Salvesalvesalve
(?) a tutti.
Ancora
una volta, sono qui, in ginocchio, a chiedervi perdono
per il ritardo con cui sto aggiornando.
Capitemi,
plis. (?)
Quindi,
passando al capitolo… vi comunico che dovrete armarvi di
estintori – per spegnere svariati situazioni
“accaldate” – e di cuffie,
perché
la canzone del capitolo è una versione punk di
“Iris”, la famosissima canzone
dei Goo Goo Dolls [Interpretata anche dalla nostra Avril.
Sorvoliamo sul
suo stato durante il duetto con i Goo Goo Dolls nel 2014, per
bontà divina.]
Concedetemi
una piccola variazione sul compleanno di Matt, che è
il 14 Novembre, mentre nella mia storia è il 23 Giugno lol.
Al
prossimo aggiornamento [Si spera presto] <3
~
Cruel Heart.
***
Until
the End – Iris (Goo Goo Dolls Cover)
***
Harrisburg,
Pennsylvania,
Stati Uniti d’America, 16 Giugno 2001
Matt's pov
Si
stava rivelando davvero una giornata splendida,
questo 16 Giugno.
Avevo
la mia Susy con me, il clima era caldo, il cielo azzurro e gli
uccellini
cinguettavano gioiosi…
Oh,
andiamo, ma chi volevo prendere in giro?
Il
tempo era una merda, il cielo faceva presagire
non so quale catastrofe naturale e gli unici
“uccellini” che vedevo erano i
mini-polli fritti del locale tra la 90esima e Baker Street, verso cui
stavo
camminando.
In
più, avevo anche lasciato Susy a casa. Sigh.
Avevo
pensato che stessi abusando troppo del suo
utilizzo, e così le avevo lasciato i suoi spazi.
Ah,
valle a capire le donne!
Ma,
nonostante ciò, questa rimaneva comunque una
giornata splendida.
Volete
sapere perché?
Bene,
vi accontento subito.
Entrai
nel locale – sì, esatto,
quello dei mini-polli – e mi sedetti ad un piccolo
tavolino circolare di colore bordeaux.
Non
c’erano molti clienti, se non quelli abituali
che si facevano un panino durante la pausa-pranzo.
Controllai
l’orologio che avevo al polso e vidi
l’ora: ah, bene, avevo solo 30
minuti di
ritardo.
Ma,
a quanto pareva, il mio migliore amico era
più in ritardo di me.
Mi
sfregai le mani più volte, per farmi un po’ di
calore.
Cazzo,
faceva veramente freddo!
Nel
frattempo che lo aspettavo, mi persi a
guardare il culo di una cameriera bionda che stava al bancone: aveva
intercettato le mie occhiate più di una volta e mi aveva
sorriso, ammiccante,
mentre io ricambiavo facendole l’occhiolino.
Poi,
sentii la porta del locale aprirsi ed alzai
gli occhi dalle curve della cameriera: eccolo
lì.
Portava
le mani nelle tasche di un lungo cappotto
di velluto nero, che faceva risultare ancora di più il suo
pallore, e dei
pantaloni dello stesso colore.
Nah,
niente a che vedere col mio giubbotto in pelle sintetica e i jeans
strappati.
Lo
salutai. «Ciao, fratello.»
Mi
rispose solo con un cenno. Molto loquace,
direi.
«Ti
va bene un caffè?»
gli chiesi e lui
annuì in risposta.
Mi
alzai dalla sedia ed andai verso il bancone,
dove, sorridente, dissi alla cameriera:
«Due
caffè, dolcezza.»
Lei
ridacchiò ed io ritornai molto
lentamente al mio tavolo. La
biondina ha proprio un bel culo,
notai.
«Allora…»
incominciai una
volta seduto, tentennando un po’ e guardandomi attorno. «Come
va la vita?»
«Vai
al succo, Matt.»
mi rispose. «Lo
sai già come va la mia vita. Piuttosto, perché mi
hai voluto vedere?»
Sospirai.
Era sempre stato più bravo di me
nelle domande dirette.
