Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: AsfodeloSpirito17662    03/11/2014    3 recensioni
Merlin lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo. Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva potuto fare niente per evitarlo.
Era rimasto completamente alla mercé di se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria identità, della propria unicità.
Merlin lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni - Cristo, mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.
Iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi degli alberi.
Il dolore era giusto. Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.
Merlin si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle persone.
Ed era tutta colpa sua.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Drago, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DECIMO CAPITOLO

10. Incertezze


Glastonbury, 26 Luglio 2020

Mattina


"Devo fare pipì!"

Fu così che Alecto riuscì ad allontanarsi da Charles ed Hester: con una bugia. Aveva costretto il ragazzo ad accostare sul ciglio della strada, vicino ad una casa solitaria - ne avevano trovate pochissime ancora abitate, poiché la maggioranza della popolazione era accorsa ai centri di rifugio -, e lei l'aveva aggirata per raggiungere il retro, così da avere una sorta di privacy. A quel punto, aveva tirato fuori dal k-way grigio il suo cellulare ed aveva premuto il pulsante verde di risposta: "Sì" aveva esclamato, stupendosi per il tono fermo e calmo che le era uscito fuori.

"Al" le aveva risposto una voce familiare, quella inconfondibile di Emrys: leggiadra come quella di un bambino, atona come quella di un essere inanimato; quando le accarezzò l'orecchio, si impedì di provare il consueto disagio e morse con i denti il labbro inferiore.

"È passato qualche giorno" continuò lui, lentamente.

"Sì..."

"Dunque? Cos'hai da dirmi?"

Alecto esitò, mentre il cuore le martellava furioso nel petto. In tutta la sua agitazione, una piccola parte di sé riuscì a provare sincero disprezzo per il modo in cui stava reagendo nei confronti di un bambino. Era davvero umiliante.

"Sono vicina a trovare il ladro. Oramai ce l'ho".

"Sei vicina? Speravo in notizie migliori".

"Mi dispiace, la Diamar è stata troppo vaga. Le piace parlare per enigmi, credo".

Silenzio dall'altro capo del telefono. Aveva forse detto qualcosa che l'aveva tradita? Magari avrebbe dovuto evitare il commento sulla Diamar... Ma che importa? Non l'ha nemmeno mai vista, lui, pensò subito dopo.

"Dove ti trovi?" le domandò ad un certo punto Emrys ed Alecto si sentì gelare: il giorno prima non se ne era accorta - perché non era mai stata nella zona lacustre e durante il tragitto per arrivarvi si era addormentata -, ma quando si erano allontanati dalla vegetazione ed erano tornati sulle strade principali, l'aveva riconosciuta: si trovavano a Glastonbury. Esattamente dove Emrys viveva - e dove viveva anche lei, da quando lui l'aveva accolta in casa sua. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma aveva come un blocco dentro la gola; senza sapere che cosa la spinse a farlo, mentì un'altra volta.

"Poco fuori dal centro di Londra" sputò, con un impercettibile tremito nella voce. "Zona Fulham".

"Pensi di averne ancora per molto?"

"No. Come ho detto, gli sono vicina. Ho capito chi è, devo solo trovare il momento giusto per agire".

"Bene. Fallo arrivare in fretta questo momento, Al. Aspettare mi annoia e non vorrai che i nostri fratelli e sorelle debbano attendere altro tempo ancora, non è vero?"

"No, certo che no".

"Brava. Dobbiamo agire in fretta o tutto quello che abbiamo costruito sino ad ora si rivelerà inutile. Tutti i tuoi sforzi, ed i miei. Stiamo combattendo per la nostra gente, per i nostri diritti e siamo a tanto così dalla vittoria, Al, a tanto così... Non possiamo permetterci di rallentare proprio adesso".

"Ed il calice?" ribatté inaspettatamente la ragazza, lasciando il bambino senza parole per qualche idilliaco secondo.

"Come?" cercò di riprendersi lui, senza lasciar trapelare nulla.

"Il calice della vita" ripeté Alecto, risultando inaspettatamente decisa. "Quando lo potrò recuperare? Anche quella è una parte importante del piano, eppure me ne hai parlato solo una volta. Dov'è?"

"Non ti fidi di me?"

Alecto unì le labbra, ricacciando indietro la frustrazione: odiava quando le rispondevano ad una domanda con un'altra domanda. "No, non è questo..."

"Allora cos'è?" domandò Emrys, con voce sferzante.

