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Autore: Nymeria90    03/11/2014    1 recensioni
Tutti conosciamo la storia del comandante Shepard, ma della persona che era prima di diventare il paladino della galassia e dell’umanità sappiamo ben poco. La mia storia si propone di ricostruire le origini di Shepard prima che diventasse comandante, dalla nascita fino al suo arrivo sulla Normandy SR1.
“ La notte calò sul pianeta Akuze. Una notte senza stelle, illuminata solo dalla flebile luce di una piccola luna, lontana e stanca. Nel silenzio assoluto di un pianeta senza vita giacevano i corpi di chi, quella vita, aveva tentato di portarcela.
Cinquanta uomini e donne erano arrivati sul pianeta alla ricerca di gloria e conquista, di loro non rimanevano che i corpi spezzati sparsi per il deserto.
[...]. Erano morti tutti. Tranne uno.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cittadella, 2175
 
L’Huerta Memorial Hospital le ricordava l’ospedale in cui era stata ricoverata, ad Atene, dopo che Diòs l’aveva quasi uccisa: stesse pareti metalliche, stessi corridoi insonorizzati, persino stessi odori e stessi rumori. Ma forse erano gli ospedali ad essere tutti i uguali, morte e malattia avevano gli stessi odori e gli stessi suoni ovunque, per chiunque.
Shepard si avvicinò alla reception e disse che avevano un appuntamento con il dottor Marchand, il Turian al bancone annuì e indicò loro dove andare.
Sasha squadrò il Turian con attenzione, il cranio ossuto, le creste acuminate, gli occhi infossati che brillavano come gemme nell’oscurità, i denti da predatore che la bocca senza labbra lasciava scoperti. Un tempo aveva provato orrore e ripugnanza per quella specie, un tempo li aveva considerati i peggior nemici dell’umanità. Ora non provava niente, se non un tenue, ovattato, rispetto, per coloro che un tempo aveva considerato suoi nemici.
Turian, Asari, Salarian, Batarian, Krogan … Umani: aveva visto il peggio e il meglio di entrambi, li aveva visti ridere e urlare, amare e odiare, vivere e morire. Era per tutti la stessa cosa, che fossero rivestiti di scaglie, ossa o pelle i loro cuori battevano per lo stesso, identico scopo: vivere.
Per poco non andò a sbattere contro Shepard che si era fermato davanti ad una porta di metallo affiancata da una targhetta luminosa che rivelava l’identità di chi si celava oltre i suoi battenti.
Solo pochi centimetri di acciaio la separavano dall’uomo che forse sapeva la verità su suo padre.
Provò un vago senso di nausea.
- Vuoi davvero andare da sola?- le sussurrò Shepard, prendendola da parte.
L’apprensione che lesse nei suoi occhi la commosse, ma non lasciò trasparire nessuna debolezza mentre gli spiegava, per la terza volta, perché era meglio che andasse da sola.
Shepard protestò un po’ ma alla fine dovette ammettere che era meglio fare come diceva lei.
Notò che non gli piaceva prendere ordini e, malignamente, se ne compiacque: per una volta era Shepard a doversi fare da parte, non lei.
- Ti aspetto all’ingresso.- si arrese lui e, dopo aver rapidamente controllato i dintorni, le diede un rapido bacio – Buona fortuna.-
Le sue premure la coglievano ogni volta alla sprovvista, lasciandola spiazzata, come una ragazzina al primo appuntamento. Si schiarì la gola, fece il gesto della vittoria e bussò due volte alla porta. L’uscio scivolò di lato con un leggero sospiro, Sasha trattenne il respiro e, come un naufrago che si getta in mare mentre la nave s’inabissa, varcò la soglia.
Edouard Marchand la aspettava seduto dietro un’imponente scrivania di un legno di cui non avrebbe saputo dire il nome, era un uomo grigio in un abito grigio. Notò che aveva gli occhi incavati come quelli dei Turian, ma nessuna gemma brillava nelle profondità di quelle orbite scure, solo due pozzi neri che la scrutavano da sopra un lungo naso a becco. Sembrava un grosso uccello appollaiato sul bordo di una sedia troppo piccola per lui.
