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Autore: BlueWhatsername    27/10/2014    4 recensioni
" [...] L’unica cosa che desiderava in quell’istante era di potersi mettere nel letto e dormire, nonostante non fossero nemmeno le quattro del pomeriggio e sarebbe stato più naturale uscire a fare una passeggiata che non rintanarsi sotto le coperte come un bambino. Si passò una mano tra i capelli, ormai troppo lunghi da poter essere sistemati con un semplice gesto distratto, portandoseli di lato per evitare che le ciocche more e scompigliate lo accecassero. Si tolse le scarpe nel tragitto verso il letto, e solo quando si fu seduto sul bordo si permise di chiudere gli occhi e liberare un sospiro appesantito da troppi pensieri e paure.
Era un miscuglio tanto denso quanto colloso, vischioso, intrappolava senza lasciar trapelare niente. Se lo sentiva dentro come aria catramosa e amara, inspessiva le sue paure a dismisura, togliendogli quasi la forza di respirare.
Chiuse gli occhi, deglutendo un paio di volte a vuoto.
Era stupido, e molto anche. [...] "
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Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Zayn era stravaccato sul divano dalla fine del pranzo. Poco gli importava degli ospiti e ancora meno gli importava del fatto che la sua fidanzata li stesse ancora salutando, sulla porta di casa.
“È stato un piacere per noi che siate venuti… “ stava dicendo infatti lei, nel suo tono più cordiale, quello che le aveva sentito simulare tante volte in svariate occasioni.
Zayn storse il naso, cercando a tentoni il telecomando nascosto sotto uno dei cuscini del divano ed accendendo la tv, il tutto accompagnato da uno sbadiglio svogliato.
Cosa, quella, che rispecchiava in pieno l’atteggiamento che era stato in grado di tenere per tutto il pranzo. Gli era risultato assai difficile risultare simpatico o un minimo accondiscendente con quei palloni gonfiati che altri non erano se non i colleghi della sua fidanzata. Oltre che noiosi – come aveva sempre pensato che fossero dalle poche volte in cui era stato costretto a sorbirseli – si erano dimostrati anche saccenti e quanto mai scortesi, considerate le battute di cattivo gusto che si erano lasciati sfuggire e le velate critiche che gli avevano rivolto quando lei aveva rivelato che il suo ragazzo fosse musulmano.
Li aveva visti spalancare gli occhi come serpi infastidite, e poi arricciare le labbra in un che di mostruoso che lo aveva irritato più di qualsiasi altra cosa. Stupidi palloni gonfiati, lo aveva già pensato?
E com’è essere musulmano?
Quella domanda ancora gli rimbombava in testa, nemmeno il trillare fastidioso della giornalista alla tv riusciva a metterla a tacere.
Com’era essere musulmani? Non aveva risposto, quanto alzato il sopracciglio quel tanto che gli era bastato per meritarsi una gomitata da parte della sua fidanzata. Ed anche un leggero calcio nello stinco, a dirla tutta.
Sbuffò, avvertendo la voce di lei spegnersi in definitiva e la porta di casa chiudersi con un tonfo sordo che equivaleva a quello che avrebbe fatto il coperchio della sua bara nel momento in cui lei lo avrebbe chiuso dentro. Perché intuiva, conoscendola, che quel suo comportamento non le era andato particolarmente a genio e che con tutta probabilità lo avrebbe ammazzato prima di sera.
Tenne lo sguardo fisso alla tv mentre lei avanzava oltre la soglia del soggiorno, le braccia incrociate al petto come ogni volta che stava per iniziare una delle loro solite discussioni a colpi di testardaggine ed ostinato orgoglio. Notò, con la coda dell’occhio, che quel vestito che aveva deciso di indossare per quel pranzo le stava ancora più bene di quanto avesse già pensato qualche ora prima, quel verde menta della stoffa richiamava in modo prepotente le punte dei capelli risalenti verso le punte in un nero corvino e lucido. Ricadevano lungo le spalle in un flusso morbido e attorcigliato, sapeva per esperienza che profumavano di viola ed erano morbidi quando la seta.
Si tolse quel pensiero dalla mente quando notò, con un pizzico di nervosismo, che le sue piccole scarpe con tacco – quelle di vernice lucida, nere,  che teneva per le occasioni buone, che la facevano il piede ancora più piccolo del solito – avevano preso a ticchettare con nervosismo sul tappeto persiano che avevano preso insieme nemmeno una settimana prima.