"È che... quando arriverà il momento di prenderlo? Non voglio che sia l'ultima cosa della lista. È importante. È importante per me..."

"Lo so. È importante anche per me e ti ho fatto una promessa. Mantengo sempre le mie promesse, dovresti saperlo. È vero o no che ti ho tirata fuori da lì dentro?"

"Sì, ma-"

"Allora non capisco quale sia il problema. Quando verrà il momento, ti manderò a cercarlo. So già dove si trova".

Alecto avrebbe voluto insistere, ma sapeva che facendolo l'avrebbe soltanto fatto innervosire e quindi annuì, prima di rendersi conto che lui non poteva vederla.

"Va bene. Ti richiamo io".

L'unica risposta che ricevette fu un click. Emrys aveva terminato la chiamata.


*


Glastonbury, 26 Luglio 2020

Nello stesso momento


Charles guardò Alecto allontanarsi verso il retro della casa e tamburellò le dita sul volante con impazienza. "Non ci posso credere" stava dicendo, "Siamo appena partiti! Perché diavolo non l'ha fatta prima?"

"Qual è il problema?" domandò Hester, osservando il movimento ritmico delle sue dita. Il ragazzo la guardò, corrugando la fronte.

"In che senso?" le chiese, continuando a tamburellare senza nemmeno accorgersene.

"Non posso credere che sia così infastidito solo perché ci siamo dovuti fermare" replicò allora la donna, arcuando le sopracciglia con scetticismo. "Quindi, qual è il problema?"

Charles distolse gli occhi da lei e li riportò sulla strada, senza osservare nulla in particolare. Tolse le mani dal voltante e le incrociò dietro la testa, cercando di assumere una posa del tutto rilassata. I finestrini erano completamente abbassati, ma non entrava un filo di vento; l'aria era immobile e satura del calore del giorno che si era da poco avviato.

"Perché pensi che ci sia un problema?" domandò, risultando piuttosto casuale. Fu quasi tentato di farsi un applauso.

Hester schioccò seccamente la lingua contro il palato: "Perché è nervoso ed è inutile che lei tenti di fare il finto tonto con me, signorino! Le ricordo che l'ho cresciuta e, mi dispiace dirglielo così brutalmente, ma lei fa schifo a mentire. Dico sul serio, mi metterei a piangere a causa della sua performance, se non fosse che alla mia età sarebbe una reazione sconveniente".

Charles la guardò con tanto d'occhi, ma non disse niente. Hester ne approfittò per proseguire: "Adesso che abbiamo aperto le porte alla sincerità, che ne dice di parlarmene? Qualsiasi cosa le stia passando per la testa, anche se posso immaginare".

"Se lo puoi immaginare, perché lo chiedi?"

"Sciocco!" lo aggredì lei, facendolo un po' rimpicciolire sul sedile; "Perché dire le cose ad alta voce, ci permette di affrontarle! Per gli Dei misericordiosi, a volte mi chiedo se non glie ne ho fatte passare lisce un po' troppe..."

"Direi di no" replicò Charles, strabuzzando gli occhi, punto sul vivo: da un certo punto di vista Hester era stata un vero generale tedesco, cosa che suo padre aveva apprezzato enormemente.

"Comunque sono solo pensieroso" aggiunse poi, scrollando le spalle. Hester lo guardò con placida attenzione, facendo apparire delle rughe intorno agli occhi verdi.

"Cosa la turba, nello specifico?"

"Tutto!" esplose a quel punto Charles, mulinando le mani verso il tettino della macchina. "È come... è come se dentro di me ci fosse un intruso!" esclamò, mentre il battito del suo cuore accelerava senza che lo potesse controllare.

"Non appena ho toccato la spada, ho iniziato a ricordare tutto della... della mia vita precedente. Sono stato letteralmente affogato da una quantità immonda di flash e nel giro di qualche secondo, un'intera vita è entrata dentro la mia testa! Hester, io sono ancora io. Sono Charles! Il fatto che abbia ricordato chi sono stato in passato, non può cambiare quello che sono adesso! Mi... mi sento diviso, mi sento braccato! È come se ci fosse un'altra persona dentro di me che tenta di soffocarmi! E non-" si interruppe, passando furiosamente le mani tra i capelli biondi, che si drizzarono in tutte le direzioni.