Sasha si fece avanti, timidamente, mentre dietro di lei la porta si richiudeva con un sibilo, lanciò un’occhiata inquieta all’uscio sigillato, chiedendosi se si sarebbe più riaperto, l’idea di andare da sola, ora, non le sembrava più così geniale.
“Non mi mangerà” aveva detto a Shepard, spavalda, eppure, guardando quelle mani ossute giunte sotto al mento appuntito non ne fu più così sicura.
- Lei deve essere la specialista Red. - aveva una voce calda e gentile, l’esatto opposto di come se l’era aspettata – Il suo messaggio mi sembrava piuttosto urgente, anche se vago.- appoggiò le lunghe braccia sulla scrivania e si alzò. Era alto e scheletrico, leggermente curvo, simile a un grosso airone grigio. Le tese una mano, la sua stretta era calda e vigorosa, se ne stupì – Dottor Edouard Marchand, ma immagino lo sappia già.-
Finalmente ritrovò la voce – La ringrazio per avermi ricevuta così rapidamente, dottor Marchand.-
Lui le sorrise, tornando a sedersi, un sorriso pacato che la tranquillizzò – La prego, mi chiami Ned.- incrociò nuovamente le dita sotto il mento - A cosa devo la visita di un soldato dell’Alleanza, specialista Red? -
- Non sono qui in veste ufficiale.- lo rassicurò, accettando il suo invito a sedersi – E mi chiami pure Sasha, nemmeno a me piacciono i titoli.-
Lo psicologo accettò quella puntualizzazione con un cenno del capo, invitandola a continuare.
- Sto facendo delle indagini su mio padre.- prese la fotografia dalla tasca e gliela porse – Non so molto su di lui, tranne che si chiamava Aleksandr Peter Vlasov e che è stato suo paziente nel 2157.-
L’uomo studiò a lungo la fotografia, il viso di nuovo in ombra, più simile ad un avvoltoio che ad un airone, adesso.
- Temo di non poterle dire niente su quest’uomo. - concluse infine, restituendole la fotografia – Non l’ho mai visto.-
Sasha si sentì impallidire. Non era preparata ad una simile risposta, non dopo Amanda aveva rischiato tanto per farle avere quelle informazioni.
- Dottor …- si corresse – Ned, ci sono dei documenti in cui è riportato che mio padre fu suo paziente.-
- Me li faccia vedere, allora.- era come se sapesse che lei non poteva provare niente, ed aveva ragione.
- Sono documenti classificati, non ho il permesso di mostrarli a un civile. -bluffò.
Lui sorrise, non un sorriso cattivo o sarcastico, al contrario, sembrava dispiaciuto per lei – Sappiamo entrambi che esistono documenti che né io né lei abbiamo il permesso di vedere. Sospetto che lei stia facendo qualcosa che non dovrebbe fare.-
Aveva la bocca arida e i pensieri confusi, non era in grado di gestire una situazione del genere, di fare giochetti o strani inganni, forse Shepard aveva ragione: la diplomazia non faceva per lei.
- Mi dispiace averle fatto perdere tempo …- bofonchiò, accingendosi ad uscire. Era già sulla porta quando all’improvviso prese una decisione, se Alex avesse saputo quello che voleva fare si sarebbe infuriato ma Alex non era lì e lei non sapeva quali altre carte giocare. Era pericoloso e incosciente, ma non vedeva altra scelta – Ha ragione, Ned.- ammise, voltandosi a fronteggiarlo, lui chinò la testa, incuriosito, simile a un vecchio uccello saggio – Durante le mie indagini mi sono imbattuta in informazioni che non avrei dovuto trovare. Informazioni sul Progetto “Cerca e distruggi”. Non ho idea di cosa sia, ma sono convinta che lei lo sappia.-
Edouard Marchand scattò in piedi, facendo cadere la cornice appoggiata alla sua scrivania, l’impatto sul pavimento risuonò come uno sparo.
- Se ne vada.- sibilò lo psicologo completamente fuori di sé, nel pallore del viso le orbite sporgenti spiccavano come quelle dei teschi.
Sasha aveva visto molti uomini terrorizzati, ma mai così.
