Note autore: Per l’ultima
volta, in
questa storia, salve a tutte/i! ^^
Dopo
ben 9 capitoli siamo giunti alla fine di questo racconto. Non so se la
fine
sarà soddisfacente anche perché non so quanto si
possa definire tale ma spero,
per lo meno, che non vi dispiaccia.
Devo
ringraziarvi per tutti i commenti meravigliosi che mi avete lasciato,
per l’affetto
che avete avuto per questa storia e per il personaggio di Sherry, per
le parole
bellissime che mi hanno veramente riempito il cuore; inoltre, ringrazio
tantissimo
anche chi ha semplicemente letto questa storia, conta comunque molto
per me. ^^
Ed
ora, che dire, non sono brava negli arrivederci…per cui,
come sempre, vi lascio
al capitolo e a voi l’ardua sentenza!
A
presto,
Anne
^^
The third brother
“Anche
tu puoi essere la scelta di qualcuno”
Molly
aprì lentamente gli occhi per poi richiuderli immediatamente.
Li
riaprì nuovamente cercando di mettere a fuoco quello che
vedeva di fronte a sé.
Non che ci fosse molto, era solo il pomello di un cassetto ma le ci
volle
qualche istante per realizzare che quello non era un suo cassetto, che
quello
non era il suo letto e che non si trovava nel suo appartamento.
Si
girò mettendosi supina. Il volto ancora mezzo nascosto sotto
il piumone. Una
luce tenue e fredda entrava dalla finestra; la sera prima si era
dimenticata di
accostare le tende. Allungò coraggiosamente una mano per
prendere il cellulare
sul comodino. Non appena l’ebbe preso rintanò
immediatamente il braccio sotto
il tepore delle coperte.
Con
gli occhi ancora semichiusi sbloccò il telefono e
guardò l’ora. Le 5 di
mattina?! Non poteva essere già sveglia. Aveva bisogno di
dormire, il suo corpo
lo esigeva dopo la giornata assurda che aveva passato.
Si
mise nuovamente su un fianco accoccolandosi maggiormente nel tepore del
letto.
Peccato che la sua mente fosse del tutto contraria a lasciarla dormire.
Sbuffò
e con un movimento nervoso uscì dalle coperte. Non appena
percepì il freddo
attanagliarla si strinse nelle braccia maledicendosi per non essersi
portata la
sua vestaglia. Va bene, non era bellissima, forse era meglio dire che
era
orribile e sicuramente non adatta ad una situazione che richiedesse il
relazionarsi con altre persone però era calda, molto calda.
Andò
a passi lenti ed incerti sino alla finestra e ne spannò un
angolo con la manica
del pigiama. Durante la notte doveva aver nevicato ed abbondantemente
anche. La
patologa scrutò per qualche minuto il panorama: la pianura
completamente
imbiancata, il cielo di un grigio chiaro e carico di nuvole piatte, gli
alberi
secchi che reggevano a stento il peso della neve. Inspirò e
prese il suo borsone
posandolo sul letto; tirò fuori un paio di pantaloni neri ed
un maglione
bordeaux pesante. Si affacciò con circospezione dalla porta
della stanza
guardandosi in giro nella speranza di non incontrare nessuno; il suo
pigiama
era solo leggermente più accettabile della sua vestaglia,
dopotutto. Casa
Holmes, naturalmente, dato l’orario, era buia e silenziosa.
Andò in bagno, si
rinfrescò, si vestì e tornò in camera
a riordinare la sua borsa. Si guardò allo
specchio finendo di pettinarsi i capelli. Mise la spazzola nel borsone
ed uscì
dalla stanza.
Scese
con passi lenti e silenziosi le scale con l’intenzione di
farsi un caffè e
mettersi in poltrona a leggere un libro, magari. Le sembrava di averne
visto
qualcuno nel salottino verde ed infatti era così; vicino
alle scale c’era una
piccola libreria con alcuni volumi. Inclinò la testa per
leggere i titoli sui
bordi: “Matematica finanziaria”,
“Dinamiche della combustione”, “Fusione
fredda: fenomeni termici e nucleari nella materia
condensata”…gli occhi della
patologa si fermarono. Un sorriso ed un sopracciglio arcuato seguirono
la mano
che andava a prendere un volume: “Storia della
pirateria”. Molly guardò per
qualche istante la copertina, l’espressione sorpresa e
divertita ancora sul
volto, poi l’accostò al petto e si diresse verso
la cucina.
Si
fermò per un istante ad osservare il salotto rosso
illuminato dalla luce tenue
dell’aurora *. Era silenzioso, rilassante e in certo qual
modo riscaldava il
cuore, per quanto in realtà fosse gelido dato che le braci
dovevano ormai
essere spente da ore.