"Non sono più sicuro di chi io sia veramente! Se ho recuperato i ricordi, vuol dire che devo essere l'altro? E se così fosse, perché farmi vivere una vita come Charles per poi pretendere che io vi rinunci così? Non capisco!"

"Charles" disse Hester, interropendo il suo flusso di parole, "Prenda un bel respiro. Lei non deve assolutamente, in alcun modo, rinunciare a sé. Ha detto una cosa sacrosanta: lei è quello che è, nessuno può cambiare questa cosa e non deve nemmeno accadere".

Il suo tono di voce era dolce e nonostante fosse basso - quasi stesse condividendo con lui un segreto -, era pieno di sentimenti. Charles la guardò come sperasse che da lei venisse una soluzione che potesse porre fine al suo turbamento.

"Io non ho cresciuto Re Arthur, quando sono venuta a stare da lei" continuò Hester; "Io ho cresciuto Charles Hamilton, un bambino iperattivo con una visione dell'interpretazione delle regole tutta sua, se posso dirlo".

Charles le regalò un debole sorriso.

"Quel bambino è parte di lei, ma è anche parte di me. Non permetterei mai, a nessuno al mondo, di portarmelo via".

"Hester..." bisbigliò lui, avvertendo all'improvviso il forte bisogno di abbracciarla.

"No, mi ascolti. Quel bambino è cresciuto ed io ho fatto del mio meglio affinché potesse diventare un uomo di cui ci si possa dire fieri. Ed io lo sono. Sono fiera di lei, non di quello che è stato in passato. Le gesta di Re Arthur sono rimaste nella storia, sono diventate leggenda, ma non è per lui che io sono qui. Io sono qui per te".

Charles dovette distogliere lo sguardo e passarsi una mano sulla faccia, gli occhi lucidi a causa delle corde del cuore pizzicate dalle parole di Hester e di quella confidenza tutta speciale che le sfuggiva soltanto nelle occasioni davvero importanti. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non era sicuro di poter avere totale controllo sulle sue parole, quindi preferì tacere.

"Charles" pronunciò la donna con gentilezza, "Tu e Re Arthur avete soltanto dei ricordi diversi... ma siete già la stessa persona. Ecco perché non puoi cambiare. Tu sei lui e lui è te".


*


Quando Alecto era tornata, Hester aveva deciso che si sarebbero diretti a sud; in attesa che il destino di Charles si chiarisse, aveva avuto l'idea di condurlo dalle tre Disir(1): sperava che le loro parole potessero infatti placare un po' di quell'ansia e di quel disagio che rendevano il ragazzo così scostante e contrito. Al contrario di com'era successo per la Diamar, Hester aveva la certezza assoluta che le avrebbe trovate proprio dove era convinta che fossero, poiché aveva fatto loro visita ben più di una volta. Tutta la famiglia Carrow, in realtà, si era lasciata guidare dalle loro sagge parole durante tutta la lunga veglia sulla dinastia Pendragon.

Hester si era aspettata che Alecto avrebbe iniziato a porle delle scomode domande come suo solito, invece non aveva detto niente e si era limitata a guardare fuori dal finestrino; non che la cosa non le stesse bene, ma ovviamente le parve strano. Senza considerare cos'era successo il giorno prima: non aveva dimenticato come la ragazza si fosse mostrata eccessivamente circospetta sul contenuto del suo zaino... ovviamente Hester era diventata ancora più sospettosa nei suoi confronti. C'era qualcosa, nella bionda, che non le quadrava.

Dal canto suo, Alecto aveva sin troppe preoccupazioni di cui occuparsi, per anche solo pensare di avanzare delle polemiche sulla loro meta. A stento aveva notato che Hester aveva aperto bocca.

I suoi occhi, di un celeste scialbo e slavato, osservavano il paesaggio sfrecciare fuori il finestrino aperto; alcune ciocche di capelli biondi le frustavano le guance, mossi dal vento, ma era così assorta nei suoi pensieri da non provare alcun fastidio. Una sorta di morsa gelida le chiudeva lo stomaco ed il suo cuore batteva ad un ritmo irregolare; si stava cacciando in una brutta situazione, se lo sentiva nelle ossa e se solo avesse commesso un passo falso... Strinse i denti per riflesso, mentre un'ondata di nausea le fece fluire un po' di bile nella gola, che bruciò come avesse ingoiato un fiammifero. Le dita sudate si contrassero sulla stoffa dei pantaloni, ma rimase rigidamente seduta contro il sedile anteriore della macchina.

