Libri > I Miserabili
Segui la storia  |       
Autore: flatwhat    27/10/2014    1 recensioni
Canon era. What If.
Dopo gli eventi della barricata, Enjolras si risveglia, ferito e dolorante, a casa di Valjean.
Alcuni dei suoi amici sono sopravvissuti, la maggior parte sono morti.
Come reagirà alla notizia? Non sarà l'unico a dover decidere cosa fare ora della propria vita.
(Enjolras/Valjean, Courfeyrac/Fantine, Grantaire/Javert; major character death; iniziata come una sfida con me stessa, opinioni/critiche/pomodori ben accetti)
Genere: Angst, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Enjolras, Fantine, Grantaire, Javert, Jean Valjean
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 3: Testardaggine 

“Posso alzarmi dal letto?”.
Monsieur Fauchelevent lo squadrò per un po’, come se stesse soppesando quella proposta.
“Credo che”, disse dopo un po’, “Fareste meglio a rimanere a letto ancora per oggi, Enjolras. Domani proverete a muovere i primi passi”.
Enjolras si appiattì contro lo schienale del letto, cercando di non far vedere quanto fosse dispiaciuto. Non era il tipo da rimanere a letto così tanti giorni, a dipendere così tanto da altre persone. Sentiva come se l’intera attenzione di quel nucleo familiare fosse interamente rivolta verso di lui, ora che Courfeyrac stava bene, e la cosa cominciava a dargli fastidio. Non che Monsieur Fauchelevent e Madame Fantine, e la loro figlia Cosette, con la quale ogni tanto parlava (venendo osservato come se fosse un angelo sceso dal Cielo; ciò lo metteva in imbarazzo), e la loro cameriera Toussaint, che Enjolras vedeva di rado poiché era solita accompagnare Cosette, non fossero gentili e non volessero unicamente il suo bene. Ma la convalescenza non era proprio per lui.
C’era anche il fatto che rimanere a letto, senza poter fare nulla che gli distogliesse la mente dai suoi pensieri, lo faceva cadere in un cupo stato di angoscia dal quale faceva sempre più fatica a rialzarsi.
L’uomo che si prendeva cura di lui se ne era chiaramente accorto e aveva più volte chiesto se qualcosa non andasse, domanda alla quale Enjolras rispondeva sempre con risposte negative che senza dubbio apparivano sempre più false.
Avrebbe dovuto essere onesto, con quest’uomo, decise Enjolras, e decise che ci avrebbe provato da oggi.
“Come vi sentite, oggi?”.
“Male”.