Si
incamminò verso la cucina. Avrebbe acceso il bollitore per
l’acqua calda e poi
sarebbe uscita a prendere la legna prima di iniziare a leggere.
Tuttavia, non
appena entrata in cucina, si immobilizzò. Il tavolo era
completamente sommerso
di stoviglie sporche; si sentì istintivamente in colpa per
tutto quel lavoro
che Mrs Holmes avrebbe dovuto fare anche per causa sua.
Inspirò ed espirò
pesantemente, poggiò il libro su un angolo del tavolo e si
rimboccò le maniche.
Dopo
aver avviato il bollitore iniziò a lavare i piatti per poi
asciugarli ed
impilarli nuovamente sul tavolo, non sapendo dove dovesse metterli.
Spense
il bollitore e versò un po’ acqua calda in una
tazza mescolando per far sciogliere
il caffè solubile. Ne bevve un sorso e tornò a
lavare le stoviglie, spesso
lanciando un sguardo fuori dalla finestra che era proprio sopra il
lavabo. Si
ritrovò a pensare al giorno precedente, alla cena di natale,
al racconto di
Sherry davanti al camino, alla loro chiacchierata, alle parole di
Sherlock
sull’affidarsi a lei da parte della famiglia Holmes.
Arrossì e continuò ad
asciugare la medesima tazza per almeno 5 minuti; un sorriso imbambolato
e l’espressione
persa intenta a guardare la natura al di là della
finestra…
«Molly»
La
patologa saltò per la paura lanciando un piccolo urlo e
lasciando cadere la
tazza che aveva fra le mani. Due mani guantate la afferrarono a pochi
centimetri dal pavimento.
Una
spaventata Molly Hooper ed un quasi inginocchiato Sherlock Holmes si
fissarono
per qualche istante nel silenzio più totale. Poi
l’uomo si alzò lentamente, le
mani a posare la tazza sulla mensola della cucina.
«E’
il servizio preferito di mia madre.». Gli occhi sulla tazza
di porcellana a
fiori.
La
patologa spalancò gli occhi. Le mani ancora a tenere il
canovaccio all’altezza
del petto.
«Davvero?!»
L’uomo
portò il suo sguardo su di lei con aria severa.
«Già…Sherry
ha ricomprato ogni tazza almeno tre volte per evitare che mamma si
accorgesse
che il suo servizio fosse incompleto.»
La
patologa sorrise redarguendolo con lo sguardo. Lui accennò
un sorriso ilare.
«Quindi,
questo non è più il servizio preferito di vostra
madre dal…?»
L’uomo
incrociò le mani dietro la schiena serrando le labbra ed
aggrottando le
sopracciglia con aria pensierosa.
«Dal
’91 o ’92, non ricordo»
Sorrisero
entrambi. Poi Molly posò il canovaccio e prese una tazza che
non faceva parte
del finto preferito sevizio di Mrs Holmes.
«Caffè?»
L’uomo
iniziò a togliersi i guanti.
«Si,
grazie. Nero due…»
Molly
gli stava già porgendo una tazza con un sorriso mezzo
accennato.
«Lo
so.» Lui la fissò per qualche istante.
«Ti conviene prenderla prima che mi
caschi»
Lui
sorrise ed afferrò la tazza senza far attenzione al non
sfiorare le dita della
donna. Lei abbassò lo sguardo imbarazzata e prese la sua
tazza.
«Non
pensavo di farti così tanta paura, Molly».
La
donna lo guardò con aria perplessa e lui osservò
la tazza fiorata che era
appoggiata sulla mensola.
«Non
ti ho sentito arrivare.» Bevve un sorso di caffè.
Lui
guardò la porta che dalla cucina dava sul retro della casa.
Quella porta era
tutto fuorché silenziosa.
Molly
seguì lo sguardo dell’uomo per poi sorridergli
scrollando le spalle.
«Ero
sovrappensiero» poi osservò l’orologio.
Erano le 6. «Che ci fai in giro a
quest’ora?»
Lui
accennò una smorfia di disinteresse e portò la
tazza alle labbra.
«Potrei
farti la stessa domanda»
Lei
si ritrasse leggermente con aria offesa.
«Non
volevo essere invadente, era solo una curiosità.»
Lui
aprì le labbra ma le richiuse con aria nervosa. Poi bevve il
caffè e si schiarì
la voce.
«Non
riuscivo a dormire» il tono di voce era più calmo
come se stesse implicitamente
chiedendole scusa.
La
patologa alzò lo sguardo dalla propria tazza ed
annuì leggermente con aria
serena. Aveva implicitamente accettato le sue implicite scuse.
«E
tu?»
La
donna si guardò un po’ in giro.
