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Autore: Cruel Heart    02/11/2014    2 recensioni
C'è sempre un modo per raccontare le storie tristi.
C'è chi vuole addolcirla, come se si trattasse di una tazzina da caffè un po' amara, o c'è chi vuole renderla ancora più tragica di quanto lo sia già.
Sarebbe bello narrare di due adolescenti che si sono innamorati improvvisamente, magari al liceo.
Ma non è la verità, o, per lo meno, non lo è di questa storia.
I piccoli segreti sono ovunque.
Sto parlando di segreti non del tutto svelati, di argomenti tenuti nascosti e di scheletri troppo grandi per essere rinchiusi in un armadio.
E se tutto quello in cui lui credeva, si rivelasse una mera finzione?
E se tutto quello che lei riteneva impossibile, fosse la dura realtà?

Ecco: questa è la verità che voglio raccontarvi.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little secrets - Missing Moments'
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Salvesalvesalve (?) a tutti.

Ancora una volta, sono qui, in ginocchio, a chiedervi perdono per il ritardo con cui sto aggiornando.

Capitemi, plis. (?)

Quindi, passando al capitolo… vi comunico che dovrete armarvi di estintori – per spegnere svariati situazioni “accaldate” – e di cuffie, perché la canzone del capitolo è una versione punk di “Iris”, la famosissima canzone dei Goo Goo Dolls [Interpretata anche dalla nostra Avril. Sorvoliamo sul suo stato durante il duetto con i Goo Goo Dolls nel 2014, per bontà divina.]

Concedetemi una piccola variazione sul compleanno di Matt, che è il 14 Novembre, mentre nella mia storia è il 23 Giugno lol.

Al prossimo aggiornamento [Si spera presto] <3

 

 

~ Cruel Heart.

 

***

Until the End – Iris (Goo Goo Dolls Cover)

***

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Harrisburg, Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 16 Giugno 2001

 

Matt's pov

 

Si stava rivelando davvero una giornata splendida, questo 16 Giugno.

Avevo la mia Susy con me, il clima era caldo, il cielo azzurro e gli uccellini cinguettavano gioiosi…

 

Oh, andiamo, ma chi volevo prendere in giro?

Il tempo era una merda, il cielo faceva presagire non so quale catastrofe naturale e gli unici “uccellini” che vedevo erano i mini-polli fritti del locale tra la 90esima e Baker Street, verso cui stavo camminando.

 

In più, avevo anche lasciato Susy a casa. Sigh.

Avevo pensato che stessi abusando troppo del suo utilizzo, e così le avevo lasciato i suoi spazi.

Ah, valle a capire le donne!

 

Ma, nonostante ciò, questa rimaneva comunque una giornata splendida.

Volete sapere perché?

Bene, vi accontento subito.

 

Entrai nel locale – sì, esatto, quello dei mini-polli – e mi sedetti ad un piccolo tavolino circolare di colore bordeaux.

Non c’erano molti clienti, se non quelli abituali che si facevano un panino durante la pausa-pranzo.

Controllai l’orologio che avevo al polso e vidi l’ora: ah, bene, avevo solo 30 minuti di ritardo.

Ma, a quanto pareva, il mio migliore amico era più in ritardo di me.

Mi sfregai le mani più volte, per farmi un po’ di calore.

Cazzo, faceva veramente freddo!

 

Nel frattempo che lo aspettavo, mi persi a guardare il culo di una cameriera bionda che stava al bancone: aveva intercettato le mie occhiate più di una volta e mi aveva sorriso, ammiccante, mentre io ricambiavo facendole l’occhiolino.

 

Poi, sentii la porta del locale aprirsi ed alzai gli occhi dalle curve della cameriera: eccolo lì.

 

Portava le mani nelle tasche di un lungo cappotto di velluto nero, che faceva risultare ancora di più il suo pallore, e dei pantaloni dello stesso colore.

Nah, niente a che vedere col mio giubbotto in pelle sintetica e i jeans strappati.

 

Lo salutai. «Ciao, fratello.»

 

Mi rispose solo con un cenno. Molto loquace, direi.

 

«Ti va bene un caffè?» gli chiesi e lui annuì in risposta.