***

La furia che provava in quel momento l’Ispettore Javert era indescrivibile.
Ovviamente, fece di tutto per non darlo a vedere, ma era davvero difficile rimanere tranquillo.
Che altro poteva provare, se non furia, dopo che aveva passato ore in attesa di un’esecuzione mai avvenuta, dopo che il suo nemico gli aveva mostrato pietà, dopo che era tornato, esausto, a fare rapporto, ed era stato subito rimesso in servizio? Dopo che aveva inseguito un farabutto e questo si era fatto beffe di lui rinchiudendosi nelle fogne- dove diavolo aveva potuto prendere, quella chiave, poi?
E, certamente, la furia era l’emozione che si era impadronita di lui, dopo che dalle fogne aveva visto riemergere non il farabutto di prima, ma Jean Valjean, il nemico che aveva cercato di arrestare e che per tutta risposta lo aveva risparmiato alla barricata, e che ora portava sulle spalle, a mo’ di croce, il corpo esanime di un ragazzo, e che era seguito da un altro gruppetto di giovani, non come fossero complici, ma come fossero anche loro stati salvati.
E, soprattutto, la furia ardente che gli rodeva le viscere era stata causata dal suo chiedere pietà, non per se stesso, ma per i ragazzi, criminali a loro volta, e dal fatto che lui, Javert, aveva acconsentito a questa assurda richiesta.
E ora, si ritrovava seduto in mezzo a loro, il tanfo di fogna che opprimeva la carrozza, e i loro volti che non esprimevano gioia all’aver preso in giro un rispettabile ufficiale di polizia, ma solo una stanchezza indicibile.
E Javert non aveva idea di come comportarsi, e si sarebbe morso le mani, per questo.
In realtà, sapeva cosa doveva fare ora: portare uno dei ragazzi esanimi, tale Marius Pontmercy (il cui nome gli risultava familiare, ma non aveva voglia di pensarci ora) a casa di suo nonno, perché tanto, se non era morto ora, sarebbe morto di lì a poco. Inutile scomodare un plotone d’esecuzione.
Stesso dicasi per l’altro ragazzo, il capo di quei rivoluzionari, morto o svenuto che fosse, che avrebbe lasciato a casa di Valjean (Che gli aveva dato il suo indirizzo!), perché l’abitazione dei suoi genitori era troppo lontana, e lui non era il vetturino di nessuno. No, grazie.
In quanto agli altri…
Una risata sprezzante provenne dal posto accanto a lui, dove stava l’unico dei rivoluzionari che non aveva scorto alla barricata.
“Ci arresterete, ora, Monsieur l’Inspecteur?”.
Il terzo rivoluzionario, quello che sanguinava copiosamente dalla testa, osservò Javert a sua volta, con uno sguardo più serio del suo compare, ma non disse nulla.
Valjean, sul sedile davanti, in mezzo ai due cadaveri (perché era quello che erano), guardava, e fu l’unico a cui Javert restituì lo sguardo.
“La mia preda è lui, non voi, ragazzini inutili”.
Proprio in quel momento, arrivarono a Rue Filles du Calvair, dove consegnarono Marius.
Quando al cocchiere fu dato il nuovo indirizzo, Rue de l’Homme Armé, il giovanotto che aveva parlato prima lo osservò di nuovo con fare interrogativo e Javert, innervosito, dovette distogliere, ancora una volta, i suoi pensieri da Valjean.
“Tu e il tuo amico scenderete a Rue de l’Homme Armé. Non mi interessate”.
“Oh!”, fece lui, lo stupido. “Proteggete dei rivoluzionari?”.
“Siete uomini morti”, tagliò corto Javert. “Morirete di infezione nel giro di qualche giorno”, disse, cercando più di darla bere a se stesso che a loro.
Per un po’, ci fu silenzio, e Javert ebbe l’occasione di squadrare Valjean dalla testa ai piedi senza essere disturbato.
Non che avesse fatto altro, nel corso di quel viaggio.
Il motivo per cui Valjean occupava tutti i suoi pensieri fino al punto da farlo sragionare al punto da ingannare se stesso sulla sorte dei rivoluzionare, era che quell’uomo, davanti a lui, era un problema a cui l’Ispettore Javert non riusciva a venire a capo.
L’idiota che aveva parlato prima, scelse proprio quel momento per dare di nuovo aria alla bocca.
“Ma allora, non morirà d’infezione anche lui?”, disse, indicando Valjean.
Javert lo avrebbe volentieri strangolato.
Il suo amico gli lanciò uno sguardo torvo, come a rimproverarlo di stare osando troppo, dopo che l’Ispettore imbecille aveva miracolosamente deciso di farseli sfuggire illesi. Per loro fortuna, Javert non fu in grado di rimettersi a ragionare.
“Lui è forte. Lo conosco, resisterà. E finalmente sconterà la sua pena, a cui è sfuggito di continuo. Ma ora sei in mano mia, Jean Valjean!”, esclamò, rivolgendo poi a Valjean il suo sorriso animalesco. Certo, non c’era altra alternativa, e che stupido era stato a dubitarne! Lo avrebbe portato in carcere e…
Valjean sospirò.
“È giusto così”.
Javert poté sentire le proprie budella contorcersi.
Quel maledetto avrebbe dovuto ringhiare come un animale ed opporsi all’arresto, minacciare, e invece se ne stava buono buono, stanco, angosciato, e incapace di guardare negli occhi i giovani che ora lo osservavano silenziosi, e non faceva nulla per evitare che le manette si serrassero di nuovo attorno ai suoi polsi.
Passo qualche secondo in cui l’unico suono che Javert udì fu il ronzio nella sua testa. Tutto il resto tacque.
Sentì poi un leggero movimento alla sua sinistra, dove stava seduto il rivoluzionario ferito alla testa. Si era sporto in avanti, e aveva allungato una mano verso Valjean.
“Non conosco i vostri crimini, Monsieur. Ma ci avete aiutato alla barricata e vi ringrazio”.
Fu come se Valjean si fosse inconsciamente tenuto a distanza, da quella mano.
“Non penso di essere stato molto d’aiuto”.
Il ragazzo non cedette.
“Ad essere onesti, forse no. E forse ho pensato un po’ male di voi, per questo”. Si voltò per un secondo verso Javert. Probabilmente stava pensando alla spia.
“Ma, per come sono finite le cose, vi devo davvero ringraziare. Siete un brav’uomo, Monsieur”.
Per una volta, l’altro rivoluzionario preferì stare zitto e non aggiungere altro.
 Valjean guardò entrambi con quella che sembrava incredula gratitudine.
Ignorato da tutti i presenti, l’Ispettore Javert fremeva.

