Anime & Manga > Letter Bee/Tegami Bachi
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Autore: sushiprecotto_chan    31/10/2014    1 recensioni
Ad Amberground si stanno presentando nuove “generazioni” di Gaichu, provenienti con tutta probabilità dalla grotta di Blues Notes Blues, e i Letter Bee migliori hanno il compito di occuparsene. Zazie, Lag e Connor non sanno cosa aspettarsi, quando Zazie e Wasiolka vengono aggrediti da un Gaichu che – come in seguito Zazie scoprirà – preferisce mangiare i cuori delle sue vittime lentamente. Per farlo le anestetizza con un particolare veleno, e queste, dormienti, finiscono con la mente in un mondo “ideale” che rispecchia tutti i loro desideri.
[Zazie Winters/Lag Seeing, of course.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Connor Culh, Dottor Thunderland jr., Lag Seeing, Zazie
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Non dovete prenderlo alla leggera. Il purgatorio è un labirinto di tentazioni. La realtà che avrete davanti vi sembrerà del tutto vera. E ogni parte di voi desidererà abbracciarla. Ma se lo farete resterete intrappolati lì per l’eternità. Imprigionati per sempre.” – Sleepy Hollow
 
Parole secondo capitolo: 3751 (fdp)
Note: La storia partecipa al ChaCha (Chapter Challenge) di @ maridichallenge.
Informazioni di servizio: Buon Samhain a tutt@! Come ho precedentemente scritto, la storia è composta da pochi capitoli (o, per meglio dire, parti), e io in teoria e in pratica dovrei aggiornarla ogni mese (lo so, sono in ritardo ç_ç). Grazie mille per i commenti, mi avete commossa. ;_; Questa storia non è nulla di che, in realtà, ma è la mia bambina. A me piace lavorarci e limarla il più possibile, e per voi lavorerò più duramente e con più piacere! Di nuovo grazie, insomma ;_; Siete entrambe troppo gentili.
Vi chiederete perché dare un nome bizzarro come Victorus Hagu alla cittadina in cui abitavano i genitori di Zazie. La verità è che in questo periodo mi sto buttando a pesce nel fandom de I Miserabili – a mio rischio e pericolo, perché LesMis è un covo di angst – e mi ha sempre fatto molto ridere il modo in cui i mangaka giapponesi scelgono nomi in inglese per i loro personaggi o per i luoghi da loro inventati. ‘Ridere’ per via del fatto che successivamente nell’anime questi suddetti nomi vengono pronunciati in un modo assurdo. Per esempio, in Soul Eater uno dei miei personaggi preferiti è Death the Kid. Che nella versione giapponese diventa: “Deatho tha Kiddo”, così come Black Star è “Blaku Starru”, eccetera. Questa tendenza è presente anche in Letter Bee. Basta pensare a “Connah” (Connor), “Lagu” (Lag), Sylvetto (Silvet).
Ecco, Victorus Hagu è la versione ‘giapponesoide’ del nome Victor Hugo. Ovviamente. Questa cosa mi ricorda fin troppo le edizioni dei primi del Novecento italiane, e i vari Gustavo Flaubert e Giovanna Austen.
Harrel e Heather Winters dalle scene del manga mi sono sembrati due personaggi piuttosto intelligenti e pacati, ma ho voluto renderli più ‘strani’ per una questione di credibilità. Sono persone e genitori. I genitori sono inquietanti e imbarazzanti.
Detto questo, sushi-out.
 

 
 
Parte II
 
This body's not my own

This world is not my own

But I can still hear the sound

Of my heart beating out

So let's go boys, play it loud
 
 
 
