Super
Psycho Love
Dedicata
a Naima Dahmer per il suo compleanno, cento di questi giorni!
Quando
il gioco si fa strano,
gli strani diventano professionisti.
Dr.
Hunter S. Thompson
Steve Rogers
diede un ultimo sguardo allo specchio. Si
lisciò i capelli biondi ordinatamente pettinati, catturando
una fastidiosa
ciocca ribelle in un ciuffo vagamente retrò che esagerava la
sua aria da
ragazzo perbene. Si aggiustò sul naso gli occhiali dalla
montatura nera
integrale. Non che ne avesse veramente bisogno, se non per distinguere
meglio
le lettere quando leggeva, ma trovava che gli donassero
un’aria più
professionale. Strinse il nodo della cravatta fino a sentirne la dolce
pressione sul collo, e si lisciò il bavero del camice
immacolato.
Non riusciva a
credere di essere lì, nel luogo che era
il sogno di qualunque psichiatra, con il suo ufficio personale e i
primi veri
incarichi che avrebbe seguito senza la supervisione di un professore.
Uscì
dalla sala d’ingresso del personale e si diresse
lungo un corridoio dalle pareti verde chiaro, profumato di antisettico,
un
odore pulito e igienico che gli faceva girare piacevolmente la testa.
L’eco dei
suoi passi risuonava contro le pareti spoglie come il battito del suo
cuore
eccitato, mentre lui stringeva al petto una cartellina con i dati dei
suoi
primi pazienti.
Alla fine del
corridoio lo attendeva un altro dottore,
più grande di lui, ma sempre nel fiore degli anni, con
capelli biondi lunghi,
raccolti in una coda di cavallo e sorridenti occhi color ghiaccio.
-Dottor Steven
Rogers, se non mi sbaglio- disse l’uomo,
allungando la mano.
Steve
staccò un braccio dalla cartellina con fare
imbarazzato, e lo tese per stringergliela.
-Dottor Odinson,
giusto? Che piacere! Per favore, mi
chiami pure Steve, lo fanno tutti- sorrise.
-Solo se tu mi
chiami Thor. Dopotutto ormai siamo
colleghi, e credo che diventeremo ottimi amici- ribatté
affabilmente l’altro
medico.
Steve si
illuminò in viso. A quanto pareva il suo nuovo
compagno di lavoro era un tipo molto simpatico e alla mano, si sarebbe
trovato
bene lì.
-Se vuoi
seguirmi- disse Thor, posando la mano sopra la
maniglia di una porta e invitandolo a seguirlo.
Il ragazzo
riusciva a stento a trattenere l’esaltazione:
il suo primo vero lavoro, il sogno di tutta la sua vita, stava dietro
quella
porta.
Appena varcarono
la soglia si trovarono in un corridoio
molto più ampio, ma vagamente più tetro. Le zone
più illuminate erano i lati,
dove facevano bella mostra di sé due file di celle chiuse,
anziché da sbarre,
da spesse lastre di vetro con una serratura magnetica. Al loro interno
le luci
proiettavano nel corridoio ombre in perenne movimento, dando
l’impressione che
il pavimento fosse un’entità viva.
-Queste vengono
chiamate “Gli Acquari”, immagino tu
capisca perché- spiegò il dottor Odinson
abbracciando l’ambiente con un gesto
della mano. –I pazienti vengono fatti uscire ad orari
prestabiliti e
accompagnati alle sedute con i loro medici o alle aree comuni dalle
guardie. Tu
avrai la tua chiave magnetica per aprire le celle, anche se ti
consiglio di non
farlo mai da solo. Attraverso il vetro possono sentirti, ma se hai
bisogno di
un contatto, come dire, più ravvicinato, chiedi pure alle
guardie, sono a tua
disposizione.-
Attraversando il
corridoio, Steve non poté resistere
alla tentazione di dare una sbirciatina all’interno delle
celle. Ognuna aveva
una branda, un wc e un lavandino. E un occupante.
Osservò
un uomo dai capelli scuri, sparsi in morbide
onde disordinate, seduto sulla sua branda con le gambe strette al petto
e il
mento sulle ginocchia. I suoi occhi marroni avrebbero potuto essere
caldi, ma
li guardavano passare da dietro le lenti di un paio di vecchi occhiali
con
un’aria morta e vendicativa che fece correre un brivido lungo
la schiena di
Steve. Appena incrociò il suo sguardo azzurro,
l’uomo tuffò la testa dietro le
sue gambe piegate, chiudendosi come un riccio con la divisa arancione
dell’ospedale penitenziario.
Prima che Steve
potesse registrare la sua reazione,
sentì un grosso tonfo provenire dalla cella vicina, e
saltò istintivamente al
centro del corridoio. Un paziente si era appena scagliato contro il
vetro,
facendolo vibrare. Con il cuore in gola Steve guardò quella
figura scheletrica,
che abbracciava la lastra come un insetto catturato a grande
velocità dal
parabrezza di un’auto in corsa. Era un giovane uomo dai
capelli corvini, lunghi
fino alle spalle, il cui colore contrastava in maniera surreale con il
lividore
della sua carnagione. Aveva la faccia premuta contro il vetro, contorta
in un
ghigno che mostrava i denti e gli occhi verdi brillanti di follia.
Parlò con
una voce bassa, fremente di emozioni nere che appannavano il vetro:
-Odinson!
Fai vedere le bestie in gabbia a questo ragazzino? Devo mettermi in
posa per il
nostro piccolo ospite?-
Steve fissava
quegli occhi pallidi che saettavano
dappertutto, come se volessero impedirgli la fuga, e fu veramente grato
di
avere tenuto i suoi occhiali: si sentiva più al sicuro da
quello sguardo con
un’ulteriore barriera a proteggerlo.
Thor assunse
un’espressione seccata, e sbuffò. –Loki,
questo è il dottor Rogers, e da oggi lavorerà
qui. Gradirei che non cercassi di
spaventarlo durante il suo primo giorno.-
Le sopracciglia
del ragazzo, Loki, si sollevarono
esageratamente fingendo sorpresa. –Un nuovo psichiatra?!-
Poi le sue
palpebre si socchiusero seducenti, e le sue
unghie ticchettarono sulla parete trasparente.
-Lo sento. Tu
hai cuore, e scommetto che è delizioso.-
Leccò il vetro lasciandosi dietro una scintillante scia di
saliva, senza
staccare gli occhi dai suoi, e Steve si sentì
improvvisamente molto sporco.
