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Autore: flawlouis    29/10/2014    5 recensioni
[Larry Stylinson | One Shot | 3.4K Parole]
"Harry soffre di autismo e per questo è rinchiuso in una casa di cura a Strasburgo. Un nuovo inserviente cambierà totalmente la vita di Harry, rendendola migliore. Riuscirà il nuovo inserviente ad aiutare Harry per sempre?"
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bravery.
Di: Emanuela
 
Ad Asia, che è la prima a leggere le mie storie. Grazie 
Per tutto quello che fai, grazie per aiutarmi a non mollare
Grazie per il sostegno morale
Grazie per tutto, sei la mia musa ispiratrice.
A Katia.
Grazie per tutto, per starmi accanto
Grazie per avermi aiutato ad elaborare questa storia
Grazie, migliore amica.
 









 
La casa di cura di Strasburgo ospitava più di cinquecento persone, tuttavia quest’ultima rimaneva la maggior parte delle volte vuota. A mezzogiorno veniva servito il pranzo e alle sei del pomeriggio la cena, in un’enorme sala chiamata “Salle a mànger”.
I pazienti vestivano di una vestaglia bianca, ma non era un bianco accecante, era un bianco spento, un bianco morto che metteva inquietudine solo a guardarlo. Alla fine, quel colore, rispecchiava molto l’umore dei pazienti che si sentivano oppressi da quelle quattro mura, si sentivano spogli da qualsiasi contatto umano, si sentivano nel vero senso della parola in prigione. Harry Styles era uno di quelli.
 
Harry si svegliava la mattina presto, si alzava dal letto su cui aveva passato la notte e guardava fuori dalla finestra sbarrata dove riusciva a vedere solo un muro fatto di mattoni. Passava il suo tempo lì, per ore e ore a fissare il muro di mattoni, fin quando il pranzo o la cena non venivano serviti.
 
«Allez Harry, obtenir un peu da ce lit.» Gli ripeteva la dottoressa Palmer, ma Harry di alzarsi proprio non ne aveva voglia. Perché Harry si trovava alla casa di cura? Lui sin da piccolo era stato un bambino nervoso e asociale, non parlava con nessuno e passava del tempo a giocare con i suoi giocattoli. Il ragazzo dai capelli ricci era autistico e dopo la morte dei suoi genitori, causata da un incidente, non poteva di certo badare a se stesso così venne trascinato fino in Francia e venne rinchiuso lì a soli undici anni.
 
Aveva diciott’anni quando quella mattina di Novembre successe una cosa insolita, una cosa che non succedeva da anni ormai, perché lì il personale non veniva mai cambiato, tranne se qualcuno ci aveva perso la vita. Quel giorno di Novembre un nuovo inserviente varcò le porte dell’enorme casa, con i suoi occhi blu sempre attenti e i lunghi capelli castani arruffati sulla nuca. I suoi occhi scrutarono subito Harry il diciottenne, lo guardò in modo diverso da come lo guardavano gli altri, lo guardò in modo tecnico, gli altri cercavano di aiutarlo in modo superficiale mentre non sapevano che per parlare con Harry ci voleva tanta ma tanta pazienza.
 
Louis si chiamava il nuovo inserviente, Louis Tomlinson. Era un paramedico inglese di ventiquattro anni appena laureato in medicina; era il primo servizio quello alla casa di cura, infatti lo fecero operare come inserviente e aiutante dei medici che erano lì, poi man mano che sarebbe andato avanti il suo ruolo sarebbe salito sempre di più di onore. Harry aveva si imbatté negli occhi di Louis nella sala da pranzo, mentre il castano gli serviva i viveri in un piatto di porcellana, ma il riccio non aveva fatto molto caso a lui anche se era convinto di aver sentito un brivido partirgli dalla schiena all’incontro con i suoi occhi.
 
