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Autore: marty0029    03/11/2014    3 recensioni
Gloria Perri, una ventitreenne che si trasferisce a New York dall'Italia. Una ragazza insicura che riesce a ritrovare un po' di sicurezza grazie all'amica Candice. Una ragazza con dei problemi dovuti ad un passato insistente e pesante. Una ragazza che senza saperlo diventerà un ossessione per Lui.
Bradley Lays, multimiliardario di fama mondiale. Possiede un attico nell'Upper East Side e un casinò a Las Vegas. Un uomo abituato a mantenere il controllo su tutto quello che lo circonda. Un uomo che tutti definiscono "Bello e Impossibile". Un uomo a cui difficilmente si può dire di no.
Questa è la storia di un amore avvolgente.
Un amore carnale, che porterà la nostra protagonista a sconvolgere completamente quello che conosceva prima di Lui.
Una storia che farà innamorare.
Diciamocelo ragazze... Ognuna di noi vorrebbe un Mr. Lays nella sua vita!
TRAILER--> https://www.youtube.com/watch?v=ktJsJKZ8aWE&list=UUSS-sqmw6wGG1nnmHxz2gDw
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1) New Life in New York





 

Controllai nuovamente l’orologio e sbuffai nervosamente. Possibile che fosse sempre in ritardo e che proprio non conoscesse il significato della parola puntualità? Avevamo appuntamento un quarto d’ora fa e di lei nemmeno l’ombra. Povera me. Avere a che fare con Candice non è proprio una passeggiata. Se ha la sua giornata no, oppure se si trova nella sua settimana del ciclo diventa ancora peggio, e tu non puoi fare altro che sperare che gli passi il più velocemente possibile e senza creare troppi danni irreparabili. Ancora ricordo quello che era successo al suo ultimo “periodo del mese”. Il poverino che aveva avuto la malaugurata sorte di versargli il caffè nero bollente sulla maglietta della nuova collezione di “Mango”, era andato all’ospedale per aver ricevuto un colpo troppo forte ai genitali. Avevo preso a chiamarla Tornado-Candice, e francamente non credo di aver sbagliato soprannome. Oramai la conoscevo da abbastanza tempo da capire il suo universo che era completamente differente da quello di una persona classica.
Guardai nuovamente la folla avanti a me. Tipico di New York City avere la frenesia anche alle 9:00 del mattino. La città che non dorme mai. Nonostante abitassi qua da ormai diverso tempo, non potevo non stupirmi ogni singola volta. Era un luogo magico, almeno per me. Trasferirmi a New York aveva segnato la mia rinascita. Sorrisi soffermandomi a guardare qualche volto della gente che mi passava di fianco.
C’era chi correva per prendere la metropolitana, chi parlava al telefono, chi ascoltava la musica grazie al suo i-pod. Altri invece che parlottavano tra loro incuranti delle persone circostanti. Mi soffermai senza volerlo veramente su un paio di ragazzi che parlavano della partita che avevano giocato ieri i New York Yenkees. Avevano vinto fortunatamente. Non conoscevo il baseball, ma amavo a tal punto questa città da volere che fosse la prima al mondo in qualsiasi cosa essa facesse. Sorrisi scuotendo la testa e rendendomi conto che non era normale provare un amore così profondo per un luogo. Era come se parlassi del mio fidanzato.
Sembrava che il mondo intero fosse concentrato in questa magnifica città. Avevo avuto la fortuna di trasferirmici pochi anni prima, venendo via da una cittadina Italiana che aveva cominciato a starmi stretta non appena avevo compiuto i diciotto anni, e probabilmente non avrei potuto fare scelta migliore in vita mia. Adoravo i suoi profumi, i suoi vicoli, le sue strade numerate. Sembrava nata per accogliermi, oppure io sembravo nata per stare qui. Era stato un incontro che aveva segnato una storia d’amore che speravo potesse durare per tutta la vita.
Ancora ricordo la faccia di mia madre quando le avevo intenzione di fare uno stage di lingue proprio qua, nella grande mela. Mi aveva preso per pazza, e inizialmente credeva che scherzassi, ma appena vide la gioia nei miei occhi quando era stata accettata, aveva compreso che il mio posto era qua. Qua, dove tutto sembra completamente diverso. Staccarmi dai miei genitori era stata la cosa migliore che mai avessi potuto fare.
Incontrai Candice in uno Starbucks, dopo che entrambe avevamo avuto una giornata da dimenticare. Avevamo finito per scambiarci i numeri di telefono, e da allora eravamo diventate inseparabili. Avevo trovato in lei l’amica che mi era sempre mancata in Italia. Ero sempre stata quella ragazza solitaria, che si isolava facilmente e che tendeva a nascondersi piuttosto che apparire; mentre Candice era il mio completo opposto. Lei era bella, sapeva di esserlo e non faceva assolutamente niente per nasconderlo. Completamente differente da me, lei aveva un agenda su cui segnava i suoi flirt, mentre io contavo sulle dita di una mano tutte le mie pomiciate. Avevo avuto solo un ragazzo, con il quale avevo anche perso la verginità, che mi aveva usato e spezzato il cuore. Desideravo solo che soffrisse di assurde sofferenze. Quello probabilmente era stato l’avvenimento, insieme ai miei genitori, che mi aveva spinto a fare quella domanda di stage. Dovevo riprendere in mano la mia vita e sapevo che in quel posto, in quella città, non ci sarei mai riuscita.
Voltai la testa verso lo schermo gigante di Time Square e alzai gli occhi al cielo leggendo l’orario che c’era scritto. Perfetto Candice, venti minuti di ritardo. Continua così che batterai il record.
Avevo appuntamento qui con la mia migliore amica per una colazione da Starbucks in santa pace. Lei era appena tornata dalla Pennsylvania, dove era stata a trovare la sua famiglia, che vedeva abbastanza di rado nonostante non fosse poi così distante, e io venivo da due settimane infernali dal lavoro. Rabbrividì al pensiero degli ultimi giorni. Sembrava che il mondo intero avesse deciso di presentarsi a New York City.
Non appena avevo finito lo stage di lingue, ero riuscita a trovare lavoro in una pizzeria nel Queens che faceva un ottima pizza italiana. Si chiamava “Il Forno”, ed appena avevano saputo la mia madrepatria, mi avevano subito assunto, facendomi addirittura riscrivere il menù nella mia lingua. Sorrisi al pensiero del mio capo, il signor Fulton, che aveva una settantina d’anni, ma che era più arzillo di un mandrillo. Ci aveva provato svariate volte con me, ma sua moglie Wanda, sapeva sempre rimetterlo al suo posto. Santa donna.
Candice e io ci eravamo sentite ieri sera e avevamo deciso di comune accordo, di prenderci questa mattinata per dedicarla a noi, ma evidentemente non era andato tutto secondo i nostri piani.
Mi aveva tenuto tre quarti d’ora a telefono per raccontarmi quello che aveva trascorso nelle due settimane dalla sua famiglia. Aveva rivisto un suo ex, un certo Jesse che l’aveva destabilizzata non poco. Credo che quello fosse il motivo principale che aveva spinto Candy a cambiare aria. Sorrisi alzando gli occhi al cielo. Dietro ad un cambiamento di vita drastico c’era sempre lo zampino del coglione di turno. Gli uomini.
Ma tu guarda se la mia mattina libera da mesi la devo passare ad aspettare una pazza scellerata che mi sta piantando in asso.
Sentì il telefono squillare, e imprecando come una scimmia per cercare quel dannato aggeggio in borsa, risposi senza neanche guardare il nome che lampeggiava sul display imbestialita come un toro. Sapevo chi era a chiamarmi. Altro motivo per essere una belva.

