Tra le dita umide e già raggrinzite stringeva un petalo. Era arrivata a prendere il bouquet, ironia della sorte, ma aveva deciso di portarsi nella vasca solo un petalo bianco, sottile e intensamente profumato. Che si fottano, quei maledetti fiori, lasciati sul comodino della sua stanza d'albergo; che si fottano la sposa e anche lui; che si fotta quella festa in cui si erano divertiti tutti. Lasciò cadere il petalo sulla superficie grigiastra dell'acqua insaponata e lo osservò vagare come una piccola zattera su un mare triste e senza isole, senza fondali, senza vita e profumato al bagnoschiuma cocco e mandorle, con i grandi, spessi faraglioni delle sue gambe che emergevano. Fu lì che la nave naufragò, spinta giù da un soffio di vento odorante di champagne e torta nuziale. Sorrise quando naufragò, amaramente.
Nella stanza accanto già i due sposi si davano alla pazza gioia. Le urla di lei erano alte e lui sospirava affannosamente: immaginava la sua testa riccia e cupa nell'incavo di quel collo pallido e le sue gambe robuste contro i le cosce magre. Che tacessero.
Afferrò la scatolina gialla e azzurra di Mialin e prese una pillola.
Lei ridacchiava e lui sospirava.
Un'altra ancora. E poi eran già tre. Poi quattro. E il primo blister si svuotava.
Che tacessero, Dio mio.
I loro gemiti erano ormai sospiri ovattati ma continuavano a bucarle le orecchie.
Una, poi due e poi tre dal secondo blister. Anche questo si svuotava finché anch'esso divenne una nave, una piccola nave di carta argentata e plastica sottile sull'acqua della vasca, senza più faraglioni perché affondati, scrosciante di un terribile silenzio. La sua mente era in totale tempesta e il buio dentro i suoi occhi era più fitto che mai. Ma forse non si era ancora trasformata in schiuma, in simbiosi con la vasca, e il suo corpo continuava ad ingombrare la vasca come un grande relitto che emerge dagli abissi.