Mi alzai dalla sedia ed andai verso il bancone, dove, sorridente, dissi alla cameriera: «Due caffè, dolcezza.»

 

Lei ridacchiò ed io ritornai molto lentamente al mio tavolo. La biondina ha proprio un bel culo, notai.

 

«Allora…» incominciai una volta seduto, tentennando un po’ e guardandomi attorno. «Come va la vita?»

 

«Vai al succo, Matt.» mi rispose. «Lo sai già come va la mia vita. Piuttosto, perché mi hai voluto vedere?»

 

Sospirai. Era sempre stato più bravo di me nelle domande dirette.

«Manca solo una settimana al mio compleanno e un mio amico ha organizzato una piccola festa per me in un locale non molto lontano da qui.»

Ecco spiegato tutto lo “splendore” di quella giornata.

«Ti andrebbe di unirti a noi, visto che sei il mio migliore amico?» gli chiesi, un po’ velenosamente.

 

Strinse gli occhi. «Noi chi?»

 

Merda. «Beh, noi. Jesse, Charlie, tutti i nostri amici.» Feci una piccola pausa. «Avril…» aggiunsi alla lista.

 

Il suo tono era glaciale. «Assolutamente no.»

 

Sgranai gli occhi. «No, cosa?»

 

«No, non vengo se c’è anche lei.»

 

Alzai gli occhi al cielo, esasperato. «Oh, andiamo, Evan. Hai proprio bisogno di svagarti e non puoi evitarla per sempre. Ma cosa sei, un bambino di due anni?»

 

«Disse quello che si prendeva a padellate in testa.» Scacciai le sue parole con una mano, come se non fossero importanti. «E comunque, io sto benissimo.» replicò.

 

Ma certo. Se per “benissimo” intendeva magrissimo, pallido in un modo esagerato e con due occhiaie da far invidia ad un morto vivente… allora sì, aveva proprio ragione.

 

Annuii sarcastico, e lanciai un’occhiata d’apprezzamento alla biondina che si stava avvicinando al nostro tavolo.

«Ecco i due caffè.» disse, sorridendo specialmente nella mia direzione, e andandosene.

Già, davvero un gran bel culo.

 

Misi le mani a coppa sulla plastica del bicchiere, riscaldandomi, e ne bevvi un sorso.

 

«Io verrò, Matt. Ma tu non farlo.» mi pregò.

                    

Capii immediatamente a cosa si riferisse. «No, non posso non invitarla. È anche mia amica.»

 

Annuì, livido e con le labbra contratte e si alzò improvvisamente dal tavolo. «E allora sai che ti dico? Bevitelo da solo questa merda di caffè.» mi sfidò, con gli occhi fiammeggianti.

 

Ma io non gli risposi, non volevo cedere alla sua provocazione. Se voleva fare il bambino capriccioso, che facesse pure.

 

Così, vidi Evan uscire dal locale, sbattendo la porta, e allontanarsi per strada.

 

Scrollai le spalle, non badandoci.

Meglio, avrei avuto due caffè per me.

 

L’avevo detto io che questa era una giornata splendida.

 

 

***

 

Harrisburg, Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 23 Giugno 2001

 

Avril's pov

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Andai a bussare alla porta di Kevin, agitata. «Ehi, sei pronto?»

«Eh? Oh, sì… ehm… ora arrivo.» mi rispose.

Sospirai, cercando di ricompormi. Matt ci aveva invitato a quella che era solo la sua “innocua festa di compleanno”, come l’aveva definita lui, e io non stavo più nella pelle.

Non stavo più nella pelle di trovare una scusa per non andarci, sia chiaro. 

Finalmente, dopo un paio di minuti, Kevin venne fuori dalla sua stanza: indossava una giacca nera sbottonata e dei jeans aderenti.

 

«Wow, stai benissimo.» commentai.

 

«Grazie… anche tu.» bofonchiò.

 

Annuii, osservando il vestito di chiffon verde acqua prestatomi da mia madre.

Ero incerta su come dovessi prendere il complimento.

In questi giorni era stato un po’… strano e, anche mentre eravamo nella limousine con Peter alla guida, non fu da meno.

