chiamai mia madre.

Nessuna risposta.

Deve essere già scesa, sbatti.

Si sarebbe sicuramente arrabbiata se non fossi salita in macchina... Dieci minuti fa.

Cazzo.

Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, ora mi sclera dietro.

Feci per le scale almeno venti gradini prima di fermarmi di colpo.

La porta, cazzo, non ho chiuso la porta.

Dovetti fare la strada a ritroso col pesante zaino del mercoledì sulle spalle e arrivata a destinazione, dopo aver imprecato in ogni lingua, riuscii a serrare in modo decente il portone. Sbuffai, l'atleta che poteva esserci in me se n'era andato più o meno all'età di otto anni o forse non era mai venuto ad abitare nel mio corpo.
Ripercorsi il mio tragitto per la seconda volta pestando i miei anfibi neri sul marmo bianco della rampa.

Odio la mattina, odio essere in ritardo, maledizione.

Cercai di correre giù dalle scale e arrivare senza avere incidenti e ce l'avrei fatta se non avessi urtato Davide.

<< Scusa, scusa. >>

L'abbaiare del suo dolcissimo cane coprì del tutto le mie parole. Lui puntò i suoi occhi neri nei miei.
Dovevo ammetterlo il suo sguardo non era poi così male, le sopracciglia formavano un arco perfetto sul viso abbronzato - sebbene fosse Ottobre - e i capelli castani, sparati in aria grazie a una buona quantità di gel, incorniciavano felicemente il tutto.
Il suo sguardo scese fino ai miei piedi e le sue labbra, carnose, morbide e perfette, si piegarono in segno di disgusto.

Amo le persone che ti giudicano in base alle scarpe che porti.

<< Sono in ritardo. >>

E levati dai coglioni, aggiunsi mentalmente.

<< Si, ok, ma vedi di scendere piano, quelle dannate cose fanno un casino tremendo. >>

Mi morsi la lingua per non insultarlo e per non insultare il suo cane che continuava, imperterrito, ad abbaiarmi contro. Lo superai con uno sguardo d'acciaio, odiavo la gente superficiale. Ma ancor più odiavo la gente ipocrita, era lui quello della musica a tutto volume, quello che faceva "casino", e ora veniva pure a rompermi i coglioni?!

Corsi nella nebbia fino ad arrivare alla Fiat Idea grigio metallizzato di mia madre.

<< Sei in ritardo. >>

Il tono di voce era basso e apparentemente calmo.

Ok, è incazzata. Meglio mettere le cuffie dell'iPhone.

<< Lo so. >>

Sprofondai, dopo aver allacciato la cintura di sicurezza, sul sedile del passeggero. Mi addormentai e a svegliarmi da un sonno senza sogni fu la voce di mia madre.

<< Porca miseria, scendi che se no scatta il semaforo! >>

Aprii gli occhi di scatto e mi ritrovai a fissare un semaforo rosso.

Mia madre, per non farmi arrivare in ritardo, mi aveva risparmiato tutto il tragitto in tram portandomi in macchina fino alla filobus che, dopo poche fermate, mi avrebbe portato direttamente a scuola.
Scesi, macchiandole la portiera con gli anfibi.

<< A stasera, allora. >>

Mi buttai, come al mio solito, in mezzo alla strada, zigzagando fra le monovolume e i fuoristrada. Balzai appena in tempo sulla pensilina, perché subito dopo le auto incolonnate, allo scattare del semaforo, partirono come per un gran premio di Formula 1.
Da lì potevo vedere ai lati della carreggiata destinata alla filobus, due lunghi filari di pioppi che creavano una sottile ombra, la quale nel periodo estivo offriva un angolo di refrigerio ai passeggere del maledetto autobus.

Si proprio maledetto autobus, no, filobus, insomma è proprio un fottutissimo mezzo pubblico che passa ogni morte di papa e che è sempre pieno con un uovo.

Per fortuna - o per caso, dipende dai punti di vista - arrivò dopo cinque minuti, strapieno. Riuscii a salire, schiacciando un po' di piedi e spingendo un po' di persone.

Lui non c'era.

Cercavo con gli occhi un ragazzo dai capelli color caramello e bello come il sole. Di solito era un tipo ritardatario, come me, e se ne stava sulla filobus con un’aria assonnata e strafottente. Stava sempre seduto sul cassone in fondo alla filobus, a volte era insieme a un tipo biondo, enorme, che non faceva altro che parlare ad alta voce e a imprecare. Il ragazzo che stavo cercando era alto un metro e ottanta e abbastanza muscoloso, aveva gli occhi color nocciola, era dello scorpione e fumava tabacco Chesterfield. Da come lo descrivevo poteva sembrare che lo conoscessi di persona, in verità non gli avevo mai rivolto la parola. Le cose che sapevo di lui le avevo ricavate dalla mia capacità di osservazione o da Facebook .

Che ci posso fare, la mia vita è noiosa e ripetitiva.

Ma in fondo le cose andavano bene, avevo una madre deliziosa, una cotta adolescenziale per un ragazzo impossibile, delle amiche fantastiche e una media scolastica che mi permetteva di non avere debiti alla fine dell’anno.
Peccato che, se avessi avuto il dono di prevedere il futuro, mi sarei resa conto che proprio in quella giornata tutte le mie certezze sarebbero state spazzate via e che la mia vita, da noiosa e ripetitiva, sarebbe diventata incredibilmente interessante. 

Angolo autrice

Salve a tutti, questa è la mia prima pubblicazione su efp, quindi spero che non siate troppo cattivi e che vi piaccia XD.

Ho già il secondo capitolo pronto in cantiere, ma aspetto a pubblicarlo perchè vorrei realizzare qualche disegno dei protagonisti  (non aspettatevi dei capolavori).

Con questo vi saluto, un bacio, 

Vena

   
 
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