«Lo
stesso»
«Un
altro incubo?»
Il
tono basso, caldo ed indagatorio della voce di Sherlock la fece sentire
a
disagio. Rise nervosamente, prese il libro che ancora
l’attendeva sul tavolo e
si incamminò rapidamente verso il salotto con uno
spensierato ed al contempo
nervoso “no, no”.
Lui
la seguì dopo qualche istante. Un’espressione
perplessa sul volto.
Molly
aveva posato la tazza ed il libro sul tavolino di fronte al camino e
stava per
andare a prendere la legna quando fu superata dal detective che, posata
la
tazza vicino a quella di lei, si diresse a passo spedito verso la porta.
«Vai
via?»
La
patologa si maledisse per quella frase infantile e per il tono da
cucciolo abbandonato
che le era uscito dalle labbra. Lu accennò un sorriso, la
porta mezza aperta.
«Fa
freddo, non credi?»
Molly
lo osservò uscire, chiudendosi la porta dietro di
sé, e rimase immobile per
qualche secondo. Poi si sedette sul divano maledicendosi a denti
stretti.
«Vai
via?...Sei penosa Molly, penosa!»
Molly
era presa dalla lettura quando la sua attenzione fu richiamata da un
leggero
colpo di tosse.
Abbassò il
libro di qualche centimetro ed osservò
Sherlock. Era accovacciato e le dava le spalle, intento a far
attecchire le
fiamme. Stava per riprendere la sua lettura, convinta che quel tossire
non
fosse un modo per attirare la sua attenzione, quando lo vide voltarsi
per un
secondo per poi tornare a dare attenzione al fuco.
«Cosa
leggi?»
La
donna poggiò il libro sulle gambe incrociate e
guardò l’uomo con aria
perplessa. Stava cercando di fare conversazione? Conversazione, con lei?
Lui
si alzò e mise le mani sui fianchi, gli occhi ancora intenti
a controllare le
fiamme, poi si voltò e si sedette sulla poltrona vicina a
lei. Mise le mani sui
braccioli e guardò la patologa in attesa di una risposta.
Lei
sorrise leggermente ed alzò il libro per permettergli di
guardarne la
copertina.
«Storia
della pirateria, era nella libreria del salottino.»
L’uomo
si irrigidì sistemandosi i polsini della camicia e tornando
a guardare le
fiamme. Molly strinse leggermente gli occhi incuriosita e divertita da
quella
strana reazione. Prese il libro sfogliandolo con disattenzione.
«E’
interessante anche se è un’edizione un
po’ datata e per bambini.» Lui non reagì
e lei continuò a sfogliare le pagine. Riportò lo
sguardo sull’uomo con aria
maliziosa e divertita. «Di chi potrebbe essere?»
Lui
alzò le spalle con aria disinteressata ma senza voltarsi a
guardarla. Il corpo
ancora rigido.
«Non
saprei.»
Lei
continuò a fissarlo e lui probabilmente percepì
l’insistenza dello sguardo
della patologa perché si voltò tentando senza
successo di mantenere un’aria
disinteressata. Poi tornò ad osservare le fiamme.
«Sherlock?»
«Mmh»
«Perché
non ci hai mai parlato di Sherry?»
L’uomo
continuò a non guardarla ma dopo un po’ le rivolse
uno sguardo vitreo.
«Che
cosa ti ha raccontato?»
La
patologa abbassò lo sguardo sulle proprie mani, le dita ad
accarezzare la
copertina del libro.
«Del
suo errore» l’uomo strinse la mascella «e
di quanto voglia bene a te e a
Mycroft»
La
patologa alzò lo sguardo sino ad incontrare quello duro
dell’uomo.
«Sherlock,
non puoi accusarla di aver cercato di essere felice.»
L’uomo
sbarrò gli occhi carichi d’odio.
La
donna si guardò in giro ma non per questo cedette.
«Lei
lo amav…»
«Una
debolezza che le è quasi costata la vita!»
La
patologa sorrise a mezza bocca riportando i suoi occhi a confrontarsi
con
quelli di lui.
«Facciamo
tutti cose sciocche!»
La
mente dell’uomo estrasse da un cassetto della sua memoria
quell’osservazione
che Molly Hooper gli aveva già fatto. Senza rendersene conto
rispose al sorriso
della donna nel medesimo modo.
La
patologa, continuando a sorridere, scosse leggermente la testa e
tornò alla sua
lettura. Lui unì le mani facendo combaciare i polpastrelli e
si rinchiuse nel
suo mind palace.
Rimasero
così per un po’. Come se fosse la cosa
più normale e naturale del mondo. Ogni
tanto Molly alzava gli occhi ed osservava l’uomo racchiuso
nel suo mondo per
poi tornare a leggere oppure abbassare lo sguardo imbarazzata se lui
intercettava il suo sguardo.