 

Alzava e abbassava la gamba destra nervosamente, si mordicchiava le unghie e l’interno della guancia, e non c’era secondo in cui non vedesse quel dannato orologio sul cruscotto della macchina.

Ed andava avanti così da una settimana, più o meno dal giorno in cui Matt ci aveva avvisato della sua festa.

 

Avrei tanto voluto sapere cosa non andasse in lui, ma non ero mai stata brava a parlare con gli altri.

L’unica persona con cui avevo provato seriamente a farlo mi aveva piantato in asso, figuriamoci.

 

Cercai di scacciare via quel pensiero dalla mente e di rilassarmi.

Anche se non era facile farlo, visto che la persona che mi era vicina era ancora più nervosa di me.

 

Sentimmo delle urla di divertimento ancora prima di imboccare la via del locale: dall’esterno sembrava carino e ben curato.

Il problema era all’interno: c’erano bottiglie vuote dappertutto e corpi di persone non esattamente identificate che si strusciavano gli uni sugli altri ovunque.

La musica, poi, era decisamente assordante: un brano dance veniva pompato nelle casse e, dopo solo due minuti, mi venne già il mal di testa.

 

Nella confusione generale, intravidi Jesse e Charlie, ma non c’era traccia… di lui.

 

«Sarà una lunga serata…» borbottai, mentre vidi Kevin andarsi a prendere un drink e dirigersi verso i bagni.

 

«Dove spero che tu ti ubriacherai.» mi disse una voce maschile alle mie spalle, facendomi sussultare.

 

Mi girai, con gli occhi sgranati. «Matt, mi hai fatto spaventare! E io che speravo che diventassi più grande anche a livello celebrale…» cercai di scherzare.

Notai che portava un buffo cappellino di cartone a punta sulla testa. Niente da fare, avevo il sospetto che Matt sarebbe rimasto sempre lo stesso.

 

«No, non sono quel genere di persona. Tu, piuttosto, lasciatelo dire…» aggiunse, facendomi un sorriso e brindando in segno d’apprezzamento.

Pensai volesse farmi un complimento, ed invece disse soltanto… «Stai una merda.»

 

Incrociai le braccia, irrigidendomi. «Grazie, tu sì che sai sempre come tirarmi su di morale.»

 

«Per te, questo ed altro. A proposito di merde, vado a vedere anche come se la sta cavando lo zombie. Sai, credo proprio abbia bisogno di… compagnia.» finì con un sospiro, allontanandosi.

 

Non ci misi molto a capire a chi si stesse riferendo e seguii con lo sguardo la direzione in cui stava andando.

 

Rincorsi il festeggiato, stando attenta a non farmi vedere, e mi nascosi dietro una colonna da cui non potevo essere vista.

 

Da lì, riuscii a vedere finalmente Evan: ancora una volta, era bellissimo.

Mi accorsi che indossava lo stesso abito del nostro tragico appuntamento, ma sembrava più provato… più stanco.

La gioia di vederlo a pochi metri da me si sbriciolò, quando vidi accanto a lui quello strano ragazzo, Will Grayson e, soprattutto, Camille Miller.

 

Appoggiai le mani sulla colonna e cercai di contenere il dolore.

Stranamente, il contatto con il fresco del muro riuscì a calmarmi, e capii di essere anche in una buona posizione per sentire i loro discorsi.

 

«Non ci presenti?» stava chiedendo Matt, guardando Will e Camille.

 

«Certo. Lui è Will Grayson e lei è Camille Miller. Sono due miei compagni di scuola. Ragazzi, lui è Matt, un mio carissimo amico.» finì Evan.

 

I tre si scambiarono amichevoli strette di mano e Matt si soffermò in particolar modo sulla stronza. «È… la tua nuova fidanzata?»

 

Vidi Camille arrossire e lo sguardo di Evan si ridusse ad una fessura. «No, è una mia amica. Mi sta aiutando a… capire di più una certa persona.»

Non mi accorsi di aver trattenuto il respiro per quella risposta solo fino a quando non lo buttai tutto fuori. Beh, meglio di niente, almeno.