Come sempre, dopo mangiato, Harry si trascinava fino alla stanza numero ventisei (26), la sua stanza, e si accasciava sul letto, fissando il muro di mattoni. Quel giorno, però, non l’avrebbe fatto.
 
 
Louis camminava tra i corridoi di quella pazzesca casa, che poi non aveva nulla di simile ad una casa, sembrava più che altro un piccolo ospedale. La chiamavano la casa di cura Madre Teresa in quanto lì dentro giravano anche le suore. I muri erano di un verde chiaro, un verde spento e spoglio che non metteva per niente allegria ma infondo era adatto a quella situazione. Tossì leggermente per un odore malconcio ma si ricompose immediatamente, continuando a camminare. Era diretto alla stanza ventisei, la stanza di Harry visto che i dottori gli avevano dato il compito di osservare il riccio, di guardare i suoi movimenti e poi Louis era sempre felice di aiutare qualcuno.
 
La porta bianca se ne stava immobile davanti al castano con qualche crepa qua e là mentre dei numerini in argento erano “disegnati” su di essa. Abbassò la maniglia con cautela e quando aprì la porta un puzzo di chiuso gli invase le narici, facendogli fare una smorfia divertente. Harry se ne stava sul lettino a fissare il muro al di fuori della finestra, a fantasticare con la sua mente in un mondo tutto suo dove c’erano elfi, fate, unicorni e la felicità regnava, senza problemi. Si accorse che Louis varcò la porta ma non accennò a voltarsi, troppo preso dal suo mondo.
 
«Hey Harry!» Louis cercò di avviare la conversazione. Sapeva che Harry era inglese proprio come lui e proprio per questo motivo Harry volse lo sguardo a Louis, sorpreso. Non sentiva parlare inglese da anni ormai, era abituato ai rimproveri in francese e quasi quasi era diventato un francese anche lui. Scrutò il viso del ragazzo più grande per qualche secondo dopodiché tornò a fissare il muro. Louis sospirò, sapeva che sarebbe stata dura ma arrendersi non era nei suoi piano, non lo era mai stato.
 
«Ho saputo che sei di Manchester, io sono di Doncaster, lo conosci?» Provò un’altra volta Louis; Harry non si muoveva. Il castano osservò per un po’ il muro là fuori, non aveva nulla di speciale, era un semplice muro di mattoni che separava la casa di cura da una villa privata, nulla di più.
 
«Come mai guardi quel muro tutti i giorni da sette anni?» Indagò Louis, cercando di farlo parlare. Harry finalmente si girò dalla sua parte, trafiggendolo con lo sguardo; A Louis mancò l’aria.
 
«Cos’altro potrei guardare?» La sua voce roca, fin troppo roca, fece rabbrividire l’inserviente. Harry non poteva stare zitto, Harry doveva parlare, aveva una voce bellissima, ti faceva strappare un sorriso la sua voce. Louis sorrise, sorrise sinceramente per essere riuscito a farlo parlare.
 
«Oh, allora ce l’hai la lingua.» Scherzò Louis con un sorrisetto che ovviamente non venne ricambiato per nulla al mondo; Harry non aveva nessun motivo per sorridere. Il riccio tornò con lo sguardo sul muro, sbuffando leggermente; ovvio che aveva la lingua, semplicemente non aveva avuto nessun motivo valido per usarla.
 
«Nessuno si è mai seduto lì per parlarmi, non mi sorprende il fatto che ti abbiano detto che io sia un tipo taciturno» Scrollò le spalle, abbandonando il suo muro e sdraiandosi sul lettino, fissando il soffitto sopra di lui. Fu molto sorpreso di sentire il modo in cui il riccio parlava, inglese perfetto, verbi coniugati alla perfezione, tutto nelle sue frasi era giusto, strano per un ragazzo autistico.
 
