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Autore: Anne Elliot    01/11/2014    10 recensioni
"John aprì loro la porta del salotto ma si bloccò non appena vide che la persona intenta a suonare il violino, non era Sherlock Holmes."
Nell'ultima puntata della terza stagione, Mycroft fa riferimento ad un terzo Holmes.
Questa è la mia interpretazione della faccenda
Spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate. Mi raccomando, voglio le critiche! ^^
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The third brother'
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The third brother 8

Note autore: Per l’ultima volta, in questa storia, salve a tutte/i! ^^
Dopo ben 9 capitoli siamo giunti alla fine di questo racconto. Non so se la fine sarà soddisfacente anche perché non so quanto si possa definire tale ma spero, per lo meno, che non vi dispiaccia.
Devo ringraziarvi per tutti i commenti meravigliosi che mi avete lasciato, per l’affetto che avete avuto per questa storia e per il personaggio di Sherry, per le parole bellissime che mi hanno veramente riempito il cuore; inoltre, ringrazio tantissimo anche chi ha semplicemente letto questa storia, conta comunque molto per me. ^^
Ed ora, che dire, non sono brava negli arrivederci…per cui, come sempre, vi lascio al capitolo e a voi l’ardua sentenza!
A presto,
Anne ^^






The third brother



“Anche tu puoi essere la scelta di qualcuno”