-dove cavolo sei Candice Fleming?- borbottai cercando di darmi un tono senza mettermi ad urlare come una pazza in mezzo a Time Square.

-chiedo venia, ma ho avuto un imprevisto!- dichiarò rivolgendomi le sue scuse.

Sospirai. Inutile arrabbiarsi. Avevo tutto il tempo del mondo dal momento che mi era stata concessa una settimana di ferie, quindi avrei potuto fare colazione con la mia migliore amica in un altro momento. La sentivo sinceramente dispiaciuta dal telefono e l’ultima cosa che volevo era farla sentire in colpa. Gli imprevisti capitano. In questa città poi sono proprio all’ordine del giorno.
Mi sentì accomodante e presi a camminare per la piazza facendolo slalom tra le persone che camminavano nel mio senso opposto. Non avevo proprio il diritto di incavolarmi. Era vero che Candice aveva un serio problema con la puntualità, ma non mi aveva mai dato buca.
Sicuramente era stata incastrata a lavoro. Faceva l’assistente di un importante dirigente di un’azienda di catering, quindi aveva sempre l’auricolare all’orecchio.
La sua azienda, fortunatamente per lei, aveva sempre a che fare con i pezzi grossi del mondo della finanza o che so io. Capitava spesso che dovesse organizzare dei buffet in un tempo seriamente ridotto. Dio solo sa come facesse.

