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Autore: Monijoy1990    27/10/2014    1 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 6

UN NUOVO INIZIO

 

 
 
Tokyo
 
Roberto era appena atterrato dopo dodici ore di viaggio. Ritirata la sua valigia dal deposito bagagli, uscì nell’atrio dove ad attenderlo c’era Jona. Se non fosse stato per la sua capigliatura biondastra e il suo american style non lo avrebbe riconosciuto tra tutte quelle persone. Doveva ammetterlo, spiccava prepotentemente. Appena si accorse del suo arrivo gli corse incontro euforico.
«Roberto, giusto?» gli chiese per conferma
«Certo, sono io…» gli confermò sorridente l’altro adagiando al suolo la sua valigia.
«Cavolo, assomigli un sacco a tuo padre», quelle erano proprio le parole che Roberto non avrebbe mai voluto sentire. Decise che avrebbe immediatamente cambiato discorso.
«È da molto che aspetti?» gli chiese mentre recuperata la sua valigia si muovevano verso l’uscita.
«No, per niente, sono appena arrivato…», lo rassicurò il biondo tirando indietro un ciuffo dei suoi capelli con una mano.
«Meglio così. Jona senti, ma i tuoi come hanno preso la notizia?» Jona si arrestò improvvisamente. Per un attimo Roberto pensò che stesse per mollargli un cazzotto dritto in faccia e invece quell’insolito ragazzo biondastro scoppiò a ridere stringendosi lo stomaco e piegandosi in avanti con le lacrime agli occhi, «i miei genitori? Ma non mi dire… non credevo fossi così divertente Rob…»
Roberto rimase lì a osservarlo impietrito. Quella si, che era una reazione insolita e anche abbastanza esagerata. Per un attimo ebbe il terrore che Jona avesse perso qualche rotella strada facendo.  
Ricomponendosi l’amico lo raggiunse spronandolo con una pacca dietro la schiena a seguirlo verso la limousine nera con la quale aveva raggiunto l’aeroporto.
«Ma scherzi? Sei davvero venuto a prendermi con questa?» gli domandò Roberto sconcertato.
«Questo non è niente, dovresti vedere l’albergo in cui sto soggiornando. Extra lusso davvero.» gli rivelò aprendo la portiera e facendo segno all’altro di salire.
Roberto non ci pensò due volte e, dopo aver lasciato il suo bagaglio all'autista, entrò seguito da Jona.
«ma puoi permetterti tutto questo?» gli chiese dando un’occhiata al piccolo mini bar e alle poltrone in pelle interne.
«diciamo che offrono i miei genitori, vedila come se fosse il loro modo di contribuire al nostro successo.» concluse prendendo due bicchieri di Martini, porgendone uno a Roberto che lo prese ancora abbastanza perplesso.
«Brindiamo al nostro nuovo inizio» lo esortò Jona, facendo cozzare il suo bicchiere stracolmo a quello di Roberto, e  bevendone subito il contenuto con avidità. Roberto rimase lì immobile ad osservarlo con il bicchiere ancora sospeso a mezz’aria. Jona doveva essere abituato a quel tipo di vita, lui invece si sentiva estremamente fuori luogo. Eppure qualcosa non quadrava, era come se Jona stesse cercando di nascondergli qualcosa.
«Che fai? Non bevi?», lo incitò.
«Si, scusa.» lo seguì anche Roberto. Jona sorrise mentre si riempiva per la seconda volta il suo bicchiere.
«Sai, mi stavo chiedendo se fosse davvero necessario per te andare dai tuoi nonni. Ho una suite abbastanza grande. Potremmo starci in due comodamente»
Roberto ripose il bicchiere su un mini tavolino davanti a lui, mentre l’autista metteva in moto e partiva.
«Grazie Jona, ma non voglio approfittarmi di te. Dopotutto sono veramente curioso di incontrare mio nonno. Ho il presentimento che andremo molto d’accordo…»
«ah si? E cosa te lo fa credere? Fondamentalmente non lo hai mai conosciuto»
«abbiamo una cosa in comune…»
«ossia?» chiese interessato Jona avvicinandosi a Roberto.
«entrambi non abbiamo un buon rapporto con mio padre… mi sembra un buon punto di partenza…»
Jona reclinò il capo all’indietro gettandosi stanco sul sedile.
«Come vuoi, ma se qualcosa non dovesse andare, sappi che sono sempre pronto ad accogliere un amico. Le porte della mia suite saranno sempre aperte per te, ma prima avvisami. Potrei avere da fare con qualche bella ragazza. Non so se ci siamo capiti…» gli ammiccò malizioso.
Roberto acconsentì prima di tornare a un discorso più serio.
«Con gli altri hai detto di aver già parlato…» lasciò in sospeso la frase.
«Domani ci vedremo tutti. Non posso ancora crederci, l’ultima volta che ci siamo incontrati eravamo davvero piccoli e Shin non era ancora nato. Io avevo un anno e non posso ricordare un granché, è una fortuna che internet ci abbia permesso di ritrovarci. Il destino è davvero strano alle volte. Non lo pensi anche tu?»
«effettivamente…» concluse laconico Roberto.
«Siamo arrivati» annunciò l’autista attraverso un microfono.
«Bene, ci teniamo in contatto Roberto. Riposa, domani sarà una giornata davvero molto intensa per te. Prepara un buon discorso e in bocca al lupo per tuo nonno». Roberto acconsentì senza aggiungere altro e scese dalla limousine.  Appena mise un piede fuori dalla costosa vettura, si ritrovò catapultato davanti un’imponente villa in piena campagna. Aveva sentito suo nonno un paio di volte, ma non gli aveva raccontato di essere così ricco. Rimase sbigottito ad osservare quella facciata monumentale mentre l'autista tirava fuori i suoi bagagli, poi la voce di Jona lo riportò alla realtà.
