Emma Ambrose affondò la mano destra nel guazzo di sangue, che, nel frattempo, le aveva inzaccherato la maglia di seta bianca, lungo la zona del ventre. La prima pugnalata era stata quella meno dolorosa, perché improvvisa e più veloce, ma le altre quattordici le avevano tolto la vita, una dopo l’altra, mentre il sangue sgorgava dal suo stomaco e si diramava in una pozzanghera che, lentamente, era riuscita a circondarle tutta la zona dei fianchi e del busto.
Le gambe, inermi, erano distese in maniera dritta senza alcuna possibilità di eseguire il minimo movimento e le braccia, di cui il destro tenuto pressato sullo stomaco con la minima forza che ancora l'era permesso di avere, stavano per lasciarsi andare del tutto.
Faceva male, realizzare in alcuni secondi che la propria vita stava per finire perché qualcuno per lei, quella figura che le si ergeva di fianco in attesa di vederla esalare l’ultimo respiro, aveva scelto come dovesse morire. Allorché, all’improvviso, i suoi vent’anni, compiuti il mese scorso, le scivolarono davanti sino a svanire entro una luce bianca che non le permise di vedere nient’altro. Era conscia di stare per perdere i sensi, di essere in procinto di lasciare questa vita e non vi fu agonia peggiore che aspettare, senza riuscire a chiedere aiuto, che la morte venisse a prenderla. A malapena sentì i lenti battiti del suo cuore che cedeva ai respiri affannosi e alla mancanza di anidride carbonica.
Già, perché cominciò a mancarle persino l’aria.
Rivolse, infine, lo sguardo terso in direzione dello stomaco, riuscendo ad alzare le spalle da terra ma cedendo nuovamente sull’asfalto una volta vista la pozzanghera entro la quale stava giacendo, lentamente. Non ebbe più il controllo dei suoi movimenti, la testa le si poggiò quasi autonomamente e vi fu un ultimo battito di ciglia prima che i suoi occhi restassero sgranati contro il suo assassino, ancora al suo fianco mentre sfregava un fazzoletto di seta sulla lama insanguinata del coltello.
L’ultima cosa che Emma vide fu proprio quella.
Poi esalò l’ultimo respiro, o almeno così parve.