–Oh, dottor Rogers, dammi
cinque
minuti con te!-
Steve non
riusciva a muoversi, così Thor lo prese per
un braccio e lo trascinò via.
Quando furono
abbastanza lontani ripresero la
conversazione.
-Non ti
preoccupare, Loki Laufeyson fa sempre così,
gode nel mettere a disagio le persone. Quello che tu devi fare
è ignorarlo; del
resto è un mio paziente, tu ti occuperai di altri.-
Steve non era
ancora riuscito a ritrovare le parole.
Per la prima volta si chiese se avesse fatto bene a fare domanda per
quel
posto. Thor si accorse del disagio del ragazzo, e gli mise una mano
sulla
spalla, sorridendo.
-Sai, ti ho
appena conosciuto, ma è facile inquadrarti.
Mi sorprende che un tipo come te abbia deciso di fare
l’internato proprio qui
allo Shield, il più grande manicomio criminale dello stato.
Se vuoi fare
carriera scrivendo un libro su qualche paziente sono costretto a
scoraggiarti:
questi tipi ti mangeranno a colazione.-
Il biondino si
risistemò gli occhiali in un gesto
autoprotettivo, stringendosi nelle spalle.
-Beh,
vedi… In verità ho scelto questo posto proprio
perché presenta i casi più stimolanti che ci
siano, e poi… vorrei aiutare
davvero queste persone a stare meglio. Sono fermamente convinto che
nessuno sia
irrecuperabile, basta solo un po’ di impegno.-
Thor fece un
fischio.
-Accidenti! Un
giovane psichiatra in erba e con
tendenze da boyscout per giunta.- Steve non si sentì offeso,
il tono di Odinson
era giocoso e amichevole. –Mi piace la tua buona
volontà, Steve, ma questi sono
psicopatici gravi, alcuni di loro si sono guadagnati il titolo di
supercriminali a causa delle loro doti straordinarie e della loro
altrettanto
straordinaria patologia mentale. Pensa che qualcuno girava persino in
maschera
e costume, prima di essere catturato. Ti consiglio di non sperare
troppo in un
loro eventuale recupero.-
Steve
citò una sua convinzione personale, tratta da uno
dei suoi testi preferiti di psichiatria. –Una volta scavato
in profondità e
trovata la radice del problema la si può estirpare e
preparare il terreno per
ospitare una vita migliore.-
Thor rise di
nuovo.
-Mi piaci,
Steve, mi piaci davvero. Spero che ti soddisfi
lavorare qui. Adesso però vieni, che ti presento il tuo
primo paziente. Si
tratta di un caso piuttosto difficile, e ti confesso che
l’hanno assegnato a te
perché sei l’ultimo arrivato, e il nostro ospite
ha già esaurito le scorte di
pazienza e resistenza di tutti gli altri medici.-
Mentre
camminavano, il dottor Odinson continuava a
spiegare.
-Stark Anthony
Edward, il nome dovrebbe dirti
qualcosa.-
Eccome,
pensò Steve: Anthony Stark, giovane produttore
di armi e ricco industriale, recentemente venuto allo scoperto come il
supercriminale Iron Man e consegnato alla giustizia dopo una difficile
battaglia con le forze dell’ordine. Tutti i suoi beni sono
stati sequestrati e
attualmente è sotto la custodia dello Shield. Non pensava
che proprio
quest’uomo sarebbe stato il suo primo paziente: era
elettrizzato.
-Genitori
deceduti,- continuò Thor, -E’ stato cresciuto
da un tutore che gli ha praticamente fatto da padre, e che è
stato anche la sua
prima vittima. Dopodiché si è occupato di altri
personaggi, tra cui gli
industriali Aldrich Killian e Justin Hammer, e dello scienziato Ivan
Vanko. E’
un genio dell’ingegneria meccanica, si è costruito
un’armatura di metallo che
lo potenzia fisicamente, e che nessuno a parte lui può
usare. E’ stata
sequestrata, ma gli studi per comprenderne il funzionamento sono stati
inutili:
nessuno riesce a capire come venga azionata. Pare che con quella abbia
anche commesso
una serie di omicidi all’estero, fuori dalla giurisdizione
degli Stati Uniti.-
-Il suo stato
mentale?- domandò Steve, facendo del suo
meglio per apparire professionale.
-Tendenze
narcisistiche e sociopatiche, direi con
tratti borderline. Ha una necessità patologica di mantenere
il controllo della
situazione, o almeno convincersi di averlo. Certe volte alterna episodi
psicotici a stati di assoluta depressione. L’hanno visto in
molti, e non siamo
ancora riusciti a fare un quadro completo, ma sembra proprio che, se
nomini un
disturbo della personalità, lui ce l’abbia. Ti
consiglio di fare attenzione: è
un abile manipolatore, estremamente intelligente. Non farlo mai
avvicinare a
oggetti elettronici di nessun tipo; una volta ha smontato una radio e
costruito
una chiave per bypassare la serratura magnetica delle celle: ha ferito
gravemente una guardia, prima di essere sedato.-
Steve trattenne
a stento un sospiro di sorpresa.
Possibile che quell’uomo fosse davvero così
disturbato come il suo collega
voleva fargli intendere?
-E’
sottoposto a cura farmacologica?-
-Ti
darò una lista delle sue medicine. Ma eccoci
arrivati.-
Si fermarono
davanti ad una delle celle, e Steve
sbirciò all’interno. Sdraiato sulla branda, con le
braccia dietro la testa e le
gambe accavallate, nella sua uniforme arancione, stava un giovane uomo
con
corti capelli color caffè, disordinati in un modo che
sembrava quasi studiato.
Gli davano un’aria di distratta eleganza mentre guardava il
soffitto e
dondolava una gamba ondeggiando la testa e muovendo le labbra come se
stesse
canticchiando, senza che nessun suono riuscisse a venirne fuori.
-Signor Stark,
ti presento il dottor Steven Rogers, il
tuo nuovo medico curante- esordì Thor, senza avvertire
l’uomo della loro
presenza.
Lui
voltò la testa, e Steve si ritrovò immerso nei
più
begli occhi che avesse mai visto: due cerchi d’ambra venati
di pagliuzze scure
e adagiati in un letto di ciglia foltissime e quasi femminee, che gli
sorridevano ammiccando in modo seducente.
Stark
stirò le labbra sottili in un sorriso benevolo, e
fu come se i suoi occhi avessero ricevuto l’ordine di
illuminarsi. Se prima con
Loki Steve si era sentito violato, adesso si riscoprì a
provare un insolito
calore al viso.