Il
rumore di un auto che si fermava di fronte casa riscosse entrambi. Si guardarono con aria
interrogativa poi
Sherlock si alzò e, dopo aver dato un’occhiata
fugace fuori dalla finestra,
uscì dalla porta.
Molly
posò il libro sul tavolino e si voltò verso
l’entrata di casa Holmes con aria
preoccupata.
Dopo
qualche minuto Sherlock rientrò e, dopo averle lanciato uno
sguardo fugace, si
diresse nel salottino e salì rapidamente le scale. La
patologa rimase a fissare
il soffitto con aria perplessa, i passi rapidi di Sherlock sopra la sua
testa.
«Buongiorno
Miss Hooper.»
Molly
riportò la sua attenzione alla porta proprio mentre Mycroft
Holmes era intento
a chiuderla alle sue spalle.
«Buongiorno…è,
è successo qualcosa?»
L’uomo
le fece un sorriso compiacente.
«Nulla
di cui debba preoccuparsi.»
La
patologa annuì a quel modo elegante di dirle che non erano
fatti suoi.
«Vuole
un caffè?»
L’uomo
fece qualche passo nella stanza e le sorrise, questa volta,
sinceramente.
«Sarebbe
veramente gentile da parte sua.»
Molly
sorrise a mezza bocca ed andò in cucina.
Mentre
era intenta a versare l’acqua nella tazza sentì
distintamente dei passi
concitati al piano di sopra. Doveva essere Sherlock e qualcun altro.
Stava per
rientrare in salotto quando si bloccò sulla porta.
La
voce preoccupata di Sherrinford Holmes era diretta al fratello maggiore.
«Com’è
possibile? Mi avevi assicurato che…»
Il
maggiore degli Holmes la interruppe.
«Sherry
calmati. Ci dev’essere una spiegazione logica.»
Molly
percepì la bella Holmes camminare avanti e indietro
nervosamente.
«Certo
che c’è, ci deve essere…ma
quale?»
Altri
passi provenienti dalle scale e i due Holmes non furono più
soli.
«Prova
a chiederlo a Sherlock, sorellina.»
Ci
furono degli attimi carichi di un silenzio imbarazzato poi la voce di
Sherry
riempì quel vuoto.
«Sherlock…devi
dirci qualcosa?»
Ci
fu qualche istante di silenzio.
La
voce alta e perentoria di Mycroft anticipò una probabile
risposta del detective.
«Grazie
per il caffè Miss Hooper!»
La
donna entrò nella stanza ad occhi bassi e completamente
imbarazzata. Porse la
tazza all’uomo senza guardarlo e sentendosi lo sguardo dei
tre fratelli Holmes
addosso.
Sherry
le si avvicinò e le sorrise prendendola sottobraccio.
«Credo
prenderò anche io un caffè.»
Sherry
era poggiata al piano della cucina sorseggiando il suo
caffè. La patologa
giocherellava con un tovagliolo.
«Mi
spiace per prima, non volevo sentire, insomma»
La
Holmes scosse la testa con fare affettuoso. Molly sorrise per poi
riprendere
un’espressione pensierosa.
«Dovete
andare?»
Sherry
la guardò con malizia e finì il suo
caffè.
«Solo
io e Mycroft. Sherlock te lo lascio.»
Molly
si irrigidì, guardò la porta che comunicava con
il salotto e poi riportò uno
sguardo imbarazzato sulla donna che ancora sorrideva. Sherry
posò la tazza nel
lavabo e le fece cenno di seguirla nella stanza rossa.
Non
appena entrarono, Molly si accorse che la stanza era vuota.
«Ma,
dove sono?»
Sherry
guardava con circospezione fuori dalla finestra e guardando la patologa
indicò
ciò che stava guardando. Molly si avvicinò e
guardò ciò che la donna gli stava
mostrando ma riuscì a vedere soltanto le spalle dei due
Holmes. Si voltò con
aria interrogativa verso la donna.
Sherry
andò alla porta facendole segno di tacere. Si
schiarì la voce leggermente ed
aprì improvvisamente la porta.
«Ehi
voi due, non starete fumando?!»
Molly
rise della reazione dei due Holmes che si girarono improvvisamente
incolpandosi
a vicenda pensando che fosse Mrs Holmes, dato la bravura di Sherry
nell’imitarne la voce.
La
risata cristallina di Sherry non coinvolse i due fratelli.
«Sherry,
non è divertente!»
«Sherrinford,
non abbiamo tempo da perdere con queste sciocchezze. Sei pronta?
Andiamo?»
Molly
tornò a guardare la bella Holmes che, ancora sorridendo,
diceva al fratello che
sarebbe arrivata fra un attimo e richiudeva la porta.