«Quindi io sono il primo che si siede qui a parlarti?» Chiese premuroso Louis, accavallando le gambe. Il riccio annuì, senza aggiungere nient’altro. Rimasero in silenzio per minuti, forse per ore, a contemplare l’inquietudine che si era creata, combattendo con i mostri che avevano dentro. Alla fine Harry si alzò e si mise a fissare di nuovo il muro di mattoni, ignorando Louis.
 
«Sono quasi le sei, tra poco c’è la cena Harry.» Il castano si alzò, avvicinandosi al riccio, mettendosi di fronte alla finestra con le mani nelle tasche.
 
«Lo so, non ho fame.» Grugnì «Grazie.» Farfugliò, troppo concentrato sul suo mondo.
 
«Devi mangiare, la Madre Superiora si arrabbierà un casino.» Sussurrò in modo premuroso ma anche severo. Harry era già un ragazzo pelle e ossa, se non avesse mangiato sarebbe morto di fame e Louis non voleva questo. «Andiamo Harry.» Ripeté prendendogli la mano per farlo alzare, ma subito il riccio la scostò preso dai brividi che quel tocco gli aveva causato. In quel momento Harry capì di essere vivo, di essere umano, di riuscire a percepire le cose reali e in quel momento i suoi occhi si spostarono su quelli di Louis che riuscì a vedere meglio. Gli occhi di Harry erano di un verde smeraldo che si stava spegnendo, quelli di Louis erano due pozzi di mare i quali mettevano un sacco di allegria. Dopo quelli che sembravano minuti, Harry abbassò lo sguardo, incapace di sostenerli per un altro secondo. «Okay…» si arrese alla fine, facendo sorridere Louis che lo fece alzare e lo trascinò fino alla sala da pranzo.
 
*
L’aria fresca di Dicembre si faceva sentire a Strasburgo e Harry proprio non la sopportava. Era la Vigilia di Natale, ma per Harry non era solo la Vigilia, per Harry era anche il compleanno di Louis, soprattutto il compleanno di Louis.
 