-Piacere signor
Stark. Spero di essere all’altezza del
mio compito e apportarle l’aiuto che le serve- disse,
ignorando la secchezza
nella sua bocca e allungando d’istinto una mano prima di
accorgersi che a
separarli c’era un vetro, e ritirandola timidamente.
Il paziente se
la prese comoda, sedendosi sulla branda
come se andasse al rallentatore, con l’intento di farsi
osservare.
-Tony, la prego.
Non mi piacciono le formalità, e visto
che tra poco diventerà la persona a cui
confesserò tutti i miei più intimi
segreti vorrei subito mettere in
chiaro questo punto.-
A Steve non
sfuggì il momento in cui, alla parola “intimi”, gli occhi di Tony si
erano
scuriti. Voltò per un attimo la testa per vedere se Thor lo
aveva notato, ma
l’altro non dava segni di avere colto messaggi subliminali, e
pensò di essersi
sbagliato.
-Comportati bene
con lui, signor Stark. Stiamo
esaurendo le nostre scorte di psichiatri con te- avvertì
Thor con tono paterno.
Poi prese Steve e lo condusse via. –Il tuo primo appuntamento
con lui sarà
subito dopo pranzo. Fidati, ti farà bene mettere qualcosa
sotto i denti prima
di affrontare questo paziente.-
-Grazie,
ma… Non sembra davvero così pericoloso come mi
hai descritto- disse Steve, considerando seriamente il caso.
Thor
rafforzò la presa sul suo braccio. –Non farti
ingannare da lui, Steve. Finora nessuno è riuscito a
cavargli la verità sulla
sua situazione. Non collabora con i medici e non vuole guarire dalla
sua condizione:
questi casi sono i peggiori. Mi dispiace che ti abbiano rifilato una
simile
grana, ma dagli amministratori dovevo aspettarmelo. Non prendertela se
non
risolverai niente con lui.-
_________________________________
Dopo la pausa
pranzo, Steve andò nel suo ufficio per
prendere alcuni documenti e ripassare il caso di Anthony Stark. Appena
aprì la
porta si accorse di un vasetto di porcellana sulla sua scrivania che
prima non
c’era, e che di sicuro non aveva messo lui. Conteneva una
piccola rosa in
boccio, con un biglietto legato allo stelo. Steve lo voltò e
lesse, scritto a
mano con una calligrafia elegante:
Vieni
a trovarmi qualche volta.
T.S.
Non
riuscì a descrivere il miscuglio di sentimenti che
gli si agitarono dentro come un mare in tempesta dopo aver letto quelle
parole.
Una parte di lui si sentì intimorita dal fatto che un noto
psicopatico gli
lasciasse regalini in ufficio, un’altra parte però
non poté fare a meno di
sentirsi vergognosamente lusingata.
Tra le due fece
da paciere la professionalità. Scese
subito agli acquari e si fermò davanti alla cella di Tony.
Lo trovò nella
stessa identica posizione in cui lo aveva lasciato prima di pranzo,
come se non
si fosse mai mosso. Picchiò sul vetro delicatamente, con la
mano che stringeva
il biglietto.
-Posso sapere
come è arrivato questo nel mio ufficio?-
domandò, in tono calmo.
Tony, senza
guardarlo, gli rispose con un sorriso
soddisfatto. –Ce l’ho messo personalmente.-
Steve si mise le
mani sui fianchi.
-Sai Tony, non
credo che alle guardie e ai miei
colleghi farebbe piacere sapere che te ne vai in giro senza la loro
supervisione.-
Tony si
alzò, e camminò verso la parete di vetro con
un’andatura flessuosa e sicura. Non era molto alto, ma il suo
fisico appariva
perfettamente proporzionato, notò Steve. Da vicino poi, il
suo viso non solo lo
colpiva, lo catturava.
-Oh,
è talmente facile eludere la sorveglianza di gente
così ottusa. E poi, tu non glielo dirai,
vero?- disse in un tono tutto miele, poggiando la fronte
sulla parete
trasparente e specchiandosi negli occhiali di Steve.
Il biondo
arrossì. –Non lasciare più cose nel mio
ufficio, Tony. Io e te siamo qui per parlare della tua malattia, mi
dispiacerebbe essere sollevato da questo incarico se permetto continue
violazioni
alle regole.-
Stark fece un
sorriso da Stregatto che gli riempì tutta
la faccia. –Tu sei diverso dagli altri medici, sai Steve?
Posso chiamarti
Steve, vero?-
Il giovane
medico sorvolò sul fatto che gli aveva già
dato del tu in precedenza, ed evitò di correggerlo. Si disse
che forse, un
rapporto meno formale avrebbe aiutato il suo paziente ad aprirsi con
lui.
Scosse la testa per comunicargli che non gli dispiaceva.
-Nessuno si era
mai rivolto a me in modo così educato.
Sembri onesto e corretto, e se ti togliessi quegli occhiali saresti
anche molto
più affascinante. Assomigli proprio a Capitan America, te
l’ha mai detto
nessuno?-
-L’eroe
dei fumetti?- domandò Steve. Tony annuì.
-Mmh, mmh. Sei
qui da poco, ma nei tuoi occhi si vede
il temperamento dell’eroe. Vuoi essere il mio eroe, Steve?
Sento che con te
potrei parlare di tutto quello che mi fa stare male.-
Il suo viso
aveva assunto un’espressione più seria, e
Steve sentì un’ondata di trionfo scuotergli il
cuore. Se avesse giocato bene le
sue carte probabilmente sarebbe riuscito dove molti altri psichiatri
più
esperti di lui avevano fallito, e nel contempo avrebbe aiutato quel
ragazzo a
rifarsi una vita. Guardandolo pensò che i medici che lo
avevano esaminato prima
dovevano avere preso una grossa cantonata: non riusciva a credere che
fosse un
pazzo omicida a sangue freddo, non con quegli occhi così
dolci e con quelle
parole che lo cullavano come musica per le sue orecchie.
_________________________________
-Avevo solo
cinque anni quando mio padre si presentò
ubriaco in camera mia per la prima volta- disse Tony, sdraiato sul
lettino
nell’ufficio di Steve, un’espressione di puro
dolore dipinta sul viso.
-Sai, quando lui
beveva diventava violento. Mamma era
solita essere la sua vittima preferita quando aveva voglia di alzare le
mani,
in più sensi di uno; io cercavo sempre di nascondermi, negli
armadi, negli
sgabuzzini, in camera mia… Me ne andavo sempre,
così un giorno decise di farlo
anche lei.-
Steve prendeva
appunti diligentemente, senza lasciarsi
sfuggire una sillaba.
