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Autore: koorime    03/11/2014    1 recensioni
A un anno dalla sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
(Partecipa alla I edizione del Big Bang Teen Wolf Italia)
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Sceriffo Stilinski, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Titolo:  Beyond the wolf
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Sterek ( ♥ ) ,  stiles/OMC, Scott McCall, Sceriffo Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 5/8
Beta: Nykyo
Genere: future!fic a partire dalla 3B, circa
Warning: slash stuff, magical stuff, avventura, azione, one side!Derek, pomiciamento più o meno spinto.
Summary: A un anno dalla sparizione della Nogistune e della fine definitiva di Kate 2.0, il branco si ritrova a dover affrontare una nuova emergenza: qualcosa blocca Derek e Malia nelle loro forme animali e proprio quando gli omicidi rituali ricominciano.
Note: Questa storia è stata scritta durante la pausa tra la 3B e la 4 stagione e durante la 4 stagione, ma prende una discreta distanza dagli avvenimenti di quest'ultima.
È, in pratica, un enorme pov Derek, ed è nata per prendere in giro un'amica e il suo odio per le tirate chilometriche sugli occhi che ogni tanto si trovano in certe fic. Quindi, lasciatemela dedicare a Nadia: è stato divertentissimo vedere come da una sciocchezza sia nata una storia che mi ha accompagnato per mesi, mi ha fatta dannare e mandare al diavolo la stupidità di Derek
La storia, inoltre, partecipa alla prima edizione del Teen Wolf Big Bang Italia e si avvale, quindi, di gift bellerrimi da parte di due fanciulle adorabili. Lasciatemi quindi ringraziare dal più profondo del cuore AlexCoffeegirl per questa bellissima art e Phoenix Bellamy per questa bellezza di fanmix  Sono state bravissime e le devo un grazie dal cuore per aver scelto la mia storia e fattomi emozionare con i loro lavori
And last but not least, fatemi dare un grosso bacio e dire un enorme grazie a Nykyo per aver betato e seguito questa storia con amore e attenzione

DISCLAIMER: vorrei tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche Stiles, no *sigh*

 

 

 

 

Alla fine il ballo d’Inverno arrivò. Stiles ebbe due crisi di panico, una da prestazione e una sul numero esorbitante di difficoltà nell’indossare il vestito. Quattro in tutto, e tutte molto rumorose.

Dopo il litigio avuto a causa della fuga di Derek – anche se Stiles continuava a sostenere che non si era trattato di un litigio e che non era stato colpa di Derek – Stiles aveva sviluppato una insana ossessione per il Ballo d’Inverno, come se dalla riuscita di quest’ultimo dipendesse la buona sorte del rapporto con Lucas. Come se bastasse una serata magica per cancellare ogni parola sbagliata o frase non detta, come se il segreto per far andare bene un rapporto fosse nascosto in un abito carino e un lento ballato abbracciati.

Un pensiero tremendamente adolescenziale, che stonava col cinismo di fondo che, ormai, caratterizzava Stiles.

Derek lo guardò andare avanti e indietro per la stanza come se fosse un tornando strafatto di caffè – e forse un po’ lo era – gettando abiti e oggetti alla rinfusa in cerca di chissà cosa e, quando decise di essere pronto, per poco Stiles non ruzzolò giù per le scale, rompendosi l’osso del collo. Lui e Lucas avevano deciso di non indossare nessuna spilla o bracciale floreale, ma solo un fazzoletto rosso nel taschino per simboleggiare il fatto che sarebbero andati al ballo come coppia, però Stiles doveva passare a prenderlo, così da poter andare insieme dopo essersi incontrati con gli altri. Quindi con un cenno allo sceriffo, Stiles recuperò le chiavi della jeep.

«Allora ci vediamo. Non aspettatemi in piedi» disse, con un sorriso nervoso. Lo sceriffo lo fissò inarcando un sopracciglio e il sorriso di Stiles cedette appena. «Okay, non faccio tardi, promesso.»

«Mi raccomando, siate responsabili e, ti prego, tieniti fuori dai guai» lo redarguì lo sceriffo.

«Come sempre!» Il tentativo di Stiles di sembrare sicuro e innocente si schiantò contro il muro di scetticismo dello sceriffo. Derek si domandò che immagine dovevano dare lui e lo sceriffo, entrambi intenti a fissare in silenzio Stiles, per nulla convinti dalla sua faccia da bravo ragazzo. Stiles sbuffò e alzò gli occhi al cielo, girando su se stesso e uscendo di casa senza più una parola, mentre suo padre, con un sospiro, si diresse in cucina.

