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Autore: Menteconfusa    27/10/2014    0 recensioni
E' complicato spiegare di cosa parli questa storia. Potrebbe essere definito un "viaggio" all'interno di una mente malata di una persona sola e abbandonata a se stessa. E' un incastro di pensieri.
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I.
 
Vorrei essere una persona molto intelligente, la più intelligente del mondo, in grado di raccontare tutto ciò che so della vita e del mondo, ma la verità è che io non so molto della vita, perché ho problemi con la memoria e a volte confondo ricordi, realtà e finzione.
Non è neanche vero dire che ciò che voglio fare è raccontare qualcosa, perché non è vero e mia madre si arrabbierebbe molto se mi sentisse mentire. Lei è contraria alle bugie, anche a quelle più insignificanti, e io non voglio farla arrabbiare.
Così sono costretta a dirvi che questo quaderno mi è stato regalato dalla mia psicologa. Ha detto che ci devo scrivere tutto ciò che penso in modo che non mi sfugga nulla.
Mia madre è una persona molto sola, e questo mi dispiace, perché se fosse per me non la lascerei mai sola.
Lei vive in una piccola casetta da qualche parte, prima ci vivevo anche io, ma quando mi sono sposata, James mi ha portata via e io non sono più tornata nella casetta di mia madre.
James odia mia madre.
Non sopporto gli interrogatori della dottoressa.
“ricordi come ti chiami?”
La trovo una domanda stupida, chi non conosce il proprio nome?
“tu lo sai, perché me lo chiedi?”
Ma lei non vuole che risponda a domande con altre domande, perché lo trova terribilmente fastidioso e così continua a farmi la stessa domanda finché non rispondo.
La verità è che in certi momenti non me lo ricordo proprio come mi chiamo, così dopo l’ultima volta che è venuta a trovarmi, me lo sono scritto sulla mano.
Robyn.
Non mi piace il mio nome. Non mi piace proprio.
C’è qualcosa di amaro nel mio nome … eppure sono certa che un tempo mi piacesse molto, perché lo scrivevo ovunque.
Mia madre mi ha portato un regalo l’ultima volta che è venuta qui da me. È un quadernetto molto simile a quello che mi è stato regalato dalla dottoressa, solo che, a differenza di quello blu dalle pagine completamente bianche, è già stato scritto, presumo da un’incerta mano adolescente.
Inizia in un modo molto triste.
 
“Dogma, regole, non fanno per me. Non rispetto la legge. Non rispetto gli altri, se non quelle povere anime che si posano sulla strada che percorro e si fanno amare”
 
Penso che siano parole molto strane, perché (e non so perché) mi ricordano qualcosa, come se un tempo anche io avessi pensato queste cose.
Non credo sia possibile però, perché mia madre mi ha assicurato che la mia è stata una vita semplice, con un’infanzia felice e un’adolescenza tranquilla.
 
“Rido. Amo ridere, vorrei poter ridere sempre. Anche mentre piango.
Piango spesso.
Vivo da sempre una noiosa, schifosa, monotona, rispettosa vita.
Ho da poco superato la prima fase della crisi adolescenziale dei tredici anni, se si può chiamare così, la fase del “ sono brutta”.
Adesso non me ne importa più nulla.
Non sento più l’incontrollabile desiderio di piacere agli altri, perché in fondo, gli altri non che piccole persone sole, come me. Come tutti.
Sulla strada.
Il libro più bello che abbia mai letto.
E io ne ho letti tanti.
E’ stato così che ho deciso che avrei cominciato a scrivere in questo quaderno tutto quello che mi passa nella mente”.
 
Penso che chiunque abbia scritto queste parole doveva stare davvero male.
Non ci sono date in questo quaderno e ho deciso che neanche nel mio dovranno essercene, perché ho sempre pensato che il ricordo dei giorni che passano sia decisamente deprimente e triste e sono anche certa che la persona che ha scritto questo quaderno rosso l’avrebbe pensata come me.
Non ricordo bene come sono finita in questa clinica, dove vivo sola, sempre sola, e ogni giorno che passa sono sempre sola e anche quando mia madre viene a trovarmi sono comunque sola persa nell’eco dei miei pensieri.
Lei e io siamo molto diverse, davvero troppo, eppure della mia vita prima della clinica non ricordo altro che lei e la chiesa vicino a casa dove mi trascinava ogni domenica mattina e dove io non volevo proprio andare.
Non è che io abbia qualcosa contro Dio, ma non ho mai creduto davvero, quando mi ritenevo cristiana.
Mai davvero.
Penso che anche la scrittrice del quaderno rosso la pensasse un po’ come me.
 