«Manca
solo una settimana al
mio compleanno e un mio amico ha organizzato una piccola festa per me
in un
locale non molto lontano da qui.»
Ecco
spiegato tutto lo “splendore” di quella giornata.
«Ti
andrebbe di unirti a noi,
visto che sei il mio migliore amico?»
gli chiesi, un po’ velenosamente.
Strinse
gli occhi. «Noi
chi?»
Merda.
«Beh,
noi. Jesse, Charlie, tutti i nostri amici.»
Feci una piccola pausa. «Avril…»
aggiunsi
alla lista.
Il
suo tono era glaciale. «Assolutamente
no.»
Sgranai
gli occhi. «No,
cosa?»
«No,
non vengo se c’è anche
lei.»
Alzai
gli occhi al cielo, esasperato. «Oh,
andiamo, Evan. Hai proprio bisogno di svagarti e
non puoi evitarla per sempre. Ma cosa sei, un bambino di due anni?»
«Disse
quello che si prendeva a padellate in
testa.»
Scacciai le sue parole con una mano, come se non fossero importanti. «E
comunque, io sto benissimo.» replicò.
Ma
certo. Se per
“benissimo” intendeva magrissimo, pallido in un
modo esagerato e con due
occhiaie da far invidia ad un morto vivente… allora
sì, aveva proprio ragione.
Annuii
sarcastico, e lanciai un’occhiata d’apprezzamento
alla
biondina che si stava avvicinando al nostro tavolo.
«Ecco
i due caffè.»
disse, sorridendo specialmente nella
mia direzione, e andandosene.
Già,
davvero un gran
bel culo.
Misi
le mani a coppa sulla plastica del bicchiere, riscaldandomi,
e ne bevvi un sorso.
«Io
verrò, Matt. Ma tu non farlo.»
mi pregò.
Capii
immediatamente a cosa si riferisse. «No,
non posso non invitarla. È anche mia amica.»
Annuì,
livido e con le labbra contratte e si alzò improvvisamente
dal tavolo. «E
allora sai che ti dico? Bevitelo
da solo questa merda di caffè.» mi
sfidò, con gli occhi fiammeggianti.
Ma
io non gli risposi, non volevo cedere alla sua provocazione. Se
voleva fare il bambino capriccioso, che facesse pure.
Così,
vidi
Evan uscire dal locale,
sbattendo la porta, e allontanarsi per strada.
Scrollai
le spalle, non badandoci.
Meglio,
avrei avuto due caffè per me.
L’avevo
detto io che questa era una giornata splendida.
***
Harrisburg,
Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 23 Giugno 2001
Avril's pov
Andai
a bussare alla porta di Kevin, agitata. «Ehi,
sei pronto?»
«Eh?
Oh, sì… ehm… ora arrivo.»
mi rispose.
Sospirai,
cercando di ricompormi. Matt ci aveva invitato a quella che era solo la
sua
“innocua festa di compleanno”, come
l’aveva definita lui, e io non stavo più
nella pelle.
Non
stavo più nella pelle di trovare
una scusa per non andarci,
sia chiaro.
Finalmente,
dopo un paio di minuti, Kevin venne
fuori dalla sua stanza: indossava una giacca nera sbottonata e dei
jeans
aderenti.
«Wow,
stai benissimo.»
commentai.
«Grazie…
anche tu.»
bofonchiò.
Annuii,
osservando il vestito di chiffon verde acqua prestatomi da
mia madre.
Ero
incerta su come dovessi prendere il complimento.
In
questi giorni era stato un po’… strano
e, anche mentre eravamo nella limousine con Peter alla
guida, non fu da meno.
Alzava
e abbassava la gamba destra nervosamente, si mordicchiava
le unghie e l’interno della guancia, e non c’era
secondo in cui non vedesse
quel dannato orologio sul cruscotto della macchina.
Ed
andava avanti così da una settimana, più o meno
dal giorno in
cui Matt ci aveva avvisato della sua festa.
Avrei
tanto voluto sapere cosa non andasse in lui, ma non ero mai
stata brava a parlare con gli altri.
L’unica
persona con
cui avevo provato seriamente a farlo mi aveva piantato in asso,
figuriamoci.