Derek rimase davanti la porta d’ingresso ormai chiusa, seduto sulle zampe, e attese.

Lo sceriffo recuperò una tazza di caffè e si sedette al tavolo con alcuni rapporti e fascicoli dell’ultimo caso – la sparizione di un bambino di otto anni, che speravano non fosse correlato ai sacrifici del darach – e Derek continuò ad attendere.

E poi aspettò, ancora e ancora, la coda arrotolata attorno alle zampe e le orecchie ritte, in attesa di sentire qualcosa, qualsiasi cosa. Non successe nulla né in quel momento né la mezzora successiva e Derek cominciò ad innervosirsi. C’era qualcosa che non andava e Derek non capiva cosa. Era in ansia, sentiva la costante necessità di controllare la porta, verificare se Stiles stava tornando o, almeno, di uscire e andare a sincerarsi delle sue condizioni.

Stiles non sarebbe rientrato a casa se non ore dopo e questo Derek lo sapeva. Eppure il lupo urlava che sarebbe dovuto rincasare subito, che, anzi, non sarebbe proprio dovuto uscire. Imputò l’ansia crescente al darach e alla totale assenza di indizi che avevano racimolato in quelle settimane. Non avevano idea di dove fosse o di chi fosse – nonostante sospettassero che fosse Jennifer, non potevano esserne certi, e da quando aveva beccato Lucas al Nemeton, Derek aveva ancora più dubbi – né quando avrebbe attaccato di nuovo o come, ancora, potevano fare per riportare lui e Malia alla forma umana.

«Ehi» lo sceriffo comparì accanto a Derek, posandogli una mano tra orecchie. «Che ne dici di farmi compagnia, mh?» disse e lo sospinse con gentilezza a seguirlo in cucina. Derek si lasciò guidare con reticenza, controllando ossessivamente la porta di casa, ma alla fine si costrinse a sedersi accanto al tavolo. Guardò lo sceriffo fare avanti e indietro tra il frigorifero e i fornelli per prepararsi una cena veloce, e accettò con gratitudine l’hamburger che gli venne posato davanti al muso. Nonostante l’ansia crescente, lo divorò in due morsi e leccò il piatto, ripulendolo dai residui.

Lo sceriffo sorrise nel vederlo e gli fece cenno di seguirlo quando, carico di hamburger e birra, si diresse verso il salotto. Derek gli andò dietro e lo guardò sedersi sul divano e accendere la televisione, sistemandosi il piatto sulle ginocchia con un sorriso goloso sul viso.

Derek lo fissò, seduto a pochi passi da lui, spostando lo sguardo dall’uomo alla porta di casa più e più volte, con la voglia di fare qualcosa che scalpitava nel suo animo e gli faceva prudere le zampe. Perché nessuno sembrava provare la sua stessa urgenza?

«Non guardarmi così, non posso certo impedirgli di uscire» disse infine lo sceriffo, stremato dall’essere l’oggetto di quello sguardo fisso. Fu in quel momento, mentre lo sceriffo si rigirava il panino tra le mani che Derek si rese conto di cosa componeva la cena: carne rossa, bacon e formaggio. Se Stiles l’avesse scoperto avrebbe dato di matto. Poteva già sentirlo sbraitare sul colesterolo e le arterie intasate e su quanto Derek fosse un cattivo lupo per non aver impedito a suo padre di uccidersi con le sue stesse mani. Derek ringhiottò, avanzando, e le sopracciglia dello sceriffo si inarcarono allo sguardo giudicante del lupo. L’uomo decise di ignorarlo e tornò al suo hamburger e Derek continuò a fissarlo. Questa volta lui tentennò sul primo morso e si voltò a guardarlo di nuovo, pensieroso, sfilando poi una striscia di bacon dall’interno del panino e facendogliela penzolare davanti al muso. «Tu non hai visto niente» disse e Derek si leccò il muso e saltò sul divano, accettando il pagamento del proprio silenzio. Dopotutto lo sceriffo stava bene, lui poteva percepirlo senza difficoltà, e se Stiles non l’avesse saputo non ne avrebbe sofferto.

Dopodiché lo sceriffo si concentrò sulla televisione e la partita dei Mets. Una replica, Derek ne era certo, perché ricordava di averla guardata con suo padre e Laura prima ancora che Cora nascesse – o forse era nata da poco? I ricordi cominciavano a diventare fumosi, purtroppo.