Le
due donne, gli occhi ancora divertiti, si guardarono con dolcezza; poi
Sherry
fece qualche passo per poter abbracciare la patologa che rispose con il
medesimo affetto.
«Grazie
Sherry»
Le
due donne sciolsero l’abbraccio.
«No,
Molly. Grazie a te, per tutto quello che hai fatto e che stai facendo
per
Sherlock.» La patologa arrossì scuotendo la testa.
Sherry
prese il cappotto e la sciarpa e li infilò per poi tornare
di fronte alla
patologa.
«Forse
vado contro, come dire, i miei interessi ma…con Sherlock ci
vorrà pazienza
Molly.» La patologa sorrise. «Molta
pazienza»
Molly
si guardò le mani.
«Si,
lo so.»
Sherry
sorrise.
«Si,
lo so che lo sai».
Le
due donne si guardarono per poi scoppiare a ridere.
«Sherry,
ho provato ma è inutile»
La
donna annuì lanciando uno sguardo fuori dalla finestra per
poi sorridere.
«Beh,
come trovare qualcuno migliore di un sociopatico iperattivo che non
è neanche
niente male fisicamente?»
Molly
scoppiò a ridere.
Sherry
andò verso la poltrona e prese il borsone che vi aveva
posato in precedenza.
Poi si incamminò verso la porta seguita dalla patologa che
teneva le mani in
tasca mollemente. Sherry aprì la porta e lanciò
uno sguardo ai due fratelli;
Molly fece la medesima cosa.
«Comunque
vada, Molly, sappi che hai il pieno appoggio delle Holmes.»
Sherlock
buttò la cicca e si voltò ad osservare le due
donne che parlavano sulla porta.
Alzò un sopracciglio quando vide Sherry porgere qualcosa
alla patologa per poi
abbracciarla ed andarsene.
L’uomo
si voltò ad osservare il fratello maggiore che attendeva
Sherry vicino
all’auto. Era palesemente innervosito per la lunga attesa.
«Smettila
di guardare Mycorft a quel modo!»
Sherry
si era affiancata al fratello minore senza che lui se ne accorgesse.
«Mi
voleva mandare verso morte certa!»
«Ma
per favore! Non saresti morto, una persona qualsiasi si ma tu
ovviamente no!...
Non gli avrei mai permesso di mandarti in una situazione di reale
pericolo!»
Sherlock
le lanciò uno sguardo divertito prima di tornare a guardare
il fratello.
«Ti
ha lasciato in quell’ospedale per…»
Sherry
gli si parò davanti con aria severa.
«No,
Sherlock! Te l’ho detto mille volte e continuerò a
farlo: non attribuire a
Mycroft colpe che non ha. Mi ha salvato dalla morte ed ha salvato te
dal
carcere a vita» L’uomo si guardò intorno
con fare nervoso. «Per quanto la cosa
possa darti fastidio, sai benissimo che è
così.»
L’uomo
strinse le labbra per poi tornare a guardare la sorella. Sherry
inspirò
pesantemente incrociando le mani fra loro.
«Dovrei
venire con voi.»
La
donna scosse la testa.
«No,
è meglio se resti qui. Tranquillizza mamma e papà
e ovviamente scusami con John
e Mary.»
Sherlock
alzò un sopracciglio.
«Non
sono la persona più adatta.»
«Beh,
non ho altri fratelli a cui affidare il compito.»
L’uomo
sorrise ma la sua attenzione fu attirata dal fratello che indicava con
nervosismo il proprio orologio. Sherry intercettò lo sguardo
di Sherlock e si
voltò ad osservare anche lei il fratello. Annuì e
tornò a guardare il
detective.
«Ti
chiamo per aggiornarti.»
Lui
annuì. Lei gli cinse il collo con le braccia per qualche
istante. Poi si staccò, gli sorrise e si
incamminò verso
il cancello.
Tuttavia,
dopo pochi passi, Sherry si bloccò e tornò
indietro mettendo apposto il borsone
sulla spalla.
Si
fermò di fronte all’uomo e gli sorrise. Le dita
delle mani a prendere il bavero
del cappotto e stirarlo leggermente. Poi uno sguardo dolce e
supplichevole.
«Sherlock,
per favore, permetti a te stesso di essere felice!»
Lui
la guardò con aria interrogativa. Le mani incrociate dietro
la schiena.
Lei
tornò a guardare le proprie mani sistemare i lembi del
cappotto del fratello.
«Trovare
qualcuno che ti capisca, che ti capisca veramente, senza che tu debba
spiegargli nulla di te perché è in grado e
soprattutto vuole capirti, beh, è un
regalo unico e raro. Sherlock, ti prego, tu puoi essere felice. Non
sprecare
quest’opportunità per paure, timori o fantasmi che
riguardano solo il tuo
passato.»
