Crossover
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Autore: Registe    29/10/2014    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 18 - Lato Oscuro





Eomer e il suo cavallo




[…] e rimangono solo da citare i vajkal, che ormai tutti noi conosciamo con il nome di Nebbie. Poco c’è da scrivere di questa razza meschina et infida, a cui anche i vermi ed i pesci non s’accostano. La natura li ha resi parassiti, pericolosi per qualsiasi forma di vita. Ma anche le Nebbie si rifiutano di toccare gli esseri umani, che con la loro sozzura, viltà ed inferiorità ripugnano persino queste creature.
da “Compendio di Cephiro” del nobile Sharan del casato di Ixial, primo Arcivescovo Stregone della famiglia demoniaca, sotto il regno del Grande Satana Eluyne.





Narratore: “Ehi, Registe, Registe! Posso entrare in scena, posso? Posso? Posso? Posso?”
Registe: “Narratore, il copione non prevede la comparsa di Sephiroth in questo capitolo!”
Narratore: “Ma Registe, siete VOI a scrivere il copione, no? Quindi potrete benissimo prendere carta, penna o Microsoft Word e adattarlo un po’! Alla gente piace vedere l’Angelo da Un’Ala Sola!”
Regista: “Quelli del Centro Igiene Mentale tra quanto arrivano?”
Regista: “Non prima di una decina di capitoli, o almeno così mi hanno detto al telefono”.
Regista: “La mia pazienza non durerà dieci capitoli …”


L’umore era diverso nel Baan Palace, in quegli stessi corridoi che poco tempo prima erano invasi dal silenzio e dalla cicatrice della profonda sconfitta subita a Coruscant. I visi dei demoni in quei giorni avevano acquistato il colore della speranza, e Hadler rivolse parecchi cenni d’approvazione alla sua gente.
La notizia della schiacciante vittoria sul pianeta Geonosis si era diffusa nel loro palazzo sin da prima del loro arrivo –probabilmente la lingua di Killvearn non conosceva limiti di spazio o tempo- ed era bastata per risvegliare il fuoco che la famiglia demoniaca credeva di aver sopito nei propri cuori. E dopo Geonosis c’era stato Zhann. E Pantolomin, nel settore di Dolomar. Ed i due mondi gemelli, Pakrik maggiore e Pakrik minore, con i loro fertili campi che erano avvampati sotto la loro magia. Hadler non aveva mai raccolto vittorie più semplici, nemmeno quando doveva cercare la Resistenza guidata dalla principessa Leona, quando i loro nemici non erano gigantesche macchine ma semplici esseri umani. L’Impero Galattico doveva aver capito di non doverli sottovalutare, perché a detta di Baran le loro astronavi si stavano ritirando la Cephiro ed avevano abbandonato la linea offensiva dei primi giorni.
C’era entusiasmo nella stessa magia. Gli sarebbe piaciuto poter dire che quelle vittorie erano opera sua, ma non aveva intenzione di vantarsi di qualcosa che non gli apparteneva. Gli bastava vedere i giovani demoni felici e pronti alla battaglia.
Il primo meglio apparteneva a Hyunkel. O a quel Sephiroth.
Il potere distruttivo di quell’angelo sembrava non avere fine; gli bastavano un paio di fendenti per spaccare il versante di una montagna, e quando mormorava alle ombre riusciva a scatenare un’energia selvaggia, incredibile, oltre ogni controllo. Hadler non aveva mai sentito la magia nel proprio sangue risuonare così tanto, nemmeno quando si trovava in presenza del Grande Satana; su quei pianeti lontani aveva assistito al potere devastante di quello spirito e lo aveva seguito nella scia di sangue e rottami che lo accompagnavano. Hyunkel usciva da quelle trasformazioni sempre più estasiato, ormai impaziente di combattere ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, la mente presa dalla voglia di schiacciare l’Impero Galattico.
Ha avuto la sua vendetta.
Si avvicinò al portone che conduceva alla sala del trono, e le guardie lo fecero passare. Aveva lasciato Hyunkel sul balcone di atterraggio delle viverne, lasciandogli assaporare la sua popolarità; sapeva che persino i licantropi erano giunti al palazzo reale per vedere il prodigio dell’angelo dall’enorme lama, e di sicuro il suo amico sarebbe stato più utile in mezzo ai demoni che non all’interrogatorio a cui si stava apprestando ad andare.
Perché il secondo merito lo dovevano ad un inaspettato colpo di fortuna.
“Bene arrivato, Hadler”.
Il demone si inginocchiò davanti al suo signore. Baran era già lì, nel suo angolo preferito; Zaboera era in piedi alla sinistra del Grande Satana, e stava riordinando alcuni documenti. Il signore della famiglia demoniaca era sul trono, e le sue rughe millenarie erano solcate da un’espressione severa ma allo stesso tempo rilassata. “La tua gloria e quella di Hyunkel non conosco limiti, e me ne compiaccio”.
“Mio signore, lei sa bene che il merito non è mio”.
“Il contributo del Puzzle Millenario e del suo spirito è innegabile, ma non sminuire il tempo che hai trascorso sul campo di battaglia al suo fianco. Stiamo colpendo l’Impero Galattico e lo abbiamo costretto ad indietreggiare, e questo fa onore a tutti voi che siete scesi sul campo”.
Se Baran aveva qualche pensiero, lo nascose bene dentro di sé. Il demone sapeva che le astronavi imperiali stavano lentamente cedendo il terreno che avevano conquistato, e molte di esse avevano lasciato il pianeta per non fare più ritorno, dirette probabilmente ad assistere alcuni pianeti a rischio. I draghi del Choryugundan di Baran avevano subito diverse perdite, e il demone sapeva che questo aveva messo il Cavaliere del Drago in umore poco favorevole.
E tutto questo per le parole di una singola persona.