Nonostante tutto – la quiete e la familiarità di stare sul divano a guardare una vecchia partita di baseball con lo sceriffo – Derek continuava a voltare il muso verso la porta. Con l’udito continuava a tenere sotto controllo il vicinato, in attesa di sentire un rumore, una parola che gli dessero il permesso di correre via, in cerca di Stiles.

«Ehi» lo sceriffo aveva riposto il piatto ormai vuoto nel lavello ed era tornato accanto a Derek con una birra. Rigorosamente analcolica, sotto ordine perentorio di Stiles. «Lo sapevi che prima di Lydia Martin Stiles non era mai andato a un ballo scolastico con qualcuno?» Si sedette tra i cuscini, guardando il soffitto con l’espressione di chi stesse facendo mente locale su un particolare. «Credo che prima di oggi non sia mai neanche uscito con qualcuno. In senso romantico, intendo. Non credo abbia mai avuto un vero appuntamento neanche con Malia. La maggior parte del tempo la passavano a fare i compiti insieme. Quel ragazzo, invece, Lucas, si è esposto per lui» Lo sceriffo sorrise e Derek voltò il muso, imbarazzato da ciò che le parole sottintendevano, malgrado il fatto di non poter arrossire mentre era in quella forma.

«Non è giusto che spenda la sua giovinezza dietro qualcuno che non vuole ricambiarlo per paura di chissà cosa» Derek tornò di scatto a guardarlo e lo sceriffo stirò le labbra, probabilmente pentendosi dei termini usati, ma ormai era troppo tardi per rimangiarsi la frase. «Hai avuto un anno, Derek. Stiles ha passato un anno intero ad aspettarti e tu non hai fatto altro che nasconderti, fingere di non sapere, di non vedere, quando era evidente a chiunque quello che stava succedendo. Hai avuto la tua occasione con Stiles e l’hai sprecata, quindi ora... ora lascialo andare, okay?» Derek non rispose – né l’avrebbe fatto se avesse potuto – e si accucciò sul divano, il muso che sfiorava appena la coscia dello sceriffo. Questi sorrise e gli fece una carezza.

«Grazie» mormorò e tornò a guardare la tv. Derek finse di addormentarsi poco dopo.

 

 

***

Lo sceriffo, neanche a dirlo, aveva ragione.

Dopo la nogitsune, dopo i giorni passati a cercare di ritornare alla normalità, dopo la terapia, le crisi di panico, l’incertezza sempre più crescente negli occhi di Stiles, era nato qualcosa. Non se n’erano accorti subito, non era così facile riconoscere certi segnali quando non li si percepiva da molto tempo – Jennifer era stata diversa e, a volte, Derek si chiedeva se non fosse stata anche aiutata dai suoi poteri, e Breaden era stata qualcosa di molto più simile a una sfida che altro. Una riprova che lui poteva ancora costruire qualcosa di buono.

Dopotutto ciò che era successo, Stiles era fragile, più del solito, più del naturale. Saltava ad ogni rumore forte e aveva continui tremori quando, involontariamente, qualcuno gli sfiorava lo stomaco. Un paio di volte aveva avuto delle crisi di claustrofobia a causa dei troppi studenti nel corridoio durante il cambio dell’ora e un’altra volta era quasi crollato in pezzi, seduto nella sua jeep, le mani strette sul volante e gli occhi fissi sulla strada.

«Non riesco a muovermi» aveva detto a Scott con un sorriso così mesto che Derek non aveva resistito oltre. Era uscito dalla sua ombra di osservazione e lo aveva accompagnato a casa, seguito da Scott.

Stiles non dormiva.

Qualsiasi cosa la nogitsune gli avesse fatto, qualunque inganno gli avesse giocato sfruttando la malattia della madre, Stiles sembrava aver sviluppato una fobia quasi isterica per il letto e per ogni forma di riposo. Era arrivato perfino a pensare che la nogitsune non era altro che l’ennesimo stadio della demenza, un’allucinazione assolutamente realistica, per nulla facile da smascherare, ma pur sempre un’allucinazione dovuta alla progressione della malattia. Quando aveva cominciato a mettere in dubbio anche i licantropi e gli ultimi anni delle loro vite, Derek aveva perso la pazienza.