-ehi tranquilla.. vorrà dire che mi farò un giro per la Fifth Avenue sorseggiando in solitaria un cappuccino!- esclamai continuando a camminare per le strade che piano piano si riempivano di turisti armati dell’ultimo modello di fotocamera.

-beh veramente.. Gloria..- tentennò pronunciando il mio nome di battesimo che usava veramente di rado.

-che vuoi Candice?- domandai alzando gli occhi al cielo e fermandomi di botto, guadagnandomi un’imprecazione dal signore che avevo dietro e che avevo costretto a fare una semi giravolta per evitare che mi venisse addosso.

C’era qualcosa che le preoccupava chiedermi e lo avevo capito dal tono con cui aveva pronunciato il mio nome. Aveva paura della mia reazione.
Questo lato del mio carattere era davvero abbastanza strano. Certe volte anche mia madre e mio padre non sapevano come comportarsi con me e con i miei cambiamenti improvvisi di umore. Quando ero adolescente avevo consultato uno psicologo per capire se soffrissi di una qualche forma di bipolarismo, ma lui aveva affermato che la mia era solo tristezza. Secondo lui ero una ragazza infelice e questo mi portava a comportarmi così con il mondo che mi circondava.
Nonostante quella sua diagnosi, i miei continuavano ad insistere che il mio fosse un problema di testa. Secondo loro ero semplicemente pazza.
Adesso ero tutto tranne che infelice, ma i miei sbalzi di umore continuavano ad esistere. Evidentemente i 250 € che i miei davano a quel ciarlatano non erano abbastanza.

-stasera c’è un party super esclusivo per uno dei pezzi grossi per eccellenza dell’Upper East Side.. anzi, credo che si tratti del pezzo grosso per eccellenza dell’Upper East Side..- cominciò tastando il terreno e facendomi capire ancora meno.

Sentivo il suo respiro affannoso e sorrisi immaginandomela indaffarata, a camminare su quelle scarpe tacco dodici che solo dio sa come poteva portare per un giorno intero. Chissà che voleva dirmi di così strano da doversi agitare così tanto.

-continuo a non capire quello che vuoi da me Candice!- borbottai non capendo niente di quello che stava cercando di dirmi.

I pezzi grossi dell’Upper East Side erano quelli che più contavano a Manhattan, ma anche nel resto di New York City. Erano concentrati in particolare sulla Fifth Avenue ed era abbastanza difficile vederli in giro. Avevano autisti privati al di fuori delle loro abitazioni e montagne di domestici che lavoravano per loro. Probabilmente alcuni di loro avevano addirittura i domestici dei domestici. Erano tutto lavoro e probabilmente non avevano un solo vizio al mondo.
Spesso quel tipo di persone mi faceva quasi tenerezza. Tenerezza e pena.
Non mi era mai capitato di trovarne uno che passeggiava spensierato per Broadway; oppure uno che faceva una sana colazione da Starbucks. Erano chiusi nei loro super lussuosi appartamenti, e vivevano costantemente con l’auricolare all’orecchio. Quella vita non riuscivo proprio a capirla. Non avrebbe mai fatto per me. Io ero uno spirito libero.
Avevo lasciato la mia vita e la mia famiglia per seguire un mio sogno e non me ne pentivo un solo giorno della mia vita. Da quando vivevo da sola, avevo preso il controllo della mia vita e sentivo di essere invincibile. Ero libera e felice di poter fare quello che più preferivo fare. Nessuno mi diceva che quello che facevo era giusto o sbagliato. Nessuno poteva permettersi di farlo perchè ero finalmente stata liberata da quella vita che non era la mia. Chissà se di loro si poteva dire lo stesso.

-siccome è una richiesta così improvvisa, siamo a corto di personale per il ricevimento.. Helton, il mio capo, ha pensato bene di mandare in ferie tre cameriere e adesso siamo con l’acqua alla gola..non è che potresti servire stasera?- mi domandò pregandomi con la voce.

Alzai gli occhi al cielo. Ecco che il vero motivo veniva a galla. Chissà che la scusa della colazione non fosse una scusa per lisciarmi. no. Probabilmente questa cosa l’ha saputa solo ora. Forse si trovano davvero con l’acqua alla gola se chiedono a me di prendere il posto di qualcuno.
Per entrare a far parte della Helton Catering, era necessario essersi diplomati alla scuola alberghiera e conoscere con disinvoltura almeno tre lingue. Era un posto molto rinomato e mi sembrava molto strano che mi facessero servire dal momento che tutta la mia esperienza con il mondo della ristorazione, veniva da due anni passati al “Forno”.