«Non vorrai rimanere fermo qui per tutto il giorno» lo incitò ironico.
«hai ragione, adesso vado» detto questo lo salutò con una mano prima di chiudere lo sportello e avviarsi vero il cancello in ghisa. La limousine nera partì immediatamente alle sue spalle. Più convinto suonò. Dopo la terza volta, una voce maschile lo invitò ad entrare. Il cancello si aprì lentamente cigolando. Si avviò percorrendo un lungo viale verso l’ingresso principale. Bussò un paio di volte. Poi la porta fu aperta. 
«Benvenuto a Tokyo Roberto», non era stato suo nonno ad aprirgli la porta bensì una donna con dei capelli scuri come la pece impreziositi da qualche sporadico ciuffo argenteo, con delle orecchie a sventola e con dei tratti palesemente occidentali. Come non riconoscerla, quella era sua nonna Lucia.
 
I tre riuniti nel salotto sfarzoso della residenza, sorseggiavano taciturni i loro tè verdi.
L’uomo autoritario, seduto alla poltrona, osservava serio in viso suo nipote. Accanto a Roberto sua nonna sedeva in silenzio.
Roberto non se l’aspettava proprio quell’improvvisata. «Sei cresciuto molto…» diede il via al loro primo discorso l’uomo, poggiando sul tavolino che li divideva, la sua tazzina.
«Così sembrerebbe…» affermò Roberto adagiando anche lui la sua tazza sul tavolo.
«Immagino tu sappia che sono anni che tuo padre si rifiuta di parlare con noi…»
«Si, ma credo di averne appena intuito il motivo…» lo rimbeccò squadrando sua nonna di sottecchi. La stessa in imbarazzo evitò di ricambiare lo sguardo del nipote, limitandosi a fissare colpevole la tazzina tra le sue mani.
«È successo molto tempo fa, tu eri davvero molto piccolo.»
«Fatemi indovinare. Vi siete rimessi insieme e mio padre non lo ha accettato. Non è così?» lo interruppe bruscamente Roberto, incrociando le braccia al petto e abbandonandosi sul divano.
«In breve, si. Ma non voglio che tu ti faccia idee sbagliate su di noi. Il mio matrimonio era comunque sull’orlo del fallimento e devo ammettere che il crollo definitivo c’è stato subito dopo la morte di tua zia Akiko. Dopo quel giorno non ho passato un bel periodo. Io e la mia ex moglie ci siamo separati. Se tua nonna non mi fosse stata vicina, probabilmente oggi non saremmo qui a parlarne. Non mi aspetto che tu lo accetti e ci perdoni, ma perlomeno mi auguro tu possa capire che rimettendoci insieme non volevamo ferire nessuno…»
«Non temete, sono molto diverso da mio padre. Non potrei mai condannarvi solo perché vi amate ancora. Adesso però devo essere io a parlarvi e a chiedere la vostra comprensione», i due si zittirono facendosi interessati.
«Papà e mamma non sanno che sono qui in Giappone e devo chiedervi di non dirglielo per almeno due settimane.»
«Perché per due settimane?» gli domandò sua nonna curiosa.
«Ho un piano. Sono venuto qui perché voglio realizzare il mio sogno. Un sogno che mio padre ha sempre considerato solo un inutile perditempo.»
«Cosa vorresti fare?» gli chiese premuroso suo nonno sporgendosi oltre la poltrona e poggiando i gomiti sulle cosce.
«Voglio cantare.» i due si scambiarono delle occhiate perplesse.
«Tuo padre davvero ti ha detto che è un inutile perditempo?» si sorprese la donna con i capelli raccolti in una codina alta.
«Si, non ha fatto altro che dirmelo per tutta la vita» sbottò Roberto.
«Strano…» completò la donna strofinandosi il mento perplessa.
«Perché dici che è strano? Io lo capisco. Siccome non è riuscito ad affermarsi come musicista allora pensa che non ci riuscirei neanche io… ma si sbaglia, e ho intenzione di dimostraglielo »
«Aspetta un attimo… cosa sai esattamente di tuo padre?» le domandò la donna aggrottando le sopracciglia.
«Ha studiato qui a Tokyo musica, poi è venuto in Italia dove ha incontrato la mamma e si sono sposati.» La donna sbarrò gli occhi colta di sorpresa da quella rivelazione.
«Non posso crederci. Allora non vi hanno raccontato proprio nulla…»
«Cosa avrebbero dovuto raccontarci?» le domandò Roberto perplesso.
«Seguimi» lo spronò il signor Aoki sollevandosi dalla poltrona. Anche sua nonna lo incitò a seguirlo. Roberto allora si alzò e raggiunse suo nonno. Erano nel suo studio. L’uomo con i capelli ormai completamente grigi, fece segno a Roberto di avvicinarsi. Davanti ai suoi occhi c’erano, stipati all’interno di una credenza, una sfilza di CD, poster, riviste e cataloghi, tutti disposti in rigide file.
«All’epoca non potevo avvicinarmi a lui per colpa del mio matrimonio, così mi sono limitato a seguirlo da lontano, questo è il risultato. Ho raccolto per anni il frutto dei suoi successi. Non pensavo che un giorno sarebbe arrivato a rinnegarli...»