Il Lag della dimensione-alternativa non era tanto diverso dal Lag della vita-di-tutti-i-giorni. Anzi, non lo era affatto. Forse era proprio questo a colpire Zazie più di ogni altra cosa.
Dopo quel bacio rubatogli così velocemente, Zazie aveva capito che non poteva assolutamente raccontargli tutta la verità. L’unica sua speranza era Connor, e mentre aspettava che arrivasse con passo pesante a Victorus Hagu per la sua prossima visita al parentado, aveva tutta l’intenzione di andarsi a cercare un modo per uscire da lì.
Anche se fuggire da quel mondo gli sembrava sempre più un obiettivo assurdo. Man mano che le ore passavano, infatti, si accorgeva sempre più di quanto non sapesse assolutamente come fare per trovare una via d’uscita. Non capiva neppure se ce ne fossero.
Lag si comportava con lui come se nulla fosse, chiedendogli ogni tanto come andasse la testa, se si sentiva meglio a proposito dell’amnesia, e promettendogli di trovare presto una soluzione. L’unica differenza rispetto a come si sarebbe comportato il Lag-normale era la vicinanza a cui si manteneva da Zazie e agli incontri casuali che avvenivano tra una via e l’altra fra le loro mani. Zazie non capiva cosa stesse succedendo.
Mangiarono un trancio di pizza in un negozio nella parte vecchia della città – o, almeno, così l’aveva definita il suo amico –, e Lag lo costrinse a scusarsi col panettiere innocente contro cui si era scagliato solo un paio d’ore prima.
«Le focacce più buone della città!» aveva detto Lag, indicando la panetteria O’Neal, una volta che ne furono usciti. «Mi sembra talmente strano che per così tanto tempo tu abbia ricordato così poco.»
«Lo so, ma sto bene ora. Ho solo bisogno di un’altra manciata di ore e d’informazioni. Non ti preoccupare, gattino.» Gli scompigliò i capelli, giusto per indispettirlo, dimentico per un attimo di quello che era accaduto fra loro.
«…Io di solito ti chiamo così, vero?»
«Sì!» Rispose deciso Lag. Sembrava sinceramente un po’ avvilito quando gli chiese, poi: «Non ricordi neppure questo?»
«No. Ma ora mi è più chiaro.»
Dopo Lag lo portò da sua zia, cosicché lei gli preparasse un intruglio che – a sua detta – avrebbe aiutato Zazie a riguadagnare la sua memoria.
Se lo teneva stretto, mentre lo portava per le vie della cittadina con l’atteggiamento di chi è sicuro che l’altro riconosca almeno la maggior parte del percorso. Per la prima volta da che si era svegliato, Zazie avrebbe voluto esserne capace.
 
**
 
Lag non sapeva più cosa stesse facendo e cosa ne fosse stato della sua testa. Girava in tondo in quella stanzina asettica, aspettando un responso o almeno un verso, un qualcosa dalla camera affianco. Per la prima volta da anni, gli sarebbe garbato entrarci e scuotere il dottor Thunderland solo per il piacere di farlo, al fine di poter sfogare quell’ansia che si sentiva montare in tutto il corpo. Non voleva restarsene a sedere con uno sguardo afflitto. Aveva bisogno di aiutare il suo amico; di sapere ma anche di rendersi utile al fine di attuare una cura per qualsiasi cosa avesse colpito Zazie.
