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Autore: LuciaDeetz    02/11/2014    7 recensioni
Dalla storia:
Dal suo ultimo viaggio, Padre ha portato a casa una reliquia.
Ha otto zampe e un portamento fiero. In lui c'è qualcosa che lo attrae – forse la criniera. Le uniche teste corvine di tutta Asgard.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Thor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota: la storia copre un arco di tempo che va da un periodo pre-Thor a un post-Thor: TDW.

Sdrucciolevole

Dal suo ultimo viaggio, Padre ha portato a casa una reliquia.
Ha otto zampe e un portamento fiero. In lui c'è qualcosa che lo attrae – forse la criniera. Le uniche teste corvine di tutta Asgard.
Quando vede lo stalliere condurlo alle scuderie e chiuderlo nel recinto, e Padre raccomandarsi di non toccarlo senza permesso malgrado non sia che un innocuo puledro, Thor annuisce e torna ai suoi giochi.
Loki riesce a malapena a contenere l'entusiasmo. Pensa a come passare inosservato e manomettere il lucchetto del portone. Ma aspetterà, paziente, perché ora il sole splende e il nero si confonde meglio dopo il tramonto.
A cena, non visto, nasconde una mela sotto la casacca.

Ci sono dei chicchi di biada che scricchiolano sotto le sue calzature. Ha appena chiuso il portone per ripararsi dal freddo e scongiurare l'arrivo di qualche guardia in allarme, ma l'interno è buio, non riscaldato e Loki si stringe nella tunica.
Quando lo raggiunge, fermandosi davanti allo steccato, lo trova accovacciato in un angolo, ombra contro ombra. Se non fosse per l'apertura sulla fiancata che permette alla luce lunare di insinuarsi nel recinto e schiarirgli il profilo lucido del pelo, non riuscirebbe a vederlo.
Il puledro muove le orecchie e alza la testa nella sua direzione. Loki non può dire se lo stia guardando, perché i suoi occhi sono neri come tutto il resto del corpo. Sa però che l'ha sentito, e che sta ascoltando.
Dalla tasca, tira fuori alcuni pezzi di mela che lascia cadere sopra a un cumulo di fieno, nell'angolo del recinto più vicino allo steccato. Poi rimane a osservare per un paio di minuti, in silenzio, ma nulla si muove. Loki, così, si dilegua nella notte.

Lo scenario si ripete per cinque volte, finché, alla sesta, carico di un nuovo furto, Loki trova il puledro con il muso appoggiato allo steccato, quasi che sia in attesa. Quando gli si avvicina con la mela nella mano alzata, lui tira indietro il muso e si ritrae sul fondo dello stazzo, nitrendo piano.
«Dai, su» lo incoraggia, allungandogli il frutto.
Ma quello non ha intenzione di avvicinarsi, e c'è troppo freddo per restarsene lì impalati.

La settima notte, Loki infila una seconda tunica di lana sopra a quella che ha già addosso.
Sorprende il puledro nella stessa posizione della sera precedente, e come la sera precedente lo vede rifugiarsi nell'angolo più lontano del recinto.
Ma la notte è tiepida e Loki non ha fretta di andarsene. Appoggia la mano dove prima c'era il muso del puledro, e attende. Stavolta, se ne andrà a mani vuote.

All'inizio della seconda settimana da quando è stato portato ad Asgard, il puledro si fa accarezzare. Il maltolto si ingrossa e aumenta anche il suo repertorio.
«Astrid, alla tavola degli invitati da Vanaheimr mancano pere e chicchi d'uva.»
L'ancella è desolata e china il capo. Nessuno, nemmeno sua madre, sa il motivo di quei furti, e Loki sorride rivolto al pavimento mentre pensa all'appetito smisurato del suo puledro: è il caso di dire che sta crescendo a vista d'occhio. L'ha già superato in altezza e non dà segni di volersi arrestare.
Quando si volta per andare via dalla sala del pranzo, il suo sorriso incrocia lo sguardo di Thor.