Molly aprì lentamente gli occhi per poi richiuderli immediatamente.
Li riaprì nuovamente cercando di mettere a fuoco quello che vedeva di fronte a sé. Non che ci fosse molto, era solo il pomello di un cassetto ma le ci volle qualche istante per realizzare che quello non era un suo cassetto, che quello non era il suo letto e che non si trovava nel suo appartamento.
Si girò mettendosi supina. Il volto ancora mezzo nascosto sotto il piumone. Una luce tenue e fredda entrava dalla finestra; la sera prima si era dimenticata di accostare le tende. Allungò coraggiosamente una mano per prendere il cellulare sul comodino. Non appena l’ebbe preso rintanò immediatamente il braccio sotto il tepore delle coperte.
Con gli occhi ancora semichiusi sbloccò il telefono e guardò l’ora. Le 5 di mattina?! Non poteva essere già sveglia. Aveva bisogno di dormire, il suo corpo lo esigeva dopo la giornata assurda che aveva passato.
Si mise nuovamente su un fianco accoccolandosi maggiormente nel tepore del letto. Peccato che la sua mente fosse del tutto contraria a lasciarla dormire.
Sbuffò e con un movimento nervoso uscì dalle coperte. Non appena percepì il freddo attanagliarla si strinse nelle braccia maledicendosi per non essersi portata la sua vestaglia. Va bene, non era bellissima, forse era meglio dire che era orribile e sicuramente non adatta ad una situazione che richiedesse il relazionarsi con altre persone però era calda, molto calda.
Andò a passi lenti ed incerti sino alla finestra e ne spannò un angolo con la manica del pigiama. Durante la notte doveva aver nevicato ed abbondantemente anche. La patologa scrutò per qualche minuto il panorama: la pianura completamente imbiancata, il cielo di un grigio chiaro e carico di nuvole piatte, gli alberi secchi che reggevano a stento il peso della neve. Inspirò e prese il suo borsone posandolo sul letto; tirò fuori un paio di pantaloni neri ed un maglione bordeaux pesante. Si affacciò con circospezione dalla porta della stanza guardandosi in giro nella speranza di non incontrare nessuno; il suo pigiama era solo leggermente più accettabile della sua vestaglia, dopotutto. Casa Holmes, naturalmente, dato l’orario, era buia e silenziosa. Andò in bagno, si rinfrescò, si vestì e tornò in camera a riordinare la sua borsa. Si guardò allo specchio finendo di pettinarsi i capelli. Mise la spazzola nel borsone ed uscì dalla stanza.
Scese con passi lenti e silenziosi le scale con l’intenzione di farsi un caffè e mettersi in poltrona a leggere un libro, magari. Le sembrava di averne visto qualcuno nel salottino verde ed infatti era così; vicino alle scale c’era una piccola libreria con alcuni volumi. Inclinò la testa per leggere i titoli sui bordi: “Matematica finanziaria”, “Dinamiche della combustione”, “Fusione fredda: fenomeni termici e nucleari nella materia condensata”…gli occhi della patologa si fermarono. Un sorriso ed un sopracciglio arcuato seguirono la mano che andava a prendere un volume: “Storia della pirateria”. Molly guardò per qualche istante la copertina, l’espressione sorpresa e divertita ancora sul volto, poi l’accostò al petto e si diresse verso la cucina.
Si fermò per un istante ad osservare il salotto rosso illuminato dalla luce tenue dell’aurora *. Era silenzioso, rilassante e in certo qual modo riscaldava il cuore, per quanto in realtà fosse gelido dato che le braci dovevano ormai essere spente da ore.
Si incamminò verso la cucina. Avrebbe acceso il bollitore per l’acqua calda e poi sarebbe uscita a prendere la legna prima di iniziare a leggere. Tuttavia, non appena entrata in cucina, si immobilizzò. Il tavolo era completamente sommerso di stoviglie sporche; si sentì istintivamente in colpa per tutto quel lavoro che Mrs Holmes avrebbe dovuto fare anche per causa sua. Inspirò ed espirò pesantemente, poggiò il libro su un angolo del tavolo e si rimboccò le maniche.
Dopo aver avviato il bollitore iniziò a lavare i piatti per poi asciugarli ed impilarli nuovamente sul tavolo, non sapendo dove dovesse metterli.
Spense il bollitore e versò un po’ acqua calda in una tazza mescolando per far sciogliere il caffè solubile. Ne bevve un sorso e tornò a lavare le stoviglie, spesso lanciando un sguardo fuori dalla finestra che era proprio sopra il lavabo. Si ritrovò a pensare al giorno precedente, alla cena di natale, al racconto di Sherry davanti al camino, alla loro chiacchierata, alle parole di Sherlock sull’affidarsi a lei da parte della famiglia Holmes. Arrossì e continuò ad asciugare la medesima tazza per almeno 5 minuti; un sorriso imbambolato e l’espressione persa intenta a guardare la natura al di là della finestra…
«Molly»
La patologa saltò per la paura lanciando un piccolo urlo e lasciando cadere la tazza che aveva fra le mani. Due mani guantate la afferrarono a pochi centimetri dal pavimento.
Una spaventata Molly Hooper ed un quasi inginocchiato Sherlock Holmes si fissarono per qualche istante nel silenzio più totale. Poi l’uomo si alzò lentamente, le mani a posare la tazza sulla mensola della cucina.
«E’ il servizio preferito di mia madre.». Gli occhi sulla tazza di porcellana a fiori.
La patologa spalancò gli occhi. Le mani ancora a tenere il canovaccio all’altezza del petto.
«Davvero?!»
L’uomo portò il suo sguardo su di lei con aria severa.
«Già…Sherry ha ricomprato ogni tazza almeno tre volte per evitare che mamma si accorgesse che il suo servizio fosse incompleto.»
La patologa sorrise redarguendolo con lo sguardo. Lui accennò un sorriso ilare.
«Quindi, questo non è più il servizio preferito di vostra madre dal…?»
L’uomo incrociò le mani dietro la schiena serrando le labbra ed aggrottando le sopracciglia con aria pensierosa.
«Dal ’91 o ’92, non ricordo»
Sorrisero entrambi. Poi Molly posò il canovaccio e prese una tazza che non faceva parte del finto preferito sevizio di Mrs Holmes.
«Caffè?»
L’uomo iniziò a togliersi i guanti.
«Si, grazie. Nero due…»
Molly gli stava già porgendo una tazza con un sorriso mezzo accennato.
«Lo so.» Lui la fissò per qualche istante. «Ti conviene prenderla prima che mi caschi»
Lui sorrise ed afferrò la tazza senza far attenzione al non sfiorare le dita della donna. Lei abbassò lo sguardo imbarazzata e prese la sua tazza.
«Non pensavo di farti così tanta paura, Molly».
La donna lo guardò con aria perplessa e lui osservò la tazza fiorata che era appoggiata sulla mensola.
«Non ti ho sentito arrivare.» Bevve un sorso di caffè.
Lui guardò la porta che dalla cucina dava sul retro della casa. Quella porta era tutto fuorché silenziosa.
Molly seguì lo sguardo dell’uomo per poi sorridergli scrollando le spalle.
«Ero sovrappensiero» poi osservò l’orologio. Erano le 6. «Che ci fai in giro a quest’ora?»
Lui accennò una smorfia di disinteresse e portò la tazza alle labbra.
«Potrei farti la stessa domanda»
Lei si ritrasse leggermente con aria offesa.
«Non volevo essere invadente, era solo una curiosità.»
Lui aprì le labbra ma le richiuse con aria nervosa. Poi bevve il caffè e si schiarì la voce.
«Non riuscivo a dormire» il tono di voce era più calmo come se stesse implicitamente chiedendole scusa.
La patologa alzò lo sguardo dalla propria tazza ed annuì leggermente con aria serena. Aveva implicitamente accettato le sue implicite scuse.
«E tu?»
La donna si guardò un po’ in giro.
«Lo stesso»
«Un altro incubo?»
Il tono basso, caldo ed indagatorio della voce di Sherlock la fece sentire a disagio. Rise nervosamente, prese il libro che ancora l’attendeva sul tavolo e si incamminò rapidamente verso il salotto con uno spensierato ed al contempo nervoso “no, no”.
Lui la seguì dopo qualche istante. Un’espressione perplessa sul volto.
Molly aveva posato la tazza ed il libro sul tavolino di fronte al camino e stava per andare a prendere la legna quando fu superata dal detective che, posata la tazza vicino a quella di lei, si diresse a passo spedito verso la porta.
«Vai via?»
La patologa si maledisse per quella frase infantile e per il tono da cucciolo abbandonato che le era uscito dalle labbra. Lu accennò un sorriso, la porta mezza aperta.
«Fa freddo, non credi?»
Molly lo osservò uscire, chiudendosi la porta dietro di sé, e rimase immobile per qualche secondo. Poi si sedette sul divano maledicendosi a denti stretti.
«Vai via?...Sei penosa Molly, penosa!»
 