Lui
guardava altrove.
«Non
riguarda solo me, non credi?»
Lei
sorrise amaramente.
«Quello
che so è che ognuno fa le proprie scelte a prescindere da
ciò che puoi volere
tu o il resto del mondo.» Lui abbassò lo sguardo
per guardarla con aria
sarcastica. «Si, è così! E no, non
è vero che l’amore capita e basta, che il
cuore prende e va. L’amore è una scelta,
l’amore è scegliere fra milioni di
persone, ed anche tu puoi essere la scelta di qualcuno. Una scelta
folle,
illogica, pericolosa o stupida, quello che vuoi, ma comunque una
scelta. E ora
sta a te fare la tua.»
«Stare
da solo mi protegge e protegge loro.»
«No
Sherlock! Stare da solo fa soffrire te e loro, tutto qui.»
«I
sentimenti sono un difetto chimico!»
«Non
puoi saperlo.»
«A
no? E perché?»
«Perché
non sai la configurazione elettronica del ferro, come puoi conoscere
quella dei
sentimenti.»
Sorrisero
entrambi.
«Non
aver paura dei sentimenti Sherlock. Forse sono ciò che
può farti soffrire come
nessun’altra cosa al mondo ma sono anche l’unica e
sola cosa che può renderti realmente
felice.»
Una
lacrima solitaria scese dal volto della dolce Holmes.
Lui
le sorrise e con una mano guantata le spostò una ciocca di
capelli dal volto.
«Dovresti
smetterla di preoccuparti per me.»
Lei
circondò il suo torace con entrambe le braccia. La fronte a
sfiorare le labbra
di lui.
«Io
non smetterò mai di preoccuparmi per te.»
Il
sorriso di lui si aprì istintivamente ed una risata bassa
gli scosse il petto.
Una mano ad accarezzare la testa della sorella.
Lei
si distanziò e gli sorrise. Si volto e tornò ad
incamminarsi verso la macchina
nera vicino alla quale un dubbioso Mycroft la osservava.
«Sherry,
è tutto apposto?» La donna sorrise alla reale
preoccupazione del fratello
maggiore che traspariva da quel nomignolo. Gli accarezzò una
guancia di
sfuggita e lui non si ritrasse. Lo sguardo preoccupato.
«Tranquillo
Mycroft, va tutto bene. Possiamo andare.»
La
donna salì in macchina mentre l’uomo
tornò ad osservare il fratello minore.
Sherlock
sciolse le mani che aveva nuovamente incrociato dietro la schiena ed
alzò una
di esse in un accenno di saluto.
Mycroft
annuì ed entrò nell’auto.
La
macchina partì silenziosamente.
Molly
era tornata ad accovacciarsi sul divano. Gli occhi erano intenti ad
osservare
le pagine del libro ma senza leggerle realmente.
Sentì
la porta di legno scuro aprirsi e richiudersi, il frusciare della
sciarpa e del
cappotto che Sherlock si stava togliendo ed i passi lenti sino alla
poltrona.
Non alzò lo sguardo dal libro neanche quando
percepì l’’uomo sedersi. Solo dopo
qualche minuto trovò il coraggio di alzare lo sguardo.
Il
detective, i gomiti sui braccioli, le dita incrociate fra loro ed
appoggiate
distrattamente sulle labbra, lo sguardo pensieroso rivolto alle fiamme.
«Sei
preoccupato?»
L’uomo
sbatté le palpebre e si voltò verso di lei con
aria dubbiosa. La donna sistemò
una pagina spiegazzata.
«Sei
preoccupato per Sherry?»
Lui
tirò indietro il collo corrugando le sopracciglia.
«Non
vedo perché dovrei!» Lei lo guardò con
aria sarcastica. «Molly, ti assicuro che
sa badare a se stessa.»
La
donna sorrise guardando le fiamme.
«Ciò
non vuol dire che tu non possa essere preoccupato per lei.»
L’uomo
arcuò un sopracciglio.
«Non
credi ci sia un che di contraddittorio in quello che hai appena
detto?»
La
donna prese la tazza, bevve un sorso di caffè ormai tiepido
e la riposò. Guardò
l’uomo con fare divertito.
«John
si preoccupa costantemente per te anche se, al di là di
situazioni assurde come
il matrimonio del tuo migliore amico, tu sai più o meno
badare a te stesso.»
L’uomo
sorrise all’ilarità della patologa per poi
ricomporsi. Anche la donna fece la
medesima cosa.