Roberto prese tra le mani un CD, sulla copertina un gruppo di 5 ragazzi e in alto una sigla BB5.
Improvvisamente lo riconobbe, in mezzo a quei ragazzi c’era suo padre.  In quel momento anche sua nonna li raggiunse facendo il suo ingresso nella stanza.
«Roberto, non so il perché tuo padre abbia voluto tenerti all’oscuro di tutto, ma devi credermi, lui era un grande artista qui in Giappone e anche molto amato. Non capisco proprio perché non te lo abbia voluto dire…» completò ferma  sull’uscio della porta.
“Non posso crederci, mi ha mentito per tutto questo tempo. Si è sempre preso gioco di me. È uno schifoso ipocrita. Questa non posso perdonargliela… è anche peggio di prima…”
«Nonno, posso prendere questo CD?» chiese improvvisamente Roberto al signor Aoki, indicando il disco tra le sue mani.
L’uomo acconsentì.
«Certo che puoi. Ci mancherebbe altro »
«Grazie.»
L'anziana figura con occhi stracolmi di rammaricato, poggiò un mano sulla spalla del nipote.
«Roberto, ho sbagliato una volta in passato. Ho abbandonato chi amavo quando aveva più bisogno di me, non voglio compiere lo stesso errore una seconda volta. .Adesso che il destino mi ha concesso una seconda possibilità, voglio vivere il successo che raggiungerai non in un angolo nascosto, ma alla luce del sole. Puoi contare pure su di me, per due settimane manterrò il tuo segreto.» Gli sorrise rassicurandolo.
Roberto istintivamente si voltò anche verso sua nonna. La stessa incrociando le braccia sospirò sollevando gli occhi al cielo.
«Ho per caso scelta?», chiese squadrando combattuta entrambi. Poi puntando il dito indice verso suo nipote, proseguì, «Roberto sappi che ti assecondo solo perché credo fermamente che i sogni non dovrebbero essere mai e poi mai soffocati, non l’ho fatto con tuo padre in passato e non ho intenzione di farlo con te adesso, ma promettimi che finite queste due settimane, contatterai i tuoi genitori…»
«Sarà fatto».
Detto questo i tre ritornarono in salotto. La loro avventura stava per incominciare.
 
 
Il giorno seguente Roberto si alzò presto. Jona lo aveva raccomandato di farsi trovare vicino la sede della Kings Record per le nove del mattino. Gli impegni degli altri avevano reso impossibile un orario più comodo. Così, senza esitare, Roberto era arrivato perfettamente in orario sul luogo dell’incontro. Era lì fermo davanti l’imponente ingresso della casa discografica, che rifletteva ancora su quella verità appresa appena un giorno prima.
“Quanto sono stato ingenuo, probabilmente sono l’unico dei ragazzi a non averne mai saputo nulla. Che rabbia, mi ha rimproverato dicendo che il mio sogno era un inutile spreco di tempo quando poi lui per tutta la vita non ha fatto altro che nascondermi di aver vissuto quel sogno che adesso è il mio… Ma perché non mi ha mai detto nulla?”
«Roberto?» lo richiamò una voce calda e profonda alle sue spalle. Un ragazzo bruno e più alto di lui con un orecchino all’orecchio destro lo fissava incuriosito dall’alto della sua statura.
«Si, sono io. Tu saresti?» chiese lui voltandosi nella sua direzione.
«Non mi riconosci?» gli chiese l’aitante giovane additandosi il viso sorpreso. Roberto provò a concentrarsi meglio sui suoi lineamenti: sulle sopracciglia, le labbra, gli occhi le mani. Finalmente lo riconobbe. Aveva gli occhi e le labbra di Yori ma il naso, i capelli e il portamento di Rio.
«Toshi? Sei davvero tu?»
«Sapevo che mi avresti riconosciuto. Tutti dicono che assomiglio molto a mio padre… immagino che questo valga anche per te».
«Beh, almeno questa somiglianza ci serve a qualcosa…» gli sorrise porgendogli una mano.
L’altro la strinse con decisione. Roberto si sorprese della forza di quel ragazzo alto e imponente.
«Assurdo, tra noi due dovrei essere io il più grande e invece accanto a te mi sento miserabilmente piccolo. Quanto cavolo sei alto?». Chiese Roberto squadrandolo dall’alto in basso.
«Un metro e ottanta centimetri.» gli rivelò sciogliendo la stretta ferma delle loro mani.
«Io dovrei avere due anni più di te ma non si direbbe proprio».
«In molti dicono che dimostro molti più anni di quelli che in realtà possiedo. Credo dipenda molto dall’altezza…»
«Beh, effettivamente». Proprio in quel momento un terzo elemento fece il suo ingresso sulla scena.
«Ehi ragazzi, spero non abbiate aspettato molto». Li raggiunsei Jona.
«Tranquillo, siamo appena arrivati» lo rassicurò Roberto.
«Hai sentito gli altri?» chiese Toshi all’amico americano con i capelli innaturalmente biondi.
«Si, stanno arrivando» lo rassicurò mentre si spostava un ciuffo di capelli dal viso.
Roberto li osservava in silenzio. Erano anni che non si vedevano. Gli ultimi ricordi che aveva di loro tre insieme risalivano a poco prima la morte di sua zia Akiko. Da quel momento i contatti si erano interrotti. Lui era molto piccolo all’epoca e con il passare del tempo aveva smesso di farci caso. Pensava che le cause del loro allontanamento fossero la distanza e gli impegni dei loro genitori, ma qualcosa adesso gli diceva che non era solo quello.