Molly era presa dalla lettura quando la sua attenzione fu richiamata da un leggero colpo di tosse.
Abbassò  il libro di qualche centimetro ed osservò Sherlock. Era accovacciato e le dava le spalle, intento a far attecchire le fiamme. Stava per riprendere la sua lettura, convinta che quel tossire non fosse un modo per attirare la sua attenzione, quando lo vide voltarsi per un secondo per poi tornare a dare attenzione al fuco.
«Cosa leggi?»
La donna poggiò il libro sulle gambe incrociate e guardò l’uomo con aria perplessa. Stava cercando di fare conversazione? Conversazione, con lei?
Lui si alzò e mise le mani sui fianchi, gli occhi ancora intenti a controllare le fiamme, poi si voltò e si sedette sulla poltrona vicina a lei. Mise le mani sui braccioli e guardò la patologa in attesa di una risposta.
Lei sorrise leggermente ed alzò il libro per permettergli di guardarne la copertina.
«Storia della pirateria, era nella libreria del salottino.»
L’uomo si irrigidì sistemandosi i polsini della camicia e tornando a guardare le fiamme. Molly strinse leggermente gli occhi incuriosita e divertita da quella strana reazione. Prese il libro sfogliandolo con disattenzione.
«E’ interessante anche se è un’edizione un po’ datata e per bambini.» Lui non reagì e lei continuò a sfogliare le pagine. Riportò lo sguardo sull’uomo con aria maliziosa e divertita. «Di chi potrebbe essere?»
Lui alzò le spalle con aria disinteressata ma senza voltarsi a guardarla. Il corpo ancora rigido.
«Non saprei.»
Lei continuò a fissarlo e lui probabilmente percepì l’insistenza dello sguardo della patologa perché si voltò tentando senza successo di mantenere un’aria disinteressata. Poi tornò ad osservare le fiamme.
«Sherlock?»
«Mmh»
«Perché non ci hai mai parlato di Sherry?»
L’uomo continuò a non guardarla ma dopo un po’ le rivolse uno sguardo vitreo.
«Che cosa ti ha raccontato?»
La patologa abbassò lo sguardo sulle proprie mani, le dita ad accarezzare la copertina del libro.
«Del suo errore» l’uomo strinse la mascella «e di quanto voglia bene a te e a Mycroft»
La patologa alzò lo sguardo sino ad incontrare quello duro dell’uomo.
«Sherlock, non puoi accusarla di aver cercato di essere felice.»
L’uomo sbarrò gli occhi carichi d’odio.
La donna si guardò in giro ma non per questo cedette.
«Lei lo amav…»
«Una debolezza che le è quasi costata la vita!»
La patologa sorrise a mezza bocca riportando i suoi occhi a confrontarsi con quelli di lui.
«Facciamo tutti cose sciocche!»
La mente dell’uomo estrasse da un cassetto della sua memoria quell’osservazione che Molly Hooper gli aveva già fatto. Senza rendersene conto rispose al sorriso della donna nel medesimo modo.
La patologa, continuando a sorridere, scosse leggermente la testa e tornò alla sua lettura. Lui unì le mani facendo combaciare i polpastrelli e si rinchiuse nel suo mind palace.
Rimasero così per un po’. Come se fosse la cosa più normale e naturale del mondo. Ogni tanto Molly alzava gli occhi ed osservava l’uomo racchiuso nel suo mondo per poi tornare a leggere oppure abbassare lo sguardo imbarazzata se lui intercettava il suo sguardo.

