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Autore: samuele corsini    02/11/2014    1 recensioni
[Thriller]
[Thriller]Assassino gioca a poker con la polizia. Ad ogni partita in palio la vita di un "ospite". Se vince il Cartaio, all'ospite succederanno brutte cose.
Buon divertimento! E...
"Fate il vostro gioco!"
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Il Cartaio è forse il meno riuscito film di Dario Argento, il maestro dell'horror all'italiana. Quando lo vidi per la prima volta ne rimasi impressionato, ma ero anche un imberbe al suo primo film di Dario Argento e con pochissima cultura horror alle spalle. Oggi, 10 anni dopo, ne riconosco tutti i limiti, più che palesi. Tuttavia non posso non provare un certo affetto, in un certo senso. In fondo le premesse erano anche buone, ma erano state tutte sfruttate male.
Questa vuole essere una riscrittura romanzata di quel film. Magari non ne uscirà un capolavoro, ma non dubito che ci divertiremo parecchio, io, voi e il Cartaio. Vogliate darci un'occhiata.
Nessun pericolo di spoiler per chi non conoscesse il film. A parte dei punti in comune che ho voluto mantenere, la storia prende tutt'altra strada.
Buon divertimento
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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 “Che cosa posso fare per te, mia cara?”

Ennio Gaio Marini molto probabilmente raggiunge il metro e cinquanta molto più facilmente di circonferenza che in altezza. Aveva ereditato il suo secondo nome, Gaio, dal nonno materno, professore di latino e storia dell'età classica, anni prima che potesse essere associato ad un altro termine anglofono potesse far alludere una qualche tendenza omosessuale. A dispetto di qualsiasi allusione, il medico era molto più Gaio che omossessuale. Anzi, sembrava quasi asessuato, dato che non indulgeva a commenti e apprezzamenti sul gentil sesso. Sarà stata per l'influenza del secondo nome, ma Marini è un uomo il cui spirito si è fermato poco prima dei venti anni, mentre il suo corpo era andato altri quaranta avanti, gioviale ai limiti del ridicolo, ma, come gli anni di servizio presso l'Istituto di Medicina Legale hanno dimostrato, molto professionale e scrupoloso. Certo, i suoi atteggiamenti sul posto di lavoro erano molto al di fuori dei comuni canoni della professionalità. Tanto che il professor Marini era l'unico dell'Istituto a non avere un assistente fisso. Entro un mese, ognuno trovava una scusa per cambiare svignarsela, pur di non stare ancora in una sala autoptica con lui.

Anna Mari incrocia le braccia e prende fiato. Fino ad ora non si era mai spinta nel suo regno personale. La sala a lui assegnata è poco illuminata, e la morte, lì, ha anche un odore, un odore sterile, freddo e dolciastro.

“Lei ha fatto l'autopsia a Francesca Bernardini. Vero, professore?”

Marini è un tipo parecchio teatrale, e la poliziotta ne ha conferma ogni volta che, per motivi di lavoro, lo incrocia sulla sua strada. Alla sua domanda rotea gli occhi verso l'alto e si liscia il mento, un gesto quasi comico: “Bernardini... vediamo: diciassette anni, bionda, occhi verdi...” e poi, tornando con lo sguardo sulla Mari “...sana dentro e bella fuori. Sarebbe diventata una donna stupenda, per la gioia dei suoi coetanei. Mi pare di aver sentito che è stata uccisa da uno squilibrato in videoconferenza. Possibile?”

Al commento su come sarebbe potuta diventare la ragazza, Mari sente rivoltarsi le viscere, tuttavia risponde mantenendo il controllo sulle sue emozioni: “Gli ha fatto un favore definendolo solo squilibrato, professor Marini. Credo che sia il primo termine gentile che riceva da giorni.”

“Ho finito il mio lavoro ieri sera e ho inviato il mio rapporto in questura. Anche in formato digitale.” si gira di lato, come rivolto a un pubblico in sala “Ah, la tecnologia...” e poi con una piroetta ritorna a rivolgersi alla Mari “Cos'altro vuole sapere?”

“Diciamo che ho bigiato le ultime lezioni, professore. Avrei bisogno di recuperare le informazioni principali.”

“E c'era bisogno di venire fin quaggiù?” chiede il medico legale, con tono sornione, inclinando la testa di lato.

Anna Mari per un momento si assenta...

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

...poi ritorna in sé: “La cosa le crea disturbo, professore?”