Cercai
di scacciare via quel pensiero dalla mente e di rilassarmi.
Anche
se non era
facile farlo, visto che la persona che mi era vicina era ancora
più nervosa di
me.
Sentimmo
delle urla di divertimento ancora prima di imboccare la
via del locale: dall’esterno sembrava carino e ben curato.
Il
problema era all’interno: c’erano bottiglie vuote
dappertutto e
corpi di persone non esattamente identificate che si strusciavano gli
uni sugli
altri ovunque.
La
musica, poi, era decisamente assordante: un brano dance veniva
pompato nelle casse e, dopo solo due minuti, mi venne già il
mal di testa.
Nella
confusione generale, intravidi Jesse e
Charlie, ma non c’era traccia… di
lui.
«Sarà
una lunga serata…»
borbottai, mentre
vidi Kevin andarsi a prendere un drink e dirigersi
verso i bagni.
«Dove
spero che tu ti ubriacherai.»
mi disse una voce
maschile alle mie spalle, facendomi sussultare.
Mi
girai, con gli occhi sgranati. «Matt,
mi hai fatto spaventare! E io che speravo che diventassi più
grande anche a
livello celebrale…» cercai di
scherzare.
Notai
che portava un buffo cappellino di cartone a punta sulla
testa. Niente da fare, avevo il sospetto che Matt sarebbe rimasto
sempre lo
stesso.
«No,
non sono quel genere di persona. Tu,
piuttosto, lasciatelo dire…»
aggiunse, facendomi un sorriso e brindando in segno
d’apprezzamento.
Pensai
volesse farmi un complimento, ed invece disse soltanto… «Stai
una merda.»
Incrociai
le braccia, irrigidendomi. «Grazie,
tu sì che sai sempre come tirarmi su di morale.»
«Per
te, questo ed altro. A proposito di merde,
vado a vedere anche come se la sta cavando lo zombie. Sai, credo
proprio abbia
bisogno di… compagnia.»
finì con un sospiro,
allontanandosi.
Non
ci misi molto a capire a chi si stesse riferendo e seguii con
lo sguardo la direzione in cui stava andando.
Rincorsi
il festeggiato, stando attenta a non farmi vedere, e mi
nascosi dietro una colonna da cui non potevo essere vista.
Da
lì, riuscii a vedere finalmente Evan: ancora
una volta, era bellissimo.
Mi
accorsi che indossava lo stesso abito del nostro tragico
appuntamento, ma sembrava più provato…
più stanco.
La
gioia di vederlo a pochi metri da me si sbriciolò, quando
vidi
accanto a lui quello strano ragazzo, Will Grayson e, soprattutto, Camille Miller.
Appoggiai
le mani sulla colonna e cercai di contenere il dolore.
Stranamente,
il contatto con il fresco del muro riuscì a calmarmi,
e capii di essere anche in una buona posizione per sentire i loro
discorsi.
«Non
ci presenti?»
stava chiedendo Matt, guardando Will
e Camille.
«Certo.
Lui è Will Grayson e lei è Camille
Miller. Sono due miei compagni di scuola. Ragazzi, lui è
Matt, un mio carissimo
amico.»
finì Evan.
I
tre si scambiarono amichevoli strette di mano e Matt si
soffermò
in particolar modo sulla stronza. «È…
la tua nuova fidanzata?»
Vidi
Camille arrossire e lo sguardo di Evan si ridusse ad una
fessura. «No,
è una mia amica. Mi sta aiutando
a… capire di più una certa persona.»
Non
mi accorsi di aver trattenuto il respiro per quella risposta
solo fino a quando non lo buttai tutto fuori. Beh,
meglio di niente, almeno.
Poi,
però, riflettei sulle sue parole: si
stava per caso riferendo a me?
«Bene,
ragazzi…»
disse Will, che stava parlando per la
prima volta. «Io
credo che andrò un attimo in
bagno… sì.»
Dopo
che il ragazzo finì di parlare, il gruppetto si sciolse e
ognuno si sparpagliò in direzioni diverse del locale.