Se in quel momento si fosse sparato un proiettile del cuore contro, le immagini che sarebbero scaturite sarebbero state le mille scattate nella sua mente di Zazie che rimaneva schiacciato sotto quel Gaichu, l’Acorn che gli rubava i ricordi, e poi… Lui e Connor avevano corso con tutto il fiato che avevano in corpo, dopo aver fatto esplodere l’enorme insetto.
Lag aveva ricordi confusi di come fossero riusciti a trasportarne il corpo – che respirava a malapena – fino alla capanna di Goldenbolt, eppure gli era molto chiara nella mente l’immagine di loro due scarpinare da un masso all’altro, e del suo respiro sincopato, mentre guardava il capo di Zazie rimbalzare su e giù per via di quel trasporto improvvisato. Scoprire lì che lo scienziato era solo un ricercatore e come medico non valeva nulla lo aveva trascinato nella depressione. Avevano preso in prestito il carretto di Goldenbolt e Connor aveva guidato tutti loro verso casa.
Yuusari Central gli si era presentata come la sua ultima spiaggia2: un punto in cui potersi mettere in salvo, ma anche dove non si può che aspettare che il peggio si ripresenti piombando anche lì.
Aveva come la sensazione che gli sforzi del dottor Thunderland non sarebbero bastati e che lui sarebbe dovuto intervenire in qualche modo. Solo che, a meno che non lo mandassero in giro per Amberground a cercare non si sa quale rimedio per guarire il suo amico, non aveva idea di come un intervento da parte sua potesse essere possibile.
«Gli resta ancora del Cuore?» Chiese senza preamboli al dottor Thunderland, una volta che fu uscito da quella maledetta camera.
«Non molto,» rispose sinceramente lui. Asciugandosi le mani con un panno. Una parte di Lag trasalì. Dove le aveva messe? «Ma gli è sufficiente per continuare a vivere. Con il vostro attacco avete impedito all’Acorn di mangiarglielo del tutto, ma il vero problema è che non sembra riuscire a riacquisire conoscenza. E se non si sveglierà entro le prossime quarantott’ore potrebbe rischiare di non farcela.»
«Che gli è successo?» Lag seguì il dottore dentro la stanza. Lui e Connor gli andavano dietro a ogni passo.
«Sembra che il Gaichu l’abbia punto qui,» Thunderland indicò un piccolo buco che si poteva vedere sulla parte sinistra del collo. «E che poi abbia tirato via il cuore poco a poco. Non ho mai visto un metodo del genere essere utilizzato da un Gaichu. Anestetizzare la vittima è piuttosto peculiare per loro.»
«Beh, non stiamo parlando di un Gaichu normale, ovviamente…» La sua stessa voce gli sembrò un po’ isterica, quando pronunciò queste parole. Si chiese cosa gli stesse succedendo.
«Dottore, ma noi cosa possiamo fare?» Disse Connor, non dopo avergli scoccato un’occhiata vagamente preoccupata.
Thunderland si passò le mani sul largo nido che gli popolava i capelli. «Venite, forse è meglio chiedere il parere di un’esperta.»
 
