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Autore: Giuls_breath    03/11/2014    0 recensioni
Elena Gilbert era una ragazza come le altre almeno fino a che la sua vita non si è incrociata a quella dei fratelli Salvatore.
Tratto dal secondo capitolo:
"Mamy" sussurra addormentata.
"Amore, torna a dormire" le rispondo con dolcezza "Fai tanti bei sogni, ti voglio bene".
"Secondo te anche il mio papà me ne vuole?"
Sento il mio cuore sbriciolarsi a quella domanda così innocente e una lacrima mi riga il volto.
"Ma certo che te ne vuole. E ora fa' la nanna".
Prima storia sulla mia coppia preferita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera!

Sono tornata con un nuovo capitolo e in ritardo volontariamente.. il perché insomma lo dovreste dedurre da sole.

In ogni caso ho intenzione di portare a termine questa storia perché lasciare le cose incomplete non mi piace.



           



      

                  
 
Never Let Me Go 

Capitolo VII 

Sono passate tre settimane da quando ho fatto quella ‘proposta’ a Kol, proposta che lui accetta di buon grado. Ci troviamo bene insieme, parliamo di tutto e siamo diventati buoni amici.
Non so cosa farei senza di lui.
In particolare siamo molto uniti sul lavoro, sospetto che abbia capito il mio volere la sua vicinanza a tutti i costi, non si è mai lamentato però, anzi.
Questa mattina – come le ultime dodici mattine – Kol mi viene incontro sorridendomi felice, mi abbraccia forte e poi posa un bacio molto delicatamente sulla guancia vicino alle labbra. La prima mattina mi sono un po’ irrigidita, la seconda però dopo che mi ha fatto un occhiolino come a volermi far capire che tutto andava bene e che non dovevo preoccuparmi, mi sono rilassata e ho accettato di buon grado quell’accoglienza. Questa mattina mi sono lasciata un po’ prendere la mano accarezzandogli il viso e sorridendogli dolcemente.
Spero con tutto il cuore che questi miei gesti e attenzioni siano interpretate nel modo giusto e che non finiscano col ferire il mio migliore amico.
Quando vado verso la mia postazione, Damon mi sta fissando con aria contrariata e sentirmi perforare da quei due occhi blu mi manda fuori di testa ogni volta.


                                                                                          

Ancora.
“Che hai da guardare?” sbotto dura.
Scrolla le spalle “Buongiorno anche a te.”
Sbuffo alzando gli occhi al cielo.
“Ha chiamato qualcuno?”
“Solo un fornitore di tessuti mentre tu eri impegnata a fare la svenevole con Kol.” dice acido.
“Il tuo compito è prendere ordini da me, non fissarmi o giudicarmi!
Non ne hai il diritto.”
Si alza velocemente dalla sua postazione e mi raggiunge, mi spavento quasi di quello scatto, i miei occhi lo seguono attenti e poi lui dice: “Perché ti comporti così? Sembra che tu lo stia facendo per ferirmi.”
Sbuffo “Ascolta, qui nessuno sta ferendo nessuno.
Sto solo semplicemente vivendo la mia vita e tu, caro Damon, sei solo il mio passato.” dico girandogli le spalle.
“Un passato che temi, che ti rende nervosa.”
Mi blocco all’istante.
“Puoi negare quanto vuoi, puoi dirmi che sono pazzo, che io e te non avremo un futuro, ma io so che comunque – in qualche modo – c’è ancora un legame tra noi.”
 
Temo di sentirmi male sul serio, quelle parole mi colpiscono come una secchiata d’acqua gelida in pieno inverno, ha detto la verità anche se a sua insaputa.
Io e lui saremo sempre legati da nostra figlia, quel legame esisterà sempre.
Anche se mi sforzo di ignorarlo, ci sarà per sempre.
 
Faccio uno sforzo enorme per controllarmi e rispondere con calma, non deve trapelare ansia, paura, tremore dinanzi a quella sua affermazione.
Lo guardo stanca in volto “Damon” scuoto la testa “l’unica cosa che ci legherà sarà la sofferenza e l’amaro in bocca che ha lasciato questo rapporto.”
Poi vado via allontanandomi da quel volto che nonostante tutto amo ancora.
Anche se mi ostino a negarlo.
 