Non era stato né carino né gentile. Aveva sbattuto Stiles contro la porta della sua camera – in un breve deja vü della prima volta che era stato lì – e gli aveva ringhiato a un centimetro dal naso: «E io? Anche io non sono reale? Anche io sono un’allucinazione? Sono arrivato con la licantropia di Scott, no? Quindi questo cosa fa di me, un’illusione?»

Stiles lo aveva guardato con gli occhi spalancati, lucidi di lacrime e pietosi, come quelli di un bambino che vede lo strascico dei suoi incubi anche una volta sveglio e non riesce neanche a urlare. Aveva deglutito una volta e una volta ancora, mordendosi il labbro, mentre combatteva il tremore delle mani – dell’intero corpo. Aveva scosso piano la testa, abbassando lo sguardo e strizzando gli occhi, e si era lasciato andare contro la porta, esausto.

«Non ce la faccio» aveva mormorato, svuotato d’ogni energia. Derek, a quel punto, lo aveva allontanato dal sostegno della porta e lo aveva guidato verso il letto. Stiles lo aveva guardato con aria supplice, ma Derek aveva smorzato ogni sua protesta sedendosi accanto a lui. Aveva scalciato le scarpe e si era poggiato contro la testiera del letto, sistemandosi meglio il cuscino dietro la schiena, e aveva ignorato il modo in cui Stiles, semidisteso accanto a lui, lo fissava con un misto di incertezza e di speranza.

«Andrà tutto bene» disse solo, poi recuperò un libro a caso dalla pila sul comodino e lo aprì.

Stiles lo aveva guardato per un lungo istante, poi aveva abbracciato incerto il cuscino e aveva chiuso gli occhi. Si era addormentato tre respiri dopo e Derek era rimasto per tutta la notte, vegliando sui suoi sogni.

Non ci era voluto molto perché diventasse un’abitudine, prima tutta loro e poi del branco. Perché, chissà come, quando Derek non poteva, ecco che puntualmente a fare le sue veci comparivano Scott o Malia.

A ben vedere e per quel che Derek ne sapeva, la frequentazione tra quella che, a detta di Lydia, era sua cugina, Malia, e Stiles era cominciata così. Era stato strano il modo in cui lei si era avvicinata al branco, con rabbia e con recriminazione per essere stata strappata a una vita a cui ormai era abituata e per essere obbligata ad affrontare il suo senso di colpa ogni giorno. Non era stato facile per Malia, all’inizio, né lo era stato per Scott o per Stiles ritrovarsi a dover fare i conti con i suoi sentimenti. Ma poi era stato proprio quest’ultimo a farla cambiare. Derek non sapeva come, né perché, solo che una notte, dopo essere stato bloccato da una telefonata improvvisa di Chris riguardo a delle voci su un branco pronto ad espandere il proprio territorio, si era arrampicato per la finestra ed era entrato in camera di Stiles, fermandosi subito dopo, quando si era reso conto dell’odore in più.

Malia era lì, stesa con il petto contro la schiena di Stiles, a coprirlo come poteva, un braccio che gli circondava la vita. Lei aveva guardato Derek prima incerta, poi con una punta di coraggio e aveva stretto la presa.

Derek aveva guardato Stiles mugolare piano e raggomitolarsi, profondamente addormentato, e aveva annuito. Grazie, voleva dire, perché non era stato capace neanche di mantenere la promessa fatta a Stiles poche settimane prima – quella di esserci sempre, per lui.

Malia aveva chiuso gli occhi, ma si era visibilmente rilassata, e Derek era tornato sui suoi passi, lasciandoli soli.

Per un po’ aveva creduto che lei fosse la risposta a ciò che stava succedendo tra lui e Stiles. Perché per quanto Derek fingesse che non stesse succedendo nulla, era stato evidente per entrambi che qualcosa era cambiato. Le ore trascorse assieme, spalla contro spalla, nel tentativo di esorcizzare ognuno i propri demoni, li avevano avvicinati più di tutte le battaglie combattute fino a quel momento. Da protettore dei sogni, Derek si era ben presto riscoperto bizzarro copilota in una lotta ai sensi di colpa.

Ed era stato così che, volta dopo volta, settimana dopo settimana, Stiles e Derek si erano ritrovati a condividere molto più che il silenzio. Avevano finito per chiacchierare per ore, di mattina, di pomeriggio, in qualunque momento fosse loro possibile. Avevano parlato di cose passate e non, di ricordi e di incubi ricorrenti.