-siete sicuri? Voglio dire il tuo capo ha gusti precisi in fatto di personale! Dubito di rientrare nelle sue prerogative!- affermai convinta, sperando di poter almeno insinuare un dubbio in lei.

-ti ripeto che ne abbiamo un bisogno urgente! Ti prego Ria, non farti pregare.. ancora non ti ho detto il tuo compenso!- mi disse sapendo bene che andava a parare su un lato molto importante.

Da quando avevo deciso di venire a vivere a New York City, i miei mi avevano tolto i viveri, se così su può dire. Avevano preso male la mia scelta e mi avevano diseredato in un certo senso. Il sentivo regolarmente per le feste o per qualche ricorrenza particolare, ma non avevo più il rapporto che avevo prima. Oddio. Stavo decisamente meglio da quando li avevo allontanati dalla mia vita.
Probabilmente era anche la loro presenza soffocante a darmi i miei sbalzi di umore e la mia solitudine. Avevo sempre vissuto in una bolla di cristallo per anni e anni.

-mi pagherà?- domandai sbalordita.

-ovvio! Seicento dollari tondi tondi!-

-considerami arruolata Candice!- urlai in mezzo a Time Square, senza curarmi di passare per folle.

Questa notizia cambiava tutte le carte in tavola. Avrei guadagnato in una sola serata, quello che guadagnavo in venti giorni lavorativi dal signor Fulton. Poteva considerarmi parte del progetto. Avrei fatto una statua a questo miliardario che aveva deciso all’ultimo di organizzare un party.
Sentì Candice scoppiare a ridere dall’altra parte del telefono e sorrisi anche io. ok. Forse potevo sembrare un tantino disperata quando mi aveva annunciato il compenso, ma lei conosceva benissimo la mia situazione finanziaria, e forse era proprio per questo che aveva pensato a me parlando con il suo capo. Forse una colazione gliela potevo anche concedere.

-sapevo che avresti accettato amica! Troviamoci al di fuori della Helton Catering alle 17:00! Ti presenterò gli altri ragazzi e troverai la tua tenuta!- mi disse e sono certa di poter giurare che adesso c’era un sorriso su quelle sue labbra carnose bellissime.

Annuì, dandomi della cogliona un secondo dopo perchè mi resi conto che Candice non avrebbe potuto vedere la mia testa muoversi. Povera me. Il compenso di seicento dollari mi aveva mandato KO.
Recuperai un briciolo di dignità e mi ricomposi aggiustandomi il gilet di jeans che indossavo sopra un vestitino a fiori. Puoi farcela Gloria.

-perfetto! Ci vediamo dopo allora!-

-grazie davvero Ria! Mi stai salvando il culo!-

-sono io a ringraziare te Candy! Porterò un bel po' di soldi nel mio portafoglio! Credo di non essere mai stata così contenta di una colazione saltata!-

Candice scoppiò a ridere e io con lei. Le volevo bene anche per questo. Lei era una delle poche persone, anzi, forse era l’unica persona che mi conosceva davvero. Sapeva quello che significava per me la questione finanziaria, e non ne aveva mai fatto un difetto.
Lei veniva da una famiglia benestante di Philadelphia. Si era trasferita a New York perchè aveva frequentato la Columbia. Aveva ottenuto la laurea, ma subito dopo aveva capito che il lavoro da avvocato non faceva per lei, quindi aveva mandato un paio di curriculum alle aziende e tre giorni dopo il signor Helton l’aveva assunta a tempo indeterminato.
Entrambe non eravamo newyorkesi, ma avevamo un amore platonico per questa città. Forse quella è stata la cosa che ci ha legato fin da subito. Consideravo Candice la sorella che non avevo mai avuto ed ero più che certa che anche lei mi considerasse tale. Altro luogo comune, tutte e due eravamo figlie uniche. Da piccola sembra tutto rose e fiori essere figlia unica, ma con il senno di poi ho capito che probabilmente con qualcuno al mio fianco, affrontare i miei genitori, sarebbe stato molto più facile.

-adesso scappo perchè devo contattare altre tre persone! Ci vediamo dopo bella ragazza!- esclamò attaccando la conversazione e lasciandomi con la consapevolezza che tra poco più di otto ore l’avrei vista.