“Assolutamente, mia cara!” esclama Marini, allargando le braccia “Sa, non sono più abituato alle visite. Comunque...” e prende due guanti in lattice monouso da una confezione su un tavolino accanto al tavolo autoptico “...la paziente è già stata ricomposta per essere restituita ai suoi famigliari. Se vuole andarla a trovare, dovremmo fare una gitarella verso le celle frigo. Vuole seguirmi, mia cara?” e si avvia in corridoio senza aspettare la risposta.

È ora di pranzo, e tutto il personale dell'Istituto è in mensa a mangiare. Il professore, d'abitudine, mangia da solo, portandosi il pranzo da casa. Il corridoio è solitario e silenzioso. Anna Mari lo percorre rigida e trattenendo il fiato. Non le piace quello a cui sta andando incontro...

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

...non le piace la vicinanza di quello strano individuo, piccolo, tarchiato, con un'aureola di riccioli brizzolati che incornicia la fronte e la sommità del cranio completamente calvi e non le piace di addentrarsi fino alle celle frigo con lui. Ciononostante, nei giorni precedenti, aveva realizzato che, se quella ragazza non aveva avuto possibilità di salvezza, era stato per colpa sua. Aveva perso il controllo e Francesca Bernardini ci era andata di mezzo. Ora, come minimo, doveva capire cosa era successo per colpa sua. Un freddo rapporto autoptico non le sarebbe bastato. Doveva capire. Vedere! Non era una questione morbosa. Semplicemente, glielo doveva, a quella ragazza. Doveva infilare il muso nella merda che aveva cagato sul tappeto buono. Perché non succedesse più. Perchè, poco ma sicuro, quel figlio di puttana non si sarebbe fermato a Francesca.

Se Anna Mari, camminando, è rigida come marmo, il dottor Marini invece percorre il corridoio quasi a passo di danza, canticchiando allegro un qualche motivetto di cui la poliziotta non ricorda il nome.

Quando giungono alla porta, il medico la apre e con un mezzo inchino e un gesto della mano invita Anna Mari ad accomodarsi prima di lui. La poliziotta tira un sospiro e si immerge in quell'angolo di inferno dove il freddo la faceva da padrone. È una stanza enorme, illuminata dai neon, a sinistra qualche sedia e un tavolo con qualche scartoffia e penne. Davanti a sé, una parete percorsa da due file di cassettoni d'alluminio. Un cassetto per ogni corpo. Avverte un brivido sottopelle a pensarci, poi sobbalza. Lo scatto della porta che si chiude alle sue spalle. Tira un sospiro. Deve stare calma, è tutto sotto controllo.

Ma non riesce a finire di formulare questo pensiero che...

“Laaaaargo al factootum della città, laaaargoooo....!!!”

Con un salto si gira e strabuzza gli occhi per la sorpresa. Il professore Ennio Gaio Marini sta rendendo giustizia al suo soprannome: Pavarotti. Ha assunto una posa declamatoria e con voce da tenore, stava cantando il Barbiere di Siviglia.

“Scusami tanto, mia cara, ma adoro l'acustica di questo posto.” poi con un dito indica i cassettoni “Lo faccio anche per loro. Staranno un'eternità nel silenzio più totale, almeno portano con loro un po' di musica...” e ridacchia portandosi una mano alla bocca, come se avesse fatto una monelleria.

Anna crolla sulle ginocchia, portandosi una mano al petto. In un colpo solo ha scaricato buona dose dell'adrenalina accumulata nel corridoio, ma a rischio di farle venire un colpo. Non sa se dargli del coglione perché le ha fatto quasi venire un infarto, perché ha violato il silenzio che meritano i morti, a maggior ragione se assassinati, o perché ha cantato in tonalità da tenore un'aria che è notoriamente da baritono. Alla fine sceglie il silenzio.

Il medico, sempre con passo di danza, raggiunge un cassettone, improvvisa un tiptap aggrazziato nonostante la sua mole, poi afferra la maniglia, la tira nel mentre piroetta su sé stesso e il cassettone si apre con un rumore sinistro.

“Et voilà! Mademoiselle Francescà Bernardinì è pronta per risceverlà.” annuncia il medico con un accento francese molto caricaturato, indicando il cassettone con fare cerimonioso.

Dal suo posto sul pavimento, inginocchiata e con le mani al petto, l'ispettore Mari non riesce a vedere il corpo.

Ecco, ci siamo, dice a se stessa, ora devo vedere.

Sulle prime le ginocchia si rifiutano di rispondere. Stringe i denti.

Coraggio!

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

Avanti!

Finalmente le gambe obbediscono. Ma gli occhi si spostano verso la parete, a destra del cassettone. Mentre si alza concentra lo sguardo lì, poi prende posto accanto alla cella di Francesca Bernardini, dal lato opposto a quello occupato dal medico legale.