Quello scatto la spiazzò, voleva scappare a gambe levate, invece si chinò a raccogliere la cornice - Ned, nessuno sa che sono qui.- Shepard non faceva testo, lui era parte di lei – Quello che ci diremo non uscirà da questa stanza.-
Lui sembrò non sentirla nemmeno – Se ne vada.- ripeté.
Sasha fece per rimettere la cornice al suo posto, ma quando posò gli occhi sul soggetto della fotografia si bloccò.
La fotografia ritraeva una ragazzina bionda, non doveva avere più di sedici anni, aveva occhi azzurri pieni di sogni e il sorriso di chi crede di avere tutta la vita davanti.
Aveva già visto quel volto, quegli occhi … conosceva quella ragazza, ma non riusciva a ricordare dove l’avesse vista.
- È sua figlia?-
Quasi le strappò la cornice di mano, la rimise al suo posto, con religiosa cura, le rughe attorno alla bocca simili a crepacci.
- Mia nipote, la figlia di mia sorella.-  evitò il suo sguardo – Le volevo bene come a una figlia.-
Non le sfuggì l’uso del tempo passato e all’improvviso ricordò dove aveva visto quella ragazza. Non l’aveva incontrata da qualche parte nella galassia, né vi aveva mai parlato, i loro occhi non si erano mai incrociati. Non da vivi.
Erano vitrei gli occhi azzurri che ricordava, vitrei e pieni di sogni simili a quelli che aveva lei. La nipote del dottor Marchand era morta su Mindoir più di cinque anni prima e lei aveva visto il suo volto in televisione, il volto di una bambina morta mentre guardava le stelle. Con quella ragazzina sconosciuta era morta la parte migliore di lei, quella che sapeva sognare, quella che sperava in un futuro migliore.
- Mindoir …- sussurrò – La sua famiglia era su Mindoir.-
Lui non parve sorpreso da quell’affermazione, forse vi era abituato, più probabilmente non gli interessava niente – Si dimentichi di suo padre, del progetto, si dimentichi di avermi conosciuto. Non voglio essere responsabile di altri morti.-
L’attacco a Mindoir, la distruzione della colonia … se Marchand diceva il vero allora non era stato un semplice attacco schiavista, ma qualcosa di diverso, qualcosa di molto più oscuro.
- Le è rimasto qualcuno?-
- No. La famiglia di mia sorella è l’unica famiglia che ho mai avuto, la mia ragione di vita. Tutto ciò che avevo mi è stato portato via.-
Si avvicinò alla scrivania e vi si appoggiò, sporgendosi verso di lui – Allora non ha più nulla da temere. Che cos’altro possono farle?- lo vide indietreggiare, spaventato – Come si chiamava sua nipote?- domandò, mitigando la durezza della sua voce.
- Émilie.- sussurrò lui dopo un attimo di silenzio – Era la mia Émilie Jolie*.- aveva amato quella bambina con ogni fibra del suo essere.
- Non lasci che Émilie sia morta invano.- era dovere di entrambi vendicare la morte di quella ragazzina che per qualche, misteriosa, ragione, sentiva parte di sé – Mi dica ciò che sa sul progetto, Ned, mi aiuti a scoprire la verità e le prometto che la morte di Émilie non rimarrà impunita.-
Era la seconda promessa che faceva ad un uomo morto.
Lui tornò a sedersi, il mento appoggiato al petto, le mani congiunte davanti al viso, rimase in silenzio, immobile, per così tanto tempo, che arrivò a chiedersi se non si fosse inspiegabilmente addormentato.