«Ragazzi, sono qui!!» urlò Take correndo nella loro direzione, con il fiatone, li raggiunse piegandosi in due per recuperare fiato. Ancora ansimando iniziò le presentazioni con Roberto.
«Tu devi essere il nipote di Andrea»,
«e tu devi essere il nipote di Daisuke» costatò a sua volta Roberto porgendogli la mano amichevolmente. Risollevandosi in posizione eretta Take completò le presentazioni stringendo quella mano sospesa a mezz’aria. Era il più grande del gruppo eppure a causa della sua esile corporatura e dei suoi modi informali non lo dava per nulla a vedere.
«E adesso siamo a meno due… » constatò divertito Toshi infilando distrattamente le mani nelle tasche anteriori dei suoi jeans neri.
«Meno due? » si ritrovò a ripetere sorpreso Roberto.
«Eh si, meno due. Mancano Shin e Kei».
«KEI?» avanzò Roberto perplesso.
«Non gli hai detto nulla di Kei?» costatò sbigottito Take rivolgendosi a Jona. L’altro sollevò i palmi delle mani al cielo roteando gli occhi e facendo spallucce.
«A dire il vero Shin non mi ha assicurato che sarebbe riuscito a trascinarlo qui stamattina.»
«ah… quel ragazzo…» sospirò Toshi portandosi una mano dietro la nuca.
«Cosa c’è che non va?» si intromise Roberto spostando il suo sguardo suo ognuno dei presenti, cercando nelle loro espressioni sfuggenti delle risposte.
Take si avvicinò a lui poggiando una mano sulla sua spalla sinistra « Roberto, credimi, Kei non è un ragazzo cattivo e solo che con lui non si può scendere a compromessi tanto facilmente. È un tipo abbastanza solitario. Vive solo per Shin, il resto del mondo per lui è feccia.  Non è una persona con cui si riesca ad andare molto d’accordo. Però è anche vero che ha un talento straordinario. Scrive dei pezzi rap che farebbero invidia ai più grandi musicisti contemporanei. Credimi, l’ho sentito esibirsi molte volte al Blue Night e devo ammettere che non ha perso una sola volta una battaglia. Ci serve anche per questo motivo. Speriamo che Shin riesca a trascinarlo qui.» concluse Take spostando il suo sguardo inquieto sul marciapiede pieno di gente, con la speranza nascosta di vederli sbucare entrambi da un momento all’altro. Toshi, sbuffò incrociando le braccia al petto.
«Ancora non riesco a capire cosa ci vediate di così fantastico in lui. Alle volte vorrei solo spaccargli quel muso che si ritrova. Uno sbruffone pieno di sé, ecco cos’è. Non si merita le attenzioni di Nami…».
«Non dire così Toshi, sai che non ha passato una bella infanzia. Dopotutto non lo si può biasimare se è diventato così cinico nei confronti del mondo… E poi devi ammetterlo, le ragazzine provano sempre un forte fascino per i cattivi ragazzi come lui» lo punzecchiò Take sfidandolo con occhi maliziosi. Toshi proprio non poteva sopportare l’idea che sua sorella perdesse il suo tempo dietro uno sbruffone come quello. Nami era la sua sorellina e non riusciva proprio immaginarsela vicina a un ragazzo che non fosse lui. Era molto geloso. Purtroppo l’interesse di Nami per Kei era un interesse a senso unico. E Toshi proprio non sopportava che sua sorella venisse tratta freddamente da Kei o più semplicemente lo turbava l’idea che sua sorella provasse interesse per altri ragazzi. L’idea di non essere più lui l’oggetto unico delle sue attenzioni era molto difficile d’accettare. Già solo l’idea lo faceva sentire miserabilmente solo, come se fosse rimasto indietro mentre sua sorella non faceva che andare avanti senza di lui.
«Sarà, ma non lo sopporto. Non posso farci nulla» completò Toshi non cedendo alle istigazioni dell’amico e recuperando il suo autocontrollo.
«Scusa Take, ma cosa intendi dicendo che non ha passato una bella infanzia?» domandò Roberto, intromettendosi nel loro discorso.
«Kei è il fratello adottivo di Shin. Fu abbandonato pochi mesi dopo la sua nascita. Non ha mai conosciuto i suoi genitori. JJ e Akiko si sono presi cura di lui in orfanotrofio. Non è mai stato preso in considerazione per le adozioni, il suo carattere era troppo esuberante perché durasse più di due giorni in una famiglia. La sua sola e vera casa è sempre stato l’orfanotrofio con Akiko e JJ. Dopo aver raggiunto la maggiore età ha scelto di sua volontà di far parte della famiglia. Così JJ lo ha accolto in casa sua. Ma dopo lo sfratto tutti e tre si sono trasferiti all’orfanotrofio».
«Lo sfratto?»
«Si, la casa che condivideva con Akiko era di proprietà della signora Aoki l’ex moglie di tuo nonno. Dopo la morte della figlia, aveva messo in vendita la casa. Ma JJ era riuscito a trovare un accordo, questo fino a pochi mesi fa, quando ha deciso di sbatterli fuori senza motivo. Penso che la signora Aoki, gli abbia sempre imputato la colpa della morte di sua figlia».
Roberto proprio non riusciva a capire perché suo padre non gli avesse mai detto nulla. Questi segreti erano davvero troppi per poter giustificare un silenzio così ostinato. Prima il divorzio di suo nonno, poi JJ che perde la casa, i suoi nonni che si rimettono insieme e per finire la sua carriera come leader di uno dei gruppi più noti nel panorama musicale giapponese.