Riposi il cellulare in borsa e sorridente come una bambina nel giorno di natale entrai dentro al primo Starbucks che mi capitò a tiro. Quella mattina mi sarei concessa un cappuccino con la panna. Dopotutto avevo appena guadagnato seicento dollari.

**
Arrivai alla Helton Catering alle 16:50. Speravo di trovare Candice per poter farmi spiegare con calma tutto quello che dovevo fare.
Al “Forno”, dovevo trattare i clienti come se fossero amici di vecchia data che venivano a mangiare per divertirsi e sorridere, ma dubito altamente che la stessa cosa si potesse dire da questo punto di vista. Sicuramente avrei dovuto mantenere un profilo basso e sarei dovuta starmene al mio posto. Mi sarebbe costata un po' di fatica, ma alla fine ci sarei riuscita. Tutto per portarmi nel portafoglio un nutrito numero di dollari.
Mi guardai intorno, ma della mia migliore amica nessuna traccia, così alzai la testa fino a cercare di vedere la fine di questo sontuoso palazzo. Da quando ero arrivata a New York, avevo compreso il significato dell’ascensore. In Italia stavo al secondo piano di una piccola palazzina formata da cinque piani, ma adesso tutto era completamente diverso. Qui il quinto piano di un palazzo, poteva essere considerato un piano terra. In questa città più sei in alto e più piani hai nel tuo grattacielo, e più vali. Avevo imparato a viaggiare per i marciapiedi con gli occhi rivolti al cielo.

-Ria! Eccomi! Perfetto tesoro! Sei puntualissima!- esclamò Candice arrivando di corsa da dentro l’edificio.

Sorrisi pensando che tra le due, era sicuramente lei la ritardataria del duo, ma mi tenni per me questa considerazione e la guardai mentre cercava di riprendere fiato.
Era davvero bella, stretta nel suo abito di sartoria color verde chiaro e nelle sue decoltè, sicuramente Loubotein. Tutto si poteva dire di Candice, ma non che non fosse una attenta alla moda. Era grazie a lei se avevo scoperto il significato di quella parola. Da piccola mia madre mi chiamava “Sandy dai mille colori”, per colpa del mio pessimo gusto nel vestire, ma da quando sono arrivata qua, tutto è fortunatamente cambiato. Con Candy ho fatto shopping e adesso posso dire di avere un guardaroba decisamente da ventitreenne. Adesso riesco a camminare su un paio di tacchi senza rischiare di andare all’ospedale. Dio benedica New York e Candice.

-sono arrivata prima perchè speravo di incontrarti!- affermai contenta di vederla e sporgendomi per poterla abbracciare.

La sentì stringere la presa sulla mia vita e mi schioccò un bacio sulla guancia che mi fece fare le fusa. Adoravo quando quella ragazza mi dimostrava il suo affetto.
Mi staccai dall’abbraccio e la guardai male ricordandomi solo adesso che aveva un bel rossetto color ciliegia che spiccava sulle sue labbra. Mi pulì la guancia con il dorso della mano e le lanciai un occhiataccia a cui lei rispose con un semplice occhiolino.

-hai fatto bene! Dunque, l’evento si terrà per il signor Lays, sicuramente è meglio per te sapere con chi avrai a che fare, anche se dubito che tu lo conosca...- mi disse lasciando finire la frase per darmi qualche secondo per capire se conoscevo questo uomo oppure no.

Cercai nella mia mente un qualche collegamento con quel cognome ma niente. Decisamente il signor Lays non rientrava tra le poche persone che conoscevo.
Dubitavo del contrario.
Figurarsi se io potevo conoscere qualcuno con il conto corrente a dieci zeri. Sicuramente non era un cliente della pizzeria dove lavoravo e certamente non frequentava il Queens, dove io vivevo.
No. non conoscevo nessun Mr. Lays.
Smisi di accanirmi sulla guancia baciata da Candice e cercai di tornare a prestare attenzione a quello che mi avrebbe detto. Volevo incamerare più cose possibile di quello che mi avrebbe detto su questo tizio.

-comunque, l’evento sarà all’ottantaduesimo piano dell’Empire State Building! Il pezzo grosso ha affittato tutto il piano per avere la massima riservatezza! A noi non è dato sapere il motivo della “festa”, se così si può chiamare, ma ci basta servire al meglio il menù che ha scelto!- disse da perfetta segretaria di un pezzo grosso qual’ era.

-ho capito! Quindi deduco che la parola d’ordine sia discrezione!- replicai pensando ad alta voce.