Stava per dire qualcosa quando lui, finalmente, parlò: - Fui coinvolto nel Progetto Cerca e Distruggi nel 2157, la guerra era appena iniziata ma era già chiaro che l’avremmo persa. Il Progetto nacque per combattere i Turian nel loro territorio, per seminare il terrore presso la loro gente. L’obiettivo era cercare le loro colonie e distruggerle.-
- Chi fu l’ideatore del progetto?-
Scosse il capo – Non conosco i dettagli. Durante la guerra l’Alleanza si servì di mercenari umani, forze paramilitari, per combattere i Turian. La situazione era critica: l’Alleanza era disorganizzata, Shanxi perduta … si crearono delle task force con il compito di elaborare dei progetti che ci facessero vincere la guerra.- si passò una mano davanti agli occhi – Erano del tutto indipendenti gli uni dagli altri, segreti, per evitare fughe di notizie. C’era la massima libertà di azione.-
- Queste forze paramilitari esistono ancora?-
Ned si strinse nelle spalle – Non ufficialmente. In teoria le associazioni militari extragovernative sono vietate, nella pratica sappiamo tutti cosa succede là fuori. –
- Crede che l’Alleanza cooperi ancora con loro?-
- Che cos’è l’Alleanza?- si sporse verso di lei, assumendo un atteggiamento professionale – Una persona, un gruppo di individui, un governo? Chi la controlla, chi decide? L’Alleanza è un organismo complicato ed articolato, con tante teste che fanno quello che vogliono. Lei fa parte di una squadra, specialista?-
- Ovviamente.-
- Chissà quante battaglie avete combattuto … contro mercenari, pirati, forze paramilitari … cosa mi direbbe se affermassi che quasi tutti coloro che ha combattuto erano finanziati da qualche altra sezione dell’Alleanza? Magari qualche sezione occulta.-
Sasha deglutì a vuoto, abbassò lo sguardo, fissandolo sulle maniche della divisa che indossava, rivide il tatuaggio della banda, quello che un tempo le marchiava la pelle come un animale. Shepard credeva ciecamente nell’Alleanza e nella sua onestà, ma lei non era Shepard – Le direi che probabilmente ha ragione.- rispose con voce piatta.
Questa volta riuscì a sorprenderlo, si appoggiò allo schienale con aria compiaciuta – Lei è più sveglia di molti altri, specialista. Immagino di dover tener d’occhio la sua carriera d’ora in poi.-
- Lei com’è entrato a far parte del Progetto?- voleva andare in fondo alla questione, il più in fretta possibile.
Fece un gesto vago – Non vi feci mai realmente parte a dire la verità. Possiamo dire che collaboravo al Progetto.- tamburellò con le dita sul bordo della scrivania – Durante la guerra il mio compito era quello di fornire supporto psicologico ai soldati feriti in battaglia. Dovevo valutarne le condizioni psichiche e stabilire se fossero nelle condizioni di ritornare sul campo. Fui contatto da un membro del Progetto, tale Fitzgerald … no, non se lo segni.- bloccò il suo intento di annotare il nome – È morto anni fa, in un “incidente”, e comunque ne sapeva quanto me. Il Progetto era fatto a scomparti: ognuno conosceva esclusivamente il suo compito, quello che doveva fare, nessuno era al corrente del quadro completo. – si schiarì la voce – Tornando a noi … Fitzgerald mi contattò, era un sergente dell’Alleanza, mi diede delle istruzioni: se avessi avuto dei pazienti che rientravano in determinati parametri comportamentali avrei dovuto segnalarglieli; era la prima volta che sentivo parlare di quel Progetto, lui non mi disse molto, probabilmente sapeva poco o niente, mi comunicò solo che si trattava di un progetto segreto dell’Alleanza e che avevano bisogno di soldati qualificati. Sul momento ne fui alquanto sorpreso …-
- Perché?-
- Vede, i miei pazienti avevano subito dei gravi traumi, spesso erano gli unici superstiti della loro squadra, alcuni avevano vissuto il dramma della prigionia o provato sulla loro pelle la ferocia dei Turian. Alcuni potevano essere rispediti sul campo di battaglia, altri avevano subito turbe psichiche tali da rendere difficile persino la loro reintegrazione nella società civile. – sollevò lo sguardo su di lei – Era di loro che avevano bisogno per il Progetto.-
- Di che genere di turbe parla?-
- Psicosi, paranoia, disturbo della personalità, violenza. Molti provavano per i Turian un odio viscerale, irrefrenabile. Una delle domande ricorrenti era “Cosa faresti a un prigioniero Turian?”- rabbrividì – Alcune di quelle risposte non mi fanno ancora dormire la notte.-
Sasha annuì lentamente: suo padre le aveva parlato di quell’odio senza limiti, un odio che l’aveva spinto fin su Aephus a compiere le peggiori atrocità che la mente umana poteva concepire.