-Non che avesse
mai preso la decisione di lasciarlo
seriamente. Eravamo la famiglia più ricca e più
in vista di New York, nessuno
sapeva di quello che succedeva dietro le porte chiuse, potresti solo
immaginare
lo scandalo… E quindi mia madre, quando non ne poteva
più delle botte prendeva
le chiavi dell’auto e scappava di casa per un po’.
Io rimanevo solo. Ero un
bambino prodigio che amava costruire oggetti elettronici, era il mio
unico
conforto, e quello facevo quando i miei litigavano; ero sempre nascosto
da
qualche parte a inventare. Così quella volta, quando mia
madre scappò per
l’ennesima volta, mio padre venne in camera mia. Non
l’avevo mai visto così
stralunato, non sembrava in sé; aveva uno sguardo che mi
faceva talmente paura
che cercai di scappare, ma quando tentai di passargli accanto mi
afferrò per un
braccio e mi gettò sul letto. E poi… e
poi…-
Steve aveva il
cuore in gola, e stringeva
spasmodicamente la penna aspettando un seguito che non
arrivò mai, soffocato
dai singhiozzi del suo paziente, che con le mani sul viso schiacciava
le
lacrime calde che gli uscivano dagli occhi.
-Scusa…
Non ce la faccio a dirlo, Steve.-
Il biondo
lasciò cadere il blocco e la penna, e gli
prese la mano, stringendola. –Va tutto bene, Tony. Abbiamo
tempo, non devi
rivangare per forza questi ricordi dolorosi tutti in una volta.
Prenditi tutto
lo spazio che ti serve.-
-Forse
è per questo che sono così promiscuo quando si
tratta di sesso; se solo tu sapessi tutte le cose che ho
fatto… Mi fa schifo,
ma non posso farne a meno. E’ dannoso come una droga e mi fa
male, ma mi
permette di portare la mente altrove, come se potessi anestetizzarla
con il
dolore. Sono orribile, vero?-
-No, certo che
no. Non è colpa tua, alcune persone
semplicemente reagiscono così.-
Tony
alzò una mano umida di lacrime e gli tolse gli
occhiali. Steve lo lasciò fare.
-Mi piace
guardare i tuoi occhi, sono così blu, così
dolci… Lo sguardo di mio padre è sempre stato
pieno di disapprovazione, non sai
quanto mi rassicuri vedere i tuoi occhi così onesti che mi
guardano. E’ meglio
senza barriere tra me e loro, mi fa sentire bene.-
Steve sorrise
con calore. –Credo che oggi abbiamo fatto
dei grandissimi passi avanti, ed è solo la nostra prima
seduta. Vorrei tanto
continuare, Tony, ma ho altri pazienti, e dovremmo vederci domani.-
Tony si
asciugò gli occhi e si alzò dal lettino.
-Non vedo
l’ora di parlare di nuovo con te.-
Anche Steve lo
voleva, e quando vide Tony andare via prese
la decisione di non indossare più gli occhiali al lavoro, se
serviva a mettere
più a suo agio il suo paziente.
Non si era
neppure accorto che il moro, dopo averglieli
sfilati, li aveva presi e portati via.
________________________________
-Sai, nonostante
tutto non odio mio padre, anzi, gli ho
sempre voluto bene. Volevo renderlo orgoglioso di me, volevo
disperatamente
attirare la sua attenzione sulle mie qualità, e passare del
tempo insieme, come
una vera famiglia- raccontò Tony, mentre Steve scriveva.
-Ma lui era
sempre freddo, distante, severo… Solo una
volta l’ho visto veramente felice, quando mi ha portato con
sé ad un convegno
scientifico, e abbiamo visto tutte le innovazioni tecnologiche
presentate dagli
scienziati che vi partecipavano. Oh, non ho mai visto papà
così entusiasta,
aveva lo sguardo di un bambino ogni volta che i suoi occhi si posavano
su
un’invenzione. Una volta a casa mi sono detto
“Voglio rivedere
quell’espressione mentre guarda me”,
così ho preso il suo televisore personale,
quello che teneva nello studio. L’ho smontato pezzo per pezzo
e ne ho fatto un
piccolo computer.-
-Tutto questo a
nove anni, Tony?- domandò Steve,
allegramente stupito. –E’ sorprendente!-
-Vero?- rise
Tony, come se stesse ricordando una cosa
molto bella. –Lo feci vedere a papà, ero
così esaltato da ciò che avevo fatto
che mi misi a correre per il soggiorno con la mia invenzione in mano,
girando
come una trottola da tutte le parti.-
Saltò
in piedi e aprì le braccia per mimare un
ragazzino esagitato. Steve scoppiò a ridere, come se stesse
ascoltando lo
scherzo di un vecchio amico.
-E lui mi ruppe
il setto nasale- concluse Tony,
tornando serio come se un interruttore appena premuto gli avesse spento
l’allegria. Per Steve fu come ricevere una pugnalata al
cuore.
-Davvero?!-
Tony
scrollò le spalle. –Che ci vuoi fare, noi geni
incompresi riceviamo aspre critiche, ormai non me la prendo neanche
più.-
Il biondino
sembrava davvero mortificato. –Tony, mi
dispiace così tanto.-
-Non devi.
Quello che è stato è stato, ormai. Eppure,
nonostante tutto, quando i miei sono morti mi sono sentito molto
triste. Non
avevo nessun amico, sono stato educato a casa da un tutore privato, e
anche se
i miei non erano i genitori migliori del mondo…-
-Un’attenzione
malata era meglio di nessuna attenzione-
concluse Steve per lui.
-Esattamente.
Poi dopo la loro morte sono stato
cresciuto da un buon amico di mio padre, Obadiah Stane. Sembrava
così gentile…-
Steve scriveva,
e intanto lo guardava, sperando di non
dover sentire quello che temeva.
-Non potevo
immaginare che avesse anche i suoi stessi
vizi.-
L’espressione
del giovane medico si ruppe. Lottò contro
il desiderio di mollare penna e taccuino e correre ad abbracciarlo.
–Mio
Dio…-
-Oh, Steve, non
le ho mai dette a nessuno queste cose- confessò
Tony tra le lacrime.