-hai afferrato! Chissà cosa cavolo deve possedere quell’uomo per poter affittare un intero piano dell’Empire!- si domandò ad alta voce più a se stessa che a me posandosi un dito sotto al mento.

-chissà quanti soldi deve avere una persona del genere!- replicai io cercando di fare un velocissimo calcolo mentale, mettendomi esattamente nella sua stessa posizione.

Ci guardammo un secondo, dopo di che scoppiammo a ridere. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Sapevamo intenderci con un semplice sguardo e nulla poteva mettersi tra noi. Forse era proprio grazie a questa amicizia che non stavo affondando.
Avevo sempre avuto paura di crollare in seguito ad uno dei miei sbalzi di umore, e i miei genitori non facevano nulla per impedirlo, ma da quando avevo conosciuto Candice, da quando mi aveva preso sotto la sua ala, tutto il mondo mi sembrava completamente diverso.

-sei pronta per vedere la tua divisa firmata Helton Catering?- mi domandò con una punta di sarcasmo nella voce.

-show me!- le risposi con un occhiolino mentre la seguivo all’interno dell’azienda.

Già nell’atrio, mi sembrava di essere in un universo parallelo. C’era un box informazioni proprio al centro, e due porte a vetro, che portavamo a delle scale mobili che salivano.
Sembrava che il signor Helton avesse il controllo del mondo. Seguivo come un cagnolino Candice, attaccandomi a lei per paura di perdermi. Se l’avessi persa, non avrei mai saputo uscire da questo incredibile posto.
Sorpassò una delle due porte, quella sulla sinistra, e prese la scala mobile, per poi voltarsi verso di me mentre lasciava che la scala la portasse su.

-surreale vero?-

-già.. credo proprio che riuscirei a perdermi in un posto come questo! Come diavolo fai ad orientarti?- le domandai continuando a guardarmi intorno.

Non ero mai stata a trovare Candice a lavoro. Ho sempre trovato quel posto, un luogo troppo formale per una persona come me. Io lavoravo come cameriera in una pizzeria, dove davo del tu ad ogni cliente, mentre qua mi sentivo un pesce fuor d’acqua.
Pensa ai seicento dollari Gloria.

-è stata una bella impresa all’inizio, ma poi ti ci abitui velocemente.. pensa che il terzo giorno qua dentro mi sono persa mentre cercavo la caffetteria!- disse con un sorriso.

-c’è una caffetteria qua dentro?- domandai ancora più sbalordita.

-ovvio che c’è! Non è uno Starbucks, ma il caffè è abbastanza decente!- mi rispose facendomi un occhiolino e mandandomi al tappeto.

Ovvio che c’è. Una semplicissima risposta.
Cristo, sono proprio nata in un universo parallelo per trovare assolutamente assurdo tutto questo. Povera me.
Scendemmo dalla scala mobile e insieme ci avviammo verso una stanza che si trovava sulla destra del lungo e stretto corridoio che avevamo preso.
Ripeto.
Impossibile non perdersi in questa azienda.

-allora tesoro.. questa è la stanza dove ti cambierai! Dentro ci dovrebbero essere anche le altre cameriere, mentre i camerieri si trovano nella stanza di fronte! Tutto quello che ti serve è nell’armadietto numero 5!- mi disse con un sorriso.

Le sorrisi di rimando e dopo esserci scambiate un bacino, entrai nella stanza salutando le altre ragazze che mi guardavano come se fossi una marziana con tre occhi e quattro braccia.
Andai diretta verso il mio armadietto che mi aveva detto Candice essere il 5, ed estrassi quella che oggi sarebbe stata la mia divisa.
Era abbastanza semplice. Gonna al ginocchio nera, con tanto di collant velato color carne. Camicetta bianca con una targhetta sopra il petto che indicava il mio nome e un paio di decoltè nere con un tacco relativamente alto per i miei canoni.
Ero abituata a portare ballerine o scarpe da ginnastica, e trovarmi a camminare su un paio di scarpe con il tacco superiore agli otto centimetri era una vera e propria impresa. Questa decisamente era la nota dolente di tutto questo.

