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Autore: Dandelionx    01/11/2014    1 recensioni
"E il cuore di Clarke di lì a poco avrebbe fatto “crack” con un suono sordo, tutto d'un colpo, di nuovo e di nuovo.
Anche a lei, lei che era coraggiosa e forte, anche a lei avrebbe fatto male."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Finn Collins
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bellamy non riusciva a spiegarsi il perché. Perché quella ragazza così combattiva e così caparbia gli aveva stracciato il cuore, gli era finita così in fondo...
Lui, che di amore non ne aveva mai saputo niente ma che adesso imparava a scoprirlo.
Era forse questo l'amore?, si chiese. Cadere e tentennare ad ogni parola pronunciata dalle sue labbra? Lui che di tentennare non ne aveva mai avuto voglia, lui che non ne aveva mai avuto bisogno.
Cosa gli aveva fatto quella ragazza di così forte per fargli cambiare idea su tutto? Che strano potere adoperava su di lui?  

Clarke lanciava occhiate fugaci a Bell, lo studiava cautamente e minuziosamente, fino a che aveva iniziato ad amare tutto di lui: la mascella contratta quando si innervosiva, il suo cuore pompante quando le stava vicino, il modo in cui riusciva a disarmarlo, e gli sguardi carichi di emozioni che si lasciava scappare di tanto in tanto.
E sentiva qualcosa all'altezza del suo petto, qualcosa mai provato prima e che la spaventava terribilmente.
Dall'altra parte – però – c'era Finn. Finn, colui che l'aveva tradita e che prima aveva giocato con il suo cuore e poi l'aveva lasciato cadere con non curanza facendolo disintegrare.
Finn, colui che il suo amore non lo meritava. Forse – si disse – era meglio lasciarlo a Raven; alla fine non voleva rovinare nessuna relazione. Semplicemente, era ignara di tutto. La colpa era stata solo di Finn.
Bellamy era passione pura, Finn non era più niente. Bell era il fuoco, Finn l'acqua, Bell era il fighter, Finn lo spacewalker, Bell era il coraggioso, Finn il codardo, Bell la amava in silenzio, Finn la illudeva soltanto.
E il cuore di Clarke di lì a poco avrebbe fatto “crack” con un suono sordo, tutto d'un colpo, di nuovo e di nuovo.
Anche a lei, lei che era coraggiosa e forte, anche a lei avrebbe fatto male.
Doveva smettere di soffrire, lasciare l'amore ed i sentimenti da parte e concentrarsi sulla sopravvivenza sulla Terra. Sapeva che era l'amore ad indebolirla e non poteva permettersi distrazioni del genere.
Ma intanto lo osservava – come una calamita che viene attratta dal ferro – il suo modo testardo di fare, il modo in cui parlava deciso senza esitazioni...
E si lasciava andare contro la corteggia dell'albero, ad un sospiro che racchiudeva una storia; chiudeva gli occhi, pensava a suo padre, perfino a sua madre seppur provava disgusto per ciò che aveva fatto, pensava al padre di Wells, la persona capace di provare ancora sentimenti e non alla carica che ricopriva; pensava anche a Finn – suo malgrado – nonostante lo odiasse; a Raven che era stata tradita quanto lei compiendo una missione suicida pur di rivedere il suo ragazzo e riabbracciarlo; a Charlotte che era morta invano, a tutte quelle persone defunte sull'Arca e a quelle sulla Terra che giorno dopo giorno lottavano per vivere insieme a lei, ad i suoi amici; ad Octavia che aveva vissuto nascosta da quando era venuta al mondo, che aveva perso molto su quel pianeta e che aveva avuto una vita piena di sofferenza; a Jasper che aveva rischiato la morte ma che per fortuna era vivo; a Monty che aveva provato in ogni modo di mettersi in contatto con l'Arca e che aveva quasi perso il suo migliore amico, la sua unica famiglia; a Wells che era stato ucciso subito dopo la loro riconciliazione. Una lacrima le solcò il viso per il doloroso ricordo, ed infine pensò a Bellamy di cui aveva visto e amato ogni tratto dal primo momento – anche se cercava di comprimere la verità, troppo spaventata da solo lei sapeva cosa – di cui aveva notato pregi e difetti, di cui aveva visto la sua umanità e la sua ferocia, amandolo comunque.
Solo lei riusciva a capirlo. Un gesto disperato di un fratello disperato che avrebbe fatto di tutto pur di proteggere sua sorella, parte della sua vita. Bellamy era una brava persona, si comportava da cattivo, ma in fondo aveva un cuore buono e lei si stava innamorando anche di lui. Maledetto, Blake! Non poteva odiarlo e basta per il suo comportamento da bastardo? No, ciò incrementava solo il suo amore pazzo e incondizionato.

