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Autore: CassandraBlackZone    30/10/2014    1 recensioni
Paura? No, lei non aveva affatto paura. Ed era proprio questo quel qualcosa in più.
Correre per lei non era mai stato un modo per scappare, anzi: correre per lei era l’unico modo per superare la monotonia e anche se stancante, era lo svago che più la soddisfaceva. Persino più del contare le statue del Duomo.
Emily amava correre. Da sempre.
Genere: Avventura, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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“Mamma, ma è vero che tu eri un soldato?”
“Sì, tesoro. Lo ero molto tempo fa.”
“Perché ora non lo sei più?”
“Ho fatto molti errori nella mia vita, preso molti decisioni sbagliate di cui ancora mi pento. Bada bene, figlio mio. Non seguire il mio esempio.”

“Che cos’è quella chiave?”
“Ricordi la stanza che ti ho sempre proibito di avvicinarti?”
“Sì.”
“D’ora in poi, custodirai la chiave che la apre fino a quando non sarà necessario farlo.
Solo quando sarà necessario.”
 
E’ molto importante, Jeremy
 
“Jere-… Jerem-… Jeremy… Jeremy! Ti prego svegliati! Jeremy!” percosso più volte l’amico, Emi sorrise appena lui riaprì lentamente gli occhi disorientato.
Riacquistata lucidità, Jeremy cercò di rialzarsi con l’aiuto del corrimano e la forza che gli restava. “Che cosa… è successo?”
“Ci siamo fermati, finalmente” lo aiutò Emi prendendolo per un braccio “anche il fracasso.”
“Non era fracasso,”, urlò il Dottore da sotto la consolle, “ il TARDIS ha solo voluto avvisarci del pericolo. E del fatto che stava per morire.”
“Morire? Le macchine del Tempo non possono morire! Sono macchine!”
“Attento a quello che dici, giovanotto. I TARDIS hanno sentimenti.”
Attenzione. Atterraggio d’emergenza. Attenzione. Atterraggio d’emergenza.”
“Ok, grazie mille.” Risalito sulla consolle, al Dottore bastò abbassare una leva per far dissolvere l’ologramma della donna “Bene. È il momento di scoprire dove questo scherzetto del destino ci ha portati.”
“Aspetta un attimo!”
“Sì? Che c’è Emi?”
Emi cercò sicurezza negli occhi di Jeremy che in risposta annuì. Ciò che stava per chiedere avrebbe potuto risolvere, o almeno in parte, la questione della misteriosa donna- detective “Ecco… mi chiedevo se potevi dirci chi era quella donna.” Disse alla fine tutto ad un fiato.
“Oh, quella? Era solo un’interfaccia vocale,”, rispose l’alieno con nonchalance, “ non dovete darci molto peso.”
“Era lei.” Si intromise Jeremy quasi aggressivo “Era la donna-detective che ha parlato ad entrambi.”
Gli occhi del Dottore si persero sullo schermo senza leggere veramente i caratteri gallifreyani, cercando invano di ignorare il ragazzo.
“Dottore,”, provò a chiamarlo Emi, “Jeremy ha ragione. Era proprio lei. L’abbiamo riconos-…”
“Non è possibile” la interruppe l’alieno millenario.
“Oh, per una volta ci darai ascolto! Era lei, punto!”
“Jeremy,” lo bloccò Emi con un braccio “Datti una calmata. Dottore. Perché dici che è impossibile?”
Il Dottore si voltò verso l’umana con occhi austeri. Doveva davvero dirlo? Doveva davvero ricordarlo?  “Lei è morta. Molto tempo fa.”
Emi strinse involontariamente la mano di Jeremy, che a sua volta fece con lei.
“Io… mi dispiace, Dottore”, si scusò Jeremy sinceramente mortificato, “ sono stato un’idiota.”
“Non importa. È successo tempo fa, mi sembra di averlo detto. È ok.”