«Eccoli!!! »esultò euforico Jona puntando il dito tra la folla. Roberto sollevò lo sguardo seguendo la direzione indicata dal suo amico americano.
In lontananza un ragazzino minuto con un nasino tondo e delle orecchie a sventola ne trascinava un altro con un ciuffo che gli copriva uno degli occhi, tirandolo prepotentemente per la manica della giacca.
«Non posso crederci, alla fine lo ha convinto… » constatò sconcertato Toshi, incrociando le braccia e storcendo il muso in un ghigno sprezzante.
«È inutile, se vuoi qualcosa da Kei, devi fare in modo che gliela chieda Shin. L’unico a cui dà ascolto è lui…» costatò Take al suo fianco.
I due finalmente raggiunsero il gruppo.
«Ciao ragazzi. Scusate il ritardo» salutò Shin tutto il gruppo riunito, «tu devi essere Roberto» costatò con occhi vivaci e ed eccitati, lasciando la manica del fratello, che infastidito se la risistemò volgendo il suo sguardo altrove.
«Si, sono io. È un piacere conoscerti Shin» protese la sua mano Roberto.
Inaspettatamente il ragazzino davanti a sé gli saltò al collo calorosamente, rischiando quasi di soffocarlo. Shin era fatto così. Emanava calore umano da tutti i pori, l’opposto del suo fratellastro che preferiva starsene in disparte senza concedere attenzioni e senza pretenderne a sua volta. Gli occhi di Kei erano glaciali. In silenzio analizzava Roberto e Shin stretti in quell'abbraccio caloroso. Roberto si sorprese di quanto freddo fosse lo sguardo di quel ragazzo. Era sorprendente come riuscisse a far sentire la gente a disagio solo fissandola da lontano. La medusa mitologica al confronto era nulla.  Era evidente per Roberto, che Kei sarebbe stato meno incline a gesti di saluto calorosi come quello. In silenzio i due, con Shin che li divideva, si studiavano come due tori pronti all’attacco. 
«Cugino, lui è mio fratello Kei» li presentò infine Shin sciogliendo quell’abbraccio e indicando con il palmo aperto suo fratello.
«Piacere di conoscerti Kei, io sono Roberto» iniziò lui porgendogli una mano aperta. Dall’altra parte Kei, in silenzio, esamiva quasi indignato quella mano sospesa a mezz’aria. Rimasero lì fermi in quella posizione per un tempo indefinito, finché Jona non si intromise tra loro.
«Ragazzi, cosa ne dite di spostaci in un posto più appartato? Non vorrei che Rio o Yori ci scoprissero proprio adesso».
Roberto abbassò la mano deluso, richiudendola in un pugno risentito. Kei doveva avercela con lui. Ma cosa gli aveva fatto? 
«Non hai tutti i torti Jona, sarebbe meglio spostarsi da qui. Non vorrei che ci beccasse anche Nami… a momenti dovrebbe arrivare per incontrare i miei genitori » lì sollecita anche Toshi guardandosi intorno con fare circospetto.
«Conosco un posto in cui possiamo parlare senza paura di avere occhi indiscreti su di noi. Seguitemi» li spronò Take. I sei ragazzi riuniti si spostarono silenziosi da quell’ingresso imponente e maestoso, che anni prima aveva visto uscire i BB5 pronti ad accogliere il loro imminente successo. Chissà se un giorno avrebbero superato anche loro quella soglia per lo stesso motivo dei loro genitori.
Nessuno dei sei in quel momento poteva sospettare che qualcuno si fosse nascosto dietro quelle stesse porte e che li avesse spiati per tutto il tempo.
 
Roberto cammiva in coda al gruppo, davanti a lui Shin e Kei. Non sapeva il perché, ma aveva un cattivo presentimento su quel ragazzo astioso.
«Non ti fare troppi problemi per Kei. È stato così un po’ con tutti all’inizio. Vedrai che appena la tensione si allenterà le cose si sistemeranno» lo rassicurò Jona arrivandogli inaspettatamente alle spalle e sussurrandogli quelle parole silenziose in un orecchio.
Roberto accennò un sorriso dubbioso prima di arrestarsi insieme al resto del gruppo. Erano arrivati.
«È questo cosa sarebbe?» domandò sorpreso Shin. Davanti a loro un enorme cancello arrugginito.
«Benvenuti nel mio rifugio segreto. Questo è il posto in cui mi alleno in settimana, non è un granché, ma l’affitto costa poco e quindi riesco a permettermelo» spiegò loro Take aprendo il lucchetto che teneva chiuse le porte di quel garage.
I sei entrarono dentro in fila indiana. Prima Roberto,Toshi, poi Shin, Kei, Jona, Take  e per completare un’insolita ragazza dai capelli lunghi e castani si infilò prima che Take potesse chiudere il garage.
«Nami, tu che ci fai qui?» le domandò stupito il ragazzo esile dai capelli mossi.
«Voi piuttosto, cosa combinate? Toshi, da quando in quando mi nascondi le cose?» rimproverò il fratello raggiungendolo furibonda, superando Take con le chiavi ancora tra le mani, sfilando davanti agli altri ragazzi sorpresi e impreparati al suo ingresso.
«Scusa Nami, te ne avrei parlato. Lo sai, che non riesco a nascondere nulla alla mia sorellina così attenta e intelligente» si apprestò a chiarirle scompigliandole i capelli amorevolmente.
«Eh no Toshi, questa volta non funziona mica. Ditemi immediatamente cosa state combinando…» lo incitò portando le mani ai fianchi furibonda. Proprio in quel momento Nami incrociò lo sguardo freddo e gelido di Kei. Subito si aggiustò i capelli ricomponendosi e addolcendo il tono della sua voce.