***

“Mi dite che state male, e ora non volete dirmi che cosa avete?”, Valjean cercò di non suonare petulante. Ma era preoccupato. Temeva di non stare facendo abbastanza, per quel ragazzo.
“A questo punto, forse c’è da aspettare ancora, prima che possiate alzarvi”.
Enjolras sembrò spazientirsi.
“Non è un male fisico, Monsieur”.
“E allora cos’è?”, disse Valjean, impaziente a sua volta.
Enjolras si strinse nelle spalle.
“Preferirei parlarne con Courfeyrac. O con Grantaire”.
Se era perché non si fidasse di Valjean o non volesse farlo preoccupare ulteriormente, non lo disse.
“Volete che dica a Courfeyrac di venire qui, o…?”.
Un altro sospiro.
“No. Non credo di poter riuscire a farlo ora, Monsieur”.
Si girò su un fianco. Valjean se ne andò silenziosamente, per non disturbarlo.

***

Era sembrato piuttosto strano, a Grantaire, il comportamento dell’Ispettore.
Quando il vecchio (Valjean, si chiamava?) gli aveva chiesto di poter salutare un’ultima volta la sua famiglia, la risposta di Javert era stata un brusco: “Fa quello che ti pare”.
Quando tutti erano scesi dalla carrozza, Grantaire era andato con loro per depositare il copro svenuto di Enjolras. Il tempo di fare un passo oltre la porta principale, che tutti si erano accorti che l’Ispettore aveva evidentemente congedato la carrozza e si era allontanato.
Lo stupore tangibile di Monsieur Valjean durò un attimo soltanto.
“Forse tornerà dopo”, disse.
Ma Grantaire, che aveva osservato l’Ispettore da vicino durante il viaggio in carrozza, sentì uno strano presentimento artigliargli le viscere.
“Courferyac, Monsieur. Vi devo chiedere l’ultimo sforzo di pensare voi ad Enjolras”.
“Come…? Ma dove vai, Grantaire?”, gli gridò dietro Courfeyrac quando Grantaire si fiondò di nuovo nella città. Ricevette in risposta solo un rapido “Non preoccuparti. Riposati!”.
Per sua fortuna, Courfeyrac accettò il suo consiglio (doveva essere veramente esausto, e forse aveva notato anche lui qualcosa di strano, nell’Ispettore Javert) e non lo raggiunse per riportarlo indietro.

***

“Enjolras voleva parlarmi?”.
“Sì. Ma forse avrei fatto meglio a non dirvelo”, Monsieur Valjean si passò una mano sui capelli.
Courfeyrac gli sorrise.
“Non gli dirò che me lo avete riferito voi”, disse, sentendo il gran sospiro dell’uomo.
“Mi dovete scusare”, disse lui. Non disse “Sono nervoso quando parlo con lui”, ma Courfeyrac lo percepì lo stesso. Era da quando si era svegliato e Monsieur Valjean aveva parlato con un Enjolras sveglio che pareva non essere a suo agio. Forse, perché il risveglio di Enjolras era avvenuto quasi contemporaneamente a quello di Marius? O forse la faccenda riguardava Enjolras più direttamente?
Courfeyrac gli avrebbe ripetuto che non aveva nulla da temere, nel rivelare la propria identità ad Enjolras. Non voleva essere pedante.
In ogni caso, lo disse più tardi a Madame Fantine. Lei glielo avrebbe potuto ricordare.
“Va bene. Proverò a dirglielo”, disse Madame Fantine, guardando altrove.
Ultimamente sembrava essere diventata più fredda, nei suoi confronti. Ogni tanto, Courfeyrac si chiedeva se era successo qualcosa o se lui l’aveva in qualche modo offesa.
Era un peccato. Era stata sempre così aperta con lui e Courfeyrac scoprì di essere dispiaciuto. Madame Fantine aveva pure cominciato a piacergli.

