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Autore: DonnieTZ    03/11/2014    3 recensioni
Serena.
Un padre freddo e distante, una madre scomparsa nel nulla e una solitudine difficile da digerire. Proprio come il cibo che non riesce a mangiare o le parole che non riesce a dire.
Finché non finisce in un altro inferno e tutto perde contorno, sconvolgendo ogni cosa che dava per certa e facendole trovare conforto nel più inaspettato dei modi.
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Un grido esce dai miei polmoni senza che possa controllarlo.
In un istante vengo afferrata alle spalle. Mi agito, scalcio, non capisco cosa stia succedendo e cado al suolo, sbattendo con forza la testa. Una marea di puntini galleggiano davanti ai miei occhi, subito seguiti dal dolore pulsante nel punto in cui la superficie dura del pavimento ha incontrato la mia tempia. Non riesco ancora a mettere a fuoco ciò che ho davanti, ma un peso mi schiaccia al suolo e un’ombra nera si tende verso la mia faccia.
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È un'ombra gigantesca, si frappone fra me e il camino, oscurandomi. La sua mano raggiunge il mio viso e lo alza, perché possa guardarlo.

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Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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4 - L'Amore, La Morte, La Madre
 
Faccio un veloce calcolo, mentre leggo alla luce della lampada e fuori nevica. Sei mesi, circa. Sei lunghi mesi. Riecheggiano nella mia mente le sue parole: penserò a quest'eventualità fra qualche giorno.
Una bugia? Sono passati molti, troppi giorni da quella frase e ancora non so quale sarà il mio destino. Tutto questo inizia in qualche modo a snervarmi e non aiutano le sensazioni che non riesco a spiegarmi. La sua vicinanza, la sua presenza ingombrante, i suoi sguardi.
Quegli sguardi.
Sempre attenti a non esistere, a non sfiorarmi, ma inspiegabilmente profondi. Le rare volte che i suoi occhi si sono incastrati ai miei hanno fatto nascere solo vuoto all'altezza delllo stomaco. Una strana fame che con il cibo non ha nulla a che fare.
Sono così presa da questi pensieri che quasi urlo per lo spavento quando bussa alla porta. Quando ha iniziato a farlo?
«Avanti.»
Entra deciso come sempre e non mi getta la minima occhiata.
«Devi leggere una cosa» dice.
Si avvicina e noto finalmente la pagina di giornale che stringe in pugno. È un singolo foglio, un ritaglio, e lo trattengo fra le mani che tremano per il freddo.
«Cos'è?»
«Leggi.»
Lo faccio, lasciando scorrere gli occhi fra i caratteri minuti. E più leggo più sono sconvolta, più capisco e più mi sorprendo. No, non può essere vero. Assolutamente e categoricamente. Non è possibile.
«Mio padre è...»
«Mi dispiace» sussurra.
La sua voce è così flebile che posso udirla appena, ma la sento e mi distrugge. La sensazione che in queste settimane si è annidata in me sembra esplodere in milioni di pezzi.
Mio padre è morto. Eppure la sua morte non è l'unica notizia sconvolgente. Con le lacrime che pizzicano gli occhi, proseguo la lettura.
«Mia madre? Lei è... lei è viva? Sta bene? Mi sta cercando?»
«A quanto pare, sì.»
L'articolo parla della morte di Lisa e del mio presunto e sospetto rapimento, delle indagini che si sono soffermate su mio padre, del fatto come il suo cuore non abbia retto. Parla del passato, rivela gli sforzi del grande magnate dell'industria per tenere la moglie lontano dalla figlia di cui non si hanno notizie. La stessa donna testimonia dei tentativi di mettersi in contatto con la giovane in passato, tutti ostacolati dall'uomo. Parla delle sue paure, del suo senso di colpa. Alla fine fa un appello a chiunque possa sapere qualcosa della ragazza.
Di me.
Mia madre è viva.
Mentre mio padre...
Alzo gli occhi verso l'albino e le lacrime rotolano giù dalle mie guance. Mi sento strana, scollegata, sconnessa. L'unica cosa che mi ancora alla realtà è lo sguardo di quest'uomo. Il signore dell'inferno, il re dei morti.