Si svegliò presto quel giorno, con un sorriso sul viso che nessuno avrebbe potuto togliergli. Erano diventati amici ormai, Harry si era aperto con lui, non del tutto ma lo aveva fatto. Louis finalmente sapeva qualcosa di più su Harry, Louis riusciva a capire come lui si sentiva davvero, vuoto, ma Louis non sapeva che quel vuoto stava per essere occupato dalla presenza di lui stesso in quanto stava aiutando Harry come nessuno aveva mai fatto.
Si lavò la faccia ed entrò dentro la doccia che il bagno della sua stanza ospitava, mettendosi poi la biancheria intima pulita e una nuova vestaglia bianca. Proprio mentre stava per aprire i bottoni della vestaglia Louis aprì la porta della stanza di Harry, sorprendendolo nudo apparte per i boxer. Il riccio prese ad agitarsi, cercando di aprire il più veloce possibile i bottoni ma non ci riusciva. Louis fissava il suo corpo, non riusciva a togliere gli occhi di dosso da quel corpo minuto ed estremamente sexy, era davvero un bel ragazzo e Louis l'aveva capito da subito. Harry si agitò sul lettino, tremando e piangendo, era questo il modo in cui, i ragazzi con quel problema, reagivano, era piuttosto normale.
«Harry...» Louis finalmente guardò il viso del riccio che era in panico e subito si precipitò su di lui, parandosi davanti. «Stai bene?» Lo guardava preoccupato mentre cercava di prendere le mani di Harry nelle sue, ma quest'ultimo le toglieva immediatamente. Fu allora che Louis capì; Harry si vergognava di se stesso e del suo corpo, probabilmente nessuno l'aveva visto senza vestiti prima d'ora, per questo motivo aveva reagito in quel modo. Non si rendeva conto di quanto fosse bello e attraente, Harry questo non lo sapeva, non sapeva nemmeno cosa fosse avere un rapporto, Harry non l'aveva mai avuto.
«Harry va tutto bene.» Mugugnò Louis con tono deciso, voleva solo calmarlo. Non ci riusciva, Harry continuava ad agitarsi.
«Harry...» Louis prese la sua vestaglia tra le mani e aprì i bottoni, uno a uno, prima di porgerla a lui e aiutarlo a infilarla. Tuttavia Harry era ancora agitato, lo era troppo, così il castano si avvicinò di più e si mise tra le sue gambe lunghe e magre, guardandolo negli occhi. Harry era molto più alto di lui, infatti in quel modo erano più o meno uguali di statura, potevano guardarsi negli occhi.
«È tutto apposto» sussurrò piano, cercando di accarezzargli una guancia, con scarsi risultati.
«Fidati di me» Supplicò Louis, con gli occhi chiusi e la voce rotta. Voleva far stare bene ad Harry ma secondo lui non ci stava riuscendo e si malediceva per questo. Harry lo guardò mentre si frantumava davanti a lui, non poteva crederci di averlo fatto stare male, non voleva. Allungò il braccio verso di lui e improvvisamente lo accolse tra le sue braccia, stringendolo dalla vita. Avevano davvero bisogno di quell'abbraccio, tutti e due, per capire effettivamente il loro rapporto affettivo. Nell'ultimo mese avevano legato molto, Louis portava Harry a guardare le stelle, a volte passavano la giornata nella sua stanza a ridere, a scherzare, a giocare a dama e ad altri giochi da tavolo, il loro rapporto era bellissimo. Però, c'è sempre un però, i due non sapevano a quale fine sarebbe arrivato il loro rapporto, tutti e due quando passavano del tempo insieme provavano delle cose stupende, provavano un attrazione maggiore di quella fisica e non lo sapevano nemmeno loro.
Louis sorpreso allacciò le braccia al collo di Harry e nascose il viso nell'incavo del suo collo, respirando il suo odore di pulito e di fresco.
«Buon compleanno, Louis.» mormorò il riccio con gli occhi chiusi, impegnato a contemplare le emozioni che aveva su per tutto il corpo. Non aveva mai avuto un contatto del genere, mai, Louis era stato il primo, il primo ad accettarlo così com'era, il primo che aveva cercato di stabilire un contatto con lui, il primo in assoluto. Il castano sorrise tra le sue braccia e incapace di fare altro poggiò le labbra sulla guancia morbida di Harry che subito prese un colore rosso. Il cuore dei due battevano all'impazzata, non sapevano cosa fosse, non lo sapevano sul serio e questo li portava ad essere confusi, cofusi su loro stessi. Si staccarono dopo un poco, prima che la situazione degenerasse.
«Ho un regalo per te.» Esclamò felice Louis, facendo sorridere anche Harry.
«È il tuo compleanno Lou, non il mio.» Sbuffò divertito Harry, in effetti lui non aveva un regalo per Louis, se non una banalissima cosa. Louis afferrò la mano di Harry e ci mise un piccolo oggetto dentro, chiudendo poi la sua mano in un pugno intorno all'oggetto. Il riccio seguì i suoi gesti con gli occhi, sorridendo per tutto quello che Louis aveva fatto. Aprì la mano e quando ci trovò una collanina d'argento con scritto “Louis" sorrise un botto, mordendosi le labbra.
«Così non ti dimenticherai di me.» Louis lo guardò negli occhi e si morse le labbra, avendo una gran voglia di baciarlo. Harry contemplò le sue labbra, bramandole e volendole per se, per sempre. Non lo sapevano ma si amavano, si amavano in un modo tutto loro, Harry non sapeva cosa significava amare, ma in quel periodo l'aveva capito, l'aveva capito eccome. I loro occhi si fusero per qualche istante, dopodiché abbassarono lo sguardo, incapace di riuscire a sostenersi per un altro secondo. Sorrisero, sorrisero in modo sincero, come non avevano mai fatto, sorrisero perché erano imbarazzati, perché i loro cuori battevano all'unisono, formando un unico battito.
«Vieni con me.» il più grande prese la mano al più piccolo, chiedendo con lo sguardo di fidarsi di lui, non gli avrebbe mai fatto del male. Harry si alzò, seguendolo prima con lo sguardo e poi con i passi, mano nella mano. Sebbene fosse più piccolo, Harry era molto più alto di Louis, ricopriva il corpo del castano facilmente, con la sua corporatura grande e robusta. Il riccio si guardò intorno, non era mai stato in quel posto in sette anni; Louis lo guidava tra i corridoi della casa e tra svolte a destra e a sinistra finalmente arrivano in giardino, proprio dove Louis voleva portarlo.
«Wow... Non ero mai stato qui» Harry si guardava intorno, era circondato da fiori, da alberi e da animaletti selvatici. Non aveva mai visto una cosa così bella da quando era lì, da quando era chiuso lì e ora che Louis gli aveva mostrato quel posto era davvero grato con lui.
«Lo so, per questo ti ho portato qui.» Louis sorrise, guardando Harry con occhi dolci e premurosi, con occhi amorevoli e buoni. Proprio mentre Louis rivolse lo sguardo alla grande quercia, Harry spezzò una rosa rossa, attento a non farsi male e appena Louis si girò Harry con un sorriso gliela porse, arrossendo immediatamente. «B-buon compleanno Louis» Iniziò a balbettare, non riuscendo a dire nulla, oltre al fatto che era diventato un peperone non riusciva a fare nulla.
«Oh Harry...» Louis sospirò felice e prese la rosa in mano, contemplandola con un sorriso meraviglioso. «G-grazie» E detto questo strinse il ragazzo in un abbraccio caloroso, pieno del suo amore, pieno di dolcezza, Louis amava Harry e ora lo sapeva, ne era certo. Harry ricambiò l'abbraccio, sentendo il cuore battere forte in petto e anche lui da quel gesto capì di amare Louis; non sapeva cosa significava amare, ma tutti dicevano che quando stai bene con una persona e provi delle cose stupende allora sei davvero innamorato. E Harry lo era.
Si guardarono all'unisono, mordendosi le labbra con vigore. Louis si alzò sulle punte e piantò le mani sulle guance di Harry, sporgendosi verso di lui prima di appoggiare le labbra sulle sue.
 