Il viceammiraglio Kratas, il patetico umano che avevano catturato tra i relitti di un’astronave abbattuta, era in un angolo della stanza, con le mani legate. I guardiani delle prigioni lo avevano trattato molto meglio di quanto meritasse un umano della sua risma, e l’unico segno dei giorni trascorsi nelle loro celle era la divisa dismessa e lacera. E la barba: lo aveva sempre sorpreso la velocità con cui questa cresceva sui menti degli umani; il Grande Satana aveva impiegato qualche millennio per portarla a metà del petto. Il viceammiraglio non aveva perso il suo atteggiamento sottomesso: non strisciava più per terra come il giorno della sua cattura, ma la testa era incassata nelle spalle sottili e non aveva l’ardire di sollevare gli occhi dalla punta dei suoi stivali.
“Le informazioni di questo prigioniero si sono dimostrate veritiere, mio signore. Le navi da guerra imperiali erano ancorate su Pakrik maggiore, ed il pianeta minore aveva delle difese irrisorie persino per me. I loro campi continueranno a bruciare ancora per giorni …”
“E quell’installazione di depurazione di cui parlava l’umano?”
“Le coordinate erano precise. Di quell’installazione resta solo qualche lamiera”.
Il sovrano si passò la mano nella barba con un’espressione soddisfatta. Hadler non interruppe il suo signore, ed assaporò i secondi di silenzio interrotti solo dal grattare della penna di Zaboera su una pergamena e dal respiro agitato del prigioniero.
Il Grande Satana tamburellò le dita sul bracciolo del trono. “Geonosis, Zhann e Pantolomin. I due Pakrik. Delle vittorie sorprendenti. È incredibile rendersi conto che sono le informazioni a vincere la guerra, e non sempre il valore dei soldati. Ad aver catturato questo soldato prima, forse molte vite di demoni sarebbero state salvate nella battaglia di Coruscant” mormorò, e Hadler non trattenne un sospiro. Nessuna vittoria sarebbe riuscita a cancellare quella cicatrice. “Lo spirito che Hyunkel controlla è potente, ma non posso ignorare che abbia sconfitto avversari impreparati, colpendo nei punti più scoperti del loro sistema”.
Il demone minore sapeva di cosa stava parlando. Avevano sempre colpito di sorpresa, sfruttando l’unica, vera debolezza dell’Impero Galattico. La loro potente mutaforma -Zam, pensò il demone, si chiama Zam- non poteva essere ovunque. L’unico sistema di teletrasporto degli umani erano degli oggetti detti Pietre della Sapienza e, come aveva ripetuto migliaia di volte il viceammiraglio Kratas, queste raramente venivano affidate alla guerriera. Erano usate principalmente durante le battaglie aeree come quelle sostenute contro i draghi di Baran, quindi i movimenti degli umani erano limitati. Il demone minore non aveva idea di cosa sarebbe successo se quella donna si fosse scontrata con Sephiroth. Né aveva molta intenzione di scoprirlo.
Un rapido movimento di occhi sotto il diadema dorato gli fece capire che anche il Cavaliere del Drago era del suo stesso parere.
“Abbiamo attaccato obiettivi strategici, e questo li ha costretti a ritirarsi dal nostro mondo. Ma non sarebbe saggio continuare l’intera guerra in questo modo: noi abbiamo un solo pianeta, loro oltre un migliaio. A lungo andare perderemo lo stesso, Puzzle Millenario o meno” continuò il Grande Satana. “Direi che è il momento di programmare la seconda parte della nostra battaglia … ed è qui che il viceammiraglio Kratas potrà guadagnarsi la sua libertà. Ieri sera abbiamo avuto un colloquio decisamente interessante …”
“G-grande Satana, allora davvero potrò …”
“Non do la mia parola due volte, umano”.
La voce del loro signore bloccò qualsiasi tentativo di protesta del soldato. Hadler trovava snervante quella servilità senza limiti.
“L’unico modo per terminare questa guerra ed avere di nuovo Mistobaan è colpire direttamente l’Imperatore Palpatine. Senza di lui gli umani cadranno nel panico, e come puntualmente si addice alla loro razza inferiore inizieranno ad uccidersi tra loro per prendere il trono vacante e non si occuperanno più di noi. Come abbiamo scoperto in questa guerra è che l’Imperatore non è un bersaglio facile. Affatto” disse, ed al centro della stanza il proiettore olografico che avevano preso ai loro nemici si accese. Il Grande Satana doveva aver già meditato a lungo su questa strategia, perché l’aria sfarfallante si riempì di scuro, e nel cielo nero comparve l’immagine di una sfera enorme, grigia, fredda. Si muoveva pigramente nello spazio come una piccola luna. “Il nostro prossimo obiettivo sarà la Morte Nera. La stazione spaziale che l’Imperatore usa come base, e che muovendosi incessantemente non può essere raggiunta con le Pietre Dimensionali. I draghi non possono di certo oltrepassare l’atmosfera pur di raggiungerla, ed anche se potessero respirare nel vuoto non credo che sarebbero in grado di distruggere dall’esterno un’astronave che è grande quasi quanto un pianeta. Anche se non penso che all’interno ci possa essere qualcosa in grado di resisterci …”
Hadler osservò la figura metallica. Aveva visto di persona quanto fossero enormi le astronavi degli umani, ma nessuna di quelle era minimamente paragonata alla superficie della Morte Nera, alle sue torrette corazzate e migliaia di diavolerie che non aveva mai visto usare in campo aperto. Un simile assetto da guerra era concepibile solo se vi fosse stato qualcosa di incredibilmente prezioso e allo stesso tempo vulnerabile all’interno.
“Come possiamo raggiungere quella roccaforte, Grande Satana? Nemmeno Killvearn è mai riuscito a …”
“Killvearn non ha come prigioniero un umano non esattamente desideroso di finire il pasto ai draghi di Baran” sussurrò, e il viceammiraglio sbiancò una seconda volta, cercando di non guardare la figura immobile che reggeva sulle spalle la Spada del Drago Diabolico. Per il nervosismo si strinse le mani una con l’altra, e poi ne strinse una contro l’orecchio sinistro fin quasi a renderlo bianco. “Come mi ha generosamente suggerito il viceammiraglio Kratas, nessuna fortezza è inespugnabile finché dentro vi sono degli esseri viventi incapaci di procurarsi cibo e materie prime da soli … e per quanto l’Imperatore Palpatine possa celare al meglio le sue fonti, il nostro prigioniero mi ha suggerito una decina di luoghi dove le navi imperiali si fermano per rifornirsi. Salire su una di quelle astronavi potrebbe consegnarci le chiavi per raggiungere il cuore della Morte Nera”.