«Oh, Kei, ci sei anche tu…» improvvisò diventando rossa in viso. Lui non le rispose neanche, ignorandola si lanciò scompostamente su un divano vecchio e lacero messo in un angolo. Quel garage tutto sommato era  davvero accogliente.
Lei subito gli si sedette vicino avvinghiandosi a lui come una sanguisuga. Toshi digrignò i denti, trattenendo a stento i suoi impulsi omicidi. Proprio non sopportava il modo in cui Kei ignorava sua sorella. È vero, l’idea che Nami avrebbe avuto un ragazzo un giorno lo infastidiva, ma vederla soffrire per un ragazzo che non ricambiava il suo amore era anche peggio. 
«Ti sono piaciuti i miei biscotti allo zenzero? Ho impiegato una notte intera per realizzarli. Sono gli stessi che mia madre preparava sempre a mio padre». continuò appoggiandosi a lui con occhi carichi di aspettative e completamente persi d’amore.
«Non, so. Credo se li sia mangiati tutti JJ». La ragazza si allontanò di scatto.
«Cosa? ma li avevo fatti per te…»
«Dovresti sapere che ingrassare non rientra nelle mie priorità al momento… adesso, se non ti dispiace, potresti allontanarti? Mi stai soffocando» detto questo Nami allentò la presa sul suo braccio mentre a capo chino ripristinò uno spazio più dignitoso tra i loro due corpi. Toshi proprio non poteva reggerlo.
«Ehi, tu. Brutto idiota. Ti costava tanto dirle che ti erano piaciuti? Perché devi essere sempre così acido!»
«E per quale motivo dovrei mentirle?» lo sfidò con uno sguardo menefreghista e arrogante.
«Tu, brutto stronz… » Toshi stava per saltargli addosso quando Nami si frappose tra loro a braccia aperte.
«Finiscila Toshi, ha ragione, avrei dovuto pensarci bene prima di rifilargli quei biscotti supercalorici. La prossima volta ti preparerò qualcosa di più leggero. Va bene? » disse infine rivolgendosi a Kei.
«Fai, un po’ come ti pare... » aggiunse distrattamente lui, spostando il suo sguardo altrove.
Toshi esasperato tornò al suo posto, recuperando il contegno appena perso.
«Bene, se le cose si sono risolte direi che possiamo iniziare con la riunione, cosa ne pensate?» incitò gli altri Jona battendo le mani in modo da attirare l’attenzione su di lui.
«Sono d’accordo con lui» completò anche Take che aveva appena chiuso il garage e predisposto atre tre sedie vicino al divano. Tutti presero posto in cerchio. Take, Roberto e Jona sulle sedie; Toshi, Nami, Kei e Shin sul divano.
«Vai, Roberto inizia pure».
Roberto  si schiarì la voce un paio di volte, preparandosi per il suo discorso, ma proprio mentre stava per aprir bocca venne interrotto.
«Roberto? »lo fermò Nami sorpresa, come se nella sua testa si fosse appena accesa una lampadina luminosa.
«Si, ti ricordi di me per caso?» le domandò lui.
«Certo che mi ricordo. Sono passati anni dall’ultima volta. Caspita. Chi l’avrebbe detto che ci saremmo rivisti dopo tanto tempo».
«Beh, si. Anche tu sei cresciuta molto e sei diventata anche molto bella» l’adulò Roberto con lo scopo di far tornare il sorriso sul suo viso appena turbato dalle fredde parole di Kei.
Nami in imbarazzo si portò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio arrossendo.
«Dici?»
Due colpi di tosse li interruppe. Era stato Kei.
«Scusate, non vorrei interrompere, ma non sono venuto qui per vedervi flirtare. Se non vi dispiace vorrei concludere il prima possibile questa pagliacciata».
Roberto, iniziava a comprendere l’odio di Toshi per Kei. Quel ragazzo era veramente insopportabile. Avrebbe davvero voluto mandarlo via a calci nel fondoschiena, ma se quello che Take aveva detto era vero, avevano davvero bisogno di lui.
«Hai ragione. Allora stavo dicendo…  Ah! Si! Ho chiesto a Jona di riunirci qui oggi perché voglio farvi una proposta… Io vorrei fondare un gruppo… Ma ovviamente non vorrei vincolare nessuno di voi. Inizialmente la mia intenzione era limitarmi a chiedere il vostro parere. So che ognuno di voi vive delle situazioni scomode al momento. Magari unendo le forze riusciremo ad aiutarci a vicenda… cosa ne pensate?».
«Cosa proponi?» gli domandò interessato Toshi portandosi avanti con i gomiti sulle cosce.
«So che tu Toshi al momento sei sul punto di debuttare come solista, quindi non vorrei mai condizionarti..».
«Fidati, il debuttare come solista non mi affascina per niente… l’idea di formare un gruppo, invece, mi sembra molto più allettante. E credo che un po’ tutti qui siano d’accordo con me. Take ormai ha superato l’età giusta per essere scelto dai talent scout e anche tu Kei devi ammetterlo che da solo, con il pessimo carattere che ti ritrovi, non andresti molto lontano. Dopotutto non hai una bella voce, sai solo rappare e per il mercato questa capacità non basta, non più ormai. Anche tu Jona non ce la faresti mai. L’unico modo per farcela credo sia unire le nostre forze».
«È quello che penso anche io» acconsentì più convinto Roberto.