«Principessa!». 
Clarke si destò dai suoi pensieri e aprì gli occhi. 
Bell la fissava con uno sguardo preoccupato. Si ricordò di quella lacrima traditrice sfuggitale e si passò le mani sul viso.
Mossa sbagliata.
«Cosa?», fece retorica, forse un po' troppo velocemente e a voce alta.
Bellamy corrugò la fronte assumendo un'aria confusa, cercando di scavare nella sua testa contorta.
«Non hai sentito? Dobbiamo andare...», disse senza scomporsi.
«Dove?», borbottò.
«A caccia. Sempre che tu non voglia morire di fame», la canzonò con quella sua solita faccia da schiaffi.
Clarke fece un sorriso falso e tirato e rispose: «Andiamo!».
Si alzò e si pulì i jeans dai residui di terra e lo oltrepassò prima che lui le posasse una mano sul braccio, costringendola a voltarsi.
Bellamy la fissò con uno sguardo nuovo, era preoccupato, come quando sua sorella era stata morsa da quel mostro, ed era disperato. 
Come se volesse fare qualcosa ma non poteva.
Clarke non capiva. Ora era lei a squadrarlo con l'intenzione di carpirne ogni suo pensiero.
«Perché stavi piangendo?». 
Ah, perfetto. Se n'era accorto, pensò Clarke.
Lei con un strattone si liberò dalla sua stretta e rispose: «Te lo sarai immaginato».
Poi riprese a camminare, quando la voce di Bell la fece fermare per un attimo: «Sono sicuro di no. Ma continua così, ad allontanare tutti, mi raccomando», fece una smorfia ma Clarke non lo vide.

Non rispose neppure, e si allontanò con Octavia che aveva assistito alla scena.
«Tutto bene?», le chiese.
Lei annuì senza però guardarla in faccia: «Alla grande».
Octavia non replicò, decise che era meglio non metterle pressione.
«Clarke!», esclamò un'altra voce che lei conosceva bene. Finn.
Alzò gli occhi al cielo, imprecando qualcosa mentalmente. Ci mancava solo lui.
Continuò a camminare imperterrita.
Finché non lo sentì correre e raggiungerla.
Roteò gli occhi e sbuffò:
«Quale parte del “Voglio essere lasciata in pace” non ti è stata chiara?», sbottò stizzita, con una lieve punta di ironia.
«Clarke, mi dispiace, okay?», confessò lui ignorando ciò che gli aveva appena detto. Sembrava realmente dispiaciuto ma a lei poco importava.
«Non mi importa, okay?», rispose a tono guardandolo un attimo con disprezzo.
«Sei impossibile!», quasi urlò. 
«Perché non vuoi ascolt– » 
Venne frenato da Clarke che gli posò una mano sul braccio come ad intimargli di fare silenzio. Si era accovacciata dietro un cespuglio, avendo avvistato un cervo.
Si portò un dito alla bocca mimando uno “ssh”.
Protrasse il pugnale pronta a scagliarlo contro l'animale ma vide un secondo coltello sfrecciare nella direzione della cavia. 
L'animale cadde a terra con un tonfo, emettendo un lamento.
Si voltarono tutti e tre e scorsero Bellamy – il quale era rimasto indietro – che sorrideva soddisfatto: «Principessa, qualcuno ti ha mai detto che non devi mai esitare quando hai davanti una preda?». 
Quel modo di chiamarla l'aveva inventato Finn, una volta scesi dalla navicella, e ormai ci aveva fatto l'abitudine, le piaceva come suonava dalle labbra di Bellamy, nonostante provocasse ogni volta un'occhiata sprezzante e incredula da parte di Finn – che dal canto suo – era geloso del suo “nickname”, ora rubato.
«Esibizionista. Avrei potuto ucciderlo anche da sola, sai?», mormorò tra i denti e non era sicura che lui l'avesse sentita.
Bell fece un inchino come a schernirla. E lei fece un mezzo sorriso. Era incredibile!
Finn approfittò del silenzio che si era creato per continuare la litania di scuse ma Clarke lo bloccò in partenza.
«Sta' zitto». 
Clarke udì Bellamy fare un commento del tipo: “Hm, problemi in paradiso?”, e gli lanciò un'occhiata torva, mentre lui di risposta alzò le spalle e poi si rivolse ad un altro ragazzo che era con loro e gli intimò di raccogliere l'animale.
Finn si passò la lingua sulle labbra, chiudendo gli occhi, consapevole di non poter fare altro. Clarke avrebbe trovato sexy quel gesto in altre circostanze.