“No, non è ok.” La voce di Emi pareva tremare, intenta a fermare le lacrime in procinto di scendere. “Non è una cosa da dire alla leggera. Anche io mi sento un’idiota.”
“Oh, andiamo ragazzi! Non è successo niente, davvero. Vi sarete solo sbagliati. Questa famosa donna-detective le somiglia soltanto. E di sicuro non è sexy tanto quanto la mia River. Ma l’avete vista?”
“River?” ripeté Emi con la fronte aggrottata.
“Sì, River. River Song. Nonché la mia mogliettina. O almeno lo era. Forza! Andiamo a vedere dove siamo finiti! Questo dannato schermo non mi dà le informazioni che mi servono.”
“Ti sta bene?” tentò di nuovo la ragazza di persuaderlo “Ti sta davvero bene così?”
“Sì, Emi. E lo devo solo a te.” Le sorrise sbarazzino il vecchio alieno.
“Me?”
“Sì, te.” Le si avvicinò per abbracciarla. Quest’ultima si sentì tremendamente in imbarazzo “Mi sembra di avertelo detto, no? Senza di te a quest’ora mi sarei suicidato chissà dove. Avevo perso la voglia di andare avanti. E tu me l’hai ridata.”
Il sorriso infantile del Dottore indusse la ragazza a copiarlo, finendo anche col ridacchiare.
“Ed eccomi qui! Vivo più che mai! E a fare da guida a due splendidi, giovani e curiosissimi esseri umani! Yowzah!” dopo il suo grido di battaglia, il Signore del Tempo, sovreccitato, uscì dalla porta correndo, lasciando che una forte luce color erba invadesse l’entrata del TARDIS.
“E’ così che bisogna trattarlo?” chiese Jeremy “Come un bambino?”
“Come mi ha detto la donna con l’impermeabile: lui non è altro che un bambinone troppo cresciuto, che ha bisogno di essere seguito. Ha avuto un passato terribile, un trauma, oserei definirlo.”
“Cioè… e noi saremmo i suoi genitori?”
Emi rise con una mano davanti alla bocca “Sì, ho paura che lo siamo.”
“Alla faccia degli splendidi e giovani.”
Altra risata.
“Comunque avevo ragione, ammettilo.”
“Riguardo a cosa, testa-a-caschetto?”
“Te l’avevo detto che era sua moglie.”
“Ahah, vero.”
Ehi voi! Che fate ancora dentro? Forza! È il momento di una bella lezione di botanica!” urlava intanto il Dottore da fuori, iniziando anche a dire nomi, così potevano dedurre i due ragazzi, di piante aliene.
“Visto? Sfogarsi è l’unico modo che ha per dimenticare. Assecondarlo è la cosa giusta da fare. Andiamo?”
“Esci pure. Io devo andare a prendere una cosa in camera.”
“Ok, ma fai presto.”
“Sì.”
Salutato l’amico, Emi uscì per raggiungere il Dottore, mentre Jeremy si avventurò tra i corridoi dell’immensa macchina del Tempo, alla ricerca della sua camera da letto.
“Accidenti… qual era le porta? Dovrei dire a quell’idiota di un alieno di non mettere le porte tutte ugu-... Uoh!”
Colto di sorpresa, Jeremy salto all’indietro rischiando anche di cadere, quando si ritrovò davanti all’improvviso River Song, che questa volta indossava un vestito verde tendente al grigio, con una fascia attorno alla vita dello stesso colore,  un lungo cardigan color panna e un paio di sandali ai piedi. L’espressione era sempre tremendamente seria.
“Oh, l’interfaccia di prima… c-ciao.”
Nessuna risposta.
“Ma cosa mi aspettavo… è un’ologramma. Senti… non sai… mica dov’è la mia stanza?”
Proteggila.
Jeremy si avvicinò alla donna stando ad una distanza di sicurezza “Come,scusa?”
Proteggila” disse per l’ultima volta. Come era arrivata, svanì in una pioggia di pixel, lasciando Jeremy confuso, finché non capì “Non c’è bisogno di ricordarmelo”, sorrise, “so bene cosa devo fare.”
 