Zayn si sollevò di poco, allungando i piedi oltre il bordo del divano, direttamente sul tavolinetto che lei usava per poggiare le scartoffie che si portava ogni sera dall’ufficio.
“Possiamo parlarne?” la sua voce risuonò incrinata, pericolosamente incerta.
Non era da lei, e lo sapevano entrambi.
“Di cosa dovremmo parlare?” rispose Zayn, continuando a fare zapping come niente fosse – un comportamento alquanto infantile e insensato, ma non gli andava proprio di litigare con lei per colpa di terzi, palloni gonfiati per giunta “Il pranzo è finito, abbiamo chiacchierato, ci siamo divertiti, è andato tutto alla grande, mmh?” e quando la vide aprire bocca per rispondere si alzò di scatto dal divano, abbozzando un sorriso tirato che lei ricambiò con uno sguardo lucido e ferito “Sei felice, no?” e la superò velocemente, infilandosi nel corridoio.
I passi decisi delle scarpe gli davano fastidio quanto il battito scoordinato del suo cuore. Il rumore ovattato del primo pomeriggio che si stava risvegliando in strada lo faceva sentire isolato, racchiuso nei suoi pensieri bui che lo avrebbero tormentato chissà ancora quanto.
Spinse con forza la porta della loro camera da letto, richiudendosela alle spalle con uno schiocco un po’ troppo accentuato che sembrava rispondere alla perfezione alla stizza mista a rabbia che avvertiva crescere in sé. Per colpa del mondo, dei pregiudizi, dello sguardo stupito della gente, per quello che nessuno pareva in grado di leggere al di sotto dei suoi profondi occhi neri.
La stanza era illuminata dalla penombra, si apprestò ad alzare la tapparella e tirare le tende chiare alla finestra, così da permettere alla luce tiepida del sole di illuminare l’ambiente e accendere un po’ quel lieve freddo che gli stava chiudendo lo stomaco. Lo stava congelando, intorpidendolo.
Il desiderio di tornare indietro, da lei, abbracciarla e dirle che non era colpa sua, che vedeva il dispiacere nei suoi occhi meravigliosi e grandi, di quel colore strano che somigliava all’acquamarina e che lo aveva conquistato da subito – quel desiderio lo stava letteralmente divorando.
Sospirò pesantemente, portandosi dinanzi allo specchio e prendendo a slacciare i bottoni di quella camicia bianca che si era costretto a mettere quella stessa mattina per fare almeno un po’ piacere a lei, tanto entusiasta di quel pranzo che aveva organizzato con tanto zelo e tanta voglia. Scosse il capo, leggendo un che di poco piacevole nello sguardo che lo stava fissando di rimando dallo specchio. Quegli occhi neri e lucidi, che riconosceva come suoi ma che non stava tanto bene a decifrare, gli stavano restituendo un’occhiata stanca e consapevole, spessa e violenta.
I segni sul suo volto, le linee marcate dei suoi tratti sembravano più pesanti, quasi invecchiate; leggeva un solco nuovo in mezzo alla fronte, magari era solo il suo continuo inarcare le sopracciglia che glielo aveva fatto venire, inspessire col passare del tempo. La barba che non radeva da qualche giorno cominciava a pizzicargli, ma quella stessa mattina un qualcosa gli aveva detto di fregarsene, che tanto a quei palloni gonfiati poco sarebbe importato di quel particolare… Come di tanti altri, dopotutto.
La camicia scivolò a terra, mentre Zayn sgranchiva le spalle contratte per liberarsi almeno un po’ di quella brutta sensazione che non voleva proprio abbandonarlo. L’unica cosa che desiderava in quell’istante era di potersi mettere nel letto e dormire, nonostante non fossero nemmeno le quattro del pomeriggio e sarebbe stato più naturale uscire a fare una passeggiata che non rintanarsi sotto le coperte come un bambino. Si passò una mano tra i capelli, ormai troppo lunghi da poter essere sistemati con un semplice gesto distratto, portandoseli di lato per evitare che le ciocche more e scompigliate lo accecassero. Si tolse le scarpe nel tragitto verso il letto, e solo quando si fu seduto sul bordo si permise di chiudere gli occhi e liberare un sospiro appesantito da troppi pensieri e paure.
Era un miscuglio tanto denso quanto colloso, vischioso, intrappolava senza lasciar trapelare niente. Se lo sentiva dentro come aria catramosa e amara, inspessiva le sue paure a dismisura, togliendogli quasi la forza di respirare.