«Comunque»
Molly, che era tornata a prestare attenzione al volume,
rialzò lo sguardo sul
detective. «non sono preoccupato…»
La
patologa aspettò che l’uomo concludesse quello che
voleva dire ma la sua attesa
fu vana; a quanto pare il detective, lo sguardo innervosito in
direzione del
fuoco, non era in grado di esprimere i suoi pensieri.
«E’
che ti è mancata» concluse lei trattenendo un
sorriso.
L’uomo
alzò un sopracciglio e la guardò con aria
innervosita. Per tutta risposta lei
tastò le tasche dei suoi pantaloni e si guardò in
giro. L’uomo la osservò con
fare dubbioso.
«Che
stai facendo?»
Lei
si morse il labbro inferiore con un’espressione sorpresa.
«Ovvio,
sto cercando qualcosa con cui immortalare il momento. Sherlock Holmes
che ha un
cuore! Greg vorrebbe sicuramente vederlo!»
L’uomo
la guardò con astio.
«Si,
molto divertente.»
La
patologa non riuscì a trattenersi e scoppiò a
ridere.
Il
pianto della piccola Watson attirò la loro attenzione. Molly
sciolse le gambe e
si precipitò nel salottino e poi su per le scale.
Una
a dir poco sonnolente e stanca Mary cercava di calmare la piccola
cullandola
nel corridoio. Non appena vide la patologa la donna corrugò
la fronte con fare
dispiaciuto.
«Scusa
Molly, non so perché è già sveglia. Il
fatto di non essere a casa deve averla
scombussolata.»
La
donna scosse la testa e le si avvicinò.
«Non
preoccuparti Mary, ero già sveglia. Piuttosto» uno
sguardo alla bimba che
ancora si lamentava «vuoi darla a me?»
Il
volto di Mrs Watson prese un’espressione di profonda
gratitudine ma poi tornò
serio.
«No
Molly, non preoccuparti.»
La
patologa sorrise con benevolenza all’amica.
«Mary,
tu sei distrutta ed hai bisogno di dormire. Lascia che ci pensi io. La
porto di
sotto e la faccio distrarre così magari si
riaddormenta.»
Mary
tentennò per qualche attimo ma poi le passò la
bambina ringraziando l’amica.
Molly le ordinò scherzosamente di tornare a dormire e scese
con la piccola fra
le braccia.
Sherlock
Holmes accennò un sorriso non appena vide rientrare Molly
con la piccola
Watson.
La
patologa era intenta a coccolarla per farla calmare. Non appena il
pianto
scemò, la donna iniziò
a camminare
lentamente per la stanza indicando alla piccola vari oggetti per farla
distrarre. Ogni qual volta Molly le indicava qualcosa descrivendola con
tono
sorpreso, la bambina spalancava gli occhi emettendo dei suoni di
sorpresa e
meraviglia. Sherlock osservava la scena con uno sguardo che avrebbe
potuto
definirsi dolce.
Dopo
un po’ la patologa si avvicinò al divano per
sedersi e la bambina le indicò il
detective con fare divertito. La donna si sedette, la
sistemò sulle sue gambe e
le sorrise.
«Si,
quello è lo zio Sherlock. Zio, dillo tu.» La
bambina sorrise emettendo un suono
simile a quello richiesto e la patologa annuì felice.
L’uomo
sbuffò.
«Non
sono suo zio, sono il suo padrino.»
La
donna lo guardò con sarcasmo.
«Certo,
sono sicura che alla sua età padrino sia una parola molto
più facile di zio da
pronunciare.»
L’uomo
alzò un sopracciglio.
«I
bambini della sua età capiscono ed imparano più
di quanto credi.»
La
donna si voltò a guardare la bambina che reclamava le sue
attenzioni.
«Non
capisco quale sia il problema se per lei sei classificato come zio,
oltre che
come padrino.»
L’uomo
si alzò e mise un ciocco di legno nel fuoco.
«Perché
non lo sono!»
La
donna lo guardò con aria severa.
«Beh,
visto il passato di John e Mary, noi siamo la cosa più
simile ad una famiglia
che questa bambina possa avere…ma non pretendo che tu possa
capirlo.»
L’uomo
si raddrizzò mettendo le mani sui fianchi con aria
innervosita. Lei iniziò a
fare strane espressioni alla bambina per farla ridere.
«Che
vuol dire?» La donna non gli presto attenzione.
«Molly!»
La
patologa sospirò e strinse la bimba per qualche secondo poi
si voltò a
guardarlo con aria imbarazzata.
«Il
fatto è che tu, al di là di tutto, hai una
famiglia. Una bellissima famiglia» l’uomo
corrugò la fronte «nonostante tu non te ne renda
conto…e non puoi sapere che
cosa si prova a rimanere da soli.»