“E un nostro corpo d’armata riuscirà ad entrare in una di quelle navi?”
Il Grande Satana si lasciò sfuggire un sorriso. “Veramente stavo pensando di mandare Baran …”




Mara respirò a pieni polmoni l’umidità di quel posto. Davanti a loro il terreno era pianeggiante, e la foresta si estendeva a perdita d’occhio. L’aria era immobile. Attraversarono uno spazio aperto e si trovarono ai margini della palude che stavano cercando.
“Ci siamo … fate attenzione a dove mettete i piedi” disse l’uomo che rispondeva al nome di Auron. Il suo vestito scarlatto era la sola nota di colore in quel posto nonostante le macchie di fango, ed era l’unico punto di riferimento in quel posto tutto uguale. Mu chiudeva la fila: la Sith aveva chiesto al sacerdote dai capelli viola cosa lo spingesse in quella missione di salvataggio dove non erano necessarie le sue competenze, ma lui le aveva risposto con un sorriso e con quel suo “È giusto così” che non ammetteva repliche nonostante l’umiltà delle parole.
Provò ad asciugarsi con la manica il velo d’umidità che le copriva il viso, ma anche i suoi vestiti erano bagnati.
L’unione tra l’Alleanza e la Resistenza si era dimostrata più forte del previsto: dopo la discussione riguardante Zachar, la principessa Leia e la principessa Leona avevano scoperto di aver molti più punti in comune di quanto pensassero, e non appena la giovane leader della Resistenza aveva mostrato una mappa del suo mondo con i villaggi bisognosi d’aiuto l’altra donna aveva organizzato subito diversi gruppi di soccorso. L’entusiasmo dei Ribelli era salito alle stelle. Aragorn era partito con i membri della squadra SG al gran completo per valutare le condizioni della città di Papunika insieme al mago Matoriv ed al suo apprendista, mentre Gandalf era partito con una giovane guerriera dai capelli rosa verso sud, dove una cittadella portuale di cui non ricordava il nome stava subendo un attacco da alcuni draghi marini. Mara avrebbe preferito seguire Legolas: il giovane elfo si era offerto volontario per una ricognizione ad ampio spettro alla ricerca del luogo dove Killvearn avrebbe potuto portare Valygar e suo zio, ma voleva anche trascorrere un po’ di tempo con Mu. Dopo tre anni dalle disgrazie nel Castello dell’Oblio aveva creduto che non lo avrebbe mai rivisto. E non avrebbe mai avuto la possibilità di scusarsi per quel pugno dato nel pieno della furia.
Erano giunti al villaggio fluviale di Nail quella stessa mattina, e lo spettacolo che si era parato davanti ai suoi occhi era stato assurdo; l’imbarco che doveva essere stato la principale fonte di sussistenza per quella gente era stato carbonizzato dai turbolaser imperiali, e poco distante, a valle del fiume, le acque erano rallentate da una diga nera ancora fumante. Mu non aveva nascosto le lacrime quando la massa scura si era rivelata un cumulo di diverse centinaia di cadaveri trasportati lì dalla corrente, e persino la stoica faccia di Auron aveva abbandonato la sua espressione marmorea.
I loro occhi si erano spostati da un punto all’altro di quel posto, scoprendo case divelte e fori sulla base delle palafitte che mettevano alla prova l’equilibrio del cavallo di Eomer. Il soldato non avrebbe rinunciato al suo amico a quattro zampe nemmeno sotto tortura. C’erano uomini e donne di ogni età, la maggior parte feriti. C’erano bambini che dormivano raggomitolati davanti alle porte delle case insieme ai cani, e quelle che sembravano bandiere e tende colorate non erano altro che stracci che pendevano sui carretti di alcuni venditori ambulanti. Il fumo si univa all’umidità del posto, rendendo tutto più acre. Mara non poteva vedere tutto, naturalmente, ma la paura si mescolava alla Forza di quel luogo creando un muro di dolore contro il quale faticava a camminare.
Non erano passati nemmeno venti minuti da quando erano entrati in quell’inferno che molti sguardi erano rivolti a Mu.
“Il sacerdote …” avevano mormorato delle donne sdentate. “Il sacerdote del malaugurio …”
“Ma che dite!” aveva esclamato un uomo che si reggeva a stento su una stampella improvvisata. “Gli dèi ci hanno puniti per aver venerato il Grande Satana!”
Mu passò oltre, scivolando rapidamente tra le ombre del villaggio a testa bassa. Camminarono fino ad una piazza, dove l’odore di sangue ed escrementi si fece ancora più forte; decine di persone erano ammassate davanti a quello che rimaneva di una statua massiccia, un colosso che doveva rappresentare una qualche figura seduta su un trono e di cui si vedevano soltanto i piedi ed i lembi di una tunica. Non aveva bisogno di chiedersi chi rappresentasse.
“Noi sacerdoti non avremmo dovuto lasciare che questo accadesse. Non avremmo dovuto chiuderci nel nostro Tempio e permettere al Grande Satana di farsi adorare come una divinità; avremmo dovuto impedirgli di dilagare e forse avremmo potuto evitare …” le parole si erano soffocate da sole nella gola del giovane sacerdote. Il suo amico gli mise una mano sulla spalla, ma davanti a quello sfogo di dolore non avevano potuto evitare che tutta la gente della piazza si voltasse verso di loro.
Nessuno parlava. Rimasero tutti un po’ imbarazzati per un attimo, mentre Mara ricordava che Mu era già stato in quel villaggio qualche tempo prima insieme al suo confratello Shaka, e tutto avevano ricevuto fuorché un clamoroso benvenuto. Erano giunti lì per preparare la gente di quel villaggio ad un’evacuazione mediata dai druidi dell’Alleanza, ma per un attimo Mara sospettò che la missione non sarebbe stata facile come aveva creduto, ed Eomer doveva essere stato della sua stessa idea visto che appoggiò la mano all’elsa della spada.