«E sentiamo cosa avresti in mente straniero…» lo sfidò Kei con aria di superiorità.
«Ho un idea che ha le stesse possibilità di successo come di sconfitta…».
«Ovvero?» chiese interessato Shin grattandosi la testa.
«Avete mai pensato di organizzare una esibizione pubblica senza precedenti?»
«Cosa vuoi dire?» gli domandò perplesso Take.
«Se unissimo le nostre capacità potremmo riuscire a farci notare. Dobbiamo sfruttare i social network e tutte le piattaforme possibili. Montiamo uno show senza precedenti e se le cose andranno secondo i miei piani, saranno le case discografiche a cercarci e a supplicarci di incidere un album. Ma perché questo accada dobbiamo avere un ottimo pezzo che attiri subito l’attenzione, abbastanza efficace da attirare subito l’interesse del pubblico più giovane. Dobbiamo fare in modo che circoli sul web e su altre piattaforme senza tregua.»
«Per questo non preoccupatevi, ho io gli agganci giusti.» Li rassicurò Jona sorridendo. «Mia madre sulla sua agenda aveva il numero di molti giornalisti giapponesi e di molti reporter che sarebbero interessati a un evento del genere, soprattutto se a esordire è il figlio di una nota attrice e di un compositore famosi in tutto il mondo. La visibilità sui giornali e nelle televisioni è cosa mia. Lasciate fare a me. Molti di loro li ho conosciuti di persona. Non potranno dirmi di no».
Roberto acconsentì soddisfatto.  Toshi si strofinò il mento perplesso.
«Per quanto riguarda il brano, abbiamo davvero poco tempo per crearne uno nuovo, potremmo utilizzare quello del mio debutto. Bisognerà solo adattare una parte in rap per Kei. Se ci stai, potremmo montarla in studio alla Kings Record anche domani» gli propose diplomaticamente Toshi. Kei acconsentì con un impercettibile movimento della testa.
«Perfetto, adesso manca solo la coreografia. Per quella pensavo potessi darci una mano tu Take… » Proseguì Roberto supplicando con i suoi occhi neri e profondi l’amico al suo fianco. «Conta pure su di me.» lo rassicurò Take con un pollice verso.
«Io, potrei farvi da mascotte… cosa ne pensate? Potrei procurarvi gli abiti di scena e tutto quello che vi serve» si propose Shin.
«Ogni tipo di supporto ci sarà utile» lo incoraggiò Roberto sorridendogli.
Shin, era l’unico a non aver mai preso in considerazione l’idea di cantare, dopotutto non aveva mai provato a farlo nella sua vita. Preferiva mettersi in disparte e vedere suo fratello e i suoi amici farlo al suo posto. Li avrebbe aiutati, ma non avrebbe preso parte all’evento. Aveva fatto di tutto per convincere Kei a prendere parte all’incontro proprio perché credeva in lui e nel suo talento.
«Perfetto. Mi sembra che abbiamo raggiunto un accordo…» concluse Roberto distendendosi e allentando la tensione.
«Un accordo? Ma non prendermi in giro» lo interruppe Kei, «qui tutti hanno delle capacità. Toshi si è allenato per anni alla Kings Record, Take è un ballerino eccellente, Jona ha frequentato una delle scuole di arte e spettacolo più rinomate in America, io sono anni che mi preparo duramente per debuttare. Qui, tutti hanno alle spalle anni di allenamento, chi ci dice che tu disponga della nostra stessa preparazione. Da quanto mi ha riferito Shin, in Italia non hai avuto neanche l’approvazione di tuo padre, cosa ti fa credere che avrai invece la nostra qui in Giappone? Se neanche tuo padre che è stato uno dei più grandi leader musicali giapponesi ha creduto nelle tue capacità come potremmo farlo noi? Capirai bene che per me è veramente difficile fidarmi di te con queste premesse poco promettenti. Devi darci la possibilità di verificare le capacità di cui disponi».
Roberto spostò il suo sguardo da Kei a Shin, che imbarazzato reclinò il capo verso il pavimento.
Questa proprio non ci voleva. 
«Suvvia Kei, perché devi fare così? Dopotutto, se non fosse stato per lui, adesso non sareste qui a parlarne,no? Sicuramente, proprio perché è il figlio di Eichi, avrà ereditato anche la sua indiscussa bravura..» Intervenne in suo favore Nami. Per un attimo i cinque ragazzi lì riuniti si scambiarono delle occhiatacce perplesse. Era la prima volta che Nami rispondeva a Kei prendendo le difese di qualcun’altro, rispondendogli a tono. Il ragazzo con il ciuffo castano che gli copriva l’occhio sinistro, irritato e furioso per quell’improvviso voltafaccia, le lanciò uno sguardo contrito prima di tornare al suo discorso. 
«Se è così, allora non gli costerà nulla dimostrarcelo… » storse il muso in un ghigno provocatorio.
«Cosa vuoi che faccia…» lo spronò Roberto sfidandolo sicuro di sé sostenendo quello sguardo fiero e accusatorio.
«Esibisciti al Blue Night tra due giorni, vinci contro di me, e solo allora potrò accettare che tu faccia parte di questo gruppo.».
Roberto abbandonò quell’espressione tesa sorridendo pregustando la vittoria. Nel canto avrebbe battuto Kei sicuramente.
«Come vuoi… ».
«Ma non pensare che ti farò vincere così facilmente. Ci sfideremo in una gara di ballo. Da quel che so,  sei l’unico a non averlo mai praticato. Jona, io, Shin, Take e Toshi, abbiamo frequentato tutti dei corsi regolari, ma tu no… ».