-Tranquillo,
Tony. Continua solo se te la senti.-
-Per anni non ho
mai fatto nulla, l’ho sempre
assecondato. Ma dopo che sono stato rapito in Afghanistan e sono
riuscito a
scappare l’ho rivisto e… Non lo so, mi
è tornato tutto in testa in un colpo
solo. Non volevo ucciderlo, solo… Non ci ho visto
più.-
Steve scrisse.
Più il suo block-notes si riempiva più
lui si convinceva che Tony era semplicemente una mente troppo brillante
per gli
altri, un ragazzo estremamente dotato ma traviato dalla vita e da
esperienze a
dir poco traumatiche che avrebbero spezzato la volontà di
chiunque. Non si
stupiva che fosse finito lì.
Ripassò
con lo sguardo le parole:
Abusi
infantili
Padre
alcolista
Madre
assente
Violenza
Stress
Post Traumatico
Certe volte i
suoi vicini di cella si lamentavano che
Tony gridava nel sonno. Curiosamente di questo il ragazzo non volle mai
parlare, si limitava a fissare Steve con gli occhi così
vuoti che il biondo
aveva preso ad odiare. Nello sguardo di Tony avrebbe dovuto esserci
solo vita,
così smise di tirare in ballo l’argomento dei suoi
terrori notturni.
In
più, non lo avrebbe mai ammesso, ma gli piaceva
passare del tempo con Tony, molto più che con i suoi
colleghi, molto più che
con gli altri pazienti. Era brillante, intelligente, arguto. I regalini
lasciati nel suo ufficio non avevano fatto altro che aumentare, tutte
piccole
cose che potevano essere trovate qua e là
nell’ospedale psichiatrico, ma a cui
il biglietto scritto a mano da Tony dava un valore speciale.
Era anche
l’unico paziente che non aveva cercato di
aggredirlo, quando tutti gli altri, almeno una volta, ci avevano
provato.
Steve era sempre
più convinto che la sua situazione
fosse tutta un malinteso. Non che Tony non avesse problemi mentali, ma
le sue
azioni erano giustificate, in fondo. Avrebbe voluto proteggerlo, essere
lì per lui
in ogni momento. Complice la grande intimità che sentiva di
condividere con il
suo paziente, si era ritrovato persino a fare certi pensieri poco
casti, mentre
lo vedeva intento a mostrargli la parte più intima di
sé sdraiato su quel
lettino.
Quando capitava,
il biondo abbassava lo sguardo,
sentendosi colpevole. I suoi sentimenti erano puri e sinceri, ma non
sapeva se
anche Tony l’avrebbe pensata allo stesso modo. Non voleva
essere uno di quei
medici che si approfittano dei poveri pazzi sotto la loro
responsabilità.
Uno di quei
pensieri l’aveva attraversato proprio
adesso, facendolo arrossire e chiudere gli occhi dalla vergogna.
Li
riaprì di scatto quando sentì una pressione calda
su
entrambe le cosce.
Tony ai era
inginocchiato davanti a lui, e lo guardava
dal basso tenendogli le mani sulle gambe, accarezzando la stoffa dei
suoi
pantaloni in lenti e pesanti cerchi, che ad ogni giro gli allargavano
un po’ le
gambe. Le sue pupille erano esplose affogando l’iride, e la
sua lingua saettava
sulle labbra inumidendole di una scintillante scia di saliva. Steve
deglutì,
solo per scoprire di avere in gola un nodo di cui non riusciva a
liberarsi.
-Probabilmente
non te ne rendi conto, Steve, ma tu sei
davvero speciale. Fai così tanto per me… lasciami
fare qualcosa per te.-
Le sue mani
salirono lungo le cosce del biondo e
arrivarono alla sua vita, sfilandogli la cintura.
-Tony…
no… Non dobbiamo, non è corretto nei tuoi
confronti…- balbettò Steve, non riuscendo
però a muovere altro se non la bocca.
L’altro
lo guardò con occhi liquidi e affamati.
-Tu mi vuoi, dottore.-
Allungò
una mano per afferrargli la cravatta.
-Quando
è stata l’ultima volta che hai sciolto questo
nodo?- sussurrò Tony sensuale, la bocca che soffiava una
calda eccitazione
sulle labbra rosa di Steve. –Quando è stata
l’ultima volta che hai fatto
qualcosa di proibito, qualcosa di folle?- Gli leccò le
labbra, e Steve lo
lasciò fare, sospirando con gli occhi chiusi. Tony
spostò la sua lingua sulla
guancia del ragazzo, arrivando a bisbigliargli all’orecchio.
-Tu non sei il
perfetto soldatino dello Shield che ti
sforzi tanto di essere. So che dentro di te c’è
una disperata voglia di
ribellione, una voglia pazza di sentirti libero da tutte queste assurde
costrizioni, dalle convenzioni sociali che ti mettono questo palo nella
schiena. So che vuoi sapere quanto è bello desiderare una
cosa e prendersela,
solo perché lo vuoi, solo perché ne hai
voglia… E consumarla fino a bruciare in
un piacere che ti lascia esausto e che nulla, nella regolare
società dei sani,
potrà darti.-
Gli
leccò l’orecchio, mordicchiandone il lobo. Una
delle sue mani scivolò sul cavallo dei pantaloni
dell’uomo di fronte a lui,
accarezzando un’eccitazione crescente e solida che si
gonfiava di sangue e di
pensieri lascivi, e qualcosa nel cervello di Steve fece cortocircuito.
La sua
mano scattò rapida e afferrò i capelli di Tony,
tirandogli violentemente
indietro la testa e catturando la sua bocca in un bacio affamato, tutto
denti e
lingua e saliva. Le labbra strusciavano le une sulle altre
infiammandosi, e i
denti battevano e mordevano fino a fare male, ma Steve sentiva che di
quel
bacio avrebbe potuto morire.
Circondò
la vita di Tony con un braccio e si alzò,
sollevando il suo paziente di peso e sbattendolo sul lettino su cui
tante volte
l’aveva ammirato.
-Sei un ragazzo
davvero, davvero cattivo, Stevie-
ansimò Tony, con le labbra
gonfie e rosse, il viso congestionato e gli occhi ridotti a due pozze
di
lussuria scura. Si sfilò dalle braccia la parte superiore
della sua tuta
arancione, esponendo un petto abbronzato, con un’orribile
cicatrice circolare
proprio al centro. Steve si sentiva eccitato da ogni cosa appartenesse
a lui, e
quel segno sulla pelle era una lampada che attirava una falena.