***

Era stata grande, la rabbia di Javert, quando quell’idiota lo aveva trascinato a forza via dal ponte e si era messo alle sue calcagna finché Javert non aveva acconsentito a tornare a casa.
Il problema era stato che l’imbecille lo aveva seguito e che non se ne era più andato.
Perché quando erano entrati entrambi, aveva costretto Grantaire a farsi un bagno, gli aveva dato un paio di pantaloni e una camicia e poi aveva cercato di medicare la sua ferita alla spalla, affidandosi alle proprie basilari conoscenze di medicazione. Il tutto con i continui commenti di Grantaire (“Questo appartamento è più piccolo del mio. Davvero spartano”, “Certo che siete alto, Monsieur l’Inspecteur. Forse anche più di Enjolras”, “Visto che ho seguito lezioni di medicina, vi posso dire io se state eseguendo bene il medicamento”). Javert aveva eseguito tutti questi compiti con la rabbia che gli ribolliva dentro da quando se l’era ritrovato all’uscita dalle fogne insieme a tutti gli altri, e Grantaire aveva subito tutto questo avendo solo la forza di continuare a parlare. Per il resto, erano entrambi stanchi nel corpo e nella mente.
E così, anche se una piccola parte del suo cervello aveva cercato di dire a Javert che avrebbe fatto meglio a cacciarlo fuori di casa, che se ne tornasse da Valjean e dal tizio di nome Enjolras (del quale non aveva smesso di citare il nome), per qualche ragione a una parte ancora più grande di esso era bastato bisbigliare che con i feriti ci si doveva comportare in un certo modo. Che quel ferito fosse un fuorilegge, Javert lo dimenticò, o la follia glielo fece dimenticare.
Così aveva finito per cedergli il suo letto, poiché non aveva poltrone o divani, e Grantaire aveva pure protestato, dicendo che poteva dormire anche per terra. Ma, con una sola spinta da parte di Javert, il suo corpo esausto era caduto sul materasso e il giovane si era addormentato in poco tempo. In quanto a Javert, lui si era accasciato su una seggiola e, prima che il sonno lo reclamasse, ebbe a malapena il tempo di registrare che Grantaire non se ne sarebbe andato.
I giorni che seguirono furono altrettanto stancanti. Javert fu in grado di procurarsi un secondo materasso dove Grantaire avrebbe potuto dormire, ma si rifiutò di prendere anche del vino. Così il ragazzo fu costretto a rimanere sobrio, ma non c’era differenza, nel suo modo di essere irritante.
Mandarlo da Valjean era inconcepibile. Non solo perché Grantaire avrebbe fatto meglio a rimanere nascosto il più possibile, e di un Ispettore di polizia come Javert non avrebbero sospettato così facilmente, ma anche per altri due motivi addizionali, quasi inconsci.
Primo, il rispetto che Javert aveva cominciato a provare per Jean Valjean gli impediva, per quanto il vecchio galeotto fosse comunque capace di innervosirlo, di castigarlo ulteriormente con la piaga di Grantaire.
Secondo, era a Grantaire che doveva la vita. Nel bene o nel male che ciò comportava.

***

“Andiamo, Monsieur l’Inspecteur. Solo stasera e poi non vi chiederò più niente”, piagnucolò Grantaire.
Javert si premette una mano sugli occhi.
“E va bene”, acconsentì. “Potrete venire con me da Valjean”.
 

Spazio autrice:
Questo capitolo è stato un po' faticoso da scrivere e sono meno soddisfatta, stavolta.
In ogni caso, questo, nella mia testa, era l'ultimo capitolo "introduttivo" della storia. Da questo momento, non credo ci saranno ancora molti capitoli. Avrei intenzione di renderla più veloce, ma è un po' difficile con tutti i personaggi che voglio gestire. Per questo, i capitoli stessi potrebbero diventare più lunghi.
Il fatto che questa storia è soprattutto psicologica mi fa preoccupare un po', ma farò di tutto per non renderla uno strazio da leggere! X'D Se trovate che sia noiosa, o che ci sia un qualunque problema, ditemelo tranquillamente così magari posso salvarla in corner.
Ringrazio LouSantara23 per aver messo la storia tra le seguite /o\
Alla prossima!
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Miserabili / Vai alla pagina dell'autore: flatwhat