Ciao papà! Come va lì a Roma? Mi manchi tanto, sai? Qui a Londra la scuola è davvero fantastica! Non vado pazza per l’uniforme, ma non mi lamento più di tanto! Vorrei tanto che tu fossi qui. Spero di sentirti presto!
Ciao!
Emi
 
Richard sorrise dolcemente a quel messaggio tanto atteso dalla figlia. Era da quando era partito per Roma, ovvero un mese, che non sentiva la sua Emily,  e quelle poche parole a caratteri cubitali lo aiutarono a sopportare altre dieci ore di duro lavoro in ufficio. Una scoperta a dir poco sconvolgente quella del ritrovamento di ossa proprio nel bel mezzo di un parco pubblico romano. Un vero colpo di fortuna.
Due colpi sulla porta riportarono lo sguardo dell’americano sul portatile “Avanti.”
“Signor Creek?” era Miranda, la segretaria temporanea per quel periodo di tempo in cui sarebbe rimasto a Roma “Posso disturbarla per un attimo?”
Of course, dimmi pure.”
La donna si tirò su gli occhiali con un indice. Era piuttosto nervosa e sconvolta “Ecco… c’è una ragazzina giapponese e il suo maggiordomo. Chiedono di lei, signore.”
Richard spalancò gli occhi sorpreso “A… japanese girl?”
“Esatto.”
“Beh… possono approfittarne ora che non ho nulla da fare. Falli pure entrare.”
“Come vuole lei.” Fatto un profondo inchino, la donna uscì dall’ufficio a piccoli passi.
Due minuti dopo, la misteriosa ragazza giapponese e il suo maggiordomo entrarono, accompagnati dal fastidioso scricchiolio della sedia a rotelle.
Richard si alzò in piedi in segno di rispetto “Oh, mi spiace. Io non avevo idea. Se lo avessi saputo sarei venuto io da lei, miss.”
Oh, non si preoccupi, signor Creek.” Lo tranquillizzò lei con un fluente inglese e un sorriso sbarazzino.
Richard era rimasto alquanto allibito alla vista di quella bambina così sofisticata in uno studio moderno come il suo. Per un attimo, con quei vestiti gotici con tanto di merletti rosa, i lineamenti morbidi del viso e gli occhi lucidi, pareva una preziosa bambola di porcellana.
Mi dispiace disturbarla, ma avevo bisogno di parlargli.” Continuò lei in inglese.
Dimmi pure.
Ho saputo tempo fa che lei è il padre di Emily Creek, dico bene?”
Sì, è esatto. Conosce per caso mia figlia?”
Non esattamente, è per questo che mi trovo qui, ma sono venuta soprattutto per avvertirla, signore.
Richard aggrottò la fronte preoccupato “Scusa, è… successo qualcosa a mia figlia?”
Non ancora.
Deglutì “Spiegati meglio, per favore.
Signor Richard Creek, so cosa le è successo circa quattro anni fa a sua moglie, e accetti le mie condoglianze.
Ti… ringrazio.
Non è per allarmarla, mi creda. Il mio è solo un avvertimento. Deve assolutamente tenere d’occhio sua figlia. E…
Mia figlia in questo momento è il Inghilterra,” la interrupe bruscamente l’americano “ed è insieme ad un professore di fisica per uno stage.
Era proprio quello che temevo.
Che vuoi dire?”
E’ davvero sicuro che lei non vede sua figlia solo da un mese?”
Gli undici rintocchi del preziosissimo pendolo dell’ufficio, lasciarono che Richard pensò a come reagire a quell’assurda domanda.
Certo che è da un mese che lei è in Inghilterra. Per quanto tempo dovrebbe essere lì?”
E se le dicessi che sua figlia è in Inghilterra da più di cinque mesi?”
E’ impossibile! Stai mentendo!
I viaggi nel tempo sono imprevedibili, signor Creek. E’ normale che lei non percepisca il vortice del tempo come il qui presente Christopher” indicò con lo sguardo l’impassibile maggiordomo vestito di nero.
Viaggi nel tempo? Ma tu chi sei?
Se mi dà il tempo necessario, posso spiegare. Tutto quanto.”
 