–Cos’è che
vuoi, Steve Rogers? Avanti, prenditi quello che desideri. Voglio farti
provare
il piacere di sentirti un uomo veramente libero.-
Steve si
levò al cravatta con uno strattone che gli
fece dolere il collo, e la usò per legare i polsi di Tony
alla sbarra che stava
alla testa del lettino. Non fu mai così grato
all’ospedale di avere fornito ai
dottori delle chaise-longue.
Tony lo
lasciò fare, sbuffando divertito e allargando
le gambe.
-Ti amo. Oddio,
ti amo!- ansimò Steve, prima di
buttarcisi in mezzo.
A partire dal
giorno dopo, Steve smise di portare la
cravatta al collo.
_______________________________
-Vorrei una
radio- esordì Tony con tono casuale. Era da
un pezzo che durante le loro sedute parlavano del più e del
meno, anziché
dedicarsi alla terapia. Quando poi Steve chiudeva la porta a chiave,
parlare
decisamente non era una priorità.
-Una radio?
C’è quella della sala comune.-
Tony
ammiccò. -Mi manca molto ascoltare musica in pace,
da solo.-
Steve gli
procurò una radio, e due giorni dopo Tony
evase dall’ospedale.
Durante la sua
assenza, Steve non pensò al fatto di
essere stato raggirato, quanto piuttosto a come stesse male
all’idea di non
potere più vedere Tony tutti i giorni. Aveva cancellato
appuntamenti,
abbandonato le sue pratiche, e sospirando affranto si rigirava tra le
mani
l’ultimo fiore che Tony gli aveva regalato, una gerbera rossa
ormai quasi del
tutto appassita.
L’unica
cosa che lo consolava era il fatto che Tony
almeno fosse libero, lontano da medici idioti e compagni di prigionia
pericolosi. Se la meritava la libertà, solo, avrebbe voluto
essere con lui
mentre la godeva…
Il terzo giorno
sentì un gran baccano in uno dei
corridoi. Si avviò svogliatamente per capire di cosa si
trattasse e il suo
cuore perse un battito, colpito da una scintilla di gioia e dolore
insieme,
quando vide due robuste guardie trascinare un Tony decisamente
malridotto verso
una delle celle.
Il suo bel viso
era livido e insanguinato, perdeva
sangue dal naso e aveva un labbro spaccato. Sospettava che il suo corpo
non
fosse messo meglio. Il dottor Odinson seguiva le guardie impartendo
loro
ordini, e ignorando del tutto Tony, che, con un ghigno da pazzo,
mostrava denti
bianchi rigati di rosso dando tutta l’impressione di avere la
testa da un’altra
parte.
Steve gli corse
incontro e, facendo del suo meglio per
evitare le guardie, lo abbracciò.
-Tony!
Oh, Tony
stai bene?- Poi, rivolto ai
due uomini, -Che cosa gli avete fatto? Giuro
che se siete stati voi a ridurlo così vi faccio licenziare,
avete capito? Ve lo
giuro!-
Tony
sbuffò delle risate soffocate guardando il dottor
Odinson diventare scarlatto mentre sollevava Steve di peso e lo
allontanava da
lui.
-Portatelo in
isolamento!- ordinò.
Le guardie
obbedirono, e lo trascinarono con forza
verso la cella.
Steve
cercò di divincolarsi dalla presa di Thor. Quando
riuscì a liberare un braccio lo allungò verso
Tony. –Aspettate, non potete
farlo!-
-Steve, adesso
basta!- gridò Thor, il suo volto una
maschera d’ira.
Il ragazzo si
mostrò oltraggiato. –Quei tizi
rovineranno il mio lavoro, demoliranno tutti i progressi che ho fatto
finora.
Io non posso permettere che…-
Thor lo
agguantò per le braccia e lo scosse con una
forza di cui Steve non lo credeva capace.
-Gli hai dato tu
la radio, vero? Adesso ne sono sicuro.
L’ha usata per costruirsi una chiave elettronica, come
l’altra volta, ed è
fuggito. Fortunatamente è stato catturato prima che potesse
riprendere possesso
della sua armatura. Anzi, sai cosa aveva in mente di fare? Iniettarsi
un
programma sperimentale di potenziamento fisico di nome Extremis.
L’hanno
bloccato nel laboratorio della sua ex collega Maya Hansen. E tu
l’hai aiutato!-
Steve era fuori
di sé. –Lui non è cattivo! Non puoi
sapere cosa ha passato!-
Thor
soffiò dalle narici la sua esasperazione. –Ti ha
manipolato, Steve, possibile che tu non lo capisca?! Dalla sua bocca
escono
solo menzogne, non sei il primo che si lascia gabbare. Scommetto che ti
ha
raccontato del suo padre alcolista, e di sua madre che fuggiva
sempre… Oh, e tu
sembri proprio il tipo di medico da commuoversi al sentire storie di
abusi sui
bambini!-
Il biondo
spalancò gli occhi, sconvolto. –Come…
Come lo
sai?-
Thor aveva sul
viso un’espressione di trionfo senza
gioia.
-E’
quello che ha detto a tutti quelli che l’hanno
visitato. Mai una volta che venisse fuori la verità, ha
inventato talmente
tante storie che neppure lui ricorda più quale sia quella
vera. E’ pazzo, ed è
pericoloso perché ha il quoziente intellettivo di un genio e
lo usa per fare
danni. Ama manipolare gli altri, e tu non fai eccezione.-
Steve si
lasciò cadere contro un muro, scivolando a
terra con la testa tra le mani.
-Ascolta Rogers-
Era la prima volta che lo chiamava
Rogers. Steve sapeva che erano in arrivo dei guai. –Vista la
tua reazione posso
immaginare cosa sia successo tra te e Stark, ma non voglio metterti
ancora più nei
guai con la commissione disciplinare. Però una sospensione
non te la leva
nessuno. Fai conto di avere ricevuto un avvertimento, non
accadrà una seconda
volta.-
Thor
girò sui tacchi e fece per andarsene. –Tutto
questo proprio da te… Non me lo sarei mai aspettato,
Rogers.-
Al sentire
quelle parole, Steve avvertì un moto di
fastidio invadergli la mente.
Che diritto
aveva quell’uomo di giudicarlo? D’accordo,
aveva sbagliato, si era lasciato turlupinare come il novellino che era,
scusa tanto se non sono perfetto come mi
avevi immaginato!
Cominciò
a sentire una rabbia crescente montargli
dentro, condita con appena una spruzzata di tristezza.
All’improvviso
si tirò in piedi, e corse verso la cella
di isolamento.