Era stato in una notte particolarmente fredda che Derek gli aveva raccontato di Kate e del giorno dell’incendio, di Laura e di come lo sceriffo avesse fatto di tutto per non lasciarli soli nei giorni seguenti. Stiles, per una volta, non aveva parlato. Era rimasto in silenzio, steso accanto a lui, a fissare il soffitto della sua camera da letto con solo la luce della luna piena a illuminare la stanza. Non aveva commentato né aveva detto una parola per tutto il racconto, né tantomeno si era voltato a guardarlo, anche se Derek aveva percepito distintamente la sua sorpresa. Poi, dopo quella che a Derek era sembrata un’eternità, Stiles aveva aperto la bocca e aveva detto: «La prima volta che mia madre ha avuto un incubo avevo sette anni» Ed era stato il turno di Derek osservare il soffitto in silenzio, sospendendo ogni giudizio.

Tre pomeriggi dopo gli Derek aveva parlato di Mr Fluffy, Whyath e Grey Wind e di come, anni dopo, Laura avesse prima ridacchiato e poi pianto ritrovando quel buffo nome in un libro fantasy. Stiles quella volta aveva riso per ore immaginando un Derek di tre anni che decretava tutto serio che il suo nuovo lupo di peluche si chiamava Mr Fluffy. E a nulla erano valse le proteste di Derek sul fatto che, secondo i racconti di altri – Derek era stato troppo piccolo per ricordare – lui all’epoca fosse stato appena sveglio e, intontito dal pisolino pomeridiano, avesse semplicemente afferrato il regalo del padre e, affondando la faccia nel finto pelo, avesse dichiarato che era morbido come la sua mamma. Quindi no, non era stato serio e pomposo come credeva Stiles, quanto più un semplice bambino che, nell’intontimento da risveglio aveva scelto il nome secondo lui più logico.
Stiles, però, non aveva voluto sentire ragioni e aveva continuato per ore a fare un'ipotetica imitazione di lui bambino.

E nonostante tutto, nonostante la noia di vedersi prendere in giro nei momenti più disparati, a Derek piaceva il calore che la presenza di Stiles gli trasmetteva. Parlare con lui era diventato ogni giorno più facile, ogni giorno più istintivo e naturale, come se gli fosse necessario, ormai, condividere una piccola parte di sé con Stiles per essere meglio se stesso. Per essere un se stesso migliore.

Era stato terapeutico per Stiles quanto per Derek, lui doveva ammetterlo, perché se Stiles aveva esorcizzato la nogitsune tramite le parole, lui l’aveva fatto con Kate e con quello che aveva subito per due mesi tra le mani di lei in Messico – perché per quanto non volesse ammetterlo, Kate lo aveva spezzato ripetutamente, rubandogli parti di sé che credeva fossero andate bruciate con l’incendio. E Stiles lo aveva aiutato a ritrovarle e ricostruirle, scheggia dopo scheggia. Era stato doloroso, ma dopo un anno, Derek poteva dirsi grato, perché Stiles non aveva mai mollato con lui, così come Derek non l’aveva fatto con Stiles.

Ed era per questo che, in quel momento, Derek non poteva restare chiuso in casa sapendo Stiles alla mercé del darach – e okay, tecnicamente, non era in pericolo, ma l’idea che potesse succedergli qualcosa mentre lui era acciambellato sul divano gli dava uno spiacevole morso alla bocca dello stomaco.

Aveva aspettato che lo sceriffo si fosse appisolato sul divano ed era scivolato via silenzioso, approfittando della finestra della cucina semiaperta per uscire con un balzo e dirigersi verso la scuola. Ma a metà strada era dovuto tornare indietro, perché aveva percepito nell’aria una traccia familiare. Era la jeep di Stiles, l’odore inconfondibile di vecchiume e di adolescente e di curly fries. L’aveva ritrovata sul ciglio della strada a poca distanza dal punto in cui Lucas era stato attaccato da Malia. Il posto di guida era pregno dell’odore di Lucas e Derek ringhiò, affondando il naso nell’erba e rincorrendo la traccia tra le foglie secche e i rametti della sterpaglia.  

Quando si rese conto di dove lo stava guidando, Derek accelerò il passo in un trotto, terrorizzato all’idea di essere arrivato troppo tardi.

Poi le voci lo investirono e lui si arrestò ai limiti della radura, nascosto dal nero del bosco.

«Sì ma perché qui?»