Tira un profondo respiro, chiude gli occhi, si gira verso il fondo del cassettone dove giace il corpo...

Non hai avuto lo stomaco di vedere come andava a finire...

...apre gli occhi, e finalmente vede.

La pelle nuda e pallida è percorsa dal classico taglio a ypsilon che parte dalle clavicole e giunge all'ombelico. Il taglio è stato ricucito. La seconda cosa che nota è il deperimento del corpo. No, non deperimento...

Nel percorrerlo con lo sguardo, dal torace all'addome fino al pube peloso, nota nell'interno coscia destro un taglio netto. I labbri della ferita sono sporchi di sangue.

Non deperita, è...

Il medico legale rompe il silenzio.

“La morte è avvenuta per dissanguamento. Le è stata recisa l'arteria femorale. È spirata rapidamente.”

Ok, brutto figlio di puttana. Ora vedo! Cosa mi vuoi dire? Qual è il tuo gioco? Non certo una partita di poker...

“Quindi non ha sofferto, dottore?” domanda la Mari, percorrendo il corpo con lo sguardo dalla punta dei piedi a salire.

“Soffrire? Beh, per soffrire ha sofferto un sacco, invece, poverina.”

“Che vuole dire? Non mi ha appena detto che...”

Concluderebbe volentieri la domanda, ma alzando gli occhi il suo campo visivo si riempie di un'immagine al limite del delirio. Il medico legale, con un'aria dolce e intenerita, accarezza la fronte e i capelli del corpo senza vita della Bernardini. Le quali palpebre semichiuse sono infossate, livide e sporche di sangue.

Non hai avuto lo stomaco di VEDERE come andava a finire...

Anna Mari avverte come un cazzotto alla bocca dello stomaco. Ha resistito all'odore della decomposizione fino ad allora, ma sommarlo a quella vista le provoca una sensazione di malessere che non riesce a celare.

Il medico si accorge che qualcosa cambia nell'espressione della poliziotta, che si porta una mano al viso “Oh, mi scusi, ho dimenticato di offrirle il Vicks.” e si mette una mano guantata in tasca, tirandone fuori un barattolo. Lo apre e gliene offre: “Prego, ne metta un po' sotto il naso.”

Anna Mari vorrebbe dire che non è quello il problema, ma si tiene tutto dentro. Con un gesto meccanico allunga una mano verso il barattolo aperto, intinge indice e medio nell'unguento all'eucaliptolo e se lo distende alla meglio sotto il naso, a formare due baffi untuosi e profumati. Va un po' meglio, ma non troppo.

“Se non le migliora l'olfatto, almeno se ne va di qua decongestionata.” ridacchia il medico, rimettendo il barattolo a posto.

Anna Mari non recepisce neanche la battuta. Fissa le orbite svuotate, con le palpebre semichiuse che lasciano intravedere del materiale organico rosso annerito. Comincia a capire qualcosa del senso di quel messaggio di posta ricevuto giorni prima. Non ha parlato a caso...

“Le hanno strappato a forza gli occhi dalle orbite mentre era cosciente. In modo abbastanza rudimentale, direi. Avrà usato un cucchiaio o qualcosa di molto simile. I nervi ottici sono quasi completamente divelti. Non tagliati, bada, proprio strappati. Chiunque l'abbia fatto cova dentro di se una gran bella rabbia, tesoro mio.” spiega il medico legale, riprendendo a carezzare i capelli della Bernardini.

Una domanda fulmina la Mari. Poco dopo si sarebbe pentita di aver parlato troppo.

“Dottore, come fa a dire che la Bernardini avesse gli occhi verdi?”

Il medico prima assume un'espressione interdetta, poi guarda il corpo, allarga verso l'esterno un braccio del cadavere, poi l'altro, controllando sotto le ascelle, poi si gira verso i piedi, si illumina in volto, come rassicurato, e preleva una busta di cellophane rimasta nel profondo buio del cassettone. Nell'aprirlo con quella ridicola piroetta non aveva tirato in fuori tutto il cassetto e il cadavere risultava esposto alla luce solo dalle caviglie in su.

La busta contiene due masse vagamente simili ai globi oculari. Se lo sono, ne hanno passate di brutte.

“Eccoli qua! Vede...” e comincia a palparli attraverso la busta, provocando un leggero giramento di testa nella poliziotta “...sono ancora visibili dei pezzettini di iride, sfuggiti alla digestione.”

“Digestione?!” ora la Mari ha il fiato corto.