Eppure quando Mu venne avanti, diretto verso la folla, non volò nemmeno un sasso. I loro occhi si sgranarono, come lo vedessero per la prima volta. La donna percepì un’incredulità momentanea, ma poi scomparve sostituita da uno stupore senza pari. “I sacerdoti sono tornati” sentì mormorare alle sue spalle. “I sacerdoti sono qui”.
Auron aveva cercato di trascinare Mu indietro, ma quello si era armato di tutta la sua testardaggine ed era andato avanti, diretto verso un gruppo di uomini feriti che giacevano al sole. La folla si era radunata, si muoveva come scossa da un’onda, chi voleva avvicinarsi al giovane sacerdote per toccarlo, chi si allontanava per cedergli il passo, chi ancora stringeva in mano qualche strumento da lavoro e non aveva un’espressione amichevole.
Poi Mu si era inginocchiato ed aveva pregato.
Quello che successe dopo fu paragonabile ad un raggio di luce. Mara aveva sentito tante volte la Forza dentro di sé, viva, limpida, l’aveva sentita distintamente attraverso i veli del Lato Oscuro; paragonarla ad un raggio di luce attraverso le tenebre sarebbe stato semplicistico e banale, ma aveva sperimentato nel suo animo quanto forte potesse essere un raggio di sole anche solo attraverso una minuscola crepa. Ma in quel momento la luce non trovò una fessura: trovò un mare.
Qualcosa si mosse dentro la gente di Nail, qualcosa che prima ancora di passare per la vista si sprigionò dentro la Forza; un vento di emozioni diverse, ma forti, scivolò in quel luogo dove ancora si alzavano i fumi dei turbolaser. Avrebbe potuto scegliere la pietà, il dolore, la paura, la speranza, ma Mara le percepì e le accolse tutte insieme, unite come la folla che si avvicinò al sacerdote. E si scoprì in lacrime.
Nail non era mai stata così bella.
Il pomeriggio si era trasformato in una serie di preghiere, ringraziamenti, e chiacchiere in cui lei, Auron e Eomer si erano tenuti rigorosamente in disparte, lasciando al loro compagno l’arduo compito di riconciliare gli animi delle sua gente e prepararli all’evacuazione. Aveva continuato a bearsi del disegno di quelle sensazioni luminose mentre i due soldati discutevano di come trasportare i feriti –con Eomer che sosteneva che tutto sarebbe stato più semplice se avessero portato altri cavalli oltre il suo- e dopo qualche ora Mu era tornato da loro con una richiesta che li aveva convinti a rimandare le mobilitazioni.
La richiesta per cui erano lì, in quel momento, con la melma fino alle caviglie.
“Fuggire in mezzo a questo pantano! Certa gente è folle!”
“O disperata, Auron …” sussurrò Mu alle loro spalle. Senza la sua luminosa armatura d’oro sembrava ancora più sparuto del solito. “Hanno semplicemente cercato rifugio nel primo posto vicino al loro villaggio”.
“E poi non sono più tornati … geniali, davvero geniali!”
Attraversarono uno spazio aperto, e si trovarono davanti un lago putrescente. Prudentemente rasentarono i bordi fitti di canne alla ricerca di un terreno più solido, con Eomer che rallentava il passo per garantire un passaggio sicuro agli zoccoli della sua cavalcatura. Quando lo trovarono, ripresero ad andare avanti. La palude continuava. Nonostante gli abitanti di Nail avessero detto loro che probabilmente i superstiti avevano trovato rifugio a nord oltre l’acquitrino, di tanto in tanto erano costretti a cambiare direzione per cercare un passaggio sicuro: il senso dell’orientamento di Auron sembrava non avere limiti.
La palude era un monotono, piatto scintillio di umidità che si stendeva tra masse d’erba ed arbusti di ogni genere, e gli alberi spuntavano fuori come gli arti di un gigante annegato. Insetti che non aveva mai visto ronzavano attorno, scintillanti ed iridescenti. Il soldato dall’abito rosso estrasse dalla bisaccia un unguento maleodorante che usarono per cospargersi la faccia e le braccia, una crema per alleviare il dolore delle punture degli insetti che avevano eletto la pelle chiara del piccolo dolce Mu a spuntino prima della cena. I serpenti strisciavano nel fango. C’erano ragni dappertutto che si muovevano lentamente, alcuni più grossi del suo pugno. Tele di ragno, muschio e rampicanti pendevano dai rami e dai cespugli, abbarbicati e micidiali. Sotto le volte degli alberi volavano uccelli dal cinguettio stranamente acuto e raggelante.
A un certo punto incontrarono una gigantesca tela di ragno perfettamente celata e disposta come un laccio per cadere su qualunque cosa passata sotto. Una qualsiasi altra persona meno esperta non l’avrebbe notata e sarebbe stata catturata, ma Eomer vide subito la trappola e fece un cenno ad Auron. I fili della tela erano grossi come un dito, e talmente trasparenti da risultare invisibili se non ci faceva attenzione. Il cavaliere di Rohan ne toccò uno con la lancia, e l’arma fu immediatamente avvolta e immobilizzata. Tutti scrutarono intorno prudentemente per molto tempo senza muoversi.
“Strano … molto strano” mormorò Auron. “I ragni koa non fanno questo genere di trappole … troppo ingegnose …”
“Ragni koa?” sussurrò Mu, che era diventato improvvisamente bianco. Mara si ricordò la paura del sacerdote alla vista di un topo, e senza dubbio gli aracnidi non dovevano essere tra i suoi animali pericolosi.
“Molto grossi. Molto stupidi. Un po’ di rumore, una bella fiaccola e scappano via come conigli. Fanno i nidi soprattutto in acquitrini come questi, ma non avevo mai sentito dire di trappole così complicate. Di solito le loro tele sono ben visibili, mentre questa qui …” disse, indicando la lancia ancora impigliata “… questa sembra essere fatta proprio per acchiappare delle prede ignare. Sarà bene tenere gli occhi aperti!”