 

Il rumore di un auto che si fermava di fronte casa riscosse entrambi.  Si guardarono con aria interrogativa poi Sherlock si alzò e, dopo aver dato un’occhiata fugace fuori dalla finestra, uscì dalla porta.
Molly posò il libro sul tavolino e si voltò verso l’entrata di casa Holmes con aria preoccupata.
Dopo qualche minuto Sherlock rientrò e, dopo averle lanciato uno sguardo fugace, si diresse nel salottino e salì rapidamente le scale. La patologa rimase a fissare il soffitto con aria perplessa, i passi rapidi di Sherlock sopra la sua testa.
«Buongiorno Miss Hooper.»
Molly riportò la sua attenzione alla porta proprio mentre Mycroft Holmes era intento a chiuderla alle sue spalle.
«Buongiorno…è, è successo qualcosa?»
L’uomo le fece un sorriso compiacente.
«Nulla di cui debba preoccuparsi.»
La patologa annuì a quel modo elegante di dirle che non erano fatti suoi.
«Vuole un caffè?»
L’uomo fece qualche passo nella stanza e le sorrise, questa volta, sinceramente.
«Sarebbe veramente gentile da parte sua.»
Molly sorrise a mezza bocca ed andò in cucina.
Mentre era intenta a versare l’acqua nella tazza sentì distintamente dei passi concitati al piano di sopra. Doveva essere Sherlock e qualcun altro. Stava per rientrare in salotto quando si bloccò sulla porta.
La voce preoccupata di Sherrinford Holmes era diretta al fratello maggiore.
«Com’è possibile? Mi avevi assicurato che…»
Il maggiore degli Holmes la interruppe.
«Sherry calmati. Ci dev’essere una spiegazione logica.»
Molly percepì la bella Holmes camminare avanti e indietro nervosamente.
«Certo che c’è, ci deve essere…ma quale?»
Altri passi provenienti dalle scale e i due Holmes non furono più soli.
«Prova a chiederlo a Sherlock, sorellina.»
Ci furono degli attimi carichi di un silenzio imbarazzato poi la voce di Sherry riempì quel vuoto.
«Sherlock…devi dirci qualcosa?»
Ci fu qualche istante di silenzio.
La voce alta e perentoria di Mycroft anticipò una probabile risposta del detective.
«Grazie per il caffè Miss Hooper!»
La donna entrò nella stanza ad occhi bassi e completamente imbarazzata. Porse la tazza all’uomo senza guardarlo e sentendosi lo sguardo dei tre fratelli Holmes addosso.
Sherry le si avvicinò e le sorrise prendendola sottobraccio.
«Credo prenderò anche io un caffè.»

 