Poi, però, riflettei sulle sue parole: si stava per caso riferendo a me?

 

«Bene, ragazzi…» disse Will, che stava parlando per la prima volta. «Io credo che andrò un attimo in bagno… sì.»

 

Dopo che il ragazzo finì di parlare, il gruppetto si sciolse e ognuno si sparpagliò in direzioni diverse del locale.

Così, dato che era finita la scena, appoggiai la schiena alla colonna.

Stavo cercando di mettere ordine tra i miei pensieri, quando all’improvviso…

 

«Buh!» gridò una voce da dietro.

 

«MATT!» urlai in risposta, mentre sentivo i battiti del mio cuore impazzito. «MA NON PUOI FARMI PRENDERE UN COLPO TUTTE LE VOLTE, CHE CAZZO.»

 

Alzò un sopracciglio e mi rivolse un sorrisetto impertinente. «Wow… non ti avevo mai sentito così… volgare.»

 

«E so dire anche di peggio, credimi.» gli risposi, con un’occhiata di fuoco.

 

Cambiò completamente argomento, diventando improvvisamente serio. «Perché semplicemente non gli parli, invece di spiarlo?»

 

Abbassai lo sguardo. Colpita e affondata. «Non so a chi ti riferisci.»

 

«Oh, Gesù. Non la fare tanto lunga, dai.»

 

E va bene. Voleva giocarla sporca? Ecco che lo accontentavo. «Beh, non posso farlo perché lui non mi vuole vedere, figuriamoci parlare.»

 

«E ti sei chiesta il perché, no?»

 

Sempre più colpita e affondata. «Sì. Ed il motivo è che sono una testa di cazzo, principalmente.»

 

«Bene. Prova ad ammettere i tuoi errori e vedrai che, secondo me, ti darà una possibilità.»

 

Annuii, registrando nella mente le sue parole. «Sai, non ti facevo così saggio.»

 

La sua replica, però, fu tagliente. «Ed io non ti facevo così stupida. Non farlo soffrire di nuovo.»

 

Poi, se ne andò, e mi lasciò a pensare da sola.

Pensai, pensai, pensai.

E, alla fine, lo ringraziai mentalmente.

 

Ringraziai Matt, perché adesso sapevo cosa fare.

                                                                                        

 

***

 

Harrisburg, Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 23 Giugno 2001

 

Evan's pov

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La festa era finita da un pezzo, ed io mi ero trovato da solo in mezzo ad una marea di sconosciuti.

Che bello.

Ora stavo tornando a casa in moto e stavo tentando di rimuovere alcuni pezzi della serata dalla mia mente.

 

Il contatto claustrofobico con altri corpi.

L’espressione amareggiata di Matt nel vedermi in quello stato.

Il viso di Avril.

 

Staccai solo per qualche secondo le mani dal manubrio e mi sfregai gli occhi.

Non ci pensare, Evan. Vai più veloce, più veloce.

 

E così feci. Superai il limite di velocità parecchie volte, prima di arrivare nel retro di casa.

La limousine di Peter non c’era: bene, ero arrivato prima di loro.

 

Mi tolsi il casco e smontai dalla moto, prendendo dalla tasca del cappotto le chiavi di casa.

Rabbrividii per il contatto con il metallo ghiacciato e percorsi il vialetto.

Poi, finalmente, aprii la porta d’ingresso, la richiusi alle mie spalle e partii rapidamente verso la mia stanza.

 

Salii i gradini due a due e, una volta entrato nella mia camera, sospirai.

Avrei tanto voluto poter cancellare dai miei ricordi il suo volto, il suo abito… il suo sguardo…

 

«Evan.»

 

Mi bloccai all’istante.

No.

Non poteva essere.

Non poteva…

 

Alzai lentamente lo sguardo davanti a me e la vidi lì, seduta sul mio letto, con ancora quel vestito che le stava meravigliosamente indosso.

 

Scrutava ogni dettaglio del mio viso con i suoi occhi azzurri e, a quel punto, non potei fare a meno di risponderle.

«C-ciao.»

 

Deglutì, intimorita, e si mordicchiò il labbro inferiore. «Posso… posso parlarti?»