"Si è addormentata" esclamò improvvisamente Charles, occhieggiando lo specchietto retrovisore.

"Cosa?" disse Alecto, voltando la testa verso di lui con l'aria di chi stava appena scendendo dalle nuvole.

Il ragazzo accennò con il mento ai sedili posteriori e lei vide che Hester si era profondamente assopita; ne approfittò per seguire le linee che le rughe formavano sul suo volto austero e studiò il modo perfettamente naturale in cui i fili grigi dei suoi capelli si amalgamavano con quei pochi ancora rimasti biondi. Chissà se, crescendo, anche lei avrebbe avuto quell'aspetto: l'aspetto di una donna risoluta, perfettamente in grado di gestire qualsiasi situazione e con gli occhi intelligenti. Nonostante l'asprezza che Hester le riservava, non poté impedirsi di augurarselo. Le sarebbe piaciuto, poter essere come lei.

"Ti vuole molto bene" constatò senza troppa enfasi, tornando a guardare avanti. Charles non rispose subito e per un paio di minuti, guidò in silenzio.

"Anche io glie ne voglio" disse ad un certo punto, quietamente, e poi aggiunse: "Insieme a mio padre, è la persona più importante della mia vita".

Davanti ai suoi occhi la strada sparì all'improvviso e senza che l'avesse desiderato davvero, baluginò inaspettatamente al suo sguardo l'immagine del volto del ragazzo dai capelli neri, Merlin. Charles strizzò le palpebre e scosse la testa e quando riaprì gli occhi, davanti a lui trovò di nuovo solo l'asfalto che la macchina stava divorando. Cosa diavolo era successo? Alecto non si accorse dell'improvviso cambio d'umore del ragazzo, così disse: "Si comporta come fosse tua madre".

"In un certo senso lo è stata. Mia madre è morta quando ero piccolo" rispose, con un tono di voce piuttosto teso. Non sapeva per quale motivo, ma sospettava che fosse stato l'altro sé, a giocargli quel trucchetto. Strinse le dita sul volante e le nocche sbiancarono.

"Mi dispiace" tornò a parlare lei, lanciando una breve occhiata al volto di Charles. "Se la cosa ti mette a disagio, possiamo cambiare argomento".

"No. No, figurati. Che cosa mi dici invece, tu, della tua famiglia?"

Stavolta fu Alecto a mostrare un improvviso irrigidimento, ma il ragazzo non se ne accorse, intento a guardare la strada e a fare slalom tra i detriti.

"I miei genitori sono entrambi vivi e vegeti" commentò piattamente. "Mio padre era succube di mia madre e lei... beh, lei era... particolare".

Charles corrugò la fronte, un'improvvisa confusione sul suo volto. "Scusa, non credo di aver capito se sono vivi oppure no. Prima hai parlato di loro al presente, poi al passato".

Merda. Alecto non mosse un muscolo, tranne le dita: quelle affondarono ancora di più nella stoffa dei pantaloni e, se li avesse tolti, avrebbe trovato dei segni rossi molto marcati sulla pelle pallida.

"È che... non li vedo da molto tempo" disse lentamente, così da avere il tempo di calcolare le parole.

"Come mai?"

"Vivo in un collegio".

"Un collegio?"

"Sì... mia madre ha... ha preferito allontanarmi, quando ha scoperto che sono... particolare. Le arrecavo imbarazzo" concluse, con un'involuta vena ironicamente nera. Charles arcuò le sopracciglia sin quasi l'attaccatura dei capelli e poi scosse brevemente la testa.

"Assurdo. Non conosco tua madre, ma se posso dirti quello che penso, credo che un genitore che allontani così i propri figli sia meglio perderlo che averlo. Venderei l'anima pur di riavere indietro mia madre, invece la tua ti ha in carne ed ossa, ma sceglie di tenerti a distanza. Credi che una persona così meriti di avere un figlio? La punizione di non averla vicino non è per te, ma per lei. Se ne accorgerà".

Alecto lo guardò, gli occhi più grandi del normale. Quando Charles non sentì nessuna risposta, si voltò verso di lei, notando che lo stava fissando con aria stralunata.

"Cosa?" domandò allora, alternando lo sguardo tra lei e la strada. "Scusa se ho detto qualcosa che ti ha offesa, non volevo farmi gli affari tuoi".

"Perché lo fai?" chiese per contro la ragazza, sinceramente confusa.

"Fare cosa?"