Per fortuna riesco a lavorare, ad essere “produttiva” come direbbe Marcel.
Almeno fino a quando Damon non mi si avvicina e chiede quale sia il suo prossimo incarico, gli dico di disegnare tre o quattro modelli, qualcosa di creativo.
Cosa che sono costretta a dire anche ad Andie visto che i due aspirano allo stesso posto. Dopo tre o quattro ore Damon ed Andie mi mostrano i loro bozzetti e purtroppo Damon non è un grande artista.
Voglio aiutarlo.
Penso per un decimo di secondo, ma poi mi rendo conto che se lo faccio, non sarei obiettiva. Osservo meglio i disegni di Damon: ha rappresentato una donna dai lunghi capelli lisci e castani, un vestito rosso con quella che sembrerebbe essere una monospalla arricchito da una cintura color cuoio e tacchi a spillo neri.
Non è un granché, è un vestito già visto.
Sbuffo alzando la testa verso il soffitto e chiudo gli occhi.
Devo ascoltare la parte distaccata di me o quella che desidera comunque e nonostante tutto aiutare il padre di sua figlia?
“Damon.” lo chiamo.
Alza lo sguardo verso di me e lo invito ad avvicinarsi con gli occhi, si alza e mi si avvicina. Prende una sedia con le rotelle e si siede accanto a me, è la prima volta che siamo seduti così vicini e devo fare un ulteriore sforzo per dirgli che i suoi lavori non sono un granché. Vedere sul suo volto quell’espressione dispiaciuta mista ad un’espressione delusa mi costringe ad essere dispiaciuta per lui e a parlare prima di rendermene conto: “Se vuoi ti posso aiutare.”
Mi guarda sorpreso “Davvero?”
“Mh, mh.” dico con espressione tranquilla.
“E’ la prima volta che non sei aggressiva nei miei confronti, lo sai.” mi dice spostandomi una ciocca di capelli.
“E tu non perdi mai l’occasione di flirtare.” dico posando una mano sotto il suo viso.
“Non sto flirtando con te.” dice con espressione di chi dice qualcosa di ovvio.
“Ah no? Okay, allora facciamo…” penso a quando Astrid non è a casa “dopodomani alle 12?”
“Okay.” dice “E cosa dirà il tuo fidanzato?”
Abbasso lo sguardo, non so se voglio continuare a mentire su questo aspetto…
“Non preoccuparti.
Non avrà niente da ridire per un incontro di lavoro.” dico sottolineando le ultime tre parole.
Stringe le labbra e poi torna al suo posto.
Mi tocca invece fare i complimenti a quella smorfiosa e tutto – so – io di Andie che si alza con aria trionfante di chi ha già vinto. Ma la competizione è ancora aperta e niente è già stato deciso.
 
Sono le sei e finalmente il mio turno è finito.
Prendo l’ascensore e scendo fino al parcheggio. La mia macchinina è stata riparata e ora è di nuovo funzionante.
Metto in moto e mi dirigo verso casa mia, c’è poca gente per strada: sospetto sia colpa del clima uggioso e freddo. Guido lentamente a posta, passo per un paio di stradine poco frequentate e poi svolto a destra, devo passare sotto un ponte per dirigermi verso casa, quando vedo una scena che mi scuote nel profondo.
Due tipi stanno pestando un terzo che cerca di proteggersi e reagire a quei colpi inferti con tanta violenza, prima di pensarci, mi fermo illuminando quello spettacolo sconvolgente e apro lo sportello. I due si accorgono della mia presenza si fermano e mi corrono incontro, mi si gela il sangue nelle vene, uno mi scaraventa a terra e l’altro mi intima di dimenticare di averli visti. Tremo.
Dopo un minuto circa mi ricordo del terzo individuo che giaceva lì nella fanghiglia.
Era a pancia in giù, giubbotto e pantaloni scuri imbrattati dal fango.
“Ehi.” lo chiamo “Mi senti? Chiamo qualcuno.” dico.
Quando solleva il capo, sobbalzo.
E’ Damon.
Dal naso perde sangue che cola fin sulle labbra e sul mento.
Ha le mani posate a terra nella fanghiglia, sporche.
“Come stai?” chiedo sinceramente preoccupata.
Si gira lentamente a pancia in su e geme sonoramente.
Gli occhi chiusi e un’espressione contratta sul volto mi fanno capire che sta male e che ha bisogno d’aiuto.
“Aspetta, chiamo qualcuno.” faccio per allontanarmi, ma mi blocca per il polso.
“No… no..” biascica “El.. ena, aiutami, ti prego.” dice tendendomi le mani.
“Aspetta.” dico stringendo la sua mano e posando l’altra dietro la sua nuca affondando così nei suoi capelli neri e folti e lo aiuto a mettersi seduto.
“Ahi, ahi.” dice sommessamente.
Geme una volta seduto.
Gli occhi stretti in un’espressione sofferente mi fa capire che qualcosa non va.
“Damon, ma tu stai male!
Devo portarti in ospedale e chiamare la polizia!”
“No, no.
Se avessero voluto uccidermi, lo avrebbero già fatto.”
Sgrano gli occhi e le labbra si schiudono per lo stupore.
“In che guaio ti sei messo?” chiedo in un sussurro.
 