Sherry era poggiata al piano della cucina sorseggiando il suo caffè. La patologa giocherellava con un tovagliolo.
«Mi spiace per prima, non volevo sentire, insomma»
La Holmes scosse la testa con fare affettuoso. Molly sorrise per poi riprendere un’espressione pensierosa.
«Dovete andare?»
Sherry la guardò con malizia e finì il suo caffè.
«Solo io e Mycroft. Sherlock te lo lascio.»
Molly si irrigidì, guardò la porta che comunicava con il salotto e poi riportò uno sguardo imbarazzato sulla donna che ancora sorrideva. Sherry posò la tazza nel lavabo e le fece cenno di seguirla nella stanza rossa.
Non appena entrarono, Molly si accorse che la stanza era vuota.
«Ma, dove sono?»
Sherry guardava con circospezione fuori dalla finestra e guardando la patologa indicò ciò che stava guardando. Molly si avvicinò e guardò ciò che la donna gli stava mostrando ma riuscì a vedere soltanto le spalle dei due Holmes. Si voltò con aria interrogativa verso la donna.
Sherry andò alla porta facendole segno di tacere. Si schiarì la voce leggermente ed aprì improvvisamente la porta.
«Ehi voi due, non starete fumando?!»
Molly rise della reazione dei due Holmes che si girarono improvvisamente incolpandosi a vicenda pensando che fosse Mrs Holmes, dato la bravura di Sherry nell’imitarne la voce.
La risata cristallina di Sherry non coinvolse i due fratelli.
«Sherry, non è divertente!»
«Sherrinford, non abbiamo tempo da perdere con queste sciocchezze. Sei pronta? Andiamo?»
Molly tornò a guardare la bella Holmes che, ancora sorridendo, diceva al fratello che sarebbe arrivata fra un attimo e richiudeva la porta.
Le due donne, gli occhi ancora divertiti, si guardarono con dolcezza; poi Sherry fece qualche passo per poter abbracciare la patologa che rispose con il medesimo affetto.
«Grazie Sherry»
Le due donne sciolsero l’abbraccio.
«No, Molly. Grazie a te, per tutto quello che hai fatto e che stai facendo per Sherlock.» La patologa arrossì scuotendo la testa.
Sherry prese il cappotto e la sciarpa e li infilò per poi tornare di fronte alla patologa.
«Forse vado contro, come dire, i miei interessi ma…con Sherlock ci vorrà pazienza Molly.» La patologa sorrise. «Molta pazienza»
Molly si guardò le mani.
«Si, lo so.»
Sherry sorrise.
«Si, lo so che lo sai».
Le due donne si guardarono per poi scoppiare a ridere.
«Sherry, ho provato ma è inutile»
La donna annuì lanciando uno sguardo fuori dalla finestra per poi sorridere.
«Beh, come trovare qualcuno migliore di un sociopatico iperattivo che non è neanche niente male fisicamente?»
Molly scoppiò a ridere.
Sherry andò verso la poltrona e prese il borsone che vi aveva posato in precedenza. Poi si incamminò verso la porta seguita dalla patologa che teneva le mani in tasca mollemente. Sherry aprì la porta e lanciò uno sguardo ai due fratelli; Molly fece la medesima cosa.
«Comunque vada, Molly, sappi che hai il pieno appoggio delle Holmes.»
 