L’uomo
strinse le labbra con fare colpevole e si sedette sul divano accanto a
lei. Si
guardarono per qualche secondo poi lei gli sorrise.
«Certo
come zii siamo alquanto discutibili ma meglio di niente non
credi?»
L’uomo
alzò un sopracciglio con aria divertita.
«Discutibili?!»
La
donna spalancò gli occhi.
«Beh,
tu sei un sociopatico iperattivo e l’unico consulente
investigativo al mondo,
io seziono e ricucio cadaveri…non siamo esattamente due
persone normali.»
L’uomo
si appoggiò allo schienale incrociando le braccia ed
osservando la bambina
intenta a giocare con i capelli della patologa.
«Ed
io che pensavo di aver avuto un’infanzia difficile.»
Si
guardarono per un attimo poi la donna scoppiò a ridere
seguita da Sherlock.
La
bimba guardò i due adulti di fronte a lei con aria perplessa.
«Mi
dispiace piccola» disse lui guardando la tenera Watson
«come zii ti è capita
questa coppia improbabile.»
Molly
arrossì involontariamente al sentir definire loro due come
una coppia. Sapeva
che Sherlock non stava dando a quella
parola quel senso ma il suo
subconscio non se ne era reso conto.
La
bambina riprese a giocare con i capelli della donna appoggiandosi al
suo petto
con aria assonnata. Molly la strinse maggiormente a sé
accarezzandole la schiena.
Sherlock
rimase ad osservarle per un po’; poi, con un istinto naturale
a lui
sconosciuto, protese una mano verso la bimba accarezzandole
delicatamente la
tempia con il retro di un dito. La bimba accennò un sorriso
a quella
inaspettata dimostrazione di affetto da parte del suo zio acquisito.
Molly
si voltò a guardarlo e non fuggì imbarazzata
quando lui contraccambio il suo
sguardo. Rimasero a guardarsi, senza dire nulla, immobili. Sherlock
aprì
leggermente le labbra e Molly si fece impercettibilmente più
vicina per
ascoltare ciò che lui le stava per dire ma un sospiro
pesante della piccola
Watson li avvisò che era pronta ad addormentarsi.
L’uomo
portò il suo sguardo sulla bimba e poi si alzò
per prendere il violino. Accordò
lo strumento ma prima di iniziare a suonare si bloccò.
«Molly?»
La
patologa alzò gli occhi. Un’espressione serena sul
volto che mai le aveva
visto.
«Mmh?»
«Tu,
conosci la configurazione elettronica del ferro?»
La
donna sbatté le palpebre e lo guardò con aria
perplessa ma senza riuscire a
trattenere un sorriso.
«Certo,
3d64s2!
Lui
sorrise.
«Perché?»
chiese lei.
Sherlock
non rispose, iniziando a suonare una melodia bassa e lenta. Il sorriso
ancora
rivolto al volto perplesso ma felice della patologa.
La
voce di un a dir poco irato John Watson li raggiunse.
«DANNAZIONE
SHERLOCK, SONO LE 7 DI MATTINA!»
.FINE.
Note
autore:
*
In realtà il sole nella campagna inglese in pieno inverno
non sorge esattamente
alle 5, diciamo che in realtà sorge intorno alle 9
ma….abbiate pietà ^^ Non
volevo far svolgere il tutto al buio. Me la fate passare come licenza
letteraria?
XD
Siamo
arrivati alla fine.
Ad
onor del vero avrei voluto inserire non so quanti altri dialoghi, gesti
e
sensazioni ma sarebbe diventato eccessivamente
“pesante”…magari con altri 5/6
capitoli ce l’avrei fatta ma sarebbe diventato veramente
troppo! Sono troppo
prolissa! Spero non risulti troppo affrettato o confuso.
Forse
avreste voluto più Sherlolly ma credo che il percorso di
tutta questa storia,
per lo meno per quanto riguarda loro due, sia stato molto lento e
graduale e
non volevo dare un’accelerata troppo brusca al tutto. Sin dal
principio ho
iniziato ad allontanare tutti gli altri sino a lasciare la nostra dolce
“coppia”
da sola ma non ho avuto il coraggio di osare troppo, spero non me ne
vogliate.
Molte
cose non sono state chiarite con questo capitolo, per quanto sia
l’ultimo, un
po’ perché come nelle serie della BBC qualche
punto incompleto deve rimanere ed
un po’ perché forse farò un seguito di
questa storia che includa anche la
scoperta del fantomatico “errore” della nostra
Sherry ed un’evoluzione di
Sherlock e Molly…anche se ho sempre paura dei seguiti: di
solito vengono male
ed io non so se ne sono in grado!
Che
altro dire, grazie di nuovo a tutte/i e come sempre…
A
presto,
Anne
^^