Certi finalmente che il tessitore non fosse nei paraggi, si affrettarono a riprendere il cammino.
Era quasi scesa la sera quando udirono delle voci. Rallentarono l’andatura e poi si fermarono. Le voci erano tutt’altro che tranquille, troppo forti nella calma della palude, praticamente delle grida. Proveniva dalla loro sinistra, oltre un boschetto dai fiori rosso scarlatto, proprio dove la gente di Nail aveva indicato le grotte che alcuni di loro usavano come rifugio improvvisato. Eomer e Mara stavano per partire al galoppo, ma Auron li fermò con un cenno imperioso della mano; costeggiarono i cespugli sulla destra, seguirono un piccolo argine di terreno solido fino ad un punto dove la fanghiglia non arrivava oltre le caviglie, sempre però con bene in mente la posizione da cui venivano le grida che si facevano sempre più forti man mano che avanzavano.
Quando le ultime foglie si diradarono, Mara vide una scena che poteva essere uscita dagli olomovies dell’orrore di Darth Maul. La palude proseguiva davanti a loro per almeno un centinaio di metri, e lì i margini verdastri si fondevano ad una formazione rocciosa, imponente, che quasi arrivava alla sommità degli alberi più alti. Il massiccio era grigio come l’aria di quel posto, e altrettanto ricoperto di muschio. Lungo la sua forma, quasi nascoste dal resto della vegetazione, si potevano vedere delle spaccature non più alte di un uomo medio che fendevano la roccia come segni di una spada; alcuni uomini si affacciavano da quelle spaccature, le armi alla mano, gridando qualcosa probabilmente alla gente che si era rifugiata nelle grotte. Da quella distanza Mara riuscì comunque a vedere delle fiaccole accese, ma evidentemente non erano sufficienti a tenere a bada le mostruose creature che si paravano tra lei e gli sfortunati abitanti.
Aveva visto qualche volta Zam trasformarsi in un ragno gigante. Non era la sua trasformazione preferita, eppure Mara sapeva che una volta la cacciatrice di taglie aveva rischiato persino la vita contro un simile aracnide chiamato Shelob durante una missione sulla Terra II, quindi la donna aveva imparato lo stesso a padroneggiarne la forma. Mara era contenta di vedere che le figure pelose davanti a lei non erano più grandi della metà di Shelob, ma il suo sollievo fu di breve durata: i ragni compensavano le loro dimensioni con un unico, freddo, incredibile numero.
Non ve ne erano meno di cinquanta. La minor parte si era calata dagli alberi che rappresentavano il tetto di quel piccolo mondo, e scivolavano rapidi sui loro fili invisibili che riuscivano a sopportare il loro peso contro ogni regola della natura. Sopra le rocce soltanto un raggio di luce tra la nebbia riuscì a rivelare la trama intricata di una grossa tela simile a quella che avevano incontrato proprio prima, dove purtroppo un paio di quei mostri stava consumando il pasto.
Mu si segnò alla vista dei corpi umani dilaniati, dove gli arti giacevano scomposti invischiati in quella trappola dove erano in balia degli aggressori; una donna stava ancora dimenandosi, ma i fili aderirono così tanto al suo corpo che la trasformarono in un bozzolo. Mara non aveva fatto in tempo ad accendere la spada che la figura era stata barbaramente digerita.
“No …”
Ma la vera ondata era a terra. I koa correvano ad una velocità alta per le loro zampe sottili, e stavano cercando di raggiungere le prede dalla base della formazione rocciosa. Salivano in maniera incredibilmente ordinata. Nessuno calpestava o semplicemente si scontrava con un altro. Un uomo scagliò una lancia contro uno di quei mostri, colpendolo all’occhio; nel fare quel gesto perse l’equilibrio –probabilmente non era un soldato- e rovinò con un grido straziante verso il basso. Non toccò il fondo, perché l’assalto dei ragni lo divorò.
Aveva visto anche troppo. “Io vado!”
Coprì in qualche attimo lo spazio che la separava dagli ultimi tessitori; corse incurante della melma, annaspando nel fango fin quasi alle ginocchia, tutti i sensi pronti a scattare. Un scroscio più forte alle sue spalle le bastò per capire che Eomer era partito al galoppo.
Accese in corsa la spada laser e si gettò contro il primo aracnide, grande quasi quanto un cane da caccia; calò un fendente, ma il tessitore doveva essersi accorto della sua presenza. Senza nemmeno rivolgere la testa nella sua direzione si innalzò verso i rami dell’albero sovrastante con un filo, e tutto quello che la lama rossa riuscì a tagliare furono alcuni peli. La creatura saltò da un albero all’altro lasciandosi dietro un filo.
“Stai attenta!” gridò Eomer. Alcuni ragni si erano voltati verso di loro, emettendo dei versi lunghi e striduli. L’uomo portò la sua cavalcatura tra lei e la prima fila, poi fece impennare il cavallo per spaventarli.
Purtroppo non ottenne l’effetto voluto. Le creature corsero nella sua direzione, puntando al ventre molle della bestia. Eomer la spronò in avanti ed evitò i piccoli denti velenosi dei ragni per un soffio, atterrando con un grande tonfo nell’acqua verdastra, dove i mostri non sembravano avvicinarsi.
Mara valutò per qualche istante di raggiungere i superstiti a nuoto, evitando la maggior parte delle creature, ma quando fece per seguire il suo compagno si trovò la mano destra stretta in un filo. Si voltò, e vide il primo ragno che l’aveva attaccata a meno di un metro dal suo viso mentre l’attirava a sé con la tela. Non fece in tempo a passare la spada laser nella mano sinistra per liberarsi che tutto il suo campo visivo fu attraversato da un’onda di fango, e da questa ne emerse Auron che tagliò il filo con la sua Masamune. Provò ad infilzare l’assalitore, ma quello si era già ritirato più in alto.