 

Ero ancora un po’ intontito per via della sua presenza, ma annuii, colto alla sprovvista.

 

«Io… ti volevo chiedere scusa per l’altra sera.»

 

Mi irrigidii ancora di più al suono delle sue parole. «Davvero, ascolta, non ne voglio parlare…»

 

«No, ascolta tu!» disse, alzandosi in piedi. «Ci sono tre motivi per cui mi sono decisa a parlarti oggi: il primo è che volevo scusarmi per quello che è successo l’altra sera perché… ho commesso un errore. Un errore che ha portato ad entrambi solo dolore, un dolore crudele e violento. Il fatto è che… ero talmente occupata a pensare a quello che provavo per te che, alla fine, quando è arrivato il momento di dirtelo, non sono riuscita a tirarlo fuori. E questo non me lo perdonerò mai, visto che, ormai, non mi sono state concesse altre possibilità di rimediare.» disse, con una punta di veleno alla fine.

 

Non riuscivo a capirla. «Cosa?»

 

Mi fissò, prendendo un bel respiro. «Camille.» mi rispose, a denti stretti, come se pronunciare il suo nome le costasse chissà quanta fatica.

 

«Camille?» chiesi stupito.

 

«Sì, Camille. Sai, la ragazza che ti ronza sempre attorno e che ti sta “aiutando a capire di più una certa persona” che non perdonerai mai!»

 

«Ma che diavolo stai dicendo?!» gridai. Poi, però, la vidi avvampare di vergogna… e alla fine capii. «Tu stavi spiando la nostra conversazione!» la accusai.

 

Cercò di difendersi come meglio poteva. «Sì, beh, non vedevo altro modo.»

 

«E tu pensi che quella frase fosse riferita a te!» continuai, sempre più alterato.

 

«Perché, non è così?» mi chiese.

 

«Ma no che non è così, razza di idiota! Era per Kevin.»

 

«Kevin?» domandò sbalordita.

 

«Sì, Kevin!» Presi un respiro profondo e mi calmai. «Non so se lo hai notato, ma è stato molto strano, durante quest’ultima settimana. E lo stesso è stato per Will. Per questo, Camille pensa che questa potrebbe anche non essere una coincidenza e sta incominciando a credere che Will possa star “influenzando” Kevin, in qualche modo.» Poi, mi mossi un po’ verso di lei e mi arrotolai una sua ciocca di capelli sul dito. «E comunque, io ti ho già perdonato.» le dissi, ricordandomi le sue parole di qualche secondo fa.

 

«Davvero?» mormorò.

 

Le feci un mezzo sorriso. «Sì. L’ho capito più o meno una settimana fa, quando ho parlato con Matt. Ero arrabbiatissimo con lui, perché voleva invitare alla festa anche te, a tutti i costi. Ma la vuoi la verità? Beh, la verità è che ero incazzato nero con me stesso, perché sapevo che questa farsa dell’evitare qualsiasi contatto con te doveva finire, prima o poi, e sapevo che la stavo tirando troppo alla lunga. Per cui… adesso voglio il secondo e il terzo.»

 

Mi guardò disorientata. «Il secondo e il terzo cosa?»

 

«Il secondo e il terzo motivo per cui hai deciso di venirmi a parlare.» le risposi.

 

«Oh, già. Il secondo motivo è che… sei davvero uno schianto con quello smoking e mi sembrava l’occasione giusta per comunicartelo.»

 

Risi. «E il terzo?»

 

Mise le mani sul mio petto e mi sentii pervadere da un calore fortissimo. «Il terzo è… Socrate.»

 

Ero confuso. «Socrate?»

 

«Già, Socrate. Ti ricordi, no, tutta la faccenda del “conosci te stesso” e del sapere il motivo per cui siamo nati.»

 

Le sorrisi, non capendo comunque dove volesse arrivare, ma felice che si ricordasse della nostra chiacchierata. «E quindi, ci hai pensato? Sai darmi una risposta?»

 

Avvicinò il suo viso al mio. «Sì, ci ho pensato e sì, ho una risposta.»