Chiuse gli occhi, deglutendo un paio di volte a vuoto.
Era stupido, e molto anche.
In realtà, non sapeva esattamente perché quella domanda gli avesse fatto quel dannato effetto. Era stata una semplice domanda – stupida, certo – eppure gli aveva smosso qualcosa dentro che non riusciva esattamente a spiegarsi ma che lo aveva spinto a comportarsi in determinati modi che nemmeno gli piacevano del tutto: alzarsi da tavolo alla fine dell’ultimo piatto lasciando tutti lì – la sua fidanzata compresa – a terminare quel pranzo in maniera decisamente imbarazzante, per esempio, era stata una di quelle cose che gli erano risultate più istintive da fare. Aveva atteso fino allo stremo, tentando di controllare la sensazione sgradevole che gli si era accesa al centro del petto, per tenere a bada gli sguardi di sottecchi – di superiorità – che aveva notato qualcuno gli aveva rivolto il più delle volte, per non sbottare a quei discorsi senza senso che sembravano costruiti apposta per smuovergli i nervi, per – almeno – non rovinare il momento a lei, che era la cosa più bella che avesse mai avuto al mondo, la più preziosa, la più pura ed incontaminata.
E di certo tollerare che fosse circondata da tali palloni gonfiati non era stato proprio facile.
Affatto.
Era ancora seduto sul letto quando la porta si aprì lentamente, una figura silenziosa che avanzava verso di lui con fare titubante. Restio.
Conoscendola, stava valutando o meno l’idea di tornare in salotto e magari nascondersi sotto una coperta ed affogare quel momento in silenzio sul divano. Era fin troppo sensibile per pensare di potersi intromettere in quel suo momento di silenzio – perché era chiaro quanto lui non volesse parlare, e questo lei riusciva a percepirlo dal solo fatto che non si fosse voltato ad osservarla quando era entrata. E lui non perdeva mai occasione per poterla osservare, studiarla, sorriderle o anche solo farle capire che la sua presenza gli fosse indifferente.
Gli si sedette accanto, indecisa se parlargli o meno; se poterlo toccare o meno senza ferirlo ulteriormente.
Vedeva la sua schiena, i muscoli contrarsi debolmente al movimenti che Zayn stava compiendo verso il comodino, alla ricerca di chissà cosa.
Si fece coraggio, alzando una mano tremante sulla sua spalla. Lo avvertì fremere a quel contatto, ma rimanere immobile, silenzioso e muto, nell’unico modo in cui non le piaceva fosse.
Mosse le dita lungo il collo, toccandogli anche l’altra spalla con leggerezza. Le sue dita scorsero fluide lungo lo stesso percorso orizzontale svariate volte, prima che lo sentisse rilassarsi sotto il suo tocco. Sollevò anche l’altra mano, solo per potergliela infilare delicatamente nei capelli.
Zayn sospirò, a quel punto, inclinando il capo all’indietro e concedendosi un sorriso tirato, stanco.
Un sorriso che poco si addiceva al suo giovane viso, e che gli faceva più pensare ad una smorfia insofferente che non ad una vera e propria manifestazione positiva.
Emise un lamento lieve, a cui lei rispose con una risatina dolce, appena accennata – una di quelle risatine che concedeva a pochi, solo a lui, in verità, come quando la mattina lo andava a svegliare e si divertiva a mordicchiarlo ovunque. Prese a massaggiargli i capelli, con lentezza, lasciandogli appoggiare la testa sulla sua spalla; avvertirlo così rilassato, la calmò a sua volta.
“Zayn…”
“Sh…” la interruppe lui, piegando di poco la testa di lato e fissandola per pochi istanti negli occhi.
La ragazza mantenne il suo sguardo senza battere ciglio. Spostò una mano ad accarezzargli il viso: percorse con un dito il profilo del naso e delle sopracciglia leggermente aggrottate, scandì il declivio deciso della mandibola e risalì alla bocca, sostando per qualche attimo sulle sue labbra dischiuse.
Sbatté le palpebre, abbozzando un sorriso che doveva apparire d’incoraggiamento ma che probabilmente sembrò solo un vano tentativo di non sembrare dispiaciuta per la piega che quella giornata aveva preso.
“Io non…”
“Non conta.”
“Sì che conta!” ribatté lei testarda, permettendogli di sollevarsi di nuovo a sedere per bene.
Vedeva ancora la schiena di Zayn, e quella cosa gli pareva quasi un’ostinata barriera che lui sembrava voler mettere a tutti i costi tra loro due.