Una volta tornati all'accampamento era calata la sera e dopo aver mangiato l'animale, Clarke si appoggiò al tronco di quel pomeriggio, il vento a scompigliarle i capelli biondi e il fruscìo delle foglie come sottofondo a cullarla nel mondo dei suoi pensieri. Non era triste, né felice, si sentiva leggera e aveva un'espressione spensierata sul volto.
«Ti godi l'atmosfera?», domandò Bellamy, prendendo posto accanto a lei. Non l'aveva sentito arrivare.
Aprì gli occhi e finalmente gli sorrise. Era un sorriso vero. Bellamy ricambiò. Da quando erano arrivati su quel Pianeta, non aveva mai sorriso a quel modo.
«È incredibile pensare che ci stavano perdendo tutto questo», osservò.
«Già», la assecondò, poggiando la testa al tronco dell'albero.
Clarke fece lo stesso e lo guardò solo con gli occhi: «Pensi che troveranno il modo di arrivare?», gli chiese facendo cenno sopra le loro teste, verso il cielo, dove fluttuava l'Arca, ancora per poco.
«Sì. Ma spero lo facciano il più tardi possibile».
«Perché?», si incuriosì. 
Lui si incupì: «Fai troppe domande, principessa».
Lei fece un movimento con la mandibola e tornò a fissare le stelle. Tu, non rispondi mai, però, avrebbe voluto rispondergli. E tu non rispondi mai, avrebbe voluto dire.
«Era per fare conversazione», si strinse nelle spalle.
Bellamy ponderò a lungo se rivelarglielo o meno, alla fine decise di confidarsi, perché inspiegabilmente si fidava.
«Quando loro arriveranno qui, mi uccideranno», adesso era lui a guardarla con la coda dell'occhio, aspettando la sua reazione.
Clarke si sentì all'improvviso irrequieta. Che aveva combinato Bellamy? Aveva a che fare con il perché si trovasse anche lui sulla Terra?, questi erano i quesiti, che si poneva.
Scoppiò a ridere, per l'espressione tremendamente dolce e sconvolta di Clarke.
«Calma, principessa. Ti preoccupi per me, eh?».
Clarke lo guardò male e gli diede una gomitata, e pure forte.
Lui finse di piegarsi in due per il dolore e scoppiò a ridere, trascinando anche lei. Anche se non avrebbe dovuto, lui si prendeva gioco di lei, sempre.
«Idiota. Certo che mi preoccupo». 
Ed in quel momento certo che avrebbe voluto tagliarsi la lingua.
Bell cambiò espressione. Si fece di colpo serio.
«No, cioè, ecco...». Non poteva correggersi. Danno fatto.
«Oh Clarke...», sospirò carezzandole dolcemente la guancia con il dorso delle dita e lei chiuse di istinto gli occhi. Quando li aprì incontrò i suoi. Scuri e penetranti. Gli si leggeva paura e preoccupazione.
Le cadde una lacrima. Si ricordò di suo padre. Quegli occhi gli ricordavano suo padre.
«Ehi, ehi, principessa», abbassò lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
Lei ridacchiò nervosamente tra le lacrime: «S-scusa».
«Va tutto bene», le disse prendendole il viso tra le mani ed asciugandole le lacrime con i polpastrelli.
«È che...», guardò in alto come se volesse impedire alle lacrime di scendere. Bell la guardava con tenerezza, profonda ed inspiegabile tenerezza.