*
 
Miliardi di stelle splendevano quella notte di Febbraio mentre i due se ne stavano sdraiati sulla terrazza aperta. Si erano accucciati l'uno vicino all'altro, con una coperta che riusciva a coprire tutti e due i corpi che emanavano calore tra loro.
«Louis...» Sussurrò Harry, che stava più in alto di lui mentre gli accarezzava la schiena.
«Mh?» Louis se ne stava con gli occhi chiusi con il viso nascosto nell'incavo del collo di Harry, respirando il suo profumo.
«Tutto bene?» Harry riuscì a notare in Louis quella nota di tristezza che l'aveva perseguitato per tutto il giorno, ma non aveva detto nulla riguardo alla sua tristezza.
Louis lo guardò, sospirando sommessamente. Gli accarezzò il viso dolcemente, non riuscendo a trattenere una lacrima che usciva dal suo occhio destro. La lasciò scendere, non accennava ad asciugarla, ma ci pensò Harry ad asciugarla con le sue mani grandi. Poggiò le labbra sulle sue, cercando di rallegrarlo; non era bravo con le parole e il suo modo di fare stare bene Louis era dimostrargli l'amore che provava per lui. Louis dischiuse le labbra e poggiò di nuovo le mani sulle sue guance, avvicinandolo di più a lui. Mossero la lingua in modo circolare, cercandosi e bramandosi con passione. «Ti amo» Sussurrò Harry sulle sue labbra, fiondandosi poi di nuovo su di esse, non riuscendo a stare lontano da loro.
Proprio in quel momento una stella cadente passò davanti ai loro occhi, facendoli rimanere a bocca aperta.
«Desidero passare il resto della mia vita con te» Sussurrò Harry, fece sorridere Louis che sospirò ancora, pensando a tutto quello che avevano passato.
«Ti amo Harry.» Sussurrò il più grande, ormai al culmine. Piangeva a dirotto, piangeva forte per la frustrazione, piangeva perché quello che aveva sentito quella mattina proprio non gli piaceva. «Ti amo come non ho mai amato nessuno.» E detto questo gli accarezzò le guance, mettendosi immediatamente sopra di lui. Il bacio divenne sempre più appassionato e i due si persero, si persero in loro, affondando nella loro carne candida. I loro corpi si muovevano lenti mentre gemevano i loro nomi, era tutto perfetto; le stelle, la coperta, fare l'amore lì era stupendo soprattutto per Harry che era la prima volta, Louis era la sua prima volta in tutto.
Un gemito roco e il riccio rilasciò il suo liquido sul petto di Louis, esausto.
«Non dimenticarmi...» Il castano si accasciò su di lui, baciandolo, forse per l'ultima volta.
 