-ciao Gloria.. sei nuova? Non ti avevo mai vista prima d’ora! Mr. Helton ti ha appena assunta? Piacere, io mi chiamo Kelly!-

Guardai la massa di capelli ricci che mi stava davanti. Quanto cavolo può parlare una persona senza respirare? Credevo che sarebbe morta asfissiata prima di riuscire a terminare la frase.
Kelly, un metro e sessanta con i tacchi di ricci biondi. Aveva dei bei lineamenti, e qualcosa mi diceva che le sue origini erano sud-americane. Aveva un colorito di pelle invidiabile. Non sarei diventata di quel color carboncino nemmeno se mi fossi messa al sole per tre anni.
Anche lei, come me, era vestita di tutto punto. Con la targhetta oro che brillava con il suo nome scritto sopra. Sembrava che facesse questo lavoro da una vita. Forse era una delle veterane della Helton. Mi sarei fatta un po' di affari loro chiedendo qualche informazione a Candice.

-ciao Kelly! Non sono nuova, sono solo una sostituta di una qualche vostra collega in ferie! Sono una cameriera, ma non certo a questi livelli!- esclamai aprendo le braccia per indicarle il genere di livello a cui mi stavo riferendo.

-oh.. si, mi era stato annunciato qualcosa del genere! Quindi verrai con noi sull’autobus che ci porta nel luogo dell’evento? Chissà dove si trova!- esclamò eccitata battendosi le mani sopra al naso.

Ah.
Io avevo un informazione che la super-informata Kelly non sapeva. Candice mi aveva detto dove si sarebbe tenuto “l’evento”, come tutti si ostinavano a chiamarlo. Che dovevo fare? Dovevo spifferare il tutto, oppure tenermelo per me e aspettare che anche le altre lo scoprissero da sole?
Decisione sofferta, ma alla fine decisa.
Se il signor Helton, oppure Candice, non aveva rivelato loro il luogo della festa, un motivo ci sarà sicuramente stato.
Guardai le altre ragazze prepararsi e notai che la maggior parte di loro aveva i capelli raccolti in una ciambella. Questa la mia migliore amica proprio non me l’aveva detta. Chissà se era obbligatorio oppure se potevo scegliere di tenere i capelli sciolti. Finalmente da qualche mese avevano preso una piega giusta. Mi sarebbe dispiaciuto legarli.
Voltai la testa e vidi l’informata Kelly che si raccoglieva i capelli in una coda laterale. Ok, forse potevo sfruttare quella ragazza per ottenere qualche tipo di informazione.

-Kelly scusami se ti disturbo, ma potresti dirmi se è obbligatorio raccogliere i capelli?- domandai con una sola speranza nella voce.

Lei mi sorrise gentilmente e scosse la testa. Meno male. I miei capelli e la loro piega erano salvi. La ringraziai con un cenno del capo e distolsi l’attenzione sentendo qualcuno che bussava alla porta. Evidentemente era arrivata l’ora di salire sul bus che ci avrebbe portato all’Empire.
Vidi un ragazzo fare capolino, e due secondi dopo entrarono dentro cinque ragazzi vestiti pressappoco come noi.
Avevano pantaloni da abito, molto eleganti, una camicia bianca e anche loro l’immancabile targhetta alla camicia. Eravamo schedati.

-ciao ragazze!- esclamò il ragazzo che aveva fatto il suo ingresso per primo.

Era un ragazzo di colore, con gli occhi color del cielo. Era rarissimo vedere una meraviglia di occhi del genere. Sembrava il capo branco. Stava al centro, mentre il resto dei ragazzi stava un passo indietro a lui. Il maschio alfa dominante. Mi lasciai sfuggire un sorriso a quel pensiero e mi fissai meglio la targhetta con il nome. Quel ragazzo era spavaldo e quasi mi riusciva difficile pensare che facesse parte dei camerieri del catering. Mi sembrava troppo chiassoso per un livello alto come quello dell’Helton.

-Tyron! Proprio non puoi aspettare di vederci sull’autobus vero? E se qualcuna di noi non fosse stata ancora pronta?- domandò sbuffando una ragazza, che dalla cartellina, mi sembrava di aver letto che si chiamasse Valerie.

-sarebbe stato ancora meglio se qualcuna di voi non fosse stata ancora pronta Val! Non fare sempre la guastafeste! Uh, ma chi abbiamo qua.. un nuovo acquisto.. e che nuovo acquisto! Ciao tesoro io sono Tyron, ma puoi chiamarmi Tay! Ti hanno mai detto che hai delle gambe da urlo?- esclamò parandosi davanti a me.