- Mio padre è stato un suo paziente.-
- Sì. Lo ricordo bene.- prese un ampio respiro – Sopravvissero in quattro allo schianto dell’Indipendence. All’inizio erano in sei, ma due di loro furono catturati e … - cercò le parole giuste - … credo che uccisi sia riduttivo per descrivere ciò che gli fecero. Suo padre era nascosto tra i rottami. Vide tutto, sentì tutto … io non so che persona fosse prima, so solo che l’uomo che incontrai era psicologicamente devastato.- sembrava dispiaciuto all’idea di rivelargli la vera natura di suo padre – Forse anni di terapie avrebbero potuto mitigare quell’odio che lo consumava, ma non gli venne concesso nemmeno un mese. Lo scelsero per il progetto e sparì. – si passò una mano davanti agli occhi, come per cancellare quei ricordi, quei volti  – Ovunque sia adesso spero che possa riposare in pace.-
Sasha ricordò l’uomo che le aveva raccontato la sua storia, quella storia, appoggiato al bancone di un bar, ricordò la disperazione nei suoi occhi, la colpa che lo tormentava, lo rivide accucciato in un corridoio dell’astroporto di Atene, l’espressione risoluta di chi ha finalmente preso la decisione giusta.
“Ho fatto tante cose cattive nella mia vita, tante scelte sbagliate … ma questa, questa è giusta” aveva scelto di aiutarla, di morire per una ragazza che non conosceva, una ragazza che aveva i suoi stessi occhi e credeva di essere sua figlia. E quella scelta, finalmente, gli dava pace.
Con la coda dell’occhio vide lo psicologo fissare la fotografia di Émilie.
- Che cos’è successo, Ned? Perché se ne è andato dall’Alleanza?-
Prese un ampio respiro – Tuo padre non fu l’unico che ributtai sul campo di battaglia. Ce ne furono molti, tutti ragazzi della tua età, ragazzi che meritavano di tornare a casa, dalle loro famiglie e che invece rispedii all’inferno. Mi dicevo che era necessario, che era il prezzo da pagare per vincere la guerra e salvare la Terra.- strinse i pugni – Poi la guerra finì e io chiesi a Fitzgerald notizie di quei ragazzi. Volevo sapere se erano ancora vivi, se erano tornati a casa. Lui disse di dimenticarli, di fare come se non li avessi mai conosciuti, perché non esistevano.- gli si spezzò la voce – Non potei sopportarlo. Decisi di lasciare l’Alleanza; questo accadeva diversi anni fa, subito dopo la fine della guerra.-
- Ma lei ha lasciato l’Alleanza solo cinque anni fa.-
- Prima di poter dare le dimissioni degli uomini vennero da me. Non ho idea di chi fossero, non li avevo mai visti prima e non tentai mai di scoprire la loro identità.- parlava con voce atona, come se stesse raccontando cose accadute a qualcun altro – Mi dissero che non potevo lasciare l’Alleanza, che sapevo troppe cose e che non avrebbero permesso che quei segreti uscissero dall’organizzazione. Mi invitarono a dimenticare il Progetto Cerca e Distruggi, la verità su quei soldati non valeva la vita delle persone che amavo, così mi dissero.- Sasha non faticava ad immaginarsi quella conversazione – Avevano delle fotografie di mia sorella, di suo marito, del figlio appena nato e di …- di nuovo gli si spezzò la voce, nell’oscurità di quelle orbite nere le parve d’intravedere il luccichio di una lacrima - … di Émilie. Stracciai la lettera di dimissioni e tornai al lavoro come se nulla fosse.-
- Poi cosa accadde?-
- Poco dopo quella conversazione ricevetti un’altra visita: era un maggiore dell’esercito, stava indagando su dei gravi crimini commessi durante la guerra. Stava investigando su un progetto che aveva come obiettivo quello di cercare e distruggere colonie Turian, un progetto avviato durante la guerra …- fece una pausa ad effetto - … ma che non terminò con essa.-
Sasha s’irrigidì – Che cosa le disse?-
- Non molto, fu piuttosto criptico. Lui sospettava, perlomeno fu quello che dedussi io, che una frangia estrema dell’Alleanza avesse continuato a operare in segreto, finanziando eserciti ed organizzazioni private per il proseguimento di questo progetto avviato durante la guerra. Obiettivo del Progetto non erano più solo i Turian, ma tutte le specie aliene.-
- Lei mi sta dicendo che avevano intenzione di applicare il Progetto su scala galattica?-
Ned era incredibilmente serio – Non “avevano”: hanno.- si alzò, le mani intrecciate dietro la schiena, l’aria grave sul viso da uccello – È un progetto a lungo termine, Sasha, scoprire l’ubicazione degli insediamenti alieni, le loro vulnerabilità, l’importanza strategica … non è roba da poco.-
Chiuse gli occhi, cercando di cogliere l’ampiezza di quel discorso: era tradimento. Se il Consiglio avesse saputo di quel Progetto … forse l’Alleanza non era direttamente coinvolta, ma sapeva e taceva … coprivano i crimini dell’umanità e, per questo, la condannavano.