“Maledizione, questa proprio non ci voleva. Magari potrei chiedere a Jona o a Take di aiutarmi. Non ho molte speranze di farcela da solo in soli due giorni”.
Come leggendo i suoi pensieri silenziosi Kei lo anticipò, «non pensare neanche lontanamente di chiedere l’aiuto di uno solo di noi. Devi farcela con le tue sole forze, come abbiamo sempre fatto noi. Se proverai a chiedere sostegno a uno solo di noi ragazzi potrai dirti fuori.».
Roberto digrignò i denti e strinse i pugni. Adesso sì che era nei guai. Nami al fianco destro di Kei si sollevò di scatto, squadrandolo delusa e furibonda dall’alto della sua nuova posizione, poi senza aggiungere altro prese Roberto per mano costringendolo a sollevarsi. A mento alto e sguardo fiero si rivolse a Kei seduto ancora sul divano, tra Toshi e Shin.
«Perfetto, Roberto lo aiuterò io allora. Ci vediamo tra due giorni. Non illuderti, non ti sarà facile batterlo».
Kei sorrise malizioso accogliendo divertito le micce poco convincenti di Nami.
«Come vuoi. Puoi anche aiutarlo, dopotutto non credo cambierà di molto il risultato finale».
«Lo vedremo…» detto questo Nami sotto gli occhi sorpresi degli altri trascinò Roberto fuori da quel garage tenendolo saldamente per mano.
 
 
 
Roberto e Nami si muovevano con passo sostenuto per le strade affollate di Tokyo. Dopo una decina di metri Roberto si arrestò, e con un contraccolpo improvviso fece arrestare anche Nami davanti a sé. La stessa, sorpresa, si voltò nella sua direzione. Le loro mani erano ancora strette l’una nell’altra. Colta da un imbarazzo improvviso, sciolse quel contatto un po’ troppo intimo.
«Non devi preoccuparti, so perfettamente come fare per vincere contro Kei».
Roberto la fissava contrito. «Chi ti ha detto che avevo bisogno di aiuto? »
«Io, credevo… » improvvisò impreparata a quella sfuriata di Roberto.
Gli occhi di lui continuavano a fissarla con rancore malcelato. Senza aggiungere altro prese posto su una panchina vicino la fermata di un bus. Nami lo raggiunse a capo chino.
«Mi dispiace, io volevo solo rendermi utile… »
«No, tu volevi solo infuriarti con Kei. Non è cosi?»
Nami lo fissava impietrita.
“Che abbia ragione? L’ho fatto solo perché volevo fargliela pagare?”
«Forse hai ragione, ma questo non esclude la possibilità che così facendo non mi possa rendere utile anche per te.»
«Lascia stare. Non posso credere che tu sia davvero così poco assennata. Hai pensato all’eventualità che lui possa fraintendere questo tuo interesse per altro?».
Nami si abbandonò sulla panchina reclinando il capo, fissando le punte dei palazzi sfidare il cielo azzurro e limpido.
«Che importanza ha? Tanto con lui non ho speranze. L’hai visto tu stesso, per Kei esiste solo Shin. Gli altri valgono meno di niente. Poi chissà, magari un po’ di gelosia potrebbe anche saltargli fuori dopotutto. Nel caso non accada, vorrà dire che non gli interesso e potrò finalmente mettermi l’anima in pace. In questa situazione abbiamo entrambi da guadagnarci. Cosa ne pensi?» concluse infine voltandosi verso Roberto.
Lui la squadrò titubante.
“Dice che può aiutarmi. Tanto vale lasciarla provare, infondo peggio di così le cose non potrebbero comunque andarmi. Se poi il fatto che lui la fraintenda non è un problema, tanto meglio. Vorrà dire che alla fine di questa storia, entrambi avremo qualcosa da guadagnare…”
Sostenendo gli occhi sottili e sicuri di lei Roberto accennò una risposta positiva con la mano aperta a mezz’aria.
«Accetto…» completò con la mano in sospensione. Nami la strinse con convinzione.
«…ma a una condizione.» puntò l’indice verso l’alto, «Entrambi alla fine dobbiamo guadagnarci qualcosa. Non voglio che questo sia un favore a senso unico, preferisco pensare che entrambi stiamo facendo qualcosa per l’altro».
Lei gli sorrise e sporgendosi oltre le loro mani strette baciò Roberto sulla guancia destra.
“Cosa diavolo sta facendo?” Roberto era rimasto fermo immobile ad accettare quel gesto senza avere il tempo di opporsi. Il suo viso in pochi secondi avvampò. Quel profumo di vaniglia gli fece girare la testa. Un vuoto allo stomaco e i brividi su tutto il corpo lo colsero di sorpresa. Cosa significava?
Lentamente Nami si allontanò da lui ammiccandogli complice.
«Tanto vale che inizi a sdebitarti con me allora…»
detto questo fece segno a Roberto di voltarsi oltre le loro spalle. Lì ad osservarli c’erano tutti gli altri del gruppo.
Kei aveva lo sguardo fisso sulle loro mani. I suoi occhi indifferenti sembravano esserci accesi per un flebile istante di una gelosia ceca e inarrestabile, ma i due ragazzi non fecero in tempo a coglierla, che subito lui strattonò Shin per un braccio allontanandosi indispettito dal gruppo.
Roberto squadrò gli altri in imbarazzo. Non sapeva proprio da dove avrebbe dovuto iniziare per spiegare loro la situazione.
Chi l’avrebbe mai detto che le cose si sarebbero evolute in quel modo?
   
 
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