Sherlock buttò la cicca e si voltò ad osservare le due donne che parlavano sulla porta. Alzò un sopracciglio quando vide Sherry porgere qualcosa alla patologa per poi abbracciarla ed andarsene.
L’uomo si voltò ad osservare il fratello maggiore che attendeva Sherry vicino all’auto. Era palesemente innervosito per la lunga attesa.
«Smettila di guardare Mycorft a quel modo!»
Sherry si era affiancata al fratello minore senza che lui se ne accorgesse.
«Mi voleva mandare verso morte certa!»
«Ma per favore! Non saresti morto, una persona qualsiasi si ma tu ovviamente no!... Non gli avrei mai permesso di mandarti in una situazione di reale pericolo!»
Sherlock le lanciò uno sguardo divertito prima di tornare a guardare il fratello.
«Ti ha lasciato in quell’ospedale per…»
Sherry gli si parò davanti con aria severa.
«No, Sherlock! Te l’ho detto mille volte e continuerò a farlo: non attribuire a Mycroft colpe che non ha. Mi ha salvato dalla morte ed ha salvato te dal carcere a vita» L’uomo si guardò intorno con fare nervoso. «Per quanto la cosa possa darti fastidio, sai benissimo che è così.»
L’uomo strinse le labbra per poi tornare a guardare la sorella. Sherry inspirò pesantemente incrociando le mani fra loro.
«Dovrei venire con voi.»
La donna scosse la testa.
«No, è meglio se resti qui. Tranquillizza mamma e papà e ovviamente scusami con John e Mary.»
Sherlock alzò un sopracciglio.
«Non sono la persona più adatta.»
«Beh, non ho altri fratelli a cui affidare il compito.»
L’uomo sorrise ma la sua attenzione fu attirata dal fratello che indicava con nervosismo il proprio orologio. Sherry intercettò lo sguardo di Sherlock e si voltò ad osservare anche lei il fratello. Annuì e tornò a guardare il detective.
«Ti chiamo per aggiornarti.»
Lui annuì. Lei gli cinse il collo con le braccia per qualche istante. Poi si staccò, gli sorrise e si incamminò verso il cancello.
Tuttavia, dopo pochi passi, Sherry si bloccò e tornò indietro mettendo apposto il borsone sulla spalla.
Si fermò di fronte all’uomo e gli sorrise. Le dita delle mani a prendere il bavero del cappotto e stirarlo leggermente. Poi uno sguardo dolce e supplichevole.
«Sherlock, per favore, permetti a te stesso di essere felice!»
Lui la guardò con aria interrogativa. Le mani incrociate dietro la schiena.
Lei tornò a guardare le proprie mani sistemare i lembi del cappotto del fratello.
«Trovare qualcuno che ti capisca, che ti capisca veramente, senza che tu debba spiegargli nulla di te perché è in grado e soprattutto vuole capirti, beh, è un regalo unico e raro. Sherlock, ti prego, tu puoi essere felice. Non sprecare quest’opportunità per paure, timori o fantasmi che riguardano solo il tuo passato.»
Lui guardava altrove.
«Non riguarda solo me, non credi?»
Lei sorrise amaramente.
«Quello che so è che ognuno fa le proprie scelte a prescindere da ciò che puoi volere tu o il resto del mondo.» Lui abbassò lo sguardo per guardarla con aria sarcastica. «Si, è così! E no, non è vero che l’amore capita e basta, che il cuore prende e va. L’amore è una scelta, l’amore è scegliere fra milioni di persone, ed anche tu puoi essere la scelta di qualcuno. Una scelta folle, illogica, pericolosa o stupida, quello che vuoi, ma comunque una scelta. E ora sta a te fare la tua.»
«Stare da solo mi protegge e protegge loro.»
«No Sherlock! Stare da solo fa soffrire te e loro, tutto qui.»
«I sentimenti sono un difetto chimico!»
«Non puoi saperlo.»
«A no? E perché?»
«Perché non sai la configurazione elettronica del ferro, come puoi conoscere quella dei sentimenti.»
Sorrisero entrambi.
«Non aver paura dei sentimenti Sherlock. Forse sono ciò che può farti soffrire come nessun’altra cosa al mondo ma sono anche l’unica e sola cosa che può renderti realmente felice.»
Una lacrima solitaria scese dal volto della dolce Holmes.
Lui le sorrise e con una mano guantata le spostò una ciocca di capelli dal volto.
«Dovresti smetterla di preoccuparti per me.»
Lei circondò il suo torace con entrambe le braccia. La fronte a sfiorare le labbra di lui.
«Io non smetterò mai di preoccuparmi per te.»
Il sorriso di lui si aprì istintivamente ed una risata bassa gli scosse il petto. Una mano ad accarezzare la testa della sorella.
Lei si distanziò e gli sorrise. Si volto e tornò ad incamminarsi verso la macchina nera vicino alla quale un dubbioso Mycroft la osservava.
«Sherry, è tutto apposto?» La donna sorrise alla reale preoccupazione del fratello maggiore che traspariva da quel nomignolo. Gli accarezzò una guancia di sfuggita e lui non si ritrasse. Lo sguardo preoccupato.
«Tranquillo Mycroft, va tutto bene. Possiamo andare.»
La donna salì in macchina mentre l’uomo tornò ad osservare il fratello minore.
Sherlock sciolse le mani che aveva nuovamente incrociato dietro la schiena ed alzò una di esse in un accenno di saluto.
Mycroft annuì ed entrò nell’auto.
La macchina partì silenziosamente.

 
 