Sorrisi pensando a quanto possono essere infantili i ragazzi. Sembrava che avesse visto chissà chi. Non mi ritenevo per nulla carina. Al mio confronto, ragazze veramente belle come Candice erano superiori anni luce. Odiavo quando qualcuno cercava di provarci solo per il gusto di farlo.
Vedevo questo ragazzo, giustamente carino, immobile davanti a me aspettando una mia qualche risposta che sicuramente non aveva a che fare con niente di quello che lui volesse sentirsi dire. Sapevo quello che voleva da me. Tutti i ragazzi da me volevano solo una cosa. Mai nessuno che mi avesse fatto sentire speciale. Mai nessuno che fosse andato oltre l’aspetto fisico.

-piacere Tyron, io mi chiamo Gloria!- risposi gentilmente cercando di rammentare qualche parola per congedarlo il più velocemente possibile.

-non sei americana!- ululò sorpreso facendomi quasi perdere la pazienza.

Oh. Beh. Almeno il cervello lo sapeva usare. No mio caro Tyron, non sono americana. Che acuto osservatore. Dovrò fare un bel discorsetto a Candice appena ne avrò l’occasione. Chi sa su che base è stato preso a fare questo lavoro. Sembrerebbe più un personal trainer che ci prova con tutto quello che si muove.

-italiana!- dissi semplicemente nella speranza che qualcuno venisse a togliermelo da davanti.

-uh ma io amo l’Italia!- mi disse con fare sornione mentre mi faceva un occhiolino che sembrava proprio saperla lunga.

Gesù ti prego fammi uscire da questa situazione, altrimenti tra poco Candice dovrà reclutare un nuovo cameriere perchè lo uccido.
Appena la gente scopre il mio paese di origine, comincia a guardarmi con gli occhi a cuoricino. Possibile che nella vita non si sia mai contenti. Probabilmente le persone nate in America vorrebbero vivere in Italia e viceversa. Io appena ne ho avuto la possibilità, sono scappata a gambe levate da quel paese che mi stava davvero troppo stretto.
Continuai a guardarlo con un sorriso di circostanza e quel ragazzo proprio non sembrava accorgersene. Mi squadrava da capo a piedi, troppo impegnato a guardarmi le gambe e le tette, piuttosto che il sorriso.
Il bussare alla porta mi trascinò finalmente alla fine di quella conversazione che non riuscivo più a sopportare. Dio benedica chiunque abbia appena picchiato a quella porta.
Scoppiai a ridere vedendo Candice fare il suo ingresso e tutti si voltarono verso di me. Cavolo che figura di merda avevo appena fatto. Povera me.
Candice da canto suo si lasciò scappare un sorriso e appena mi vide accanto a Tyron mi fece un sorriso di circostanza, come per farmi capire che sapeva esattamente quello che era appena successo. Le feci un occhiolino e lei mi rispose di rimando.
L’affinità che c’era tra di noi, non ero riuscita a trovarla con nessuna altra persona. Credevo davvero che sarei morta zitella con una casa circondata di gatti, oppure avrei costretto Candice a diventare lesbica e insieme a lei avrei iniziato un nuovo percorso.

-ciao a tutti!- annunciò la mia migliore amica guardando tutti i ragazzi.

-ciao Candice!- risposero in coro tutti i ragazzi.

Mi guardai intorno e solo in quel momento mi resi conto che tutti si conoscevano. Sembrava che tutti lavorassero insieme da anni, mentre io ero l’unica intrusa, se così mi si poteva definire.

-Candy ma sono l’unica intrusa?- domandai guardandola con un sopracciglio alzato.

-già! all’ultimo mi hanno dato buca in tre.. dannati! Quindi si Ria, sei l’unica nuova, ma tranquilla, i ragazzi ti metteranno a tuo agio!- mi disse con un sorriso a trentadue denti che lasciava intendere che un ragazzo in particolare mi avrebbe tenuto a mio agio.

Dannata bastarda. Domani quando e sopratutto se, riusciremo a fare la nostra colazione, le rovescerò un cappuccino in testa.
Vidi Tyron farmi un sorriso e istintivamente volto la testa dall’altra parte della sala. Saranno anche seicento dollari, ma sicuramente per la fatica che devo fare per sopportare questo qui, li valgono tutti.



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Ciao a Tutti!!

Eccomi qua con una nuova storia e una nuova sfida!

Voglio già anticiparvi che questa storia sarà sulla riga dei famosi "Cinquanta Sfumature", "This Man", "CrossFire" e affini. 
Si tratterà quindi di un romanzo erotico, che spero riuscirà a farvi scaldare il cuore.

Questo primo capitolo è puramente introduttivo, nel prossimo entrerà in scena Mr. Lays e allora inizieremo a vederne delle belle. 

Ci vediamo al prossimo capitolo gente!

 
   
 
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