 
*
 
La brezza della mattina si faceva sentire e un brivido svegliò Harry.
Si ritrovava nella sua stanza, completamente nudo nel letto, coperto solo da un lenzuolo bianco. Non ricordava di essersi addormentato lì, Sicuramente è stato Louis, pensò lui, ed era così, era stato Louis a portarlo lì. Louis però non c'era. Si alzò dubbioso, ricoprendosi della vestaglia pulita che Louis gli aveva lasciato sulla sedia. Camminò a piedi nudi per molto, vagando con lo sguardo da una parte all'altra, Louis non c'era. Vagò per il lungo corridoio che portava al giardino, per vedere se Louis fosse lì; non era nemmeno lì. Harry andò in panico, aprendo tutte le porte di ogni singola stanza in modo brutale e violento, era su tutte le furie.
«LOUIS!» Urlò forte, facendo spaventare le altre infermiere. «Louis dove sei?» Urlò ancora più forte, salendo le scale che portavano all'unica sua speranza, il terrazzo.
Appena spalancata la porta le luci del sole portarono Harry a socchiudere gli occhi per il fastidio. Louis non c'era, non c'era da nessuna parte. Si accasciò a terra, prendendo a piangere per la paura e per la delusione di non averlo trovato nemmeno lì. Si odiava, si odiava da morire per il fatto di non essere stato capace di trovarlo.
Le voci delle infermiere che lo chiamavano erano ovattate, non capiva nulla, fissava il vuoto e non riusciva a connettere la mente. Venne preso a forza e venne sbattuto nella sua stanza, tra le lacrime incastrate nelle ciglia. Non parlava, non ne aveva il coraggio. Il petto gli bruciava di dolore e man mano che i minuti passavano il dolore aumentava.
La scatola della collana con il nome di Louis giaceva sul comodino, sopra un piccolo bigliettino.
Lo afferrò velocemente, in modo disperato e lo lesse, lo lesse forse mille volte prima di capire davvero il significato; Louis era stato trasferito a New York, in un altro stato e non gliel'aveva detto. Harry era distrutto, non riusciva nemmeno a piangere più, non riusciva a fare assolutamente nulla.
L'unica cosa che gli venne in mente di fare fu stringere la collana tra le mani e sedersi sul letto, tornando a fissare quell'oggetto che gli aveva fatto compagnia per sette anni, quell'oggetto che lo aveva visto debole e inerme, quell'oggetto che era la rovina di Harry: il muro.



Non so cosa dire, è la prima one shot che scrivo.
Ho le lacrime agli occhi e spero davvero che vi sia piaciuta.
Volevo fare un continuo di questa one shot ma non ne sono proprio sicura, quindi faccio decidere a voi.
Non aggiungo più nulla.
Grazie a tutti.
  
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