Molly era tornata ad accovacciarsi sul divano. Gli occhi erano intenti ad osservare le pagine del libro ma senza leggerle realmente.
Sentì la porta di legno scuro aprirsi e richiudersi, il frusciare della sciarpa e del cappotto che Sherlock si stava togliendo ed i passi lenti sino alla poltrona. Non alzò lo sguardo dal libro neanche quando percepì l’’uomo sedersi. Solo dopo qualche minuto trovò il coraggio di alzare lo sguardo.
Il detective, i gomiti sui braccioli, le dita incrociate fra loro ed appoggiate distrattamente sulle labbra, lo sguardo pensieroso rivolto alle fiamme.
«Sei preoccupato?»
L’uomo sbatté le palpebre e si voltò verso di lei con aria dubbiosa. La donna sistemò una pagina spiegazzata.
«Sei preoccupato per Sherry?»
Lui tirò indietro il collo corrugando le sopracciglia.
«Non vedo perché dovrei!» Lei lo guardò con aria sarcastica. «Molly, ti assicuro che sa badare a se stessa.»
La donna sorrise guardando le fiamme.
«Ciò non vuol dire che tu non possa essere preoccupato per lei.»
L’uomo arcuò un sopracciglio.
«Non credi ci sia un che di contraddittorio in quello che hai appena detto?»
La donna prese la tazza, bevve un sorso di caffè ormai tiepido e la riposò. Guardò l’uomo con fare divertito.
«John si preoccupa costantemente per te anche se, al di là di situazioni assurde come il matrimonio del tuo migliore amico, tu sai più o meno badare a te stesso.»
L’uomo sorrise all’ilarità della patologa per poi ricomporsi. Anche la donna fece la medesima cosa.
«Comunque» Molly, che era tornata a prestare attenzione al volume, rialzò lo sguardo sul detective. «non sono preoccupato…»
La patologa aspettò che l’uomo concludesse quello che voleva dire ma la sua attesa fu vana; a quanto pare il detective, lo sguardo innervosito in direzione del fuoco, non era in grado di esprimere i suoi pensieri.
«E’ che ti è mancata» concluse lei trattenendo un sorriso.
L’uomo alzò un sopracciglio e la guardò con aria innervosita. Per tutta risposta lei tastò le tasche dei suoi pantaloni e si guardò in giro. L’uomo la osservò con fare dubbioso.
«Che stai facendo?»
Lei si morse il labbro inferiore con un’espressione sorpresa.
«Ovvio, sto cercando qualcosa con cui immortalare il momento. Sherlock Holmes che ha un cuore! Greg vorrebbe sicuramente vederlo!»
L’uomo la guardò con astio.
«Si, molto divertente.»
La patologa non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
Il pianto della piccola Watson attirò la loro attenzione. Molly sciolse le gambe e si precipitò nel salottino e poi su per le scale.
Una a dir poco sonnolente e stanca Mary cercava di calmare la piccola cullandola nel corridoio. Non appena vide la patologa la donna corrugò la fronte con fare dispiaciuto.
«Scusa Molly, non so perché è già sveglia. Il fatto di non essere a casa deve averla scombussolata.»
La donna scosse la testa e le si avvicinò.
«Non preoccuparti Mary, ero già sveglia. Piuttosto» uno sguardo alla bimba che ancora si lamentava «vuoi darla a me?»
Il volto di Mrs Watson prese un’espressione di profonda gratitudine ma poi tornò serio.
«No Molly, non preoccuparti.»
La patologa sorrise con benevolenza all’amica.
«Mary, tu sei distrutta ed hai bisogno di dormire. Lascia che ci pensi io. La porto di sotto e la faccio distrarre così magari si riaddormenta.»
Mary tentennò per qualche attimo ma poi le passò la bambina ringraziando l’amica. Molly le ordinò scherzosamente di tornare a dormire e scese con la piccola fra le braccia.