Finito di inviare il messaggio, Emi rimise il cellulare nella giacca della felpa e si godette il meraviglioso panorama che le si presentava davanti.
In vita sua aveva visto moltissimi tipi di foreste, le mancava la foresta amazzonica, ma era quasi certa che quella in cui si trovava, batteva ogni foresta esistente sulla Terra.
Quelli che vedeva non erano semplici alberi alti un centinaio e passa di metri,  immobili e saldamente attaccati al terreno, ma erano alberi che si muovevano, che camminavano. Le innumerevoli forme delle piante e i colori vivaci che partivano dal verde fino al giallo, dall’arancione al rosa, erano uno spettacolo per gli occhi.
“E’ bellissimo, Dottore” disse eccitata l’umana persa in quell’immensità “ è davvero bellissimo.”
“Che dire. Non mi aspettavo che il TARDIS ci avrebbe portato proprio su Teràbithia.”
Emi si voltò di scatto verso l’alieno incredula “Che cosa? Questa è Terabìthia?!”
Il Dottore scosse la testa ridendo “No no! E’ Teràbithia. Con l’accento sulla prima a.
“Ah, ok,” si rilassò la ragazza. Come poteva pensare per un solo momento che quel mondo potesse esistere davvero? “Mi sembrava strano.”
“Già. Anche perché Terabìthia è completamente diversa.”
Ad Emi le caddero le braccia.
“Uo, ma dove siamo finiti? Su Pandora? Troveremo qualche Na’vi in giro?” commentò Jeremy uscito finalmente dal TARDIS.
“Siamo si Teràbithia.”
Jeremy era pronto ad aprire bocca quando…
“Accento sulla prima a.
La richiuse subito.
“Allora Dottore. Che cosa facciamo qui?”
“E’ un’ottima domanda, Emi” tirò fuori il suo cacciavite sonico “perché il TARDIS è proprio atterrato su Teràbithia?”
“Quanto siamo lontani anni luce?”
“Almeno… un cento o due cento. Faccio sempre confusione.”
“Dottore,” , urlò Jeremy, “c’è qualcuno che si avvicina da questa parte.”
L’alieno strabuzzò gli occhi per scrutare l’orizzonte indicatogli dall’umano. A ovest, in direzione dei tre soli minori, il Dottore riuscì ad intravedere un gruppo di giovani Batheri, con la loro consueta carnagione scura coperta dai vestiti tradizionali del pianeta dai colori sgargianti, che stavano correndo proprio verso di loro.
“Oh, ma guardate un po’! Dei giovani Batheri! Sono venuti ad accoglierci.”
“Accoglierci? Sapevano del nostro arrivo?” chiese Emi.
“No, ma non appena vedono qualcuno di nuovo sono molto cortesi. Ehilà! Ciao!” il Dottore iniziò a sventolare il braccio per attirare l’attenzione dei Batheri, che però non risposero come sperava il gallifreyano “Buffo. Ormai sono praticamente a quattrocento metri di distanza da noi. Di solito salutano.”
“Forse è una mia impressione,” , intervenne Jeremy, “ma mi pare che siano… spaventanti.”
Emi si mise vicino all’amico. Aveva ragione: nonostante fossero lontani si potevano distinguere i loro volti contorti dalla paura. “Jeremy ha ragione. Stanno anche dicendo qualcosa.”
“Eh? Davvero?”
Scappate…” a cento metri di distanza le voci erano ben distinguibili a tutti e tre.
La neve nera” urlò una voce squillante e femminile.
Scappate! C’è la neve nera!” urlarono di nuovo insieme.
“Ma neve nera?” ripeté confuso il biondo “Che cos’è la neve nera?”
“No… non è possibile..”
Accortasi della paura nella voce dell’alieno, Emi gli si avvicinò.
I suoi occhi erano così spalancati e la sua espressione così atterrita, che la ragazza non poté fare a meno di copiarlo, appena vide quella valanga grigia tendete al nero dietro al gruppo di alieni.
“Oddio! E’ una vera valanga!”
“Emi, apri la porta! Presto!”
“S-sì!”
“Jeremy, subito dentro!”
“Ok!”
Con le mani che le tremavano, Emi fallì due volte nell’inserire la chiave. Alla terza girò più velocemente possibile e spalancò le porte.
Venite da questa parte! “ urlò il Dottore “ Presto!
Ma… è una…
Lo so cos’è! Fidatevi di me!”
Ormai consapevoli che non avrebbero mai raggiunto in tempo il loro villaggio, i più grandi del gruppo annuirono e ubbidirono allo straniero in tweed e farfallino e fiondarono nella piccola cabina blu, esattamente dieci secondi prima  che la valanga colpisse violentemente la macchina del Tempo.
   
 
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