Mara si massaggiò il polso: bruciava, e sulla pelle erano comparse delle piccole bolle.
Ignorò il fastidio e si mise in posizione di guardia, rendendosi conto che proprio sopra le loro teste alcuni ragni stavano iniziando a tessere una nuova tela; il fatto che alcuni di loro avessero sospeso l’attacco ai civili per prendersela con loro non migliorava più di tanto la situazione. Non era arretrata di nemmeno tre passi che la trama si era ingigantita.
Un sottile velo di cristallo si parò tra loro ed i fili mortali. Mu era nell’acqua quasi fino al ventre, le mani sollevate nella creazione del Crystal Wall. “Allontanatevi da quella zona!”
“Che diavolo sta succedendo?” grugnò Auron. Il suo viso era irriconoscibile, madido di umidità e sudore. Lungo l’orecchio destro un intrico di vesciche indicava che anche lui aveva avuto un incontro ravvicinato con quella tela. “Da quando in qua i koa sono così aggressivi?”
“Non sono io l’esperta della fauna locale!”
“E io ti assicuro che non ho mai sentito parlare di un assalto di questi ragni! Guardali …” disse, indicando la riva. Per quanto quelle creature non si avvicinassero all’acqua, si erano disposte su ogni lembo di terreno sano, aspettandoli. La cosa spiacevole era che i tessitori sugli alberi si erano spostati di nuovo, e stavano filando una nuova tela per tenderli in trappola; i restanti continuavano l’assalto ai civili, ma con meno impeto di prima. “… sono molto organizzati. Troppo”.
“Beh, non ho alcuna intenzione di rimanere a far loro da spuntino!”
Mara chiuse gli occhi e chiamò di nuovo la Forza. L’energia le rispose forte in quel luogo, senza esitare. Estese il suo sguardo interiore agli alberi proprio sopra di lei, e ne sentì tutta la potenza di centinaia di anni trascorsi in quella palude, tutta la vita accumulata in quell’ecosistema particolare. La Sith aveva avuto l’occasione di far visita al pianeta di Dagobah, l’enorme acquitrino periferico della galassia, ed aveva sentito una forza vitale in grado di superare quella di tutta la popolazione di Coruscant: si era immersa in quella natura solo all’apparenza morta, l’aveva fatta sua, l’aveva nutrita ed aveva scoperto che in ogni radice, in ogni foglia, anche nell’insetto più piccolo poteva trovare la Forza ed estenderla proprio come una ragnatela. Sentì sotto le dita invisibili la linfa dei due alberi che ospitavano gli aracnidi e la loro nuova tela, e salì verso l’alto fino a sentirne i rami, poi verso il basso per diventare quasi tutt’uno con le radici. E lì colpì.
Un solo colpo, come le aveva sempre detto l’Imperatore.
Entrò fin dentro il legno, ne sfiorò i parassiti e le muffe. Convogliò tutta l’energia che aveva sfiorato in quel posto e la riversò in due canali, uno per albero. Le piante si opposero, ma la Forza poteva questo ed altro ancora. Diventò una lama ed impattò contro la base dei tronchi, e quando le giunse il suono secco del legno capì di avercela fatta.
Gli alberi si piegarono sotto il suo potere. La ragnatela ancora incompiuta creata tra i loro rami rovinò con loro, e con sua gioia gli aracnidi non furono abbastanza rapidi da aggrapparsi ad un altro albero, né di tessere un nuovo filo. In preda a dei versi che aveva quasi qualcosa di umano precipitarono insieme ai rami, diretti verso l’acqua. Eomer doveva aver intuito il suo piano –tanti anni nell’Alleanza Ribelle insegnavano quello ed altro- e la donna non fece in tempo a vedere l’intera situazione che una lancia saettò a pochi metri da suo naso ed inchiodò una delle creature, affondando il suo corpo peloso nell’acqua. Tutto cadde nell’acquitrino con un tonfo enorme che schizzò tutti loro, ma anche nella melma riuscì ad intravedere Auron farsi avanti, evitare i rami ed abbattere il suo spadone contro due ragni che si agitavano frenetici nell’acqua. L’icore schizzò nella sua direzione.
Bene. Anche se ne abbiamo abbattuti pochi possiamo farcela senza …
“MERDA!”
Istintivamente voltò la spada nella direzione del grido, ma quando mise a fuoco la scena capì cosa aveva agitato il soldato dall’abito rosso. Dai corpi abbattuti degli aracnidi stava uscendo qualcosa.
Qualcosa di nero, informe ed inconsistente.
Emersero tre forme, ciascuna per ogni creatura, direttamente dalle ferite aperte delle armi. Mara sentì qualcosa, come un gelo, delle sottili dita che scivolarono intorno alla sua mente mentre le masse oscure fluttuavano proprio sopra i cadaveri; non avevano una forma ben definita, ma attraverso quelle masse gassose credette di vedere dei punti luminosi, quasi fossero occhi privi di pupille. Si agitavano, impalpabili in tutta l’umidità della palude, e quando estese i suoi sensi nella loro direzione percepì che si trovava davanti ad esseri viventi.
Dopo l’urlo iniziale, Auron sembrò calmarsi. Non avanzò né arretrò, ma la sua Masamune era rivolta verso le creature, mentre i ragni sulla riva mandarono suoni ancora più inquieti. Ancora una volta ebbe la sensazione che qualcosa stesse cercando di avvicinarsi alla sua mente.
“Concentrati su qualcosa, qualunque cosa”.
Era stata così concentrata su quelle masse gassose che non aveva sentito Mu venirle accanto. Le sue dita erano strette sul rosario di Shaka. “Cercheranno di entrare nella nostra testa, ma basta anche una minima forza di volontà per scacciarle. Prova semplicemente a cacciarle indietro”.
L’energia di quelle creature creò un secondo assalto, ma molto più flebile di quello che Mara avesse temuto. Fu come se qualcosa cercasse di farsi strada attraverso i suoi ricordi, cinque dita di una mano impalpabile che provavano ad afferrarle la mente ed avvicinarsi, un potere dotato di una vita propria che raramente aveva mai incontrato in qualcuno che non fosse un Jedi o un Sith. Sentì gli esseri sfiorare anche i suoi compagni, ma nessuno tentennò.