«Nessuno pagherà» comprendo, alla fine.
«No» ammette.
«Morirò?» chiedo nuovamente, come l'ultima volta.
Si siede sul bordo del letto e si prende la testa fra le mani. È un gesto così esplicito che fatico ad associarlo alla sua persona. Mi asciugo le lacrime con il palmo, ingoiando i singhiozzi, per sporgermi a prendere una delle sue mani.
È calda, liscia, e non si scosta dal contatto con la mia.
Lentamente, come se entrambi fossimo solo pallide imitazioni di esseri umani, si volta a fissarmi. Ricambio quello sguardo inspiegabile, colmo di oscurità che non riesco a capire. Appoggia la mano sulla mia guancia, delicatamente, riscaldandola dove l'umidità delle lacrime l'ha raffreddata.
Poi, com'è iniziato, tutto si interrompe. Si sposta, come ustionato, e si avvia alla porta.
«Hai freddo. Vieni di sotto» ordina, categorico.
Improvvisamente realizzo tutto quello che mi è accaduto e mi crolla addosso il mondo. Inizio a piangere senza riuscire a fermarmi. Prima silenziose lacrime che scivolano dagli occhi senza che io possa fare nulla, poi singhiozzi che mi scuotono e un leggero lamento che mi esce dalle labbra. Un dolore sordo all'altezza del petto. Insistente, implacabile. Le immagini di Lisa, di mio padre, delle foto di mia madre strette nel cranio.
Ho gli occhi tanto colmi di lacrime da non riuscire a vedere bene l'albino che mi solleva dal letto e mi porta fuori dalla stanza. Mi aggrappo, affondando le dita nella carne delle sue spalle, appoggiando la testa alla sua maglietta, affogando nel suo profumo di pulito, di limpido, di gelo.
Scende le scale come se pesassi nulla. Tutto è immerso in un buio irreale, se non per il caminetto e una piccola lampada. Respiro a fondo, nonostante i singhiozzi, cercando di calmarmi, e mi volto leggermente per osservare Cerbero che riposa sul divano, una coperta e un libro distrattamente posati accanto a lui.
L'uomo mi appoggia sulla superficie morbida e Cerbero si sveglia. Ancora assonnato, appoggia il muso sulle mie gambe e accarezzarlo sembra avere un effetto rilassante su tutto il mio essere. L'albino si siede al mio fianco.
«Va un po' meglio?»
«Io... io credo di sì.»
«Devo riflettere.»
Lo osservo, attenta, senza smettere di far scorrere il corto pelo morbido di Cerbero fra le dita.
«Non ci sono molte scelte» constato, mesta, dopo aver stabilizzato il respiro.
Lui mi avvolge la coperta sulle spalle, ma non indugia in alcun contatto, preferendo concentrarsi sul mantenere acceso il fuoco.
«No, non ce ne sono.»
Parla anche lui dopo lunghi minuti di silenzio e un brivido di vero terrore mi striscia lungo la spina dorsale. Forse, alla fine di tutto questo, morirò. Forse mi ucciderà. E io sono così sciocca da sentirmi come mi sento quando lui è con me, da credere di avere un qualche piccolo effetto su di lui come lui ne ha su di me. Come ho sempre fatto, finisco per inseguire legami che non esistono.
Un pensiero, piccolo ma intenso, inizia a farsi spazio nella mia mente: ho avuto i miei campi elisi. Per sei mesi quest'inferno mi è parso il paradiso e forse dovrei solo dire grazie e abbracciare la morte. Nessun rimpianto, nessun rancore. Una vita fatta di un padre distante, una madre che credevo perduta per sempre, una matrigna che non ha fatto altro che odiarmi.
«È la fine, allora» concludo.
Non risponde. Si alza e torna su per le scale, lasciandomi con Cerbero e la sua presenza calda sulle gambe. Non restiamo separati a lungo, però. Presto è nuovamente al mio fianco. In un pugno stringe il foglio di giornale stropicciato, nell'altro un cordless dall'aria antiquata.
«C'è un numero» dice, senza dare spiegazione alcuna.
«Un numero?»
«Un numero da contattare in caso si avessero tue notizie» spiega, finalmente.