-Fatemi passare,
sono il suo psichiatra!- ordinò Steve
alle due guardie che si apprestavano a chiudere la porta metallica
della cella
di isolamento, dando sfoggio di un’autorità che
non aveva.
Questi gli
lasciarono aprire la porta con la sua
tessera magnetica, e Steve, appena vide Tony seduto sulla branda, lo
prese per
il bavero e lo tirò su alla sua altezza, scuotendolo.
-Ouch!
Anch’io sono contento di vederti, ma guarda che
sono leggermente ferito- ridacchiò Stark.
-Mi hai
mentito!- gridò Steve. –Non hai fatto altro che
rifilarmi balle, dal primo momento in cui mi hai visto! Tutte quelle
cose su
tuo padre, e su…-
-Mio padre era
una persona meravigliosa- lo interruppe
Tony con calma, alzando le mani in segno di comica resa.
-Così come mia madre.
Ogni giorno chiedo loro scusa per tutte queste stronzate che mi
invento, ma
caspita, avresti dovuto vedere la tua faccia!-
Steve strinse i
denti e ringhiò irritato.
-E tutti gli
altri? Hai veramente ammazzato tutta
quella gente perché sei stato costretto o solo per il puro
piacere di farlo?-
-In mia
difesa…- cominciò Tony, mostrandosi vagamente
offeso. –Non mi diverte fare del male agli altri, ma quando
uno se lo merita,
ehi! Chi sono io per negargli la giusta punizione? Hammer e Killian
erano
entrambi miei rivali in affari, volevano farmi ammazzare per vecchi e
stupidi
rancori personali. E Vanko lavorava per uno di loro, ha contribuito a
creare
un’armatura simile alla mia che mi ha quasi ucciso, ma questo
nessuno lo sa,
perché sono stati tutti molto più prudenti di me.
Io invece sono sempre stato
un amante delle luci della ribalta.-
Steve ascoltava
in tralice.
-E Stane? Quello
che a tuo dire ti ha fatto da padre
quando sono morti i tuoi?-
Tony fece una
smorfia disgustata. –Ma quale padre?!
Quel bastardo ha giocato con la mia fiducia spremendomi come un limone
per
anni, finché alla fine ha deciso che non gli servivo
più. Il mio rapimento in
Afghanistan? L’ha organizzato lui! Mi sono ritrovato con un
grappolo di schegge
di mina nel cuore e un magnete nel torace per tenerle sotto controllo.
E quando
sono riuscito a fuggire, Stane me l’ha strappato dal petto!
Ha cercato di
uccidermi di nuovo, così io ho fatto fuori lui.-
I suoi occhi si
colorarono di una sfumatura pericolosa
che Steve, odiava ammetterlo, trovava pericolosamente eccitante. La
voce roca e
bassa disse: -Nessuno… Nessuno può permettersi di
fregare Tony Stark. Killian è
stato l’ultimo a provarci, e adesso tutto quello che resta di
lui è un
mucchietto di cenere da infilare sotto il tappeto.-
Avrebbe potuto
fingere di nuovo, ma il sesto senso di
Steve gli diceva che quella storia era molto più impersonale
e cruda per non
essere vera. Al sentire quelle parole, il biondo si
ammorbidì un pochino, non
sapeva neanche lui perché. Si odiava per questo, ma la parte
di lui più
irrazionale, quella che Tony aveva risvegliato, si sentiva in dovere di
giustificarlo: in fondo aveva ucciso solo gente che aveva cercato di
fare del
male prima a lui.
Se la rabbia si
era assopita il dolore restava. Gli
occhi azzurri del ragazzo si inumidirono di lacrime.
-Per te sono
stato solo un altro deficiente da
raggirare. Tutto quello che è successo tra noi…
non era vero niente.-
Tony
allungò una mano sulla guancia di Steve, il suo
volto insanguinato sorrideva un sorriso sbilenco.
-Oh,
dài. Non volevo farti piangere.-
-Sei un
mostro…- bisbigliò Steve sconfitto.
-Solo
perché decido di farmi giustizia da solo non
significa necessariamente che sia cattivo. E poi con te, Steve, devo
ammettere
che fingere mi riusciva difficile. Te l’ho già
detto: io ti vedo, vedo come sei
dentro. Non sei adatto per condurre questa vita, così
ordinata, così metodica… Tu
sei uno che muore dalla voglia di fare follie, e non puoi dire che non
ti sia
piaciuto tutte le volte in cui siamo stati insieme.-
Il moro
avvicinò per quanto possibile il viso a quello
del giovane dottore, e quando si leccò le labbra Steve
annusò l’odore del
sangue che spargeva.
-L’ho
notato, sai, che a volte lasciavi la porta
socchiusa mentre scopavamo, come se volessi sfidare gli altri a
fermarci. Tu
spasimi per la vita d’azione senza regole e per il brivido
del proibito, ed io
ti posso dare tutto questo, anzi… Voglio
condividere tutto questo con te. Perché credi che ti avrei
scelto, altrimenti?
Perché tu e non Odinson, o qualsiasi altro coglione che
lavora qui?-
-Mi
hai… scelto?- mormorò. Il moro fece un verso
affermativo di gola.
-Perché
tu sei speciale, sei come me. Mi hai parlato
delle angherie che hai dovuto subire da ragazzino, dei tuoi superiori
che ti
rompono le palle perché tu concluda qualcosa con me, di
tutto ciò che va storto
nel mondo e che nessuno riesce a fermare. Io ho voluto te, ma se tu non
desideri
me ti lascerò in pace, promesso; ti darò la
possibilità di scegliere: puoi
lasciarti alle spalle tutto questo, Steve, devi solo dire una parola e
ci
trasformeremo nella coppia che scatenerà il caos in tutto
questo mondo
sbagliato e preordinato… Dì che vuoi stare con
me. Dì che sei il mio Steve.-
Le mani di Stark
erano salite ai polsi del ragazzo,
massaggiandone la pelle. La presa di Steve si allentò, come
se le parole di
quell’uomo l’avessero sciolta. Le due parti di
Steve, ormai perennemente in
conflitto tra loro, lottavano furiosamente dentro di lui.
Una cosa, Steve
non era riuscito a soffocare dopo aver
scoperto la verità su Tony: l’amore per lui.
Quegli occhi che
lo accarezzavano, quelle parole che lo
adulavano e quelle mani che lo toccavano, erano quanto di
più giusto esistesse
a questo mondo. Pensò alla lavata di capo pazzesca che
avrebbe ricevuto di lì a
poco dai suoi capi, alla delusione di tutti perché non era
più il bravo
soldatino che loro pensavano di avere assunto, e gli risultò
insopportabile.