Quando sentì la presenza tornare da dove era venuta, riprese fiato e le osservò di nuovo mentre si agitavano sui ragni morti. “Che cosa sono?”
“Noi le chiamiamo Nebbie. Sono una forma senziente di parassiti piuttosto evoluti, che possono vivere sia da sole che in gruppo. Molto più intelligenti di quello che possono sembrare, ma grazie al cielo non sono un pericolo”.
“Sono alleate del Grande Satana?”
“Non saprei. Potrebbero appartenere allo Hyakujumadan, ma non credo che la famiglia demoniaca li annoveri tra gli esseri viventi degni della loro considerazione. In fondo sono parassiti, cosa che i demoni detestano più di ogni altra”.
Se davvero erano una forma di vita evoluta probabilmente gli umani erano entrati nel loro territorio, ed avevano preso il controllo dei ragni koa per allontanarli. Niente di più spiacevole di creature in grado di entrare a piacimento nel corpo delle altre. Le Nebbie si fecero avanti di nuovo, stavolta lasciando fluttuare tutta la loro forma immateriale; nonostante le parole di Mu non riusciva a cancellare l’orribile sensazione di straniamento provata al loro tocco. “Sei sicuro che non siano pericolose?”
“Sì. Non possono entrare in creature in grado di opporsi. Basta anche la volontà di un bambino. Possono controllare solo animali semplici come i ragni o come …”
Non terminò la frase. Accanto a loro una forma si mosse di scatto, e con un grido ed un tonfo Eomer fu scaraventato nel pantano. Il suo destriero si era impennato di colpo, dritto sulle possenti zampe posteriori, e si voltò di scatto verso il suo cavaliere cercando di colpirlo con gli zoccoli. Eomer si rotolò nell’acqua quasi fino a scomparire mentre l’animale balzò verso di lui con una carica selvaggia ed una forza che Mara non aveva mai sospettato possedesse. Atterrò in acqua più volte, con la schiuma alla bocca, ed ogni volta che il suo padrone cercava di rialzarsi lo ricacciava indietro dove ormai la melma arrivava quasi al petto.
Non le ci volle molto a capire cosa fosse successo.
Si voltò verso la bestia posseduta, pronta a troncarne la testa prima che potesse fracassare il cranio del suo precedente padrone, ma Eomer si rialzò dal fango e tese una mano verso di lei. “No! Non lo fare! Non puoi ucciderlo!”
“Certo che sì!” tuonò Auron, con uno sguardo assassino che avrebbe affettato il quadrupede in un istante. “Nessuna Nebbia abbandona il suo ospite finché non muore! E non è che uno stupido cavallo!”
“Parla per te!” gridò l’uomo. Aveva gli occhi fissi solo verso il suo cavallo. Tutto il resto, i ragni, la gente in pericolo, la palude, tutto sembrava aver perso importanza; Mara sapeva che c’era solo un argomento su cui era impossibile ragionare con Eomer. In circostanze normali avrebbe appoggiato il cavaliere di Rohan, ma con un esercito di ragni posseduti in attesa di ridurli a dei bozzoli la sopravvivenza del compagno a quattro zampe poteva anche passare in secondo piano.
Purtroppo Eomer non l’avrebbe mai accettato. “Per la gente di Rohan i cavalli sono tutto. Sono amici! Sono compagni! E non lascerò un amico in preda di una stupida nebbia da strapazzo!”
Si rimise in equilibrio e corse verso la bestia sollevando fango e acqua; il cavallo deviò verso destra per raggiungerlo di fianco ed attaccarlo con gli zoccoli, ma Eomer lo anticipò. Si tuffò in avanti, senza evitare nessuno dei colpi che il suo vecchio amico gli infliggeva, passò sotto le sue zampe quando questo si impennò e si portò a meno di un passo dal suo fianco.
La Nebbia controllava lo stallone in maniera perfetta: se Mara non avesse saputo che la bestia era posseduta non avrebbe mai immaginato che un essere gassoso potesse muovere a suo piacimento un corpo come se vi avesse dimorato da una vita. Con due balzi si portò distante dal cavaliere, ed i suoi occhi puntavano la riva dove gli altri parassiti lo attendevano.
Ma Eomer fu più rapido.
Si lanciò contro la forma scura nonostante l’armatura ed il terreno paludoso. Mara sentì la creatura pensare, valutare, poi si voltò per ricacciarlo di nuovo. Facendo ciò che sperava il suo avversario.
Il cavaliere andò incontro agli zoccoli senza paura, e prima che potessero abbattersi sul suo collo allungò un braccio e strinse le redini con tutta la forza che aveva in corpo. All’inizio la Sith credette che il suo amico volesse utilizzare le sottili strisce di cuoio per trascinare a terra il cavallo con la mera forza del suo peso, ma rimase di sasso quando l’altro sfruttò tutta la potenza dei fianchi e si ritrovò in groppa. Mu mandò un grido di stupore.
La bestia si imbizzarrì, cercando di disarcionarlo. Eomer rimase stretto alle redini ed inserì i piedi nelle staffe, guadagnando un nuovo equilibrio. Il destriero a quel punto partì al galoppo, diretto verso la riva nonostante l’uomo aggrappato ai finimenti che gli ordinava di fermarsi.
I ragni non stavano aspettando altro.
“Andiamo a prenderlo, svelti!” disse Mara. “Mu, non puoi fare qualche incantesimo potente? Che ne so, quello Starlightqualcosa che hai lanciato al Castello dell’Oblio?”
“Ehm …” il sacerdote si guardò i piedi, e la donna capì che era una battaglia persa. “… nel Castello o miei poteri erano molto aumentati … ma adesso posso al massimo fare un Crystal Wall, non so se …”
“Lascia perdere”.