“Undici anni in una scuola di suore per poi capire solo ora che tutto ciò in cui voglio credere è l’occasionale e fantastica voglia di vivere lontano dalla gente comune”.
 
Comincia a starmi davvero simpatica questa scrittrice.
È come se capisse al volo ciò che penso, è strano, ma bellissimo, perché per la prima volta sento che qualcuno comprende i miei pensieri.
Neanche James capisce.
Ora che ci penso è davvero tanto che non vedo il mio James, ma capisco che sia molto occupato facendo l’avvocato ha poco tempo per me …
Una volta ho chiesto a mia madre perché non venisse a trovarmi James, ma per tutta risposta lei ha preso il cappotto e se ne è andata.
A volte mia madre smette di venirmi a trovare. Sparisce per qualche mese e poi torna da me, come se non fosse successo nulla e il tempo non fosse trascorso. Forse non trascorre davvero.
 
 
Penso di aver combinato un disastro ieri con la dottoressa.
“Quanti anni hai?”
La dottoressa  non si stanca mai di farmi le stesse domande.
“Non lo so”
Lei sospira e mi guarda tra il deluso e il disperato, il che mi fa sentire proprio male, perché non riesco a ricordarmelo quanti anni ho.
“Quanti anni hai?”
Inizio ad agitarmi quando fa così, perché so che mi tormenterà finchè non riuscirò a rispondere o avrò una crisi, e questo la dice lunga su questa donna, perché se cura tutti i suoi pazienti fino all’esaurimento di questi, non credo sia molto amata.
“Non me lo ricordo. Non lo so”
“Quanti anni hai?”
Cerco nella mia testa la risposta, perché so che è lì da qualche parte e so che un tempo la conoscevo e so anche di averla odiata, ma non riesco proprio a trovare la risposta.
Sento di aver iniziato a piangere.
“non lo so. Non lo so. NON LO SO!”
Credevo di aver imparato a controllarmi, e invece no.
Ho iniziato a gridare e gridare e a graffiarmi la faccia e molti ricordi sono venuti a galla, volti conosciuti di persone dimenticate, compleanni, una ragazzina sola. Bare.
Ho smesso di gridare e ho fissato la dottoressa negli occhi.
“Chi è nella bara?” ho chiesto.
Lei mi ha guardato come se stesse guardando una tigre che salta nel cerchio di fuoco, forse perché ha pensato che ricordassi.
“Chi c’è nella bara Robyn? Chi hai visto?”
Ma io proprio non lo so chi ho visto.
Lascio cadere la testa sul cuscino e chiudo gli occhi.
“James non è venuto oggi?”
“No Robyn”
“Nella bara”
“Era James nella bara?”
Apro gli occhi e mi rimetto a sedere di scatto.
“NO!” ho gridato “no” ho ripetuto sottovoce.
Ora ricordo. Non era la prima volta che vedevo quella bara. E neanche la bambina che piangeva appoggiata al freddo legno, e neanche l’uomo nella bara.
L’uomo nella bara.
Sorrideva.
A volte penso che siano solo giochi della mia mente e dei farmaci che mi danno qui … ma certi ricordi che vedo, che sento, sono reali, sensazioni davvero provate, situazioni realmente vissute.
Non voglio parlarne con  la dottoressa , ne con mia madre, perché loro non capirebbero i miei sentimenti.
 
Sono stanca, terribilmente stanca. Apro il quaderno e scrivo. Tutto ciò che ho visto e provato, prima che la mia mente mi porti via quelle briciole di ricordi e prima che tutto finisca nel buio più totale.
Ora è buio. Se rileggo ciò che ho scritto, non lo capisco. Una Bara?
 
   
 
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