«...Mi hai ricordato mio padre», riuscì a mormorare.
Bell scosse la testa, mandando al diavolo tutta la situazione e la abbracciò. Si sentiva sempre come se dovesse proteggerla, aveva troppa paura per lei, e anche per lui. Tutte le cose belle che gli capitavano, non duravano a lungo. Del resto era questo il motivo per cui era così protettivo nei confronti di Octavia.
A Clarke mancò il respiro. Le lacrime scesero a quota lenta. E spalancò gli occhi, sorpresa e confusa da quel gesto ma perfettamente riconoscente a Bellamy.
Affondò la testa nella sua spalla e inspirò il suo profumo, fresco e dolce, sapeva di felce.
Quando decise di staccarsi si guardarono negli occhi, a pochissima distanza, a pericolosissima distanza.
«Vorrei baciarti», sussurrò Bellamy sfiorandole il naso e fissandole le labbra: un sussurro disperato e trattenuto per troppo tempo.
«Fallo», rispose. Neanche il tempo di pronunciarlo che le labbra calde di Bell erano sulle sue. Finirono in ginocchio. Uno di fronte all'altro. Lei allacciò le braccia al suo collo e rispose al bacio con violenza e passione. Era un bacio disperato. Un bacio che conteneva tante emozioni, anche pericolose.
Eppure sentivano che era l'antidoto ai loro dolori.
Si baciavano famelici, uno dell'altra e quando si staccarono, ansimanti e confusi, Bell posò la sua fronte su quella di lei.
Nessuno dei due disse nulla, ed era meglio così.
Bell le accarezzò le labbra con le sue dita in un tocco soffice e delicato.
«Volevo farlo da quando ho incrociato i tuoi occhi», sorrise sulle sue labbra dopo averle dato un altro semplice bacio a stampo.
Anche lei sorrise e fece:
«Cosa stavi aspettando?».
I suoi occhi si fecero di nuovo scuri e spaventati.
«Non potevo. Non posso. È stato un momento di debolezza, non succederà mai più».  
Alla fine la realtà era subentrata e riluttante si allontanò da lei, lasciandole mille interrogativi in testa, la confusione nel cuore, e le labbra umide e arrossate di un bacio che aspettava da tempo e con il dubbio di poterne avere un altro in futuro. Non le aveva dato neppure il momento di replicare, era rimasta solo questa frase, persa nel vento: «Ma ho bisogno di te».
Ora lei aveva capito chi voleva. Ma c'era un problema. Ora, Bellamy non sapeva cosa voleva. E Clarke si ritrovò di nuovo con un macigno sul petto. Dannate emozioni!

Finn, da un angolino nascosto, osservò la scena e annuì tra sé. L'aveva persa ed era stata tutta colpa sua.
Ciò che rimase fu un sorriso triste sul suo volto e la consapevolezza di doversi fare da parte, proprio ora che aveva capito di amare lei.
Era tutta colpa sua.
Spinto da un moto di rabbia diede un pugno ad un albero lì vicino, spaccandoselo e mentre il sangue colava, e il dolore si faceva sentire, capì che c'era qualcosa che gli faceva più male; anch'esso pompava sangue.

 

  
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