Apre gli occhi e mi lancia un’espressione carica di dolore.
“Quello da cui avevo cercato di proteggerti tempo fa.”
Sapere Damon in queste condizioni mi toglie il respiro poiché mi sento impotente di fronte alla sua ostinazione, di fronte a quei no tanto determinati, non so cosa fare gli resto accanto: inginocchiata nella fanghiglia.
Geme di nuovo e si stende di nuovo.
“Damon, dobbiamo andare subito in ospedale, lo capisci?”
“Elena” mi guarda e scuote la testa “non è niente. Mi hanno solo dato qualche pugno e un paio di calci. Era solo un avvertimento.”
“Ma avvertimento per che cosa?”
“Ti prego, Damon, parla!” lo imploro, ma lui scuote solo la testa.
“Lo capisci che lo faccio solo e soltanto per te?
Voglio saperti al sicuro, costi quel che costi.
Non devi immischiarti nella mia vita.
Ce la faccio da solo.”
Mi irrigidisco, la mascella si contrae e la vista mi si appanna, sto lottando per non piangere come una stupida davanti a lui, non so come faccio, ma ci riesco.
“Fatti medicare almeno!”
“Vieni da me, però.” dice.
Annuisco solo.
Piano, piano ce la fa a mettersi in piedi e a raggiungere la macchina.
Mi guida.
Vive in un appartamento al terzo piano.
Prendiamo l’ascensore per arrivare, salire a piedi per lui sarebbe stato troppo, credo.
Apre la porta e accende le luci.
L’appartamento ha un arredamento molto semplice, qualcosa è moderno, qualche altro sembra antico, o comunque da’ quell’idea.
“Da dove hai preso questa roba?”
“Mercato dell’usato.
Non posso permettermi granché ormai.”
“P… volevo chiederti il perché, ma immagino sia inutile con te, vero?”
Sparisce nel piccolo corridoio e torna con un kit medico con tutto l’occorrente per essere curato come meglio è possibile.
Si siede sulla sedia e ne prende un’altra di fronte alla sua sulla quale qualche istante dopo mi ci siedo.
“Se non ti dico di me, Elena, è solo perché – mettitelo in testa – voglio il meglio per te. E per meglio intendo la tua sicurezza, non m’importa di essere odiato da te perché so che mi odi, ma se saperti salva comporta il tuo odio nei miei confronti… beh, così sia.”
Osservo il suo volto, osservato tante volte quando dormiva, quando parlavamo di noi, dei nostri progetti futuri, ma questa volta è come se lo osservassi per la prima volta dopo anni. Il suo volto è serio, non c’è traccia della sua famosa ironia, della sua aria divertita e perennemente ironica, questa volta è drammaticamente seria.
“Non ti importa che ti odi?” chiedo.
“No.” risponde secco.
Prendo ovatta e acqua ossigenata, la passo sullo zigomo leggermente escoriato e lui si limita a chiudere gli occhi. Non geme né si lamenta, restiamo in silenzio.
“Sei felice?” mi chiede improvvisamente guardandomi.
 
Mi sono fatta questa domanda tante, tante volte e puntualmente era un sì decisamente poco convinto. Per me la felicità ci sarebbe stata se lui fosse rimasto accanto a me durante la gravidanza, se mi avesse sostenuto durante quei nove mesi in cui ho anche rischiato di perdere la mia piccina, ma lui non c’era.
Lui era chissà dove a scappare da chissà chi, visto quello che gli è successo presumo sia scappato per evitare… credo ulteriori guai.
La felicità sarebbe stata svegliarmi accanto a lui, stringermi a lui durante una notte insonne per via della nausea, sarebbe stata prendersi cura l’una dell’altro.
Avrei voluto che fosse per sempre, ma così non è stato.
 