**
 
«Siamo a casa!» Vedere Lag pronunciare quella frase all’entrata di casa sua – una casa che non aveva mai visto né conosciuto, ma che in quel mondo, o qualsiasi cosa quella dimensione fosse, evidentemente era la casa in cui era cresciuto insieme a Harrel e Heather Winters – lo stranì alquanto. Gli tornarono alla mente i momenti in cui era rincasato da solo, senza dover dire una parola all’appartamento vuoto che lo ospitava a Yuusari, e altre giornate in cui aveva accompagnato Lag a casa di Silvet insieme a Connor, e lei aveva tranquillamente preparato la cena per ognuno di loro. Probabilmente anche Silvet e Lag si sentivano soli, e probabilmente lo erano, ma erano anni che non dovevano più salutare una casa vuota, e Zazie era grato che a loro fosse risparmiato tale senso di abbandono.
Probabilmente fra un paio d’anni potrebbero mettere da parte la loro comune timidezza e tra loro potrebbe succedere qualcosa. Potrebbero persino sposarsi. Noir ne sarebbe felice. Resterebbe tutto in famiglia. Mentre la sua mente partoriva tali pensieri e congetture, scorse suo padre armeggiare con chiodo e martello. Bestemmiava sonoramente e teneva in bocca due o tre chiodi.
«È caduta una mensola?»
«Ftu fte ne ftici?» Gli rispose l’uomo.
«No no no no no no no,» Heather intanto era corsa loro incontro, e puntava suo figlio. «Tu te ne torni fuori, giovanotto. Sei già vestito e qui per cena c’è bisogno di un bel po’ di ceci.»
Zazie si sentì quasi offeso. «Sono sparito per ore e tu ti preoccupi dei ceci?»
Lei alzò le sopracciglia. «Fruttivendolo. Ora.» La sua espressione era ridicolmente simile a quelle che di solito faceva Wasiolka. Assolutamente antiestetica. Adesso sapeva da chi aveva preso gli occhi sottili e l’aspetto ferino.
Girò i tacchi e tornò nell’aria umida della strada.
«Lag-kun, come stai?»
«Bene, signora. Zazie, aspetta-»
«Oi’, ragazzetto viziato, la lista della spesa!» gli urlò la madre, così forte che, data la porta aperta, diversi passanti si girarono.
«Okay, okay, sto tornando, sto tornando! Geez…»
Dieci minuti dopo – perché suo padre volle impegnare l’intera famiglia nel dibattito sul se-la-mensola-fosse-simmetrica-al-resto-dei-mobili-oppure-no («Che importa, tesoro, tanto tutti i muri della casa sono storti.» «Gnr… I lavori di casa bisogna farli bene!») e sua madre volle discutere su cosa comprare per la cena e i giorni seguenti, facendo domande a cui si rispondeva automaticamente da sola un secondo dopo e finendo per caricare i due ragazzi di una lista che conteneva il corrispettivo dei bisogni per una cena di natale – Lag e Zazie erano per strada, soldi e foglietti alla mano.
Dopo che si furono abbastanza allontanati dalla casa, Zazie si rivolse al suo amico. «È normale? Cioè, si comportano spesso così?»
«“Così” in che senso?»
Ecco, sapeva che Lag non gli avrebbe reso la vita facile. E poi, che stava pretendendo, Zazie? La sorpresa nello scorgere il carattere dei suoi genitori dal vivo per la prima volta in vita sua di certo non poteva essere compresa da quel Lag, per cui vivere a Victorus Hagu e andare a trovare i genitori di Zazie era una consuetudine. Tuttavia non nascose comunque una certa irritazione.
«Così; insomma, con mio padre che impiega ore per fare un lavoretto e mia madre che dà ordini a destra e a manca.»
Intravide negli occhi di Lag una luce sbarazzina. «Stai scherzando, vero? Queste sono scene che vedo in casa tua da che ti conosco.»
Se il comportamento precedente di Lag gli aveva ricordato una certa ottusità facente parte del carattere dell’amico, vederlo in quel modo, leggero e ironico, lo attrasse fortemente. Da quando Lag faceva delle battute? E da quando dimostrava veramente la sua età? Sebbene si stesse avvicinando velocemente ai diciassette anni, il suo viso era rimasto tondo e morbido come quello di una bambina, e questo non lo aiutava a venir considerato quasi un adulto da chi lo circondava.
«E da quanto mi conosci, eh?»
Lag gli sorrise. «Dai, andiamo, non abbiamo più molto tempo prima che arrivi l’ora di cena.»
 