"Perché ti comporti così? Tu non mi conosci, Hester non si fida di me, eppure tu non l'hai ascoltata. Hai accettato di farmi venire con voi, mi hai salvato la vita due volte e adesso ti interessi dei miei problemi. Fai così con tutti?"

Charles non seppe cosa dire. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte come un pesce fuor d'acqua e poi, molto diplomaticamente, si strinse nelle spalle. "Boh. Cioè sì, voglio dire, non lo so. Suppongo di sì. Non è una cosa a cui faccio caso o mi abbiano mai fatto notare, ma... certo. Nel senso, non mi sembra di aver fatto qualcosa di così particolare. E poi anche tu mi hai salvato la vita, non te lo ricordi? L'hai salvata a me ed anche ad Hester".

Alecto fu invasa da un improvviso moto di fastidio e voltò bruscamente la testa dall'altro lato. Lei aveva salvato loro la vita, certo, ma non era la stessa cosa. Non meritava la gratitudine di Charles e vedersi invece trattata con tanta attenzione, la faceva sentire ancora più colpevole di quanto già non fosse; le menzogne, le finzioni, i segreti, tutto le calò addosso come un macigno in un solo istante e la ridusse ad un tombale silenzio di frustrazione e disagio. Stava letteralmente sguazzando nel senso di colpa.

"Inoltre, sono sicuro che tu avresti fatto lo stesso al posto mio" proseguì il ragazzo, come niente fosse; "Infatti non ci hai lasciato morire quando abbiamo avuto a che fare con il grifone ed io non potevo di certo lasciare che accadesse a te. È vero che Hester non si fida, ma io non sono come lei. Ho bisogno che la gente mi dia un motivo per non dargli fiducia e tu non me l'hai ancora dato. E se proprio vuoi saperlo, mi interesso dei problemi delle persone perché tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di qualcuno che si preoccupi per noi. Alcuni fingono di farlo, ma io non sono così, perché non vorrei che gli altri lo facessero con me".

Alecto affondò i denti nel labbro inferiore con una tale veemenza che, in pochi secondi, sentì il sapore del sangue sulla lingua. Le parole di Charles la stavano uccidendo, parevano fatte apposta per puntare la luce sui suoi misfatti. Lui era così... puro, nelle sue intenzioni, mentre lei... Emrys non faceva che ripeterle che anche la loro causa era pura, ma per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, si chiese se stessero davvero facendo la cosa giusta. Il bambino non le aveva mai trasmesso la sicurezza e la tranquillità che Charles le aveva dato sin dal primo momento e certe volte, dovette ammettere con fatica, si era sentita intimorita da lui, timore che si era accresciuto con il tempo, anziché affievolirsi.

Inghiottì saliva mista a sangue e poi, all'improvviso, lo zaino che teneva tra le braccia divenne piacevolmente tiepido; sgranò impercettibilmente gli occhi e stando ben attenta a sembrare del tutto casuale, aprì di poco la zip per sbirciare all'interno. Ciò che vide, fece aumentare i battiti del suo cuore: il Triskelion aveva cominciato a pulsare debolmente.

Ci stiamo avvicinando all'uovo, pensò, stentando a credere a quell'insperata fortuna. Chiuse di nuovo la zip, decisa a tenere gli occhi ben aperti e non addormentarsi: forse, se l'avesse ritrovato subito, avrebbe potuto evitare che Emrys si innervosisse ulteriormente. Immersa nei propri pensieri, realizzò che forse era proprio per quello che la Diamar le aveva consigliato di unirsi a quel duo: sapeva che in quel modo avrebbe ritrovato l'uovo! Sì, doveva essere per forza così, si disse. Una nuova, fioca speranza la portò a respirare con più regolarità.











NOTE DELL'AUTORE: No vabbè. Già al decimo capitolo? Ma scherzando stiamo?! D: ne mancano altri 10 e poi mi tolgo dalle palle, lo giuro. Tanto lo so che vi state facendo due balle enormi ù_u Grazie Mimiwitch, beta del mio quore, luce dei miei occhi! E grazie a chi recensisce, legge, segue, preferisce, ricorda, schifa, vomita, ignora eccetera eccetera. Il mio amore non conosce razzismi.


(1)Disir: le Disir sono un trio di veggenti che interpretano il verbo della Triplice Dea. Tutto ciò che le riguarderà non è di mia invenzione, ma è stato tratto direttamente dal telefilm.


   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: AsfodeloSpirito17662