Così,
dato che era finita la scena, appoggiai la schiena alla
colonna.
Stavo
cercando di mettere ordine tra i miei pensieri, quando
all’improvviso…
«Buh!»
gridò una voce da dietro.
«MATT!»
urlai in risposta, mentre sentivo i battiti
del mio cuore impazzito. «MA
NON PUOI FARMI
PRENDERE UN COLPO TUTTE LE VOLTE, CHE CAZZO.»
Alzò
un sopracciglio e mi rivolse un sorrisetto
impertinente. «Wow… non ti avevo mai sentito
così… volgare.»
«E
so dire anche di peggio, credimi.»
gli risposi, con
un’occhiata di fuoco.
Cambiò
completamente argomento, diventando improvvisamente serio. «Perché
semplicemente non gli parli, invece di
spiarlo?»
Abbassai
lo sguardo. Colpita
e affondata. «Non
so a chi ti riferisci.»
«Oh,
Gesù. Non la fare tanto lunga, dai.»
E
va bene. Voleva giocarla sporca? Ecco che lo accontentavo. «Beh,
non posso farlo perché lui non mi vuole vedere,
figuriamoci parlare.»
«E
ti sei chiesta il perché, no?»
Sempre
più colpita e
affondata.
«Sì. Ed il motivo è che sono
una testa di cazzo, principalmente.»
«Bene.
Prova ad ammettere i tuoi errori e vedrai
che, secondo me, ti darà una possibilità.»
Annuii,
registrando nella mente le sue parole. «Sai,
non ti facevo così saggio.»
La
sua replica, però, fu tagliente. «Ed
io non ti facevo così stupida. Non
farlo
soffrire di nuovo.»
Poi,
se ne andò, e mi lasciò a pensare da sola.
Pensai,
pensai, pensai.
E,
alla fine, lo ringraziai mentalmente.
Ringraziai
Matt,
perché adesso sapevo cosa fare.
***
Harrisburg,
Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 23 Giugno 2001
Evan's pov
La
festa era finita da un pezzo, ed io mi ero trovato da solo in
mezzo ad una marea di sconosciuti.
Che
bello.
Ora
stavo tornando a casa in moto e stavo tentando di rimuovere
alcuni pezzi della serata dalla mia mente.
Il
contatto
claustrofobico con altri corpi.
L’espressione
amareggiata di Matt nel vedermi in quello stato.
Il
viso di Avril.
Staccai
solo per qualche secondo le mani dal manubrio e mi sfregai
gli occhi.
Non
ci pensare, Evan.
Vai più veloce, più veloce.
E
così feci. Superai il limite di velocità
parecchie volte, prima
di arrivare nel retro di casa.
La
limousine di Peter non c’era: bene,
ero arrivato prima di loro.
Mi
tolsi il casco e smontai dalla moto, prendendo dalla tasca del
cappotto le chiavi di casa.
Rabbrividii
per il contatto con il metallo ghiacciato e percorsi
il vialetto.
Poi,
finalmente, aprii la porta d’ingresso, la richiusi alle mie
spalle e partii rapidamente verso la mia stanza.
Salii
i gradini due a due e, una volta entrato nella mia camera,
sospirai.
Avrei
tanto voluto poter cancellare dai miei ricordi il
suo volto, il suo abito… il suo sguardo…
«Evan.»
Mi
bloccai all’istante.
No.
Non
poteva essere.
Non
poteva…
Alzai
lentamente lo sguardo davanti a me e la vidi lì, seduta sul
mio letto, con ancora quel vestito che le stava meravigliosamente
indosso.
Scrutava
ogni dettaglio del mio viso con i suoi occhi azzurri e, a
quel punto, non potei fare a meno di risponderle.
«C-ciao.»
Deglutì,
intimorita, e si mordicchiò il labbro inferiore. «Posso…
posso parlarti?»
Ero
ancora un po’ intontito per via della sua presenza, ma
annuii,
colto alla sprovvista.
«Io…
ti volevo chiedere scusa per l’altra sera.»