**
 
«Non abbiamo più molto tempo, non è vero?»
La scienziata che aveva visitato Zazie aveva i capelli corti e un viso incredibilmente smunto. Portava degli occhiali da sole e si sorreggeva su un bastone, perché era cieca. Lag la conosceva bene; lo aveva aiutato a recuperare le forze e il cuore grazie ai suoi infusi, anni prima.3
«No, penso di no. Ma preparerò qualcosa che vi aiuterà a rallentarne gli effetti.»
Lag si pose davanti a lei. «Cosa?»
«Un infuso… Permetterà a Zazie di ricaricare il suo cuore per un po’ di tempo. Ma abbiamo bisogno che si svegli, e lo deve fare consapevolmente.»
«Se lo facessimo noi per lui non funzionerebbe,» spiegò Thunderland a lui e Connor.
«E poi che si fa?»
Thunderland e Connor si lanciarono un’occhiata che nulla aveva dello speranzoso.
Lag si sentì la gola secca.
«Si potrebbe tentare con delle scariche di adrenalina per vedere se avranno qualche effetto. Oppure… lo si potrebbe portare a uno stadio di pericolo di vita per vedere se il corpo reagisce con un sistema di difesa.»
«Non lo fareste,» buttò fuori Lag.
«Aspetta, Lag, il dottore non ha tutti i torti.» Connor gli si avvicinò, tenendogli una spalla. «È anche amico mio e sono in ansia quanto te, ma ci siamo tutti e tre già messi mille volte in pericolo. Sento che questa volta non avrà un esito diverso dalle scorse.»
Lo sguardo Lag passò da diversi punti della stanza più volte, prima che il suo proprietario potesse mettere da parte l’ansia che lo attanagliava per un minuto e fissare i suoi occhi di nuovo su Connor. Il suo compare aveva delle borse sotto gli occhi – non profonde quanto Thunderland, certo, ma c’erano – e stava sudando freddo. Lag ricollegò quel che aveva visto di Connor nelle ultime ore: ogni tanto il suo amico torturava la sua giacca con le mani e, soprattutto, da che erano tornati all’Alveare non aveva toccato neanche una briciola di cibo.
«Credo che tu abbia ragione.» Gli disse quindi. Ma lo terrorizzava quanto anche Connor fosse in ansia. Di solito nelle situazioni difficili Culh era sempre un punto di riferimento solido e sicuro.
«A-Arrivo subito,» esalò infine, uscendo dalla stanza con passo veloce, subito seguito da Niche, che gli trotterellò dietro con Steak al seguito.
Vagò per il BeeHive come un ammalato, prima di trovare la giusta direzione e dirigersi in biblioteca. Non era mai stato molto portato per fare affidamento sui libri. Aveva studiato tutti quelli che erano necessari a dare le giuste nozioni per diventare un Bee, certo, ma di solito chi in battaglia sapeva tutto di Gaichu era Connor, e, per quanto gli piacesse sempre imparare qualcosa di più sul loro mestiere, Lag non era mai riuscito a togliergli il primato. E non si era mai ritrovato tanto disperato da cercare una soluzione entrando alla cieca in un posto contenente migliaia di libri di duemila pagine ognuno.
Dopo dieci minuti passati cercando di prendere libri dagli scaffali più alti e rischiando di farseli cascare tutti pesantemente addosso – rischio che era stato ogni volta prontamente evitato da Niche, che per suo contro però passava il tempo ad annusare i volumi più polverosi e a chiedersi ad alta voce se sarebbero stati buoni da mangiare –, una voce familiare lo fece voltare di colpo.
«Moc Sullivan!» si lasciò sfuggire, a bocca aperta.
«Lag Seeing,» gli rispose quindi lui, con un sopracciglio alzato. E poi: «Ho sentito che tu e Culh avete portato da una missione quel vostro collega quasi morente.»
Lag si sentì come ferito da una freccia. «Non è- Non sta- morendo!» In qualche modo dirlo ad alta voce fece diventare quella situazione orribile ancora più reale.
Il serpente di Sullivan scelse quel momento per esprimersi con un sonoro “hisss”. A Lag quel suono servì per tornare alla ragione.
«Signor Sullivan, la prego!, mi servirebbe il suo aiuto per una questione di veleni.»
 