- Cosa disse al maggiore?-
C’era un’espressione disgustata sul viso di Ned, disgusto per se stesso e le sue azioni – Niente, non gli dissi niente. Avevo troppa paura.-
- Lui scoprì qualcosa?-
- Immagino di sì.- un sorriso amaro distorse le labbra sottili dello psicologo – Morì eroicamente due mesi dopo, per salvare una colonia da un attacco terroristico. Ufficialmente fu un sacrificio volontario, come andarono realmente le cose io posso solo immaginarlo.-
Poteva immaginarlo anche lei. Se fino a quel momento aveva avuto paura ora era terrorizzata: faceva già parte di chi sapeva troppo.
Si disse che l’unico modo per proteggersi era andare avanti, stare un passo davanti a loro e scoprire la verità il più velocemente possibile.
- Ma se lei non disse nulla al maggiore, perché Mindoir?-
- Per dieci anni non seppi più niente, tentai di dimenticare, poi, un giorno, mentre tornavo a casa, a Benning, vidi un uomo sdraiato sul marciapiede di fronte alla mia porta.- guardò fuori dalla finestra un paesaggio che non vedeva – Quasi non lo degnai di un’occhiata, pensavo fosse un barbone. Ma quando gli passai davanti lui si alzò e mi chiamò: mi chiamò Ned. Quell’uomo era tuo padre.- Sasha sussultò rumorosamente, ma lui nemmeno si voltò – Mi raccontò di Aephus e del suo ritorno nel mondo dopo la fine della guerra. L’Alleanza non poteva riconoscere l’esistenza del Progetto, non ora che la pace coi Turian era stata fatta. Gli dissero che ufficialmente era morto sull’Indipendence nel 2157 e che per l’Alleanza non esisteva più. “Rifatti una vita” dissero “Dimentica il tuo passato da soldato, ricomincia.”- rise senza gioia – Dopo quello che aveva visto, dopo quello che aveva fatto, come potevano pensare che potesse ricominciare? Lui aveva dato loro tutto e non gli dissero nemmeno grazie. Non aveva lavoro, né soldi, né un posto dove andare, per il resto della galassia era morto. I suoi compagni s’infilarono una pistola in bocca, ma lui non poteva.-
“Che tu possa vivere per sempre” … no, il suicidio non era un’opzione per lui.
- Così fece la sola cosa possibile: tornò indietro, dal suo vecchio superiore, l’uomo che lo aveva accolto nel Progetto.- concluse Ned.
- Come si chiamava?-
- Harper. Jack Harper. Di lui non troverai niente, tutte le mie ricerche mi hanno portato in vicoli ciechi. Era un mercenario che lavorò con l’Alleanza su Shanxi nel 2157, dopo quella data è letteralmente scomparso.-
Sasha si morse il labbro: tutti quegli indizi e nessuna traccia. Le sembrava di dare la caccia ai fantasmi.