I suoi occhi azzurri scivolarono sulle mie labbra e il suo respiro si fece più affannoso, insieme al mio.

«La risposta è che…» sussurrò.

Si passò la lingua sul labbro inferiore e i nostri sguardi s’incrociarono di nuovo: ero ipersensibile nei confronti del suo corpo così vicino.

Riuscivo a sentire ogni cosa: le mie mani su i suoi fianchi, le sue sul mio petto, il suo viso a pochi centimetri dal mio.

«Io…»

Appoggiò la fronte sulla mia e mi toccò il naso con il suo.

«Sono nata…»

Respiravo il suo odore così buono.

«Per dirti…»

Sentivo il suo respiro sulla pelle.

«Ti amo.»

 

Poi, finalmente, le mie labbra trovarono le sue.

Mi gustai completamente il sapore delle sue labbra. Mi staccai solo di un po’.

 «Dillo ancora.» sussurrai, estasiato.

 

«Ti amo.»

 

Assaporai ancora ogni secondo della dolcezza del contatto con la sua lingua.

«Ancora.»

 

«Ti amo, ti amo, ti amo.»

 

La poggiai delicatamente sul letto ed incominciai a spogliarla, lentamente.

 

Quella notte ci dedicammo solo a noi stessi, scoprendo lati di noi di cui non eravamo nemmeno a conoscenza e unendoci, davvero, in un solo corpo.

Alla fine, posò la testa nell’incavo della mia spalla nuda.

«”Ti panino al formaggio.”»

La guardai, completamente sbalordito. Ma, per lei, “panino al formaggio” non significava…? «Non in quel senso.» mi rassicurò subito. «Nel senso che ti amo.»

Ridacchiai. «Oh, beh, allora… “ti panino al formaggio” anch’io.» le risposi.

«Sai, potrei anche tollerare l’esistenza del formaggio, d’ora in poi.»

«Perché vuoi stare con me?» le chiesi.

«Sì. Perché voglio stare con te.» E si addormentò dolcemente tra le mie braccia.

Anch’io, Ramona.

Anch’io lo avrei tanto voluto.

Ma, purtroppo, non ci sarà dato il tempo per realizzare questo nostro sogno.

***

 

And I'd give up forever to touch you, 
'cause I know that you feel me somehow. 
You're the closest to heaven that I'll ever be. 
And I don't want to go home right now. 

And all I can taste is this moment. 
And all I can breathe is your life, 
'cause sooner or later it's over. 
I just don't want to miss you tonight.

And I don't want the world to see me, 
'cause I don't think that they'd understand. 
When everything's made to be broken, 
I just want you to know who I am. 

And you can't fight the tears that ain't coming, 
or the moment of truth in your lies. 
When everything feels like the movies, 
yeah, you bleed just to know you're alive. 

And I don't want the world to see me, 
'cause I don't think that they'd understand. 
When everything's made to be broken, 
I just want you to know who I am. 

[…]


I just want you to know who I am.

 

E ho rinunciato per sempre a toccarti, 
perché so che tu mi senti in qualche modo. 
Sei più vicina al paradiso di quel che io sia mai stato. 
E non voglio andare a casa ora.

 
E tutto quello che posso assaporare è questo momento. 
E tutto ciò che posso respirare è la tua vita, 
perché presto o tardi è finita. 
Non voglio perderti questa notte. 

E io non voglio che il mondo mi veda, 
perché non penso che la gente capirebbe. 
Quando tutto è stato fatto per essere distrutto, 
io voglio solo che tu sappia chi sono. 

E tu non puoi combattere le lacrime che non stanno per arrivare, 
o il momento della verità nelle tue bugie. 
Quando tutto sembra come nei film, 
sì, tu sanguini solo per capire che ancora sei viva. 

E io non voglio che il mondo mi veda, 
perché non penso che la gente capirebbe. 
Quando tutto è stato fatto per essere distrutto, 
io voglio solo che tu sappia chi sono. 

[…]

 

Io voglio solo che tu sappia chi sono. 

~ Until the End – Iris

 

P.S. Quanta suspense. (?)

P.P.S. Ma voi sapete qualcosa del video di GYWYL? Io neanche.

   
 
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