**
 
Il pomeriggio era passato in un battito di ciglia e, sebbene Zazie non sapesse assolutamente come fosse finito in quel posto e cosa fosse quella specie di dimensione in cui si trovava, alla sera era più deciso a vedere come poterla sfruttare al meglio più che al capire come uscirne.
Aveva l’occasione di avere i propri genitori a disposizione, in carne e ossa – se i suoi genitori erano davvero –; non poteva fuggire proprio in quel momento. Anni prima aveva potuto scoprire la verità sul perché era stato abbandonato ed era tornato dopo tanto tempo a visitare Undercurrent, la sua città natale, e la tomba dei suoi. Ora poteva scoprire chi fossero realmente sua madre e suo padre. Sia Connor che Lag l’avrebbero spronato a farlo, se fossero stati con lui. Doveva andarci a fondo.
«Manca altro?» Gli chiese Lag, stringendo a sé due delle grandi buste piene di cibo che avevano appena comprato.
«Aspetta, fammi controllare» Zazie si frugò nelle tasche, tirandone fuori una lista che il suo amico gli aveva consegnato un’ora prima. «No, siamo a posto.»
Si diressero nuovamente verso casa. Zazie fu impegnato per tutto il tragitto a passare lo sguardo dal selciato a Lag e viceversa. Saltava con solerzia ogni buca che trovava per la strada, ma non poteva evitare di lanciare occhiate al compagno e ai sacchetti che stava portando tra le mani.
Che cos’era, quel mondo, esattamente? Quale strano artificio l’aveva portato lì? E cos’era , poi? Dopotutto Zazie non aveva mai saputo neppure che posto fosse Amberground, e non era mai stato tipo da porsi domande filosofiche ed esistenziali – troppo tempo della sua vita passato a lottare contro quel che la vita stessa gli aveva portato, grazie tante – ma effettivamente non sapeva neppure se lui stesso esisteva, e se tutto il mondo che aveva conosciuto fino a quel giorno fosse reale e non un’illusione. E se Amberground non era un’illusione, allora perché quella versione di Victorus Hagus doveva essere fasulla? Dopotutto ciò che vedeva e ciò che toccava gli sembrava piuttosto reale.
«…bene?»
«Eh?»
Zazie si voltò verso Lag. Non aveva udito nulla di quello che l’amico gli aveva detto fino a quel momento. Vedendo la sua espressione preoccupata, gli fu facile indovinare cosa contenesse quella frase sentita per meno della metà.
«Sto bene. Non preoccuparti»
Decisamente, Lag era reale. Eppure era così assurda la situazione, con il suo amico che lo guardava con occhi così diversi da quelli a cui era abituato. Per un motivo che non riusciva a spiegarsi, la sua presenza lo metteva a disagio.
Lag lo guidò per le strade selciate che avevano percorso al contrario solo un’ora prima. Gli mostrò la strada, gli raccontò con maestria un episodio che era successo con Niche solo qualche giorno prima.
Zazie sorrise. «Quindi è scappata di nuovo dal fornaio?»
«Sì; è la quarta volta in una settimana. Penso che la colpa sia anche un po’ nostra.»
Alzare le sopracciglia parve quasi d’obbligo. «In che senso?»
«Continua a essere gelosa,» Lag fece un sorriso piccolo piccolo. «Magari starai pensando “mi pareva che vi foste già chiariti”, ma, anche se è migliorata, a volte la vedo ancora seguirmi per strada quando dico a zia Sabrina che devo raggiungere te.»
«Cosa intendi dire per ‘è migliorata’?»
«Cosa?»
«Niche.»
«Ah, beh, lo sai anche tu; almeno adesso non cerca più di buttarti addosso delle cose.»
«…Cose tipo cosa?»
A quanto pare degli oggetti che Niche gli aveva buttato addosso Lag si era fatto una lista mentale, tra cui comparivano anche manufatti come ‘cacca (si suppone) di cane’ e ‘un albero’, nonché una quantità enorme di cibi.
Prima che Zazie potesse scoprirne di più, un carretto pieno di libri passò e i due finirono col discutere amabilmente di “quali volumi della libreria dei suoi genitori avrebbe potuto prestare a Lag”.
Quando uno dei sacchetti della spesa si ruppe e i due si cimentarono in una breve litigata su se una mela caduta in una pozzanghera piena di fango fosse ancora mangiabile o meno, Zazie si era già quasi scordato di non essere a Yuusari.
Arrivarono a casa con le mani sporche e facendo più rumore del necessario.
«Siamo tornati!» fece Lag, trasportando con difficoltà alcuni dei sacchetti in direzione di quella stanza che doveva essere la cucina. Poi la sua presenza fu risucchiata dalla casa, e Zazie non seppe più dove potesse trovarsi il suo amico.
Sua madre lo tolse dall’inghippo di decidere cosa fare della sua vita. Con un «Zacchan, dammi.» parte della spesa che teneva in mano gli sparì dalle mani, e lui ebbe una guida che lo portasse fino all’angolo di cottura.