“Sei felice di chi sei, di quello che fai?” mi chiede di nuovo.
Avrà pensato che non l’ho sentito poiché immersa nei miei pensieri.
“La felicità….” dico solo tacendo per alcuni secondi come a cercare le parole giuste che però non arrivano “sto bene.” concludo “Sto e starò bene.”
Stringo le labbra e premo un po’ più forte l’ovatta sulla sua ferita facendo sobbalzare.
Mi guarda, sento i suoi occhi su di me, ma io non ricambio quello sguardo.
Non posso.
Dopo questa affermazione, crollerei.
Non posso né devo farlo.
Sento posare la sua mano sulla mia e posarla sul suo petto, sul cuore.
Lo sento battere forte sotto il tessuto sottile della t-shirt.
Mi è inevitabile alzare lo sguardo su di lui e incrociare quegli occhi da cui rifuggivo.
“Temo di non essere l’unico a non parlare.” dice.
Sul mio viso si dipinge un’espressione sorpresa e di chi è colta in fallo, prendo un grosso respiro e distolgo lo sguardo.
“Non so di cosa parli.”
“Certo.” dice piano “Credo di conoscerti un pochino, sai?
Quando dici una bugia non mi guardi negli occhi o se lo fai… mi guardi per una decina di secondi e abbassi lo sguardo.
Quando invece dici la verità, mi fissi quasi e hai un’aria carica di orgoglio ferito perché vuoi dimostrare agli altri che hai detto la verità e che ti senti ferita dalla loro sfiducia nei tuoi confronti.”
Mi conosce purtroppo bene sotto questo aspetto.
Non dico niente né commento queste sue parole.
Prendo delle garze e le poso sull’avambraccio destro.
“Hai altre ferite?” trovo il coraggio di chiedere.
Si sfila la t-shirt e io sono estasiata da quella vista, il suo corpo è tonico, non c’è un filo di grasso, i muscoli sono ben delineati e io credo di aver assunto l’aria di una in trance, mi concentro sulla parte escoriata vicino alla clavicola.
Mi devo avvicinare di più e lo sento, sento chiaramente il mio respiro farsi più corto e il cuore accelerare. Non so se è per la sua vicinanza o se per le parole che mi ha detto.
 
Quanto siamo stupidi!
Lui non parla per proteggermi da non si sa chi.
Io… per codardia, paura e ormai non so più perché.
 
“Mi dispiace.” dice.
Alzo di nuovo lo sguardo su di lui e gli chiedo con lo sguardo di cosa.
“Ti ho lasciata, ho causato tanto dolore nella tua vita, tormento.
Per colpa mia non credi che ci possa più essere il vero amore.”
“Damon, queste tue confessioni le trovo inappropriate, insomma… io nell’amore credo ancora. Non sai come mi sono sentita e onestamente non voglio neanche fartelo sapere perché aprirebbe solo una ferita che non si è mai rimarginata.
Ti prego, smettiamo di parlare del nostro passato perché non serve.”
Il tutto lo dico guardandolo negli occhi perché capisca che sono seria, che non mi va più di essere presa in giro da lui e dalle sue parole e perché nonostante provi qualcosa per lui, non posso dimenticare che c’è un segreto dietro questi suoi atteggiamenti.
Segreto che non so quanto grande sia e perciò ne resto quanto più distante è possibile.
Abbassa lo sguardo.
“Ti giuro che appena sarà tutto finito ti racconterò tutto.”
“Sì, come ti pare.” dico sbrigativa e alzandomi. “Puoi rivestirti.”
Sono distaccata.
La parte di me che ancora crede nell’amore, in lui è come rientrata nella cella che le ho costruito per proteggermi da altre ferite. Ora sono di nuovo lucida, fredda e tremendamente razionale.
 
Mi alzo e indosso di nuovo il mio trench sporco e che dovrò solo lavare appena torno, quando la porta di casa di Damon si apre ed entra Vicki Donovan.
Sono sorpresa e anche lei appena mi vede.
“Elena?” mi guarda un attimo sconcertata, ma poi mi sorride e abbraccia “Quanto tempo! Come stai?”
“..bene.” dico.
“Come mai qui?”
“Io… ho incontrato Damon aveva un po’ di roba da portare così l’ho aiutato.”
“Sei sempre così gentile!
Ascolta, appena sarà possibile che ne dici di organizzare una rimpatriata?
Chiamo magari anche mio fratello!”
“Fantastico!” dico senza entusiasmo.
“Bene, allora a presto.”
“Ciao.” dico.
Lei entra nel corridoio allontanandosi così da me e l’uomo che ho davanti, lo fulmino con gli occhi e apro la porta come una furia.
“Aspetta.” urla quasi, mi ferma per un polso.
“Era lei il segreto?
E’ lei quella da cui volevi proteggermi?”
La mia voce trema.
Mi sento presa in giro, di nuovo.
“Con te non è proprio possibile lasciarsi andare, sperare.
Sei un bastardo.” dico cercando di non urlare e di non essere sentita né da Vicki né da qualche vicino curioso. Mi libero dalla sua presa e corro giù per le scale.
Ormai sto piangendo e non m’interessa incrociare qualcuno che mi veda così ridotta.
Non m’importa semplicemente.
Singhiozzo.
In macchina mi lascio completamente andare.
“Sei una stupida, Elena!” mi dico.
Non so quanti minuti passino e né da quanti sono sotto casa e non riesco a scendere, né a salire. Sono ormai le 8 e devo andare, salire e reagire.
 