Mi
irrigidii ancora di più al suono delle sue parole. «Davvero,
ascolta, non ne voglio parlare…»
«No,
ascolta tu!»
disse, alzandosi in piedi. «Ci
sono tre motivi per cui mi sono decisa a parlarti
oggi: il primo è che volevo scusarmi per quello che
è successo l’altra sera
perché… ho commesso un errore. Un errore che ha
portato ad entrambi solo
dolore, un dolore crudele e violento. Il fatto è
che… ero talmente occupata a
pensare a quello che provavo per te che, alla fine, quando è
arrivato il
momento di dirtelo, non sono riuscita a tirarlo fuori. E questo non me
lo
perdonerò mai, visto che, ormai, non mi sono state concesse
altre possibilità
di rimediare.» disse, con una punta di veleno
alla fine.
Non
riuscivo a capirla. «Cosa?»
Mi
fissò, prendendo un bel respiro. «Camille.»
mi rispose, a denti stretti, come se pronunciare il suo nome le
costasse chissà
quanta fatica.
«Camille?»
chiesi stupito.
«Sì,
Camille. Sai, la ragazza che ti ronza sempre
attorno e che ti sta “aiutando a
capire
di più una certa persona” che non
perdonerai mai!»
«Ma
che diavolo stai dicendo?!»
gridai. Poi, però,
la vidi avvampare di vergogna… e alla fine capii. «Tu
stavi spiando la nostra conversazione!» la
accusai.
Cercò
di difendersi come meglio poteva. «Sì,
beh, non vedevo altro modo.»
«E
tu pensi che quella frase fosse riferita a te!»
continuai, sempre
più alterato.
«Perché,
non è così?»
mi chiese.
«Ma
no che non è così, razza di idiota! Era per
Kevin.»
«Kevin?»
domandò sbalordita.
«Sì,
Kevin!»
Presi un respiro profondo e mi calmai. «Non
so se lo hai notato, ma è stato molto strano,
durante quest’ultima settimana. E lo stesso è
stato per Will. Per questo, Camille
pensa che questa potrebbe anche non essere una coincidenza e sta
incominciando
a credere che Will possa star “influenzando” Kevin,
in qualche modo.» Poi,
mi mossi un po’ verso di lei e mi arrotolai una sua ciocca di
capelli sul dito.
«E
comunque, io ti ho già perdonato.» le
dissi, ricordandomi le sue parole di qualche secondo fa.
«Davvero?»
mormorò.
Le
feci un mezzo sorriso. «Sì.
L’ho
capito più o meno una settimana fa, quando ho parlato con
Matt. Ero
arrabbiatissimo con lui, perché voleva invitare alla festa
anche te, a tutti i
costi. Ma la vuoi la verità? Beh, la verità
è che ero incazzato nero con me
stesso, perché sapevo che questa farsa
dell’evitare qualsiasi contatto con te
doveva finire, prima o poi, e sapevo che la stavo tirando troppo alla
lunga.
Per cui… adesso voglio il secondo e il terzo.»
Mi
guardò disorientata. «Il
secondo
e il terzo cosa?»
«Il
secondo e il terzo motivo per cui hai deciso
di venirmi a parlare.»
le risposi.
«Oh,
già. Il secondo motivo è che… sei
davvero
uno schianto con quello smoking e mi sembrava l’occasione
giusta per
comunicartelo.»
Risi.
«E
il terzo?»
Mise
le mani sul mio petto e mi sentii pervadere da un calore
fortissimo. «Il
terzo è… Socrate.»
Ero
confuso. «Socrate?»
«Già,
Socrate. Ti ricordi, no, tutta la faccenda
del “conosci te stesso” e del sapere il motivo per
cui siamo nati.»
Le
sorrisi, non capendo comunque dove volesse arrivare, ma felice
che si ricordasse della nostra chiacchierata. «E
quindi, ci hai pensato? Sai darmi una risposta?»
Avvicinò
il suo viso al mio. «Sì,
ci ho pensato e sì, ho una risposta.»
I
suoi occhi azzurri scivolarono sulle mie labbra e il suo respiro
si fece più affannoso, insieme al mio.
«La
risposta è che…»
sussurrò.