Sono comunque confusa e aspetto mi dica cosa devo fare come neanche Cerbero farebbe mai con il suo padrone. Lui mi porge il telefono continuando a evitare il mio sguardo. Si limita a snocciolare un indirizzo che immagino sia del luogo dove ci troviamo.
«Ho già composto il numero, devi solo chiamare.»
Si alza nuovamente e si siede vicino a una delle finestre, sbirciando il paesaggio attraverso le persiane. Come a accorgersi del turbamento del suo padrone Cerbero abbandona le mie gambe per farsi coccolare da lui.
«Non capisco» ammetto.
«Mi sembra semplice, Serena. Chiama.»
«Ma...»
«Chiama» ordina, perentorio.
Obbedisco e porto l'apparecchio all'orecchio, attendendo una risposta.
«Numero speciale per...»
«Sono io» taglio corto.
«Io?» domandano dall'altra parte.
«Serena. Quella che state cercando. Vorrei parlare con mia... mia madre» riesco a dire.
Sento agitazione dall'altra parte della cornetta, trambusto, qualche domanda sussurrata, alcuni sospetti sulla mia onestà. Alla fine è una donna a parlare.
«Pronto?» chiede.
«Sono Serena e vorrei parlare con mia madre» ripeto.
«Eccomi» risponde la voce dopo qualche secondo, mantenendo una certa freddezza.
«Sono davvero Serena, credimi. Volevo dirti dove mi trovo e... volevo...» qualche lacrima mi scorre sulle guance, mentre cerco di dire qualcosa di sensato.
«Serena? Sei davvero tu? Che cosa è successo? Dove sei?»
Ripeto l'indirizzo che mi è stato detto poco prima e, nel farlo, il mio sguardo cade sull'uomo alla finestra. Mi sta osservando. Scruta nel mio animo, a fondo, possedendomi con le sue iridi di ghiaccio.
«...nessuno mi ha fatto del male. Avevo bisogno di staccare da tutto e da tutti e ho chiesto al mio ragazzo di ospitarmi per un po'.»
È una bugia e forse la scopriranno, ma il mio sguardo continua a essere incatenato a quello dell'uomo e non posso rivelare che è l'assassino di Lisa, non posso dire che è il mio rapitore. Non ce la faccio. Sul volto dell'albino si dipinge autentico stupore, genuina sorpresa.
«Dobbiamo raccontarci molto, Serena. Non credevo di poterti mai parlare, di poterti mai vedere! Mi dispiace di non essere stata abbastanza forte in questi anni, di aver avuto paura, io... Quando tornerai?»
«Non lo so con certezza.»
«Puoi farti accompagnare? Anche solo per un incontro. Se hai bisogno verrò a prenderti, o manderò qualcuno se sei più a tuo agio. Ero così preoccupata, lo siamo stati tutti! Dopo quello che è successo alla seconda moglie di tuo padre credevamo fosse capitato qualcosa di brutto anche... abbiamo scoperto che eri sparita solo dopo la morte di tuo padre. Ha detto che eri da alcuni amici, ma non riuscivamo a contattarti in nessun modo.»
«Mi dispiace di averti fatto preoccupare. Qui sono un po' fuori dal mondo e non sapevo che qualcuno mi stesse cercando» spiego, la mente confusa, le parole che escono come se non fossi io a pronunciarle.
«Manderò qualcuno a prenderti domani, ti andrebbe bene?»
Riesco finalmente a sciogliere i miei occhi da quelli dell'uomo e mi domando se lo rivedrò mai dopo questi sei mesi assieme.
«Certo.»
Attacco prima che la donna, la sconosciuta che ho scoperto essere mia madre, possa dirmi altro. Mi sento strana. È tutto assurdo, tutto sbagliato, tutto così incontrollabile. Sembra quasi io sia in balia di una tempesta senza la possibilità di restare aggrappata a nulla. Sento il peso della realtà tornarmi sulle spalle, schiacciarmi, pretendere.
«Perché lo hai fatto? Perché non hai detto la verità?»
La sua voce è rigida, meccanica, mentre si alza e si avvicina.
«Lo sai perché» mormoro.
È un'ombra gigantesca, si frappone fra me e il camino, oscurandomi. La sua mano raggiunge il mio viso e lo alza, perché possa guardarlo.
E, piano, si china su di me.

 

Ciao!! Come state??
Un grazie speciale a chi si è fermato a leggere, un GRAZIE enorme a chi si è fermato a recensire!
A presto!!
EDIT: come sempre, qui potete scaricare l'e-book gratuitamente!
DonnieTZ
   
 
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