Quando entro in casa, vedo Astrid già a tavola insieme a… Caroline e Kol.
“Mamii.” urla la mia piccola venendomi incontro e abbracciandomi forte.
“Piccola.” dico in un sussurro.
“Mami, ma cosa hai fatto?” chiede guardandomi con fare indagatore.
“Ah, ehm… sai, a lavoro ho fatto una torta con il fango!”
Mi guarda sospettosa “Ma tu non fai vestiti per le signore?”
“Sì.” rispondo con tono stanco “Solo che oggi abbiamo fatto una festa, diciamo.
Guarda mi sono anche sporcata col pennarello.” dico guardando verso mia sorella che capisce e mi guarda preoccupata per poi incrociare lo sguardo con quello di Kol.
“Hai già finito di cenare?”
Annuisce.
“Ok, allora adesso la mamma va a fare la doccia e poi ti accompagno subito a letto, okay?”
“Okay.” dice correndo nella sua stanzetta.
Mi affaccio solo un attimo nella cucina e mia sorella mi ammonisce con la frase “Poi parliamo, vero?”
Annuisco, poi lancio un breve sorriso a Kol e sparisco nella mia stanza.
Mi spoglio e vado in bagno, butto i panni ormai completamente lerci nella cesta della lavanderia, domani mattina li laverò.
L’acqua è perfetta e mi fa dimenticare quasi tutta la giornata appena vissuta.
Tranne lui… e lei. Insieme.
Apro la bocca e ne bevo un piccolo sorso, poi esco.
Mi asciugo per bene e indosso la mia tuta enorme rosa convinta che sia rimasta solo Care e la mia bimba nella stanzetta, ma quando esco trovo Kol seduto sul divano e resto un attimo spiazzata.
“Scusa, mi dispiace essere ancora qui.” dice accorgendosi della mia espressione stupita “Tua sorella è di là con la tua bimba. E’ dolcissima, vivace e molto intelligente. Chissà da chi ha preso!” esclama sorridendomi.
Accenno un sorriso poco convinto.
“Qualcosa non va?”
“Qualcosa non va?” chiedo ironica “Tutto Kol, tutto. Io ho solo il mio lavoro e mia figlia, mi sento stupida, così… inadeguata.” dico sfaldandomi poco a poco e iniziando a piangere sommessamente.
“Ehi, hai un lavoro e la tua splendida figlia. Ti sembra poco?
Quante donne vorrebbero avere questo magnifico connubio?
Non sei sola. Non sarai mai sola. C’è tua sorella, c’è Hayley e poi ci sono io, okay?
Ci saremo sempre come ancore, ci saremo per evitare che tu possa affondare o incagliarti da qualche parte.” mi accarezza lentamente una guancia umida e io alzando gli occhi su di lui, sorrido. Non è un sorriso finto.
E’ vero.
“Queste sono le parole più belle, sincere della giornata, sai Kol? Ho soccorso oggi Damon e noi… io e lui eravamo così vicini” cerco le parole “e stavo per dirgli tutta la verità. Stavo per dirgli che da quell’amore è nata una bambina.
Sua figlia. Volevo dirgli tante cose di me, che si era perso, ma poi… è entrata la sua ragazza.” abbasso la testa e stringo forte le labbra come a fermare il tremito che le scuote “tutte le parole, tutto quello che volevo dirgli… mi è morto in gola.”
Mi abbraccia attirandomi a lui “Non preoccuparti, ce la farai anche senza di lui.”
Tra le sue braccia mi lascio andare, piango e stringo convulsamente il maglioncino blu notte tra le dita fino a che non riesco a far altro che restare abbracciata a lui.

 
  
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