Si
passò la lingua sul labbro inferiore e i nostri sguardi
s’incrociarono di nuovo: ero ipersensibile nei confronti del
suo corpo così
vicino.
Riuscivo
a sentire ogni cosa: le mie mani su i suoi fianchi, le
sue sul mio petto, il suo viso a pochi centimetri dal mio.
«Io…»
Appoggiò
la fronte sulla mia e mi toccò il naso con il suo.
«Sono
nata…»
Respiravo
il suo odore così buono.
«Per
dirti…»
Sentivo
il suo respiro sulla pelle.
«Ti amo.»
Poi,
finalmente, le mie labbra trovarono le sue.
Mi
gustai completamente il sapore delle sue labbra. Mi staccai
solo di un po’.
«Dillo
ancora.»
sussurrai, estasiato.
«Ti
amo.»
Assaporai
ancora ogni secondo della dolcezza del contatto con la
sua lingua.
«Ancora.»
«Ti
amo, ti amo, ti amo.»
La
poggiai delicatamente sul letto ed incominciai a spogliarla,
lentamente.
Quella
notte ci
dedicammo solo a noi stessi, scoprendo lati di noi di cui non eravamo
nemmeno a
conoscenza e unendoci, davvero, in un solo corpo.
Alla
fine, posò la testa nell’incavo della mia spalla
nuda.
«”Ti
panino al formaggio.”»
La
guardai, completamente sbalordito. Ma, per lei, “panino al
formaggio” non significava…? «Non in
quel senso.»
mi rassicurò subito. «Nel
senso che ti amo.»
Ridacchiai.
«Oh,
beh, allora… “ti panino al formaggio”
anch’io.» le risposi.
«Sai,
potrei anche tollerare l’esistenza del formaggio,
d’ora
in poi.»
«Perché
vuoi stare con me?»
le chiesi.
«Sì.
Perché voglio stare con te.»
E si addormentò dolcemente
tra le mie braccia.
Anch’io,
Ramona.
Anch’io
lo avrei tanto voluto.
Ma,
purtroppo, non ci sarà dato il
tempo per realizzare questo nostro sogno.
***
And I'd give up forever to touch you,
'cause
I know that you feel me somehow.
You're
the closest to heaven that I'll ever be.
And
I don't want to go home right now.
And
all I can taste is this moment.
And
all I can breathe is your life,
'cause
sooner or later it's over.
I
just don't want to miss you tonight.
And
I don't want the world to see me,
'cause
I don't think that they'd understand.
When
everything's made to be broken,
I
just want you to know who I am.
And
you can't fight the tears that ain't coming,
or
the moment of truth in your lies.
When
everything feels like the movies,
yeah,
you bleed just to know you're alive.
And
I don't want the world to see me,
'cause
I don't think that they'd understand.
When
everything's made to be broken,
I
just want you to know who I am.
[…]
I
just want you to know who I am.
E
ho rinunciato per sempre a toccarti,
perché
so che tu mi senti in qualche modo.
Sei
più vicina al paradiso di quel che io sia
mai stato.
E
non voglio andare a casa ora.
E
tutto quello che posso assaporare è questo
momento.
E
tutto ciò che posso respirare è la tua vita,
perché
presto o tardi è finita.
Non
voglio perderti questa notte.
E
io non voglio che il mondo mi veda,
perché
non penso che la gente capirebbe.
Quando
tutto è stato fatto per essere distrutto,
io
voglio solo che tu sappia chi sono.
E
tu non puoi combattere le lacrime che non
stanno per arrivare,
o
il momento della verità nelle tue bugie.
Quando
tutto sembra come nei film,
sì,
tu sanguini solo per capire che ancora sei
viva.
E
io non voglio che il mondo mi veda,
perché
non penso che la gente capirebbe.
Quando
tutto è stato fatto per essere distrutto,
io
voglio solo che tu sappia chi sono.
[…]
Io
voglio solo che tu sappia chi sono.
~
Until the End – Iris
P.S.
Quanta suspense. (?)
P.P.S. Ma voi sapete qualcosa del video di GYWYL? Io neanche.