 
Sherlock Holmes accennò un sorriso non appena vide rientrare Molly con la piccola Watson.
La patologa era intenta a coccolarla per farla calmare. Non appena il pianto scemò, la donna iniziò  a camminare lentamente per la stanza indicando alla piccola vari oggetti per farla distrarre. Ogni qual volta Molly le indicava qualcosa descrivendola con tono sorpreso, la bambina spalancava gli occhi emettendo dei suoni di sorpresa e meraviglia. Sherlock osservava la scena con uno sguardo che avrebbe potuto definirsi dolce.
Dopo un po’ la patologa si avvicinò al divano per sedersi e la bambina le indicò il detective con fare divertito. La donna si sedette, la sistemò sulle sue gambe e le sorrise.
«Si, quello è lo zio Sherlock. Zio, dillo tu.» La bambina sorrise emettendo un suono simile a quello richiesto e la patologa annuì felice.
L’uomo sbuffò.
«Non sono suo zio, sono il suo padrino.»
La donna lo guardò con sarcasmo.
«Certo, sono sicura che alla sua età padrino sia una parola molto più facile di zio da pronunciare.»
L’uomo alzò un sopracciglio.
«I bambini della sua età capiscono ed imparano più di quanto credi.»
La donna si voltò a guardare la bambina che reclamava le sue attenzioni.
«Non capisco quale sia il problema se per lei sei classificato come zio, oltre che come padrino.»
L’uomo si alzò e mise un ciocco di legno nel fuoco.
«Perché non lo sono!»
La donna lo guardò con aria severa.
«Beh, visto il passato di John e Mary, noi siamo la cosa più simile ad una famiglia che questa bambina possa avere…ma non pretendo che tu possa capirlo.»
L’uomo si raddrizzò mettendo le mani sui fianchi con aria innervosita. Lei iniziò a fare strane espressioni alla bambina per farla ridere.
«Che vuol dire?» La donna non gli presto attenzione. «Molly!»
La patologa sospirò e strinse la bimba per qualche secondo poi si voltò a guardarlo con aria imbarazzata.
«Il fatto è che tu, al di là di tutto, hai una famiglia. Una bellissima famiglia» l’uomo corrugò la fronte «nonostante tu non te ne renda conto…e non puoi sapere che cosa si prova a rimanere da soli.»
L’uomo strinse le labbra con fare colpevole e si sedette sul divano accanto a lei. Si guardarono per qualche secondo poi lei gli sorrise.
«Certo come zii siamo alquanto discutibili ma meglio di niente non credi?»
L’uomo alzò un sopracciglio con aria divertita.
«Discutibili?!»
La donna spalancò gli occhi.
«Beh, tu sei un sociopatico iperattivo e l’unico consulente investigativo al mondo, io seziono e ricucio cadaveri…non siamo esattamente due persone normali.»
L’uomo si appoggiò allo schienale incrociando le braccia ed osservando la bambina intenta a giocare con i capelli della patologa.
«Ed io che pensavo di aver avuto un’infanzia difficile.»
Si guardarono per un attimo poi la donna scoppiò a ridere seguita da Sherlock.
La bimba guardò i due adulti di fronte a lei con aria perplessa.
«Mi dispiace piccola» disse lui guardando la tenera Watson «come zii ti è capita questa coppia improbabile.»
Molly arrossì involontariamente al sentir definire loro due come una coppia. Sapeva che Sherlock non stava dando a quella parola quel senso ma il suo subconscio non se ne era reso conto.
La bambina riprese a giocare con i capelli della donna appoggiandosi al suo petto con aria assonnata. Molly la strinse maggiormente a sé accarezzandole la schiena.
Sherlock rimase ad osservarle per un po’; poi, con un istinto naturale a lui sconosciuto, protese una mano verso la bimba accarezzandole delicatamente la tempia con il retro di un dito. La bimba accennò un sorriso a quella inaspettata dimostrazione di affetto da parte del suo zio acquisito.
Molly si voltò a guardarlo e non fuggì imbarazzata quando lui contraccambio il suo sguardo. Rimasero a guardarsi, senza dire nulla, immobili. Sherlock aprì leggermente le labbra e Molly si fece impercettibilmente più vicina per ascoltare ciò che lui le stava per dire ma un sospiro pesante della piccola Watson li avvisò che era pronta ad addormentarsi.
L’uomo portò il suo sguardo sulla bimba e poi si alzò per prendere il violino. Accordò lo strumento ma prima di iniziare a suonare si bloccò.
«Molly?»
La patologa alzò gli occhi. Un’espressione serena sul volto che mai le aveva visto.
«Mmh?»
«Tu, conosci la configurazione elettronica del ferro?»
La donna sbatté le palpebre e lo guardò con aria perplessa ma senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Certo, 3d64s2!
 »
Lui sorrise.
«Perché?» chiese lei.
Sherlock non rispose, iniziando a suonare una melodia bassa e lenta. Il sorriso ancora rivolto al volto perplesso ma felice della patologa.

La voce di un a dir poco irato John Watson li raggiunse.
«DANNAZIONE SHERLOCK, SONO LE 7 DI MATTINA!»

 

 

 

.FINE.

 

 

Note autore:

* In realtà il sole nella campagna inglese in pieno inverno non sorge esattamente alle 5, diciamo che in realtà sorge intorno alle 9 ma….abbiate pietà ^^ Non volevo far svolgere il tutto al buio. Me la fate passare come licenza letteraria? XD

Siamo arrivati alla fine.
Ad onor del vero avrei voluto inserire non so quanti altri dialoghi, gesti e sensazioni ma sarebbe diventato eccessivamente “pesante”…magari con altri 5/6 capitoli ce l’avrei fatta ma sarebbe diventato veramente troppo! Sono troppo prolissa! Spero non risulti troppo affrettato o confuso.
Forse avreste voluto più Sherlolly ma credo che il percorso di tutta questa storia, per lo meno per quanto riguarda loro due, sia stato molto lento e graduale e non volevo dare un’accelerata troppo brusca al tutto. Sin dal principio ho iniziato ad allontanare tutti gli altri sino a lasciare la nostra dolce “coppia” da sola ma non ho avuto il coraggio di osare troppo, spero non me ne vogliate.
Molte cose non sono state chiarite con questo capitolo, per quanto sia l’ultimo, un po’ perché come nelle serie della BBC qualche punto incompleto deve rimanere ed un po’ perché forse farò un seguito di questa storia che includa anche la scoperta del fantomatico “errore” della nostra Sherry ed un’evoluzione di Sherlock e Molly…anche se ho sempre paura dei seguiti: di solito vengono male ed io non so se ne sono in grado!
Che altro dire, grazie di nuovo a tutte/i e come sempre…
A presto,
Anne ^^

  
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