«Perché no?» Lucas allargò le braccia, un sorriso delicato sul viso. Erano seduti su una coperta stesa sul tronco del Nemeton, tra loro una bottiglia di champagne e due cupcake. Stiles accarezzava distrattamente il legno sotto le sue dita.

«Questo posto ha un grande valore per molti di noi» mormorò e qualcosa nel suo viso fece spegnere appena il sorriso di Lucas. Durò appena un istante e poi lui riprese a sorridere.

«Io l’ho scoperto pochi giorni dopo essermi trasferito e me ne sono innamorato perdutamente. Mi è sembrato solo normale condividerlo con la persona che amo.» Lo disse con una semplicità disarmante che spiazzò Stiles – e lo stesso Derek – e gli fece ingoiare il respiro, facendogli guadagnare uno sguardo sorpreso, quasi scioccato. Il bacio che seguì non era inaspettato, ma non per questo a Derek fece meno male esserne spettatore.

Stiles spinse Lucas a stendersi come meglio poté sul tronco, mentre lui ridacchiava e ne approfittava per allentargli la cravatta e slacciargli i primi due bottoni della camicia.

Derek tentò di distogliere lo sguardo, di concedere loro un po’ di privacy – e di evitarsi un dolore gratuito – ma non fu abbastanza forte e rimase a guardare. Ascoltò i loro respiri farsi sempre più rapidi mentre le loro bocche diventavano più affamate. Sentì Stiles ansimare piano mentre Lucas lo mordeva sul collo e poi succhiava.

Poi, all’improvviso, tutto divenne silenzioso. O per meglio dire, lo divenne Stiles.

«Stiles?» Lucas cercò il suo viso nella luce del plenilunio e lo trovò distratto, intento a fissare qualcosa per terra. «Ehi, tutto okay?»

Stiles sbatté le palpebre e scivolò via da lui, accucciandosi tra le radici del Nemeton, il labbro inferiore che sporgeva in un broncio pensieroso.

«È che questa rosa...»

Lucas rotolò sulla pancia e si sporse oltre il bordo del tronco, osservando il fiore. Scrollò le spalle, e si puntellò sui gomiti. «Cosa, non avete rose selvatiche a Beacon Hills?» chiese, ma l’altro non rispose, intento ad accarezzarne i petali dischiusi. Sembrava nel pieno della fioritura, ma ora che Stiles glielo faceva notare, c’era qualcosa in essa che faceva pizzicare l’istinto di Derek. C’era qualcosa – forse quella magia strana che continuava a percepire attorno al Nemeton o forse qualcos’altro, non riusciva ancora a capire.  

Stiles non rispose, la testa inclinata e lo sguardo concentrato a studiare la rosa.

«Stiles?» Lucas lo guardò a metà tra il divertito e l’esasperato, ma l’altro rimase concentrato, come se non l’avesse sentito. «Sto cominciando a offendermi. Io organizzo tutto questo per te e tu mi ignori per una rosa?»

«Già» mormorò Stiles, accucciato davanti al fiore. «Una rosa che è esattamente la stessa da un mese» Si alzò di scatto e prese Lucas per un polso, tirando in piedi.

«Stiles!»

«Dobbiamo andarcene via subito.»

«Cosa?»

«Subito, okay? Tipo, ora, in questo preciso istante» riprese Stiles, trascinandolo tra continue proteste e radici che sembravano pronte ad attorcigliarsi alle sue caviglie a ogni passo.

Il rumore secco di un ramo che si spezzava li fece congelare sul posto e Derek rizzò le orecchie, maledicendosi per essersi concentrato solo su Stiles e sulla la sua mano stretta attorno al polso di Lucas, lasciandoli in balia di qualunque pericolo – del darach.

Derek si guardò attorno, cercando di riconoscere la sorgente del rumore, ma il bosco era tornato silenzioso e addormentato.

«Andiamo via» ripeté Stiles, stringendo le dita che si erano appena intrecciate alle sue. Lucas lanciò un ultimo sguardo dispiaciuto al picnic improvvisato e lo seguì fuori dalla radura.

Derek fu la loro ombra, deciso a non perderli mai più di vista fino ad avere la certezza che fossero entrambi a casa, al sicuro. Ignorò ogni altro stimolo esterno e anche quando la percezione di una ventata di potere lo investì e lui ebbe l’istinto di seguirne le tracce per trovarne la fonte, strinse i denti e tirò dritto per la sua strada, la schiena di Stiles fissa davanti ai suoi occhi.

Non c’era nulla di più importante, neanche il darach.

 

   
 
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