Tra ciò che gli passava per la testa e quello che lei avrebbe voluto dirgli in quell’istante.
Fece scendere le mani lungo il collo di lui, portando le mani nuovamente sulle spalle, e poi facendole scendere dolcemente in avanti, fino a toccargli le clavicole. Lo abbracciò da dietro, in quel modo buffo che lo faceva sempre ridere. Così accadde, constatò lei con sollievo, sentendolo emettere uno sbuffo divertito che le ribaltò il cuore in quel modo naturale che lei amava sopra ogni altro.
Lui era la cosa che lei più amava al mondo, era per lui se il suo cuore batteva, dopotutto.
Sospirò, poggiando la bocca contro la sua spalla, lasciando infrangere il proprio respiro bollente contro la pelle già calda di lui. Zayn emise un respiro profondo, allungando una mano per stringerne una delle sue, chiudere le sue lunghe dita su quelle di lei, piccole ma tenaci a restare aggrappate alla sua pelle. Se la portò alla bocca, lasciando dei deboli baci lungo il dorso che ebbero il solo effetto che farla sorridere.
“Pam?” la chiamò lui dopo un po’, rompendo il silenzio rotto di baci accennati sulla pelle e respiri inquieti che governava in quella stanza.
Lei non si scompose, inclinando il viso e poggiando la guancia contro la sua spalla; depose un bacio all’altezza del collo, avvertendo la vena pulsare maledettamente veloce sotto le sue labbra. Le parve opportuno replicare quel gesto, e notò con piacere che il respiro di lui si era fatto poco più regolare. Sorrise, mettendosi in ginocchio e sporgendosi con la testa oltre la sua spalla.
Osservò il suo profilo, trovandolo bellissimo come la prima volta che lo aveva visto; come sempre, come ogni volta che provava a trovare le parole giuste che morivano in ogni caso ad ogni tentativo di essere organizzate in un discorso serio.
Zayn era così distruttivo nei suoi confronti. Ma era l’unico che sapesse darle quella sicurezza che spesso e volentieri le mancava, e anche per quello lo amava così tanto.
Scese con gli occhi al profilo delle labbra serrate, del mento ricoperto di peluria nera – sui cui le fu impossibile trattenersi dal lasciare qualche bacio fugace – del naso e degli occhi, dove le sue lunghissime ciglia spiccavano in maniera impressionante.
“Non mi importa di quel che la gente pensa.” lo sentì dire poco dopo, mentre ancora rimaneva voltato “Non mi importa del mondo. Mi importa di te.” e fu a quel punto che Zayn si concesse il lusso di guardarla negli occhi, mentre un sospiro lasciava le sue labbra piene e sempre costantemente screpolate per quel suo viziaccio di mordicchiarle di continuo.
Lei scosse il capo, confusa da quel discorso che sapeva gli faceva male e lo innervosiva nello stesso momento: le dispiaceva, e le dava allo stesso modo fastidio, vederlo in quello stato, saperlo scontroso e agitato, quasi triste.
Vedere quel bellissimo volto contratto da un sentimento negativo la metteva in seria crisi, le faceva odiare il mondo. Avrebbe voluto fare qualcosa per davvero, scacciare quell’ombra che inspessiva la strana ruga in mezzo alla fronte che si veniva a creare ogniqualvolta Zayn era preoccupato, vedere spiegare quelle labbra che amare in un sorriso – uno dei suoi, quelli luminosi e sinceri, bollenti, come quelli che la svegliavano la mattina o la cullavano la sera.
Amava quei sorrisi, amava tutto di lui.
“Lo so… “ mormorò solo in risposta, avvicinandosi al suo viso come per accertarsi che lui stesse ancora respirando: solo quando avvertì il suo fiato bollente infrangersi contro le sue labbra si permise di respirare, sorridere, lasciare andare il cuore ad un ritmo così folle che temette per un secondo di avere un infarto.
Zayn se ne rese conto, annuendo di riflesso. Si sporse, poggiando la testa nell’incavo del suo collo.
Incastrati in quel modo, la quiete.









SALVE.
Bene. Sono le 00:26 ed io sto postando una cosa che non ha senso.
L'ho scritto di getto, questo pomeriggio, senza alcuna pretesa particolare.
Sentivo la mancava della scrittura e l'ho scritta, tutto qua.
E quindi niente, buonanotte e ciao.
*fa ciao con la manina*
  
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