“Sì, glieli ho trovati nello stomaco. L'ho dovuto aprire per prassi, immagini poi la mia sorpresa. Ho notato dei segni che fanno presumere uno stiramento dei muscoli della mascella, durante i miei esami. Credo glieli abbia ficcati a forza giù in gola.” e poi, con tono caritatevole “Eh no, non è stato affatto un bel fine settimana per questa povera piccola...”

La Mari ha un mancamento...

Non hai avuto lo STOMACO di VEDERE come andava a finire...

...e deve aggrapparsi al bordo del cassettone per non precipitare sul pavimento. La faccia le è sbiancata.

Il medico capisce che forse ha esagerato un po', abbandona la busta sul corpo del cadavere e corre a prendere una delle sedie nell'angolo della stanza: “Su su, niente panico. Pensi che è tutto finito. Però per oggi basta, eh? Si sieda qui...” e offre la sedia alla Mari, che più che sedercisi sopra vi precipita, aggrappandosi allo schienale per non cadere.

“Riprenda fiato, mia cara. Io intanto rimetto a posto.”

Il medico tornò alla cella, spingendo il cassettone fin quasi a chiuderlo. Poco prima di chiuderlo del tutto si arresta, guarda il volto della giovane vittima e con un sorriso dolce dolce le sussurra. “Non temere, mia stellina. Tra poche ore i tuoi ti verranno a prendere. Abbi solo un po' di pazienza. A più tardi. Sogni d'oro.” e finalmente richiude la cella.

Anna Mari sta riprendendo fiato. Nella sua testa lampeggia a caratteri rossi l'ultimo messaggio dell'assassino.

Non hai avuto lo STOMACO di VEDERE come andava a finire...

Francesca Bernardini è stata punita per causa sua... Lei avrebbe dovuto aiutarla e invece ha lasciato che una ragazza di diciassette anni... diciassette, dio santo!!!... subisse quell'incubo!

“Vuole una caramella, mia cara?”

“Voglio andarmene, dottor Marini.” quello che riesce a dire è un sussurro, ma ha il sapore di un sibilo di serpente. Si sente sola, indifesa, ferita, minacciata. E la cosa non le piace per nulla.

“Senza fretta, tesoro. Riprenda colore. Poco ci mancava che finisse lunga a terra. Mi ha visto bene? Crede che ce l'avrei fatta a prenderla in braccio e portarla fuori, all'aperto? Naaa... saremmo stati la coppia più chiacchierata dell'Istituto per mesi...”

Il dottor Marini cominciava a straparlare, ma più straparlava più innervosiva la polizziotta e più il sangue le tornava alle guance. E più aumentavano le sue energie e la voglia di scappare da quel freddo angolo di inferno, scappare dalle sue colpe, da quel medico rincoglionito, da quel corpo prosciugato dalla vita e martoriato mentre Francesca era cosciente... Strapparle gli occhi, ficcarglieli in gola, dissanguarla... Si augurava che durante la sua assenza si fosse fatto qualche passo in avanti, perché quel pazzo andava fermato, e subito!

Passi nel corridoio. No, non passi, qualcuno sta correndo. Si avvicinano, rallentano. Qualcuno bussa ed entra senza aspettare che gli sia permesso di entrare.

Giannoccaro si affaccia nella sala mortuaria, butta uno sguardo verso i due, individua la collega: “Anna, ne ha presa un'altra. È arrivato un altro messaggio.”

Un'altra. Un altro incubo per un'altra donna, o ragazza. Anna Mari si rialza con fatica e raggiunge la porta.

“Anna, il tuo autografo!” Il medico l'ha raggiunta sulla soglia, gioviale e rubizzo, porgendole penna e una cartellina con un modulo precompilato per i visitatori.

La poliziotta deglutisce, afferra la penna e scarabocchia una firma distrattamente mentre il medico le regge la cartellina. Restituisce la penna e imbocca la porta senza salutare. Ma prima che la porta alle sue spalle possa chiudersi, le arriva la voce di Marini: “È stato un piacere, mia cara!” e subito dopo, sempre con voce potente, da tenore, parte il canto, che rimbomba nella stanza vuota. “Un graaaande spettacolo a ventitrè oreeeeee prepara il vostr'umile e buon servitooooreeee...”

Dal Barbiere di Siviglia di Rossini ai Pagliacci di Leoncavallo.

“Va tutto bene, Anna?” le chiede Gionnaccaro, apprensivo.

“Andiamo via subito!”

Non è una richiesta. È un ordine che non ammette obiezioni.

 

 

 

*nota dell'autore: FELICE HALLOWEEN! ;-)

   
 
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