- Quindi mio padre tornò a lavorare per il Progetto.-
- Il Progetto Cerca e Distruggi era solo uno dei tanti che quell’organizzazione aveva in cantiere: falsificazione di documenti, produzione di nuove armi, esperimenti su bambini biotici … tutto in nome della supremazia umana. - man mano che parlava le spalle gli si incurvavano come se fossero gravate da segreti troppo grandi – Tuo padre tentò di ricominciare una vita: cambiò nome, identità, divenne un loro agente, conobbe una donna, una scienziata, la sposò …- esitò - … ebbero un figlio; sembrava che le cose si fossero messe a posto.- Sasha non mosse un muscolo, pietrificata sulla sua seggiola, l’idea che suo padre avesse creato una famiglia … avrebbe dovuto essere felice per lui, ma non poteva fare a meno di odiarlo per aver avuto una famiglia in cui lei non c’era – Poi ci fu l’incidente.- la voce cupa di Ned la riportò alla realtà.
- Quale incidente?-
- Un esperimento andato male. Ci fu un’esplosione in un laboratorio, era un piccolo complesso su un pianeta disabitato, fatta eccezione per gli scienziati e le loro famiglie; tra di esse c’era anche quella di tuo padre. L’esplosione devastò la colonia e quando Aleksandr rientrò dalla sua missione non trovò altro che cenere laddove c’era la sua casa.- Sasha deglutì a vuoto, immaginando quelle che lui doveva aver pensato: era la sua punizione per i crimini commessi su Aephus. Non meritava di essere felice.
- Il mondo gli crollò addosso, di nuovo. La sua famiglia era tutto ciò che gli  aveva impedito di soccombere ai crimini che aveva commesso e continuava a commettere, ma senza di loro … se ne andò, lasciandosi ogni cosa alle spalle. Voleva tornare all’Alleanza, raccontare tutto, ma non sapeva dove andare, cosa fare, poi si ricordò di me …- scosse mestamente il capo - … ero stato gentile con lui, conoscevo il Progetto, sapevo che non era morto nel 2157, pensava che potessi aiutarlo a riavere il suo nome, la sua vecchia vita. Dopotutto erano passati più di dieci anni, la pace non era più a rischio e l’Alleanza poteva permettersi di riconoscere il suo vecchio sbaglio, in cambio delle informazioni che lui gli avrebbe dato.-
- Lo aiutò?-
- Sì. Pensai che poteva farcela, aveva informazioni in grado di distruggere quell’organizzazione e io finalmente sarei uscito dall’incubo del ricatto. Ero convinto che nell’Alleanza ci fossero ancora persone integre come quel maggiore morto per scoprire la verità.- sospirò sconsolato – Ma ci rivolgemmo alle persone sbagliate. In dieci anni quell’organizzazione aveva messo radici profonde nell’Alleanza e vennero a conoscenza del nostro piano. Riuscii a far fuggire Aleksandr sulla Terra, ma non arrivai in tempo per salvare la mia famiglia.- si coprì gli occhi con una mano – Immagino avrebbero potuto ucciderli in monti altri modi, invece scelsero la distruzione dell’intera colonia. Era un messaggio, capisce? Possono arrivare ovunque, fare qualunque cosa, distruggere un’intera colonia e non subirne le conseguenze.-
Tutti i tasselli cominciavano ad incastrarsi ma il disegno che stava apparendo era più orribile e pericoloso di qualunque altra cosa avesse immaginato.
Se avevano distrutto una colonia per far tacere uno psicologo ficcanaso, che cos’avrebbero fatto a lei?
- A quel punto mi permisero di lasciare l’Alleanza. Tanto che cosa avrei potuto fare?-
- Quello che sta facendo: rivelare la verità.- affermò, con una spavalderia e una sicurezza che non provava – L’organizzazione di cui parla, come si chiama?-
Lui non era convinto – Se glielo dico la sua vita cambierà per sempre. Se glielo dico finirà come me.-
- Mio padre, sua sorella, gli abitanti di Minodir … Émilie … vuole davvero che chi li ha uccisi la faccia franca?-
Ned tornò alla finestra, abbassò la tapparella elettrica, si guardò intorno, come se temesse che ci fosse qualcuno accucciato sotto la scrivania. Quando ebbe la certezza che nessuno li stava spiando, prese un respiro profondo – Cerberus. Si tratta di Cerberus.-
Aveva sentito parlare di quel gruppo xenofobo con manie di grandezza, ma non avrebbe mai creduto che fosse in grado di fare ciò che Ned le aveva raccontato. Tuttavia non dubitò nemmeno per un istante della verità di quelle parole.