-Davvero vuoi
che sia il tuo Steve?- domandò, con una
voce debole e incerta, che aveva bisogno del cemento delle parole
zuccherose di
Tony per stare in piedi.
L’altro
sorrise un sorriso follemente sincero.
-Io e te insieme
capovolgeremo il mondo.-
La porta di
metallo si aprì con un clangore assordante,
e una guardia fece irruzione. –Dottor Rogers, mi dispiace ma
il dottor Odinson
dice che lei non è autorizzato a stare qui. Devo chiederle
di uscire.-
Steve
seguì meccanicamente la guardia, e lasciò Tony e
il suo sorriso nella cella di isolamento. Ma, invece di dirigersi verso
l’ufficio del personale, dove sicuramente Thor lo aspettava
con la commissione,
uscì dall’ospedale e andò a casa.
________________________________
Prese la pistola
che teneva accuratamente riposta in
cassaforte. Pensandoci bene trovò molto stupido avere
un’arma da difesa e
tenerla smontata e scarica dentro una scatola a combinazione, ma ora
avrebbe
risolto il problema. La montò e la riempì di
proiettili. Non contava di sparare
a nessuno, ma giusto in caso…
Uscì
in strada e salì in sella alla sua moto, avviando
il motore e dirigendosi verso l’ospedale penitenziario
Shield.
A
metà strada si fermò davanti a un negozio di
costumi
teatrali. Non seppe neppure lui perché, ma il suo piano gli
sembrò molto più
elettrizzante se l’avesse attuato in costume. Come diceva
Tony, del resto, “Sentiti
libero di fare qualche follia.”
Scese dalla moto
e ruppe la vetrina con il calcio della
pistola. Nessun allarme, fortunatamente; si dedicò alla
ricerca di ciò di cui aveva
bisogno. Si avvicinava la Festa dell’Indipendenza, e
così optò per un
abbigliamento patriottico. Agguantò una tuta azzurra di
spandex con una stella
sul petto e una fascia a strisce rosse e bianche, stivali rossi e un
cappuccio
che gli copriva tutta la faccia.
Si prese il suo
tempo per indossarla.
Tony era perso
nei suoi pensieri. Pensava a Steve, a
quanto gli mancasse, a quanto erano stati bene insieme, e alle grandi
cose che
avrebbero potuto fare se fossero stati ancora
insieme. Stava andando tutto così bene e quegli stupidi
idioti di medici
avevano osato separarli, far credere a Steve che lui fosse solo un
bastardo
manipolatore.
Certo, ammetteva
di essere stato un po’ stronzo a
prenderlo in giro, ma ammettiamolo, era stato divertente! Il ragazzo
aveva
bisogno che qualcuno lo iniziasse alla cattiveria del mondo, come a suo
tempo
aveva fatto Obadiah con lui. Forse, se il suo cuore non fosse stato
masticato e
risputato da quel verme e se non avesse subito le torture a cui lo
avevano
sottoposto e che lo facevano ancora gridare di notte, non sarebbe mai
diventato
un pazzo criminale. Un po’ eccentrico magari sarebbe rimasto,
ma non ai livelli
da decidere di uccidere un uomo come un insetto, neppure se questo
minacciava
la sua vita. Chissà…
Steve lo avrebbe
capito, ne era sicuro.
Sentì
la porta vibrare e poi aprirsi, lasciando entrare
uno spicchio di luce. Sollevò la testa sorpreso.
Sulla soglia si
stagliò una sagoma alta e scura. Quando
Tony la mise a fuoco lasciò scivolare gli occhi su un corpo
muscoloso e ben
fatto, stretto in una tuta aderente azzurra con una fascia alla vita e
una
maschera a coprigli tutta la testa, dove la lettera A campeggiava
grande e
bianca. Il moro ammiccò quando vide gli occhi azzurri e le
labbra rosa
sorridergli sotto quel bizzarro costume.
-Bene
bene…- disse Tony divertito. –Mi ricordi qualcuno
che conosco e che vorrei avere al mio fianco, ma devo ammettere che tu
sei
molto meglio.-
Steve gli tese
una mano, e l’uomo l’afferrò.
-Presto- disse
il biondo, -Prima che si accorgano che
ho manomesso le telecamere.-
-E’
andata persino meglio di quanto mi aspettassi-
aggiunse Tony sorridente. Strinse la mano di Steve e si avviarono di
corsa
verso l’uscita.
Incurante del
fatto di poter essere sentito, Tony
scoppiò a ridere, e Steve si lasciò trascinare,
correndo con lui mano nella
mano e ridendo insieme come due ragazzini.
Una volta
raggiunta la sua moto, Steve balzò in sella,
e Tony gli si accomodò dietro abbracciandolo alla vita.
Piegandosi per
lasciargli un bacio leggero sulla guancia
che scatenò brividi nel corpo dell’altro,
sussurrò: -Stevie, sei il migliore!-
Il rombo del
motore fece del suo meglio per nascondere
l’urlo delle sirene.
N.d.A.
E’
da una vita che non mi faccio vedere, ma una persona ha pur bisogno di
riordinare le idee e far fronte a impegni più grandi di lei,
e del resto ci
sono tipi che ci hanno messo anni a farlo. Prossimamente conto di
concludere
finalmente anche le mie storie in sospeso.
Riguardo
alla fic, probabilmente vi sarete accorti che ho guardato troppi
programmi dedicati
a Batman, o almeno lo sapranno quelli che conoscono bene le storie che
ne
riguardano i villains. Vi dirò che il Joker e Harley Quinn
non sono proprio i
miei cattivi preferiti di Batman, ma la situazione mi piaceva, poteva
essere
adattata. In più, dopo i primi assaggi del telefilm Gotham
(che per ora non
posso più vedere perché non ho la tv a pagamento)
non ho fatto altro che
pensare a questo universo, quindi era quasi matematico che scrivessi
qualcosa
del genere.
Spero
di tornare a scrivere più spesso, o almeno di produrre
qualcosa che mi nasce da
dentro, qualcosa che posso buttare giù in una serata sotto
la spinta dell’ispirazione.
Un
saluto particolare a Naima, che spero abbia gradito questo regalino che
ha
mixato in maniera (ammettiamolo) forse un po’ kitsch, due
universi di
supereroi.
Alla
prossima ;)