Lo aveva visto qualche giorno prima mentre girovagava per la nave alla ricerca di un po’ di pace. Ne era stato subito attratto ma non aveva potuto avvicinarvisi.
Quella era una dote di lui che in pochi conoscevano; persino il suo equipaggio, esclusi i suoi uomini più fidati, ne erano all’oscuro.
Aveva atteso pazientemente il momento propizio e finalmente era giunto.
Quella sera avevano festeggiato, quale ne fosse la ragione per lui era un mistero, e ora, ad alcool terminato, erano crollati tutti addormentati nei propri letti. Nessuno lo avrebbe sentito e nessuno lo avrebbe disturbato.
Trafalgar Law entrò nella stanza che in quegli ultimi giorni aveva tanto agognato di raggiungere.
Non sentì il bisogno di accendere alcuna luce o candela. Il chiaro di luna che entrava dalle finestre inondando la stanza era più che sufficiente: si rifletteva sulla superficie lucida e nera di legno del pianoforte.
Quella visione gli diede l’ispirazione.
Si sedette allo sgabello e prima di prendere a suonare si perse qualche attimo nel contemplare la tastiera. Era da molto che non lo faceva. Chissà se ne era ancora in grado.
Appoggiò le dita sui tasti e le sue mani cominciarono a muoversi su quel misto di bianco e nero. Era una danza, una danza che non travolgeva solo le sue mani ma tutto sé stesso: il suo cuore, la sua mente, il suo corpo.
Preso com’era dalla musica non si rese conto subito della presenza di qualcun altro nella stanza.
Quando se ne accorse pestò malamente le mani sui tasti, producendo un suono stonato per esprimere tutto il suo disappunto per quell’intrusione.
Si voltò verso l’ingresso e trovò l’archeologa appoggiata allo stipite della porta che lo osservava con aria malinconica ma allo stesso tempo rilassata.
“Scusami, non volevo disturbarti” disse sottovoce per non rompere la magica atmosfera che si era creata in quella stanza.
Non si sarebbe mai aspettata che Law, il chirurgo della morte, sapesse anche suonare il pianoforte; e in maniera così elegante per giunta.
Appena aveva sentito la melodia ne era stata attratta e non aveva potuto fare a meno di raggiungerne la fonte. Era diversa dalla musica che Brook suonava solitamente.
E ora le dispiaceva essersi avvicinata così tanto perché lui si era arrestato e la guardava con durezza e il grigio dei suoi occhi si mischiava con l’argento della luna che riempiva la stanza.
“Ti prego, continua” tentò lei.
Non ne conosceva il motivo ma quella musica la riportava indietro nel tempo, a quando era una bambina, alla sua isola d’origine: Ohara.
Il ragazzo la fissò ancora per qualche attimo e, senza dire una parola, si voltò nuovamente verso la tastiera e riprese a suonare dalla nota con cui si era interrotto.
Sapeva quanto Nico Robin fosse discreta e sapeva che non avrebbe fatto parola con nessuno della sua abilità.
La donna rimase ad ascoltarlo per tutto il tempo, nella stessa posizione, con gli occhi socchiusi mentre si faceva cullare da quella dolce melodia.
 

Angolo dell’autore
“Clair de lune” è un brano per pianoforte di Debussy che consiglio caldamente a tutti di ascoltare ;)
Quest’idea mi è venuta in mente mentre pensavo al fascino dei musicisti perciò ho pensato: perché non far suonare uno strumento a Law? E perché non proprio il mio preferito? Giusto per dare al mio cuoricino il definitivo colpo di grazia!! (dai su, se conoscete un ragazzo così presentatemelo immediatamente che mi sposo anche adesso!!!!)
E ho affiancato a lui Robin per variare un po’ dalla solita Nami e per sottolineare l’affinità intellettuale che i due hanno (che forse solo io vedo, boh…)
Spero che qualcosa di questa storia no sense vi sia piaciuta J