- La ringrazio, Ned. Vedrà: scoprirò la verità.- gli tese la mano per congedarsi ma lui la ignorò.
- No, non lo farai.- nell’oscurità della stanza quelle parole risuonarono come una condanna – Tu sei giovane, Sasha, e credi di essere invincibile. Ma immagino tu abbia degli amici, forse sei persino innamorata … quando scopriranno quello che sai …- alzò una mano per interromperla – Lo scopriranno, Sasha, lo fanno sempre. Quando capiranno cosa stai facendo, uccideranno tutte le persone che ami e anche quelle che non credevi di amare. Te le porteranno via e non potrai impedirlo.-
Ritirò la mano, come scottata: aveva già vissuto quei momento, aveva già perso le persone che amava. L’idea di perdere Nadine, C.J., Abigale e tutti gli altri nello stesso modo in cui aveva perso Louise e Kobe … l’idea di perdere Alex …
Fece un passo indietro e desiderò non aver mai varcato quella soglia.
- Ned, io …-
- Lo so, non c’è bisogno che tu dica niente. Hai già fatto abbastanza.- le si avvicinò, posandole le grandi mani sulle spalle, simili ad ali – Tocca a me adesso. Scoprire la verità, vendicare la mia famiglia …  per questo sono ancora vivo, lo capisco solo ora.-
- Se dovessero scoprirla …-
Sorrise, di un sorriso senza gioia – Che cosa potrebbero farmi che non mi hanno già fatto? –
Appoggiò una mano sulla sua, stringendola – Vorrei poterla aiutare.-
- Lo hai fatto. Dimentica questa storia, Sasha.-
Annuì: desiderava scoprire la verità, ma più di ogni altra cosa desiderava essere felice, con Shepard, con i suoi amici … non voleva più avere paura.
- Ho un’ultima domanda, Ned, poi giuro che dimenticherò questa storia e non ne farò più parola.-
- Sentiamo.-
- Il Maggiore che indagava su Cerberus, quello che hanno ucciso, come si chiamava?-
Una lunga pausa, poi la risposta – Dolgorukov, Maggiore Boris Dolgorukov.-
Non lo conosceva.
Sorrise a Ned prima di sciogliersi delicatamente dalla sua presa e avvicinarsi alla porta  – Faccia attenzione.-
- Ricorda, Sasha: tu non sai niente.-
Annuì, pensando che forse era meglio così.
Uscì dallo studio con una strana sensazione, sollievo per essersi liberata di quel fardello che minacciava di schiacciarla, paura di aver fatto qualche passo falso e disgusto per ciò che aveva appreso.
L’Alleanza, Cerberus … tutti quegli intrighi. Le sembrava di essere tornata indietro quando le bande lottavano per il controllo di pochi quartieri, di questo o quel locale. Quel mondo fatto di morti ammazzati e innocenti sacrificati in nome del potere… quel mondo le faceva ribrezzo.
Si fermò sulla soglia dell’atrio dell’ospedale, individuò Alex che parlava animatamente con un’Asari dall’aria famigliare. Si chiese che cos’avrebbe fatto se glielo avessero portato via … non aveva intenzione di scoprirlo.
Avrebbe ripreso a vivere la sua vita di sempre, fatta di missioni e battaglie, si sarebbe illusa di nuovo di combattere dalla parte dei buoni poi, quando finalmente, avesse trovato il coraggio, lo avrebbe preso per mano e gli avrebbe comunicato la sua decisione.
Quella vita non faceva per lei, l’Alleanza non faceva per lei.
Un giorno se ne sarebbe andata, ma quel giorno non era oggi.
Colmò la distanza che li separava e andò da lui.
 

* Se qualcuno ha letto e si ricorda della mia One-shot “Fino alla fine del cielo” immagino si sia chiesto se questa Emilie è quella Emilie. La risposta è sì, sono la stessa persona, con un’unica differenza: una muore e una vive. E qui entrano in campo le mie personali seghe mentali, che, dal momento che sono sadica (qualcuno tempo fa mi aveva anche incoronata, vero S.?) ho deciso di tenermi per me ancora per un po'. Sappiate solo che questo passaggio non è qui per caso. Raramente inserisco cose per caso. Perciò ... stay tuned!
  
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