Il cavallo atterrò oltre la palude, ed in un attimo i ragni gli fecero ala. Uno provò a saltare ed avviluppare la coscia di Eomer nel suo filo, ma quello scansò la gamba giusto in tempo costringendo lo stallone a muoversi con lui. Avvolse il polso della mano sinistra nelle redini, e con la destra fece saettare una seconda volta la sua spada mentre la cavalcatura cercava di allontanarselo dalla groppa. Alcuni aracnidi si mossero in direzione degli alberi, probabilmente pronti a sferrare una nuova trappola.
Mara sospirò. Aveva un’idea, ma non le piaceva nemmeno un po’. “Auron, hai detto che le Nebbie sono intelligenti?”
“Purtroppo sì”
“Bene … vediamo se capiscono la lezione al volo!”
Ispirò, ed il suo cuore prese a battere ad una velocità forsennata. Si concentrò su Eomer, sul cavallo, sui ragni tutt’intorno. Dipinse le loro forme nella sua mente, proprio come aveva imparato nel corso di tutti quegli anni, sin da quando si era nutrita delle tenebre nei panni di una Sith sia quando si era arrampicata nella luce della Forza. Li vide, li sentì, percepì accanto a lei la paura bruciante di Mu e tutto lo stupore del suo amico. Quando aveva sprigionato il suo potere tra i tronchi degli alberi si era unita alla natura con pace e curiosità, rispettando ciò che la circondava e la Forza che intercorreva tra le piante, gli uomini e le Nebbie. In quel momento invece mise da parte la calma, scegliendo solo le grida dei civili ancora in pericolo. Isolò dentro di sé la presenza di quelle Nebbie mentre le immaginava lontane dagli involucri, quasi per completare un quadro in cui mancavano delle pennellate.
Il Lato Oscuro che aveva soppresso si liberò come un fiume trattenuto da una diga. Mara cercò di incanalarlo, di comprimere quel flusso di odio come le aveva insegnato Anakin in quegli anni; riuscì solo a focalizzare nella testa l’immagine di un ragno quando il potere esplose, contraendo tutto il suo corpo come il contraccolpo di un’arma, ruggendole sin dentro le tempie. Lei lo aveva chiamato, ed esso aveva risposto.
Percepì, prima ancora di vederli o sentirli, i corpi dei primi ragni cedere sotto la sua forza. I loro fischi gridavano dolore. Sentì le loro zampe quasi sotto le sue mani, e quando il Lato Oscuro dilagò esse vennero spezzate senza pietà, altre contorte come se fossero dei fuscelli. Era un’energia viva, che predava quelle dei suoi nemici e le faceva battere il cuore in gola con una frenesia da battaglia che la inebriava fin nelle narici. Avrebbe potuto spingerla a ben altri livelli, ma rimase sveglia, cosciente, sforzandosi con tutto il corpo di non cadere in quel vortice.
Difficilmente dal Lato Oscuro si tornava indietro.
Una decina di aracnidi crollarono a terra sotto il suo potere, piegati sui loro arti ormai inutilizzabili da cui uscivano mischiati sangue e icore; non aveva idea se chi stesse soffrendo fossero gli ospiti o i parassiti, ma sentiva il loro dolore e lo faceva suo per farlo crescere come una marea. Parte di sé lo trovava eccitante.
Proprio per questo cercò di contenersi.
Un’imprecazione di Eomer le fece capire di aver colto nel segno. Aprì gli occhi, allentando la tensione, e vide il cavallo impennarsi con una foga improvvisa: era ritto sulle due zampe, e quelle anteriori scalciavano l’aria in preda ad una paura che si leggeva anche nelle sue orbite. Mentre la prima fila di ragni si dibatteva impotente, lo stallone corse a perdifiato contro un albero, forzando il suo cavaliere all’impatto. L’uomo cercò di controllarlo, ma la paura della creatura fu più forte: Eomer perse le redini e si accasciò sul tronco, e prima ancora che toccasse terra la cavalcatura era ritornata tra i ragni, nitrendo nella loro direzione.
La paura ormai serpeggiava nell’aria. Qualunque cosa fossero quelle Nebbie, aveva colto nel segno: l’ondata invisibile che stava stroncando la loro prima fila le aveva spaventate all’inverosimile, incapaci di comprendere da dove provenisse l’attacco. Mara aspettò.
Un secondo attacco fortunatamente non fu necessario. I parassiti erano abbastanza intelligenti da essere spaventati dal Lato Oscuro, e lentamente iniziarono ad allontanarsi. Prima di qualche passo, ma quando lei intensificò l’attacco si spostarono con maggior rapidità, senza però smettere di fissarli con i loro occhi dalle mille sfaccettature. Temevano. Guardavano.
Una combinazione perfetta.
Il cavallo lanciò un ultimo nitrito e si lanciò nella vegetazione, e gli aracnidi lentamente lo seguirono. Scivolarono nella vegetazione in una cacofonia di fischi furiosi, lasciandosi dietro una lunga traccia di ragnatele che avrebbero fatto bene ad evitare al loro ritorno. Quando anche l’ultimo degli assalitori abbandonò la palude, Mara abbassò la tensione che le correva nelle vene e richiamò immediatamente il Lato Oscuro dentro di sé, ascoltando la potenza dell’ombra della Forza che chiedeva di essere usata nuovamente, vantando la sua utilità. Il senso di disgusto aumentò quando vide i ragni feriti agonizzare a terra, gli alberi abbattuti ed i segni inequivocabili dell’ondata distruttiva che aveva appena sguinzagliato.
“Bella mossa!” disse Auron. Se il mercenario era rimasto colpito dal suo potere, non lo mostrava affatto. Il suo occhio era nascosto dall’umidità che gli bagnava gli occhiali. “Dovresti usarlo più spesso!”
“No” mormorò lei, vedendo il volto sorridente dell’Imperatore stagliarsi tra i suoi ricordi. “Meglio di no. Adesso andiamo a recuperare quei civili e andiamocene di qui!”
A giudicare dal pallore di Mu, almeno un altro membro del gruppo era d’accordo con lei. Il problema sarebbe stato solo convincere Eomer ad andarsene di lì senza il suo cavallo …
  
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