La cucina era fatta interamente di coccio, ad eccezione ovviamente dei fornelli. Era capitato spesso a Zazie – per via delle consegne, oppure semplicemente quando era andato a trovare un amico – di entrare in una casa non sua e d’incappare nel suo odore tipico – perché tutte le abitazioni ne hanno uno, anche se chi ci vive non lo avverte più –, nel disordine o nella sporcizia generale, che, per quanto potessero sembrare casuali, dettavano la natura di chi abitava quell’ambiente tanto quanto assaggiare il cibo preparato da quella persona particolare. Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l’inquilino.4 Ed era molto strano ritrovarsi a classificare gli odori e gli stimoli visivi dell’abitazione sua e dei suoi genitori per la prima volta.
Molto strano e molto inquietante, a dir il vero, perché man mano che usciva dalla cucina e s’inoltrava nel lungo corridoio, scalandolo passo per passo, riusciva a rendersi conto che tutto quello gli era familiare. Già non avvertiva più l’odore tipico della casa. Quasi riconosceva le stanze.
Dio, dio, che mi sta succedendo?  Pensò, cercando di esiliare il panico che lo stava attanagliando in qualche parte del suo organismo dove potesse non essere udito. Perché rivedeva il rivestimento in qualche zona nella sua mente, e riconosceva le decorazioni, e un poco i mobili, e non sapeva il perché.
«Zazie,»
In qualche modo, ogni volta che si perdeva nelle sue elucubrazioni era sempre Lag a riportarlo alla realtà.
Il suo compare sorrideva. «Che combini?»
Zazie si bagnò le labbra. L’altro seguì quel movimento con gli occhi.
«Hai presente quando ti sembra di rivedere un posto per la prima volta?»
Lag lo studiò. «Sì»
«Più o meno il caso è questo»
«Beh, può capitare» Lag mise da parte la questione con un semplice sorriso.
«Suppongo di sì»
«Non credo dipenda dalla botta in testa di ieri sera» disse il suo amico con aria concentrata. Poi lo prese per i polsi, conducendolo verso il divano in una delle stanze – un salottino; Zazie se lo ricordava. Ricordare? Com’è possibile? «Però se vuoi posso aiutarti»
«Ehm; non ho idea del modo»
«Posso aiutarti a ricapitolare quello che stavi facendo negli scorsi giorni, se non lo ricordi… Zia Sabrina mi ha parlato dell’esistenza di una memoria selettiva-»
«Davvero non credo che mi sarà d’aiuto, Lag»
La fronte dell’altro si aggrottò. Fu con un poco di fastidio e di… timore di essere… rifiutato? Che il suo amico ricominciò a parlargli, lentamente e scegliendo le parole. «Zaj. Ne abbiamo già parlato, non devi avere nessuna ritrosia nel chiedere aiuto, se ne hai bisogno. E io sono qui con te»
Accompagnò l’ultima frase con il semplice gesto di accarezzargli lentamente la guancia a palmo pieno. Zazie si ritrovò a provare calore sul viso e in posti che avrebbe preferito evitare di risvegliare davanti a Lag. Il suo corpo era diventato rigido, e quasi lo sentiva tremare; il classico tremore di quando non si sa che fare o come muovere i propri arti.
Il pollice di Lag si soffermò sotto le sue occhiaie.
«Tutto bene?» gli chiese, facendo nuovamente incontrare gli estremi delle sue bianche sopracciglia.
Zazie prese l’altra mano dell’amico, quella che Lag aveva lasciato abbandonata al suo fianco. Le sue dita gli sfioravano il polso.
Pensò all’assurda possibilità che tutto quello fosse reale, che Lag fosse veramente lì come fisicamente sembrava, che quella fosse veramente la sua accogliente casa e che i suoi genitori fossero davvero ancora vivi. Che solo Connor fosse un Letter Bee, che le vie di Victorus Hagu e il cuore di Lag e dei suoi genitori gli appartenessero. Per un attimo, abbracciò l’idea, e si ritrovò quasi naturalmente ad abbassare le spalle e a rilassarsi. Accarezzò la pelle di Lag. Sì, non si poteva dire un sogno. La consistenza delle sue mani era reale, come il calore che poteva sentire provenire attraverso di esse. E Lag era proprio davanti a lui, era una presenza indubitabile. Anche chiudendo gli occhi, l’avrebbe avvertito lì affianco a sé.
Quando espirò, l’aria che buttò fuori sembrò contenere tutto il peso del mondo.
«Sto benissimo»
Lag gli raccontò esattamente cos’avevano fatto i giorni precedenti, e quello che, a detta di Heather Winters, Zazie aveva combinato il giorno dell’incidente in cantina. Zazie si ritrovò a ricordare quasi tutto.
 
**
 
Le macchine attaccate al corpo di Zazie impazzirono.
Lag, che stava al suo fianco, saltò sulla sedia, e la dottoressa specializzata in misture d’erbe smise subito di parlare con Moc Sullivan, precipitandosi al capezzale del ragazzo.
«Presto! Non ci rimane più molto tempo»
Connor riprese a schiacciare furiosamente le bacche datogli da Thunderland. Il suddetto aggiunse: «È meglio per noi preparare il veleno più velocemente»
 
 




2= “L’ultima spiaggia” (On the beach), romanzo post-apocalittico di Nevil Shute, reso poi film due volte, la prima nel 1959 e la seconda nel 2000.
3= Non ricordo il suo nome, ma questo personaggio l’ho preso da un paio di episodi filler dell’anime.
4= “Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l’inquilino” è una frase di Victor Hugo.
   
 
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