Passano le settimane e si consolidano i rituali. A volte, però, c'è da far fronte a degli ostacoli imprevisti.
Le sue mani assaporano il contatto con il calore del manto nero; le sue labbra, il sorriso di chi si compiace d'aver appena commesso un peccato.
«Lo dirò a nostro padre.»
Il sorriso di Loki si incrina, ma non si spezza. «No, non lo farai. O io gli dirò che mi hai seguito fino a qui, e allora saranno guai anche per te.»
«Anche ieri notte ti ho sentito, sai, che ti alzavi? Ma non ho detto niente.»
«Ah, no?»
«Ero curioso di sapere dove andavi.»
Il cavallo ha un fremito sotto le sue dita. Si scansa al suo tocco, pesta la paglia con gli zoccoli e con la coda frusta l'aria, ma non nitrisce. Il sorriso scompare. «Be', ora lo sai.»
«È un bell'esemplare, eh?»
Loki non gli risponde. Allunga una mano, con cautela. Il cavallo si lascia di nuovo accarezzare, sbuffando nuvolette di condensa dalle froge. Ormai si è fatto tanto alto che lui arriva a malapena a sfiorargli la criniera dietro le orecchie. Loki gli dà la quarta fragola, che lui afferra e inghiotte in un morso, poi si volta verso il fratello al suo fianco. «Ti dispiacerebbe tornare a dormire? Lo stai agitando.»
«Non è vero.»
«Sì, invece. Non si è mai comportato così.» Nella penombra, vede un paio di occhi stretti e una fronte corrucciata, mezza nascosta dai capelli.
Thor incrocia le braccia al petto e si appoggia a un palo di sostegno, incrociando anche le gambe e mantenendo il cipiglio cupo. «È meglio che si abitui fin da subito, allora.»
«E perché? Non è il tuo cavallo.»
«Ma è il cavallo di nostro padre, il re» dice Thor. «Quando il trono passerà a me, perché sono nato prima di te, anche lui sarà mio» continua, indicando l'animale con un cenno del capo.
A un tratto, lo scorrere del vello sotto la pelle si fa spiacevole. Non riscalda le falangi, il pelo è ispido e diradato. Loki vede un cavallo qualsiasi e ritrae la mano, storcendo la bocca. Si sforza di vederlo come il peggior ronzino: perché è facile separarsi da qualcosa che non si vuole.
«Ma se non hai nemmeno il coraggio di carezzarlo!» esclama rivolto al fratello. Codardo, per tutto il tempo del discorso si è mantenuto a debita distanza! «Scommetto che non riesci a salirgli in groppa, futuro re. Che figura meschina, un sovrano che non tiene testa alla propria cavalcatura!» Poi gli balena un'idea, e sfiora il gancio in metallo che tiene chiuso il varco del recinto.
Thor trattiene il fiato e si stacca dalla trave. «Che cos'hai intenzione di fare? Solo nostro padre può cavalcarlo!»
«Oh, no» dice Loki. Si inumidisce le labbra. «Io l'ho cavalcato molte volte. È facile.» Scopre i denti in un sorriso, alza le spalle, parla con disinvoltura per consolidare la bugia. Vede Thor alzare gli occhi brillanti verso l'animale, come a valutare la distanza dal garrese a terra. Un amalgama di invidia e soggezione. «Vuoi provare?» Loki solleva il gancio a metà, ancora sorridente.
«Ma è proibito!»
«È solo questione di tempo prima che diventi tuo, no? Qualche secolo in meno che differenza fa?» Suo fratello tace, ma nemmeno il buio basta a nascondere la sua inquietudine. Il desiderio di emulare il fratello è più forte del terrore di una sculacciata.
Loki alza il resto del gancio e socchiude l'apertura nella stecconata. Il cavallo si lascia guidare fuori dal recinto senza ausilio di redini o parole: fra le sue mani si fa comandare come il più mansueto puledro. Gli accarezza il collo con tocchi gentili. «Senti,» dice poi, diretto al fratello «se non lo vuoi cavalcare, allora lo farò io.»
Sta allungando una mano verso le briglie appese a una delle travi, quando Thor si decide a muovere un passo avanti. «No.»
«“No” cosa?» Loki si ferma, il braccio levato.
«Lo sello io.»

Un disarcionamento, uno zoccolo nello stomaco e un'agonia da svegliare l'intera corte.
«Vergognati, Loki. Istigarlo così.»
Sua madre accarezza la scodella di capelli biondi, un gesto che a Loki ricorda la propria mano a contatto con il crine del cavallo. Padre non ha commentato, ma ha ordinato turni di guardia alle scuderie fino a tempo indeterminato.
Non dirà “mi dispiace” – un futuro re non frigna, né dovrebbe farsi abbindolare.

«Sei anche tu una reliquia rubata, amico mio?»
La spazzola affonda nella criniera.
«Sai, se da bambino avessi saputo che il nostro prossimo a tu per tu si sarebbe svolto in queste circostanze... credo che ti avrei ucciso senza esitazione, credendo di poter evitare che tutto questo accadesse.»
Lo stallone sta fermo, le orecchie ritte e la coda immobile. Loki gli striglia il fianco sinistro con zelo quasi maniacale. Quando, per strigliare l'altro lato, gli passa davanti al muso, il cavallo abbassa il collo e gli mordicchia la spalla della tunica.
Loki prende a carezzarlo sotto la mandibola con movimenti circolari, dove sa essere il suo punto debole, e lo stallone si abbandona al tocco delle dita. Sente una lacrima che gli scivola nell'incavo delle labbra. Gli spunta un sorriso acquoso: tutte le sue credenze si sono ribaltate, ma lo stallone lo riconosce ancora, dopo tutto questo tempo.
«Poi mi dico che... be', un cavallo non è vessillo di sventura. Tu non hai colpe.» Poggia la spazzola sul ripiano dello steccato, si china a terra ed estrae una mela dal sacco che ha portato con sé. Lo stallone tende il collo verso il frutto, fiutandone l'odore.
«Hai otto zampe, non sei asgardiano ma sei bello e forte, e non hai colpe.»
La mela sparisce in un paio di bocconi.
«Anzi, una colpa ce l'hai: sei amico di un mostro.»

Decide di togliere la maschera di re.
È con timore quasi reverenziale che infila un piede nella staffa e si issa sulla sella.
Il destriero lo lascia fare – o forse sta solo aspettando il momento propizio per sgroppare e scaricarsi la zavorra dal dorso. Chi ti è amico ti può anche tradire, è una delle lezioni che ha imparato.
Il cavallo gli dà appena il tempo di afferrare le redini, prima di impennarsi e partire al galoppo verso l'uscita della scuderia e l'orizzonte asgardiano.
Ma non lo disarciona, perché un amico non è mai un peso sulla schiena.

Sono due anime in sintonia.
Il vento gli frusta i capelli e le pieghe del vestito. La criniera gli solletica il viso. L'aria è satura del rumore degli zoccoli sul lastricato.
Ora comprende il significato del suo nome: Sleipnir, perché il terreno scivola. I colori si mescolano, scorrono, fuggono dal campo visivo, e delle lastre di pietra non si scorge altro che un grigio indefinito sotto le zampe in movimento.
Loki ride. Per un attimo, non ha pensieri su cui meditare.

~fin~



Angolino d’autrice:
Sleipnir deriva dal norreno sleipr, che significa "sdrucciolevole".
L'altra sera, a una cena, si stava parlando di equitazione e mi è venuta in mente questa storia. Spero vi piaccia!

   
 
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